Caterina, Lettere 318

318

A Sano di Maco e tutti gli altri suoi in Cristo figliuoli secolari da Siena.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimi figliuoli in Cristo dolce Gesù, io Caterina, schiava de' servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi fondati nella virtù della santissima fede, la quale fede è uno lume che sta nell'occhio dell'intelletto, che ci fa vedere e cognoscere la verità. E la cosa che si cognosce buona, s'ama; non cognoscendola, non si può amare: e non vedendola, non si può cognoscere. Adunque ci è necessario el lume, e senza esso andaremo in tenebre; e chi va per la tenebre, è offeso da essa.

Questo lume c'insegna la via, mostraci el fine, e insegnaci gl'invitatori, che sonno due. Questo lume vede le nozze dell'uno e dell'altro; e col vedere le discerne, quale dà vita, e qual morte. O dolcissimi e amantissimi figliuoli, quali sonno questi due che c'invitano? E quali sonno le vie loro? Dicovelo: Cristo benedetto è l'uno, che c'invita a l'acqua viva della grazia. Così disse egli quando gridava nel tempio: «Chi à sete, venga a me, e beia (Jn 7,37), ché so' fonte d'acqua viva» (Jn 4,10). Veramente egli è una fonte: ché, come la fonte tiene in sé l'acqua - e trabocca per lo murello d'intorno -, così questo dolce e amoroso Verbo, vestito della nostra umanità. L'umanità sua fu uno muro che tenne in sé la deità etterna unita in essa umanità, traboccando el fuoco della divina carità per lo muro aperto di Cristo crocifisso: però che le piaghe sue dolcissime versarono sangue intriso col fuoco, perché per fuoco d'amore fu sparto. Di questa fonte traiamo noi l'acqua della grazia, però che in virtù della deità, e non puramente per l'umanità, fu purgata la colpa de l'uomo. L'umanità sostenne la pena della croce, e in virtù della deità fu satisfatto alla colpa nostra, e fummo ristituiti a grazia.

Sì che veramente egli è fonte d'acqua viva, e con grande dolcezza d'amore c'invita a berne, ma dice: «Chi à sete venga a me, e beia» e non invita chi non à sete; e dice: «venga a me». Oh come ben dice la Verità etterna, però che neuno può andare al Padre se non per lui, sì come egli disse nel santo evangelio (Jn 14,6): perché chi vuole andare a participare la visione del Padre etterno - el quale è vita durabile - gli conviene tenere per la via della dottrina del Verbo, el quale è via, verità e vita (Jn 14,6). E chi va per questa via non va in tenebre, ma va col lume della santissima fede; el quale lume è tratto dal lume suo, e in esso l'accresce. E così doviamo dire: Signore, dammi grazia che nel lume tuo io vegga lume. Egli è essa Verità, e l'anima che seguita la dottrina di questo Verbo lassa e consuma in sé la bugia de l'amore proprio, e in verità senza mezzo corre co' piei dell'affetto per questa via, seguitando la dottrina di Cristo crocifisso.

El quale vede col lume della fede che è salito in su la catedra della croce, e insegnaci la dottrina avendola scritta nel corpo suo; e fece di sé uno libro, co' capoversi sì grossi che non è uomo tanto idioto, né di sì poco vedere, che non ci possa largamente e perfettamente leggere.

Legga adunque, legga l'anima nostra, e per meglio poterlo leggere, salgano e' pie' dell'affetto nostro nell'affetto di Cristo crocifisso: in altro modo non el leggereste bene. Facciamoci a quel principale dell'affocata sua carità, la quale troviamo nel costato suo, unde egli ci mostra il secreto del cuore, mostrando che con cosa finita, cioè con la pena sua che fu finita, non può tanto mostrare l'amore che egli ci à, né darci tanto che egli non ci voglia più mostrare e dare. Questo amore che egli à a noi, vilissime creature, ci lassa per dottrina che con esso doviamo amare lui sopra ogni cosa e 'l prossimo come noi medesimi (Mt 22,37-39 Mc 12,30-31 Lc 10,27); el quale amore si debba mostrare in effetto, sì come fece egli, che col sostenere cel dimostrò. Con amore dunque amaremo; e dimostraremo in Dio e nel prossimo se noi saremo fedeli alla dottrina sua, sostenendo pene obrobrii scherni e villanie, rimproveri e detrazioni; e per veruna ingiuria sarà diminuito l'affetto della carità in noi verso coloro che ce la faranno. E insegnaci dolere più della dannazione loro che della ingiuria nostra. E anco, c'insegna pregare Dio per loro, sì come fece egli quando e' Giuderi el crocifiggevano, dicendo: «Padre, perdona a costoro, però che non sanno quello che fanno» (Lc 23,34). Ode fuoco dolce d'amore che egli à inverso di noi e vedi pazienzia, a confusione degli amatori di loro medesimi e degli impazienti, che una parola lo' pare una coltellata; e se essi non ne rispondono quattro, pare che 'l cuore scoppi per veleno! Questi mostrano d'andare senza lume, e che non abbino letto in questo glorioso libro. Adunque chi el legge porta e sopporta e' difetti del prossimo suo con grande compassione e carità fraterna.

