Caterina, Lettere 306

306

A papa Urbano VI, a dì v d'ottobre Mccclxxviij.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Santissimo e dolcissimo padre in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava de' servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi vestito del vestimento forte della ardentissima carità, acciò che e' colpi che vi sono gittati dagli iniqui uomini del mondo, amatori di loro medesimi, non vi possino nuocere.

Però che veruno colpo è tanto terribile che possa offendere l'anima che è vestita di sì-fatto vestimento, perché Dio è somma eterna fortezza: non può essere offeso né percosso da noi per veruna nostra iniquità, cioè che in sé non può ricevere veruna lesione. Unde el nostro male a lui non nuoce, e 'l nostro bene a lui non giova; solo a noi nocerà il male, e il bene gioverà a coloro che sono operatori del bene mediante la divina grazia. Sì che Dio è somma eterna fortezza; e chi sta in carità sta in Dio, e Dio in lui, però che Dio è carità (1Jn 4,8-16).

Adunque l'anima vestita di questo vestimento, perché ella sta in Dio, sì come detto è, non è veruna cosa né fadiga né veruna tribulazione che 'l possa venciare; anco dentro le fadighe si fortifica, provandosi in lui la virtù della pazienzia: e' colpi degli iniqui miserabili amatori di loro non v'offendaranno l'affetto de l'anima vostra, non atterreranno la sposa della santa Chiesa perché non può venire meno, ché ella è fondata sopra la viva pietra Cristo dolce Gesù. A cui noceranno questi colpi? A loro medesimi, santissimo e dolcissimo padre, che gli gittano: queste saette avelenate torneranno a loro; in voi percuotono solamente la corteccia e verun'altra cosa no, dandovi amaritudine e danno per lo scandolo e 'resia che ànno seminata nel corpo mistico della santa Chiesa.

Dilettatevi nella dilezione dolce della carità senza veruna dubitazione, ma conformatevi e confortatevi col vostro capo Cristo dolce Gesù, el quale sempre, dal principio del mondo infino a l'ultimo, à voluto e vorrà che veruno grande fatto si facesse mai senza el molto sostenere. Adunque senza timore veruno vi gittate tra queste spine col vestimento forte della carità. Oimé, oimé, non alentate e' passi per queste fadighe, né in veruno modo temete la vita del corpo vostro - cioè che voi temiate di non perdarla -: ché Dio è quello che è per voi, e se bisogna dare la vita, volontariamente si debba dare.

Oimé, disaventurata l'anima mia, cagione di tutti questi mali! Ò inteso ch'e' demoni incarnati ànno eletto non Cristo in terra, ma fatto nascere antecristo contra a voi Cristo in terra; el quale confesso, e nol nego, che sete vicario di Cristo, celleraio che tenete le chiavi del cellaio della santa Chiesa, dove sta el sangue de l'umile immaculato Agnello, e che voi ne sete el ministratore, a malgrado di chi vuole dire el contrario, e a confusione della bugia la quale Dio confondarà colla dolce verità sua: e in essa dilibererà voi e la dolce Sposa vostra. Or oltre, santissimo padre! Senza timore s'entri in questa battaglia, perché nella battaglia ci bisogna l'arme del vestimento, che è una arme dura, della divina carità. Però vi dissi che io desideravo di vedervi vestito di questo dolce e reale vestimento, acciò che più siate securo e inanimato a sostenere per gloria e loda del nome di Dio e salute dell'anime.

Nascondetevi nel costato di Cristo crocifisso, che è una caverna; bagnatevi nel sangue dolcissimo suo. E io, come schiava ricomperata del sangue di Cristo, e tutti quegli che sono aconci a dare la vita per la verità - e' quali Dio m'à dati ad amare di singulare amore, e avere cura della loro salute -, siamo aconci tutti a essere obedienti a la Santità vostra, e sostenere infino alla morte, aitandovi coll'arme de l'orazione santa, e con seminare e annunziare la verità in qualunque luogo piaciarà a la volontà dolce di Dio e a la Santità vostra. Non dico più sopra questa materia.