Anco dimostra l'uomo l'amore che egli à a Dio in portare con pazienzia e con debita reverenzia ciò che egli ci dà e permette, non volendo investigare i misterii suoi, né giudicarli altro che nell'affetto della sua carità. Facendo così, si leggerà la dottrina della pazienzia: nel tempo della guerra gustaremo la pace, nella infermità del corpo la sanità dell'anima; e così manifestaremo el lume della fede, perché la pazienzia dimostra che in verità noi aviamo veduto e creduto che Dio non vuole altro che la nostra santificazione, e però con reverenzia e pazienzia l'aviamo ricevute. In questo lume si legge la speranza, la quale riceviamo, d'avere vita etterna in virtù del sangue di Cristo. Questa ci fa perdere la speranza di noi medesimi, del mondo e delle sue delizie e d'ogni altra cosa, e solo sperare in lui, come in nostro vero e sommo bene.

Troppo sarebbe longo a narrare ciò che si legge in questo libro, ma uoprasi l'occhio de l'intelletto, col lume della santissima fede, e mutinsi e' piei dell'affetto, a leggere in questo dolcissimo libro. Ine si truova la prudenzia, ine la sapienzia con la quale egli prese il dimonio coll'amo della nostra umanità. In lui è giustizia, in tanto che, per punire la colpa, dié sé medesimo a l'obrobiosa morte della croce, facendo ancudine del corpo suo, la quale fabricò col fuoco della sua carità, col martello delle grandissime pene. Sì che in lui è giustizia, fortezza e temperanza, che per tenerezza di sé né per nostra ingratitudine né per le gride de' Giuderi non volta il capo adietro a ritrare il sacrificio che egli faceva di sé al Padre (He 9,26). Or leggiamo in quella virtù piccola della vera umilità, e profonda, che fu in lui: a vergogna della nostra superbia, vedremo Dio umiliato a l'uomo, la somma altezza discesa a tanta bassezza, Dio e Uomo umiliato alla penosa e vilissima morte della croce. E tutto dì el vediamo usare di questa umilità.

Con quanta umilità e pazienzia porta egli le nostre iniquità, la ignoranzia, negligenzia e ingratitudine nostra! Tutte le porta per fame che egli à della nostra salute, prestandoci el tempo con le buone e sante 'spirazioni, con farci vedere e provare la fragilità nostra e la poca fermezza del mondo, acciò che noi non ce ne fidiamo. E facci invitare a' servi suoi con la dottrina e con l'essemplo della vita, sforzando loro a pregarlo per noi con umili, continue e fedeli orazioni. Questo fa la sua bontà e umilità, insegnandoci a fare il simile verso il prossimo nostro. Or in questo modo seguitaremo le vestigie sue; leggendo in questo libro, impararemo la dottrina della sua verità, e con essa giognaremo al Padre; e in altro modo no, perché le virtù s'acquistano con fadiga, facendo forza e violenzia alla propria fragilità. Nel Padre non cadde pena, ma sì nel Figliuolo; e col mezzo del sangue suo aviamo vita eterna. Però disse egli: «Neuno può andare al Padre se non per me» (Jn 14,6). E così è la verità, però che egli è la via, cioè la dottrina sua è via di verità che ci dà vita, come detto è. Egli, come fonte d'acqua viva, invita a bere quegli che ànno sete, e' quali, seguitando la dottrina sua, empiano il vasello dell'anima dell'acqua della grazia. Appogiando il petto (Jn 13,23) a l'umanità sua, per lo modo detto s'attuffano in questa acqua, beiendo con la bocca del santo desiderio l'onore di Dio e la salute dell'anime, con la fame delle virtù, le quali vede di potere acquistare in questo tempo presente. E però con grande sollicitudine l'essercita, per non esserne perditore, ma per lo maggiore tesoro che egli abbi, lo strigne a sé.

Questi sono gl'invitati; ma none i negligenti che giacciono nella tenebre del peccato mortale, correndo per la via morta come ciechi e ostinati nelle miserie loro. Essi sono ben chiamati, ma non invitati: chiamati sono, avendoli Idio creati alla imagine e similitudine sua (Gn 1,26), e ricreati a grazia nel sangue del Verbo; ma non sono invitati, perché non vogliono essere. Per tutti è fatta la legge, ma di cui diremo che ella sia? Di coloro che l'osservano. Così, chi sonno gl'invitati a bere? Tutti noi che siamo chiamati? Chi dunque diremo che sieno gl'invitati? Solo quelli che ànno sete e fame della virtù e, come assetati, corrono per la dottrina di Cristo crocifisso ponendosi dinanzi, al lume della fede, la fonte, per crescere la sete. Con questa sete e lume giongono all'acqua, come detto è; ma senza el lume mai vi sarebbono gionti. Molto avarei che dire sopra questi che sonno invitati, ma non mi voglio distendere più oltre.

Ma vediamo quale è l'altro che c'invita. Detto aviamo che Cristo dolce Gesù c'invita all'acqua viva. L'altro è il dimonio, che c'invita a quella che egli à per sé: in sé à morte, adunque noi invita all'acqua morta. Che se tu el dimandassi: «Che mi darai, se io ti servo?», rispondarebbeti: «Di quello che io ò per me: io so' privato di Dio, e così tu sarai privato di Dio; io so' nel fuoco eternale, dove è pianto e stridore di denti (Mt 8,12 Lc 13,28); so' privato della luce e ammerso nella tenebre; ò perduta ogni speranza; so' con la compagnia de' crociati e tormentati ne l'inferno, come io. Queste sono le gioie e il rifrigerio che tu avarai per merito». La fede ti dimostra che veramente egli è così; e però il fedele o egli non va mai per questa via o, essendovi, se ne parte. Bene è stolto e matto l'uomo che si tolle il lume, ché, privato del lume, non cognosce i guai suoi.

Quale è la via di questo invitatore? è la via della bugia - però che egli è padre delle bugie (Jn 8,44) - la quale bugia produce il miserabile amore proprio, col quale disordinatamente ama lo stato e le ricchezze del mondo, le cose create, le creature e sé medesimo, non curandosi di perdere Dio e la bellezza dell'anima sua. Ma, come cieco, si fa Dio di sé e del mondo, e, come ladro, fura il tempo: ché quello tempo che egli debba spendare in onore di Dio, salute sua e del prossimo, lo spende nel proprio diletto sensitivo, dilettandosi in sé medesimo, e dando agio e piacere al corpo suo fuore della volontà di Dio. El libro ch'egli ti pone innanzi è la propria sensualità, nel quale egli à scritti tutti e' vizii, con movimenti d'ira, di superbia, d'impazienzia, d'infedelità verso el tuo Creatore; ingiustizia, indiscrezione, immundizia, odio verso il prossimo tuo; piacere del vizio e dispiacere delle virtù; grossezza e detrazione verso el prossimo; accidia e confusione di mente, negligenzia, sonnolenzia e ingratitudine; e tutti gli altri difetti gli scrive. Se la volontà gli legge e gl'impara, mettendogli volontariamente in operazione, egli seguita, come infedele, la via della bugia del dimonio. Beie in lui l'acqua morta, perché è privato della grazia in questa vita, e nell'altra riceve con lui insieme, morendo in peccato mortale, l'etterna dannazione e supplicio.

Adunque vedete, figliuoli carissimi, quanto v'è necessario el lume, di quanto male vi campa, e a quanto bene vi conduce. Considerando io questo, e vedendo che senza questo lume non si compirebbe in voi la volontà di Dio - el quale vi creò per darvi vita etterna - né anco la mia, che non voglio altro in voi, dissi ch'io desideravo di vedere in voi el lume della santissima fede. E così vi prego e voglio che sempre siate fedeli e veri servi di Cristo crocifisso: voglio che 'l serviate a tutto, e non a mezzo; a suo modo e non a vostro; non eleggendo né tempo né luogo, se non a modo suo, né propria consolazione; non rifiutando pene né battaglie dal dimonio invisibile né dal visibile, né impugnazione della fragile carne, ma abbracciando la via delle pene per onore di Dio.

Seguitate Cristo crocifisso, mortificando el corpo col digiuno, con la vigilia e con la continua umile e fedele orazione, e uccidete la volontà nella dolce volontà di Dio. La conversazione vostra sia co' servi suoi; e quando sete congregati non perdete il tempo in parlare ozioso né in gravarvi de' fatti altrui, mangiando le carni del prossimo per mormorazione e falso giudizio, però che solo Dio è sommo giudice di noi e d'ogniuno; ma dimostrate d'essere congregati nel nome di Cristo, ragionando della bontà sua, e delle virtù de' santi, e de' difetti vostri. Siate forti, constanti e perseveranti nella virtù; e non sia dimonio né creatura che per minacce né per lusinghe mai vi faccino voltare il capo indietro, perché solo la perseveranzia è coronata. Chi non è legato al mondo, taglisi da esso attualmente e non si ponga a sciogliare, però che non à tempo; e chi non taglia, sempre sta legato. La memoria del sangue, col lume della fede, vi farà perfettamente tagliare da tutte quelle cose che sonno fuore della voluntà di Dio.