Fornitevi di buoni e virtuosi pastori, e dallato vogliate avere e' servi di Dio. La speranza e la fede vostra non sia posta ne l'aiuto umano, che viene meno, ma solo ne l'aiutorio divino, el quale non sarà tolto mai da noi mentre che speraremo in esso adiutorio; anco saremo tanto proveduti da Dio quanto speraremo in lui. Adunque in lui speriamo con tutto el cuore, con tutto l'affetto, e con tutte le forze nostre.

Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio.

Pregovi, santissimo padre, quanto io so e posso che - oltre a la speranza che avete posta e porrete nel vostro Creatore - facciate buona guardia della vostra persona, però che 'l doviamo fare per non tentare Dio in quello che c'è possibile, non lassando però quello che avete a fare; ma in tutto voglio che facciate questo, d'usare ogni cautela verso la vostra persona. Però che io so che i malvagi uomini, amatori del mondo e di loro medesimi, non dormono, ma con malizia e astuzia cercano di tollervi la vita; ma la dolce inestimabile bontà di Dio avanza e avanzarà la loro malizia: provederà al bisogno della Sposa sua. Ma non mancate voi, però, che dalla vostra parte non facciate quello che potete.

Perdonate, perdonate, padre, a la mia presunzione; ma el dolore e l'amore me ne scusi, e la conscienzia che mi riprendeva se io così non dicevo, e non rimane però in pace infino che col suono della voce viva, e co' la presenzia dinanzi alla Santità vostra non sostengo, perché ò voglia di mettere el sangue e la vita, e distillare le merolla dell'ossa nella santa Chiesa, poniamo che degna non ne sia. Prego la infinita bontà di Dio che me, e gli altri che la vogliano dare, ce ne facci degni ora, che è il tempo che i fiori de' santi desiderii si debbono aprire, e mostrare chi sarà amatore di sé o della verità. Non dico più, che se io andassi alla voglia non mi ristarei. Umilemente v'adimando la vostra benedizione dolce. Anco v'adimando di sapere in verità la vostra volontà, per fare con obedienzia quello che sia onore di Dio e volontà vostra, vicario di Cristo crocifisso: in ogni cosa obedire infino alla morte, quanto Dio mi darà la grazia. Gesù dolce, Gesù amore.



307

A una donna riprendendola del mormorare, a Firenze, a dì xx d'ottobre Mccclxxviij


Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissima suoro e figliuola in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava de' servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi con vero e perfetto lume, però che senza lume non poteremo conosciare la verità di Dio, né la verità ne la creatura, anco cadaremo nel falso e miserabile giudizio. Perché? perché saremmo privati del lume, ché l'anima ch'è alluminata, e à levata la passione sensitiva da sé medesima, discerne e conosce la verità, e giudica giustamente e con grande discrezione.

Che giudizio è questo, el quale noi doviamo rendare e dare a Dio, e che verità doviamo conosciare in lui e nel prossimo nostro? Dicovelo: che noi doviamo conosciare questa verità (non veduta con l'occhio del corpo ma con l'occhio de lo 'ntelletto: dentro vi è 'l lume de la santissima fede): che Dio ci ama inestimabilmente, e per amore ci creò alla immagine e similitudine sua (Gn 1,26) perché noi ricevessimo e gustassimo el suo etterno bene. Chi ci manifesta che questa sia la verità? El sangue de l'umile e immaculato Agnello, sparto con tanto fuoco d'amore in sul legno della santissima croce.

Poi che l'anima à veduta e conosciuta questa verità, sì l'ama; e con l'amore giudica che ciò che Dio dà e permette in questa vita, il fa per nostro bene, acciò che siamo santificati in lui. Giudica giustamente, con lume di discrezione: che se ella è prosperità, sì la conosce dal suo Creatore data a lei non per la sua virtù, ma per la infinita bontà di Dio; unde per questo conoscimento l'ama con amore ordenato, amandole per Dio e possedendole come cosa prestata a lei, e non come cosa sua, però che sue non sonno. A questo ce n'avediamo: che tal ora le vogliamo tenere ch'elle ci sonno tolte; e non tanto che la sustanzia temporale, ma la vita e la sanità dell'uomo e ogni altra cosa, tutte passano come vento che neuno le può tenere a suo modo, se non quanto piace a colui che le dà. Questo giudica colui ch'è alluminato in questa dolce verità.