Sarete fedeli a lui, e a me miserabile, credendo che, se mai io non vi scrivesse, io v'amo in verità; e con sollicitudine procaccio la salute vostra dinanzi a Dio: di questo voglio che siate certi. E' vero che, per lo mio difetto e per la molta occupazione che io ò avuta, non v'ò scritto; ma confortatevi e amatevi insieme, ché io ò volontà più che mai di vedervi scritti nel libro della vita. Annegatevi nel sangue de l'umile Agnello. Non cessate d'orare per la santa Chiesa e per lo nostro signore papa Urbano VI, perché ora è di grandissima necessità. Altro non vi dico.

Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.



319

Al soprascritto Stefano Maconi.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo figliuolo in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava de' servi di Gesù Cristo, scrivo a te nel prezioso sangue suo, con desiderio di vederti vero guardiano della città dell'anima tua.

O figliuolo dolcissimo, questa città à molte porte: le principale sonno tre, cioè memoria, intelletto e volontà; delle quali porte el nostro Creatore tutte permette che sieno percosse, e quando aperte per forza, fuore che una, cioè la volontà. Unde alcuna volta adiviene che lo intelletto altro non vede che tenebre; la memoria è occupata in cose vane e transitorie, con molte varie e diverse cogitazioni, e disonesti pensieri; e simile, tutti gli altri sentimenti del corpo sonno disordinati e atti a ruina. Unde certo si vede che veruna di queste porte è liberamente in nostra possessione; ma solo la porta della volontà è in nostra libertà, la quale à per sua guardia el libero arbitrio: ed è si forte questa porta che né dimonio né creatura la può uprire, se la guardia non consente. E non uprendosi questa porta, cioè di consentire a quello che la memoria e lo 'ntelletto e l'altre porte sentono, è franca in perpetuo la nostra città.

Ricognosciamo adunque, figliuolo, ricognosciamo tanto eccelente beneficio, e sì smisurata larghezza di carità quanta aviamo ricevuto dalla divina bontà, avendoci messi in libera possessione di tanta nobile città. Brighianci di fare buona e solicita guardia, ponendo allato alla guardia del libero arbitrio il cane della conscienzia el quale - quando alcuno giogne a la porta - desti la ragione abbaiando, acciò che ella discerna se è amico o nemico; sì che la guardia metta dentro gli amici, mandando ad essecuzione le sante e buone 'spirazioni, e cacci via e' nemici, serrando la porta della volontà che non consenta alle gattive cogitazioni che tutto dì giongono a la porta. Così fa' tu, figliuolo, e allora sarai vero guardiano. E quando ti sarà richiesta dal Signore, la potrai rendere salva e adornata di vere e reali virtù, mediante la grazia sua. Non dico più qui.

Come a dì primo di questo mese scrissi in comunità a tutti e' figliuoli, noi giognemmo qui la prima domenica de l'Avvento con molta pace, salvo che Neri e Francesco conduca Salvi e credo che tosto ci sarrà che tosto ne venghi qua a godere con questi tuoi e veri seguitatori de l'umile immaculato Agnello chi à sete sarà saziato in verità e però sollicitamente Permane nella santa e dolce dilezione di Dio. Prega Dio per noi pur altri poverelli e poverelle ti confortano scognoscente ti si raccomanda. Gesù dolce, Gesù amore.



320

Stefano di Currado Maconi, in Siena.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo figliuolo in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava de' servi di Gesù Cristo, scrivo a te nel prezioso sangue suo, con desiderio di vederti levato dalla fanciullezza e essere uomo virile; levatoti da gustare il latte delle consolazioni mentali e attuali, e posto a mangiare il pane duro e muffato delle molte tribolazioni mentali e corporali, delle battaglie dalle dimonia, e ingiurie delle creature, e in qualunque altro modo a Dio piacesse di concederleti; dilettandoti in esse, e facendote lo' incontra con affocato desiderio e con un dolce ringraziamento verso la divina bontà, quando a lui piacesse d'usare in te questi grandi doni: la quale cosa gli piacerà ogni volta che ti vedrà atto a ricevere.

Destati, destati, figliuolo, dalla tiepidezza del cuore tuo, e tuffalo nel sangue, acciò che egli arda nella fornace della divina carità, sì che gli venga in abominazione l'opere fanciullesche, e infiammisi a essere tutto virile: entrare in sul campo della battaglia a fare grandi fatti per Cristo crocifisso, e virilmente combattere, perché dice Pavoloccio che non sarà coronato se non chi ligittimamente avrà combattuto (). Dunque da piagnere à colui che si vede stare fuore del campo. Or io non dico più qui.

Ebbi la tua lettera, e vidila volontieri. Del fatto del Proposto, ti rispondo che molto mi piace la sua buona disposizione; ed è da godere de' dolci giuochi che fa questo nostro dolce Dio con le sue creature, per riducergli al fine al quale fummo creati tutti, unde, quando non giova la medicina dolce e l'unzione della consolazione, sì ci manda la tribolazione, incendendo la piaga col fuoco perché non marcisca. Nel fatto suo m'affadigarò volentieri per onore di Dio e salute sua, passate queste feste e santi dì.

Le indulgenzie che mi chiedi m'ingegnarò d'accattarle con le prime che io dimandarò; non so il quando, però che io ò ristucchi gli scrivani della corte: conviensi un poco tenere in collo. A Matteo scrivo una lettera: dara'gliele e confortalo; e ritruovati con lui alcuna volta, riscaldandolo e infiammandolo alla impresa cominciata. Ò sentito la infermità che Dio à mandata a Ghetto e, considerato la sua necessità, ti prego e strengo quanto più posso che tu adoperi co' tuoi fratelli che la Compagnia della Vergine Maria gli facci aiuto, il più che tu puoi. Molto è da avere compassione a Caterina, a trovarsi sola e povera sanza veruno refugio, e però sia sollicito a usare questa carità. Io ne scrivo anco a Petro. Fate che io m'avvegga che voi non ci aviate commessa negligenzia. Altro non ti dico.

Permane nella santa e dolce dilezione di Dio. Tutta questa famiglia ti confortano in Cristo; e il negligente e ingrato scrittore ti si raccomanda. Gesù dolce, Gesù amore.




321

Alla Compagnia della disciplina della Vergine Maria, in Siena.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimi fratelli e padri in Cristo dolce Gesù, io Caterina, schiava de' servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi veri lavoratori nella vigna dell'anime vostre, acciò che rapportiate el molto frutto al tempo della ricolta.

Sapete che la verità etterna creò noi alla imagine e similitudine sua (Gn 1,26): fececi come sua vigna nella quale vuole abitare per grazia, colà dove piaccia al lavoratore di questa vigna di lavorarla bene e dirittamente; che se ella non fusse lavorata, ma abondasse di spine e di pruni, già non si dilettarebbe d'abitarvi. Or vediamo, carissimi fratelli, che lavoratore ci à posto questo maestro: àcci posto el libero arbitrio, in cui è commessa tutta la governazione. Ècci la porta della volontà, che neuno è che la possa aprire o serrare se non quanto il libero arbitrio vuole; àcci posto el lume dello 'ntelletto, per conoscere gli amici e i nemici che volessero intrare e passare per la porta. Alla quale porta è posto el cane della coscienzia che abaia come li sente apparire, se egli è desto e non dorma. Questo lume discerne e vede el frutto, traendone la terra acciò ch'el frutto rimanga netto, e mettelo nel granaio della memoria, ritenendovi il ricordamento de' benefizii di Dio. Nel mezzo della vigna è posto el vasello pieno di sangue, cioè il cuore, per inaffiare con esso le piante acciò che non si secchino.

Or così dolcemente è fatta e creata questa vigna, ma io m'avegio ch'el veleno dell'amore proprio à avelenato questo lavoratore, in tanto che la vigna nostra è tutta insalvatichita. O egli ci è frutto che ci dà morte, o egli ci sono frutti salvatichi e acerbi, perché i seminatori rei delle dimonia passarono per la porta della volontà col seme delle molte e varie cogitazioni: seminandole el libero arbitrio, nacquene mortale frutto, cioè di molti peccati mortali. Oh quanto è laida a vedere questa cotale misera vigna, che di vigna è fatta bosco, con le spine della superbia e dell'avarizia, co' pruni dell'ira e della impazienzia, piena d'erbe velenose: di giardino è fatta stalla, dilettandoci noi di stare nel loto della immondizia.