E se ella è aversità e tribolazione, sì la riceve umilemente, con vera e santa pazienzia, riputandosi degna della pena e indegna del frutto che seguita doppo la pena; giudicando in sé medesima con umilità che per li suoi peccati l'avenga, perché conosce che il sommo giudice è rimuneratore d'ogni bene e punitore d'ogni male; a grande grazia si reca - e così è - che Dio li faccia tanta misericordia che la colpa, che merita pena infinita per avere offeso il bene infinito, ella sia punita in tempo finito, dandoci fadiga e tribolazioni. In qualunque modo egli ce le dà, tutte ce le dà la Verità etterna o perché ci coreggiamo de' difetti nostri, o per farci venire a grande perfezione: per qualunque modo, certi siamo che le dà per amore e non per odio.

Questo vede e conosce l'anima alluminata dalla dolce verità, e però à ogni cosa in debita riverenzia; giudica giustamente la volontà di Dio e la providenzia sua in sé, però che la sua providenzia provede a ogni nostra necessità, e la sua volontà non vuole altro che 'l nostro bene. Poi che l'anima così dolcemente à conosciuto la verità nel suo Creatore, e giudicato così dolcemente i misterii suoi in bene, si vòlle, con questa medesima verità e giudizio, nel prossimo suo, perché la carità del prossimo esce della carità di Dio.

Unde questa è la regola di coloro che 'l temono: che mai neuno giudizio non vorranno dare se none in bene - guarda già che e' non vedesse el male espressamente, colpa di peccato mortale -. Né questo piglia per giudizio, ma, per una santa compassione, el porta dinanzi a Dio, dicendo: «Oggi tocca a te, e domane a me, se non fosse la somma bontà che mi conserva». Ogni giudizio lassa al sommo giudice e al giudice temporale, el quale è posto perché tenga giustizia a ognuno secondo che merita.

Non si pone a giudicare per detto delle creature, né per costumi né atti di fuori, però che vede bene che Cristo benedetto glili vieta nel vangelo dicendo: «Non vogliate giudicare in faccia» (Mt 7,1 Lc 6,37), sì che nel suo prossimo ama - con quello amore ch'egli à a Dio, schietto senza rispetto di sé - la verità in lui; e giudica santamente la volontà di Dio nelle sue creature, giudicandole in bene e lassando il male giudicare a Dio. E però non è iscandelizzata né ne' misterii di Dio né nel prossimo suo; e non diminuisce la carità e l'amore e riverenzia verso il suo Creatore per neuna tribulazione ch'egli le permettesse, né verso la creatura - per ingiuria o danno temporale che ricevesse -, perché santamente à giudicato con verità che Dio glil permette per provare l'affetto della carità ne l'anima inverso di colui che gli fa ingiuria, e per punizione del peccato suo, dicendo: «Signore mio, giustamente mi permetti questo: però che, s'io non ò offesa questa creatura che mi fa ingiuria, io ò offeso te, sì che per mio bene l'ài messa per istromento a corregiarmi de' miei difetti».

Dicovi, carissima suoro, che questa anima gusta vita etterna in questa vita, perché ogni cosa in Dio e nel prossimo suo giudica con lume di verità. A questo v'invito: che sempre v'ingegniate di tenere questo medesimo modo, acciò che siate privata del sommo male, e perveniate al sommo bene, però che in quello giudizio che giudichiamo altrui, saremo giudicati noi (Mt 7,2 Lc 6,38). Non facciamo come gli stolti che fanno el contrario di questo, ché solamente si vogliono fare giudici della volontà degl'uomini, non raguardando come né in che modo, ma, come accecati della propia passione, la verità giudicano in bugia e la bugia in verità. Oh come è torta la loro via, che, essendo ciechi, vogliono giudicare la luce! Vorranno giudicare e' grandi misterii di Dio, e quello ch'egli aduopera ne' servi suoi, e i modi e costumi loro, a modo suo.