Questo giardino non è chiuso, ma è aperto, e però e' nemici de' vizii e delle dimonia v'entrano come in loro abitazione. La fonte è risecca, cioè la grazia, la quale traemo del santo battesimo in virtù del sangue; el quale sangue inaffiava essendone pieno el cuore per affetto d'amore. El lume de lo 'ntelletto non vede altro che tenebre perché è privato della pupilla della santissima fede, unde non vede né conosce altro che amore sensitivo. Di questo empie la memoria, unde altro ricordamento non à né può avere - mentre che sta così - se non di miseria, con disordinati apetiti e desiderii. Àcci posta una vigna appresso a questa, la dolce verità etterna, cioè il prossimo nostro, la quale è tanta unita insieme con la nostra che utilità non potiamo fare a la nostra che non sia fatto anco alla sua. Anco, ci è comandamento che noi la governiamo come la nostra, quando ci è detto: «Ama Dio sopra tutte le cose, e il prossimo come te medesimo».

(Mt 22,37-39 Mc 12,29-31 Lc 10,27) Oh quanto è crudele quello lavoratore che sì male à governata la vigna sua, senza alcuno frutto se non d'alcuno atto di virtù: e questi sonno sì acerbi che neuno è che ne possa mangiare! Ciò sonno le buone operazioni fatte fuori della carità. Oh quanta è misera quella anima che nel ponto della morte, el quale è un tempo di ricolta, si truova senza neuno frutto: la pruova le fa conosciare la morte sua. Va cercando allora d'avere el tempo per poterla governare, e non à el modo. Lo ignorante uomo credeva potere tenere el tempo a suo modo; e egli non è così.

Adunque ci leviamo nel tempo presente, che ci è prestato per misericordia. Levisi la ragione col libero arbitrio, e cominciamo a rivoltare la terra di questo disordinato amore: cioè che l'affetto (el quale è tutto terreno e d'altre che di cose transitorie non si vuole notricare - le quali passano tutte come el vento senza alcuna fermezza o stabilità -) , diventi celestiale, cercando e' beni del cielo, e' quali sonno fermi e stabili che in sé non ànno alcuna mutazione. Apriamo la porta della volontà a ricevare il seminatore vero Cristo crocifisso, il quale porge nella mano del libero arbitrio el seme della dottrina sua, el quale seme produce i frutti delle vere e reali virtù. Le quali virtù il libero arbitrio l'à scelte col lume dalla terra: cioè che non à seminate né ricolte in sé le virtù per neuno terreno amore o piacere umano; ma con odio e dispiacimento di sé medesimo ne l'à gittato fuore, e il frutto riposto nella memoria, per ricordamento de' benifizii di Dio, riconoscendo d'averli da lui e non per sua propria virtù.

Che alboro ci pone? L'alboro della perfettissima carità - che la cima sua s'unisce col cielo, cioè nell'abisso della carità di Dio -, e' rami suoi tengono per tutta la vigna, unde mantengono in freschezza e' frutti: però che tutte le virtù procedono e ànno vita dalla carità. Di che si inaffia? Non d'acqua, ma di sangue prezioso sparto con tanto fuoco d'amore, el quale sangue sta nel vasello del cuore.

E non tanto ch'egli ne inaffi questa dolce e dilettevole vigna e nobile giardino, ma egli ne dà bere al cane della conscienzia abondantemente, acciò che, fortificato, facci buona e solenne guardia a la porta della volontà, acciò che neuno passi che esso non il facci sentire destando col grido suo la ragione; e la ragione col lume de lo 'ntelletto raguardi se sono amici o nemici. Se sonno amici che sieno mandati dalla clemenzia dello Spirito santo - ciò sono i buoni e santi pensieri con le buone e perfette operazioni - siano ricevuti dal libero arbitrio, diserrando la porta della volontà con le chiavi dell'amore; e se sonno nemici di perverse cogitazioni, con operazioni corrotte, le cacci con la verga dell'odio con grandissimo rimproverio: non si lassino passare che non sieno corrette, serrando la porta della volontà che non consenta a loro.

Allora Dio, vedendo che il lavoratore del libero arbitrio, el quale egli mise nella vigna sua, à bene lavorato in sé e in quella del prossimo suo - sovenendoli in ciò che gli è stato possibile, per dilezione e affetto di carità -, egli si riposa dentro in quella anima per grazia: non che per nostro bene a lui cresca riposo - però che non à bisogno di noi -, ma la grazia sua si riposa in noi. La quale grazia ci dà vita; rivesteci, ricoprendo la nostra nudità; dacci lume; sazia l'affetto dell'anima: e, saziata, rimane affamata; dàlle el cibo ponendola a mangiare alla mensa della santissima croce. Nella bocca del santo desiderio dà el latte della divina dolcezza, pigliando con essa la mirra dell'amaritudine dell'offesa di Dio e dell'amaritudine della croce, cioè delle pene che il figliuolo di Dio portò; dàlle oncenso d'umili, continove e fedeli orazioni, le quali offera molto ferventemente per onore di Dio e salute dell'anime.