Oh superbia umana! E come non si vergogna la creatura di volere tòllare l'ufizio di mano al Creatore? Ché a la creatura aspetta d'essere giudicata, e non di giudicare; ma ella non conosce, perch'è privata del lume della verità - e però legiermente giudica e condanna quello che à udito o ode del prossimo suo, e quello che non vidde mai -, e così rimane aviluppata la coscienzia sua. Scandalizzato in Dio e nel prossimo suo, privato della dilezione della carità, ogni male n'esce, e diventa indiscreto; il gusto se li guasta, sapendoli quello ch'è buono di gattivo, e quello che è gattivo gli pare buono. Vienne in odio e dispiacimento de' misterii di Dio e opere delle creature: egli si priva del prezzo del sangue di Cristo crocifisso; tollesi ogni bene e cade in ogni male; diventa ingrato e sconoscente de' beneficii che à ricevuti e riceve - la quale ingratitudine fa seccare la fonte della pietà -; diventa incomportabile a sé medesimo, tenendo e amando disordinatamente senza Dio le ricchezze delizie e stati del mondo; e le fadighe porta con impazienzia, non ponendo la cagione delle fadighe a' peccati suoi, ma spesse volte la pone in colui che non à colpa.

Questo ben pare che oggi si vega nel mondo, e specialmente nella vostra città: che le grandi tribolazioni e mutazioni avute - e tutto dì siamo per avere - per le colpe e difetti nostri, noi le vogliamo scaricare, queste some, sopra altrui, sì come infermi, giudicando la santa intenzione in male e in perversa, e la disordinata e gattiva intenzione - che non attende altro che ad amore propio - in bene: questo è per la privazione del lume. Ma le pietre caggiono pure sopra colui che le gitta. Non si vuole fare così, dolcissima figliuola, ma riputarle a noi e a' difetti nostri, ognuno a sé medesimo; e facendo così placaremo l'ira di Dio, fuggiremo il male e tante fadighe, e ricevaremo misericordia. So' certa che se voi e gli altri sarete fondati nel lume, col quale lume conosciarete la verità, come detto è, che voi il farete; in altro modo, no. E però vi dissi ch'io desideravo di vedervi fondata in vero e perfettissimo lume; e così vi prego, per l'amore di Cristo crocifisso, che sempre v'ingegniate d'acquistarlo.

Ponete fine e termine oggimai a ogni vostra passione, e non vogliate prestare l'orecchie in udire quello che non dovete ma, come persona che non vuole la dannazione de l'anima sua, attenetevi a la verità; e non vogliate scandalizzarvi così di legiero. Raguardate l'affetto di chi v'ama teneramente. A questo modo godarete del bene, e non arete pena. So' certa che se vorrete usare el conoscimento che Dio v'à dato, voi vi disporrete a intendare quello che per salute vostra io v'ò scritto. Altro non vi dico.

Permanete etc.

Fuggite la morte della bugia e del falso giudicio, voi e gli altri, e non ci dormite più; non aspettate, a levarle, quello tempo che voi non avete. Gesù dolce, Gesù amore, Maria.



308

A la soprascritta Daniella d'Orvieto.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissima suoro e figliuola in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava de' servi di Gesù Cristo, scrivo a te nel prezioso sangue suo, con desiderio di vederti bagnata e annegata nel sangue di Cristo crocifisso, nel quale sangue trovarai el fuoco della divina carità. Gustarai la bellezza de l'anima e la grande degnità sua, però che, riguardando Dio in sé medesimo, s'inamorò della bellezza della sua creatura; e come ebro d'amore ci creò alla immagine e similitudine sua (Gn 1,26).

Avendo perduto lo ignorante uomo la degnità e bellezza della innocenzia per la colpa del peccato mortale, essendo fatto disubidiente a Dio, e' ci mandò el Verbo unigenito suo Figliuolo, ponendoli l'obedienzia che col sangue suo ci rendesse la vita e la bellezza de l' innocenzia, perché nel sangue si lavava, e lavano le macchie de' difetti nostri. Adunque vedi che nel sangue si truova e gusta la bellezza de l'anima. Bene ci si debba l'anima annegare dentro, acciò che meglio concipa amore a onore di Dio e salute de l'anime, seguitando la dottrina del dolce e amoroso Verbo.

Perde te, figliuola mia; non cercare te per te, ma te per Dio. Cerca Dio e 'l prossimo tuo con ogni santa solecitudine, per gloria e lode del nome di Dio e salute loro, offerendo umili e continove orazioni con spasimato desiderio dinanzi alla divina bontà. Ora è il tempo di prendare questo cibo de l'anime in su la mensa della santissima croce: d'ogni tempo è tempo, ma tu non vedesti mai, tu né neuno altro, tempo di magiore necessità. Sentiti, figliuola mia, con dolore e amaritudine della tenebre che è venuta nella santa Chiesa. L'aiuto umano pare che ci venga meno: conviene a te e agl'altri servi e serve di Dio invocare l'aiutorio suo. E guarda che tu non commetta negligenzia: egli è tempo di vigilia, e non da dormire. Tu sai bene che al tempo ch'e' nemici sonno a le porti, se le guardie e gl'altri de la città dormissero, non è dubio neuno che la perdarebbono. Noi siamo atorniati da molti nemici, e così l'anima nostra: ché sai che 'l mondo, e la propia nostra fragelità, e il dimonio con le molte cogitazioni, non dormono mai, ma sempre stanno aparecchiati per vedere se noi dormiamo, per potere intrare dentro, e come ladri furare la città dell'anima.

Anco el corpo mistico della santa Chiesa è atorniato da molti nemici; unde tu vedi che quelli che sonno posti per colonne e mantenitori della santa Chiesa, ed eglino ne sonno fatti perseguitatori con la tenebre della 'resia. Non è dunque da dormire, ma da sconfigiarli con la vigilia, lagrime, sudori, e con dolorosi e amorosi desiderii, con umile e continova orazione. E fa' che, come figliuola fedele alla santa Chiesa, tu preghi e strenga l'altissimo e dolce Dio che la provega ora in questo bisogno; e pregalo che fortifichi el santo padre, e diali lume. Dico di papa Urbano VI, veramente papa e vicario di Cristo in terra, e così confesso e dobiamo confessare dinanzi a tutto quanto el mondo; e chi dicesse o tenesse el contrario, per neuna cosa li dobiamo credare, ed elegiare inanzi la morte.

Bagnati nel sangue, acciò che scropolo neuno non caggia mai nella mente tua, né per timore servile mai.

Nascondianci ne la caverna del costato di Cristo crocifisso, dove ài trovato l'abondanzia del sangue. In altro modo andaremo in tenebre, e saremo amatori di noi. Considerando me che altro modo non c'era, dissi ch'io desideravo di vederti bagnata e annegata nel sangue di Cristo crocifisso, e così voglio che tu facci. Altro non ti dico.

Permane etc. Abbi fame del suo onore e desiderio. Gesù dolce, Gesù amore.



309

A Giovanni da Parma in Roma, per uno libro strano che avea - del quale volea sapere per rivelazione se fusse da Dio o dal dimonio -, a dì xxiij d'ottobre.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo fratello in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava de' servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi fondato sopra la viva pietra, Cristo dolce Gesù, perché in altro modo non vi si potrebbe ponare edificio che bastasse, ma, giognendo el vento, subbito il darebbe a terra. Ma l'anima ch'è fondata in questa dolce pietra, cioè che seguiti la dottrina di Cristo crocifisso, non viene mai meno.

Che dottrina è questa che c'insegna el dolce e amoroso Verbo, el quale è detto pietra viva? e dove ce la 'nsegna? Non in delizie né diletti del mondo, ma in su la mensa della santissima croce è questa ch'egli c'insegna: amare Dio in verità - odiando el vizio e la propia sensualità ch'è cagione del vizio -, e amare la virtù, e esso Dio ch'è cagione d'ogni virtù. Insegnaci obedire a' comandamenti della legge, e a farci venire in amore i consegli: facci concipere uno desiderio di volere acquistarli in su la mensa de la santissima croce, dove l'anima si veste della carità di Dio e del prossimo.