Oh quanto è beata questa anima! Veramente ella gusta vita etterna, ma noi non ci curiamo di questa beatitudine: ché se noi ce ne curassimo, elegiaremmo inanzi la morte che perdare tanto bene. Leviamo questa ignoranza, e cerchianla con ogni verità: cercandola in verità, andaremo colà dove Dio l'à posta, ché se noi cercassimo altrove già non la trovaremo.

Detto abiamo come l'anima nostra è vigna, e come ella è adornata, e come Dio vuole che ella sia lavorata; ora vediamo dove ci à posti. Àcci posti nella vigna della santa Chiesa; e à posto in essa el lavoratore, cioè Cristo in terra, el quale à a ministrare a noi el sangue di Cristo; e col coltello della penitenzia, la quale riceviamo nella santa confessione, taglia el vizio dell'anima, notricandola al petto suo, legandola col legame della santa obedienzia. E senza questa vigna la nostra sarebe ruinata, la grandine le torrebbe ogni frutto: cioè, se ella non fusse legata in questa obedienzia. Adunque ci conviene cercare la vigna nostra nella vigna della santa Chiesa, altrimenti saremo privati d'ogni bene e cadaremo in ogni male.

Ora è il tempo, carissimi fratelli e padri, di mostrare se in verità ci saremo legati, o no. A che me n'avedrò? Se in questo tempo voi soverrete il vicario di Cristo lavoratore di questa vigna della Chiesa, papa Urbano VI, spiritualmente e temporalmente. Spiritualmente, con l'umile orazione; temporalmente, adoparando giusta el vostro potere ch'e' Signori di costì li dieno aiutorio, il quale adiutorio non è donare ma è un fare il debito suo. E come non vedete voi che noi siamo tenuti per debito di farlo, e ch'egli è uno sovenire a noi medesimi? Amiamo noi sì poco la fede nostra che noi non ne vogliamo essere difenditori e mettarci la vita, se bisogna? E siamo noi ingrati e sconoscenti di tanti benefizii quanto abiamo ricevuti da Dio e da lui? E non vediamo noi che la 'ngratitudine fa seccare la fonte della pietà? Non voglio che siamo ingrati, ma grati e conoscenti, acciò che si notrichi la pietà in noi. E però vi prego e constringo, per l'amore di Cristo crocifisso e per la vostra utilità, che adoperiate ciò che si può a sovenire a questo bisogno, il quale è così nostro come di Cristo in terra. Che ingratitudine è questa, d'avere avuta l'absoluzione, la benivolenzia sua e ciò che ànno saputo adimandare, e ora a lui non danno altro che parole? Pare che si voglino stare di mezzo con tepidezza di cuore e timore servile; e non vediamo, per l'essere iscostati dal Padre nostro, a quanti pericoli potiamo venire. E spezialmente aspettandosi nel paese avvenimento di signore. Siamo pronti per l'amore di Dio a sovenire a questa verità. Ragionatene l'uno con l'altro e siatene co' Signori e parlatene a loro.

So' certa che se sarete buoni e perfetti lavoratori nella vigna vostra voi lavorerete con grande solecitudine, per amore della verità, nella vigna della santa Chiesa; ma se sarete cattivi lavoratori in voi, non vi curarete di lavorare in lei, sì come insino ad ora si mostra. E però dissi che io desiderava di vedervi veri governatori e lavoratori nella vigna dell'anime vostre, e così vi prego che facciate. Conchiudo che facciate speziale orazione per la santa Chiesa e per papa Urbano VI, e che preghiate i Signori che non indugino più a rendere il debito loro. Altro non dico.

Permanete etc. Gesù dolce, Gesù amore.



322

A don Giovanni monaco nelle Celle di Vall Ombrosa, essendo richiesto dal santo padre papa Urbano VI.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo figliuolo e padre in Cristo dolce Gesù, io Caterina, schiava de' servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi arso nella fornace della divina carità.

La qual carità consuma l'acqua de l'amore proprio di noi medesimi: fa l'uomo perdere sé medesimo, cioè che non cerca sé per sé, ma sé per Dio, né appetisce le proprie consolazioni. Se egli ama il prossimo non l'ama per sé ma per Dio, cercando la salute sua; e Dio ama perché cognosce ch'egli è somma ed eterna bontà, degno d'essere amato. Oh quanto è dolce la madre della carità! Ella notrica i figliuoli delle virtù al petto suo, che niuna virtù può dare a noi vita di grazia se ella non è fatta e notricata dalla carità. Ella è uno lume che tolle la tenebre della ignoranzia, col quale lume più perfettamente si cognosce la verità: e, nel più cognoscere, più ama. Ella è uno vestimento che ricuopre la nostra nudità, ché l'anima la quale è nuda di virtù (unde le seguita vergogna, sì come a l'uomo che si vede nudo), ella la ricuopre del vestimento delle vere e reali virtù. Ella è uno cibo che dà fame insiememente e nutrica l'anima, ché altrimenti non sarebbe cibo dilettevole se la fame insiememente col cibo non fosse: unde noi vediamo che l'anima che si consuma in questa fornace sempre mangia il cibo suo; e quanto più mangia più à fame.

Quale è il cibo suo? E' l'onore di Dio e la salute dell'anime: levata s'è da cercare l'onore proprio, e corre come inamorata alla mensa della croce a cercare l'onore di Dio. Ella si satolla d'obbrobrii abracciando scherni e villanie, conformandosi tutta nella dottrina del Verbo, e seguitando in verità le vestigie sue. Non gli è duro il portare pene né fatighe, anco gli è diletto, perché con odio santo à abandonato sé medesimo, unde riluce in lui la virtù della pazienzia, con la sorella della fortezza e la longa perseveranzia. Ella gusta l'arra di vita eterna, sì come quegli che stanno nell'amore proprio gustano l'arra de lo 'nferno perché sono fatti incomportabili a loro medesimi, per lo disordinato amore che ànno a loro e alle cose create.

Bene è dunque dolce questa dolce madre: non è da dormire, ma è da cercarla con perfetta sollecitudine, chi l'avesse smarrita per colpa di peccato mortale: smarrita, dico, perché la può ritrovare, mentre che egli à il tempo; e chi l'à imperfettamente cerchi d'averla con perfezione. E non si dorma più, ché noi siamo chiamati e invitati a levarci dal sonno. Dormiremo noi nel tempo che i nimici nostri veghiano? No, ché la necessità ci chiama e il debito ci stregne che con istrette d'amore ci debba destare.

Or videsi mai tanta necessità quanta oggi si vede nel corpo mistico della santa Chiesa, di vedere levati i figliuoli notricati al petto della santa Chiesa ed essere contro al padre - facendo contro a Cristo in terra, papa Urbano VI, il quale è veramente papa -, e avere eletto l'antipapa, dimonio incarnato egli e chi il seguita? Bene ci debbe stregnere il debito di subvenire al padre nostro, in questa necessità, el quale dimanda benignamente e con grande umilità l'aiutorio de' servi di Dio, volendoli allato a sé. Noi doviamo respondere, consumati nella fornace della carità; e non ritrare adietro, ma andare innanzi con una verità schietta che non sia contaminata per veruno piacere umano; con uno cuore virile intrare in questo campo della battaglia, con vera umilità cordiale.

Rispondete, però che il sommo pontefice papa Urbano umilemente vi richiede non per le nostre virtù o giustizie, ma per la bontà di Dio, e umilità sua. E però io vi prego, per l'amore di Cristo crocifisso, che voi prontamente compiate la volontà di Dio e la sua. Ora m'avedrò se voi sarete amatore e zelante de l'onore di Dio e della reformazione della santa Chiesa, e se voi non raguardarete alle consolazioni vostre. So' certa che, se averete consumato l'amore proprio in questa fornace, voi non curarete d'abandonare la cella né le vostre consolazioni, ma pigliarete la cella del cognoscimento di voi e con essa verrete a ponere la vita, se bisognerà, per la verità dolce: altrementi no. E però dissi che io desideravo di vedervi consumato ogni amore proprio nella fornace della divina carità. Escano fuore i servi di Dio, e vengano ad annunziare e a sostenere per essa verità, ché ora è il tempo loro. Venite, e non indugiate, con ferma disposizione di volere attendere solo a l'onore di Dio e bene della santa Chiesa; e per questo ponere la vita, se bisognerà. Non dico più qui.

Ma d'un'altra cosa vi prego e costringo da parte di Cristo crocifisso: che voi andiate a Fiorenze, e dite a quelli che sono vostri amici - e che 'l possono fare - che lo' piaccia di subvenire al Padre loro e d'attenergli quello che essi ànno promesso. E non voglino mostrare tanta ingratitudine delle grazie che essi ànno ricevute da Dio e dalla Santità sua - voi sapete bene che la ingratitudine disecca la fonte della pietà -: e quante n'ànno ricevute! E delle offese che essi ànno fatte che punizione n'ànno ricevuta? Niuna da lui, ma grazie. Se essi nol cognosceranno, riceverannola dal sommo giudice, e molto più dura senza alcuna comparazione che la disciplina umana, e però gli pregate strettissimamente che faccino il dovere loro, e non si lassino ingannare dalle lusinghe de l'antipapa dimonio incarnato etc.

Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.




Caterina, Lettere 318