Ma attendete che questo non si può imparare senza el lume, né senza l'obietto del libro, unde ci è bisogno che l'occhio de lo 'ntelletto sia aluminato col lume della santissima fede, e il libro sia scritto sì che ne la scrittura impariamo la dottrina. S'io riguardo bene, carissimo fratello, Dio ci à dato l'occhio de lo 'ntelletto, e dentro vi è 'l lume de la fede; el quale lume non ci può esser tolto né da dimonio né da creatura, se già noi non cel tolliamo con l'amore propio di noi medesimi. E àcci dato el libro scritto, cioè el Verbo dolce del Figliuolo di Dio, il quale fu scritto in sul legno de la croce, non con incostro, ma con sangue, co' capoversi delle dolcissime e sacratissime piaghe di Cristo. E quale sarà quello idiota grosso, e di sì basso intendimento che non le sappi lègiare? Non ne so neuno, se no gli amatori propi di loro medesimi, e questo l'adiviene non perché non sappino, ma perché non vogliono.

Sì ch'egli è scritto, unde noi troviamo nel capoverso de' piei che gli à confitti acciò che confichiamo l'affetto in lui, spogliandolo d'ogni disordinata volontà, che non cerchi né voglia altro che Cristo crocifisso; volendo giognare al Padre eterno col mezzo di questa Parola incarnata, libro scritto; desiderando di portare ogni pena senza colpa e pene di corpo e pene di mente, quando Dio gli permette le molte cogitazioni e molestie dal dimonio, o bataglie de le creature -: ogni cosa portare per gloria e lode del nome suo. E tenendo per questa via, seguitarà e adempirà in sé quella parola che disse il nostro dolce Salvatore, quando disse: «Neuno può andare al Padre se non per me» (Jn 14,6). Egli è la via e la verità (Jn 14,6); e chi va per lui, va per la luce, e non giogne a la tenebre (Jn 8,12). Per questo modo conficca e' piei de l'affetto suo, tenendo per la via della verità.

Giognendo al costato di Cristo crocifisso, trova la vita della grazia, però che - spogliato l'affetto de l'uomo con odio santo del vizio e de la propia passione sensitiva (il quale odio à trovato in questo libro scritto, che tanto e' l'odiò, ch'egli el volse punire sopra il corpo suo) - egli truova l'amore cordiale delle vere e reali virtù nel cuore aperto, la quale apritura manifestò a noi el cordiale e affocato amore, facendoci bagno del sangue suo; il quale sangue fu intriso col fuoco della divina carità, perché per amore fu sparto: però che per amore de l'onore del Padre e salute nostra egli corse, come inamorato, a l'obrobiosa morte della croce, per compire l'ubidienzia del Padre eterno. Ben è vero, adunque, che c'insegna la dottrina in su la mensa della croce - imparando da lui a essere umile e mansueto di cuore (Mt 11,29), con la quale umilità e mansuetudine osserviamo i comandamenti dolci di Dio, e siamo obedienti. Ove gli abiamo trovati? Nel libro. Con che lume? Col lume de la santissima fede. Così stiamo nella fame de l'onore di Dio e salute dell'anime, ricevendo in noi la vita della grazia.

A mano a mano, e noi leggiamo nel capo spinato di Cristo crocifisso e ne la bocca sua, crociando el capo spinato della nostra propia volontà - che drittamente è una spina che punge e tormenta l'anima che se ne corona -, tenendo questo capo della perversa volontà fuore della dolce volontà di Dio. Nel dolce capo spinato, Cristo crocifisso, perdiamo questa dolorosa spina. Alora troviamo la pace nella bocca sua: che nell'amaritudine del fiele e de l'aceto delle nostre iniquità - le quali furono drittamente un fiele amarissimo e aceto che ci tolse la fortezza de la grazia -, conformandosi l'anima nostra e vestendosi della dolce volontà di Dio, gustiamo la pace sua, la quale egli acquistò con grande amaritudine, cioè pacificando Dio con l'uomo, essendo stato longo tempo in guerra con lui. E però dice el glorioso Pavolo che Cristo benedetto è nostra pace (Ep 2,14), facendosi tramezzatore tra Dio e l'uomo. Anco ci amaestra el dolce Apostolo che noi ci riconciliamo e faciamo pace con lui (Col 1,20), poiché egli è venuto come nostro tramezzatore ().

Seguitando questa dolce e dritta via, riceveremo el frutto di questa pace qui in questa vita; mangiaremo le molicole de la grazia, e nella vita durabile vivande compite e perfette, le quali danno perfetta sazietà senza neuno difetto. Unde, volendocelo mostrare, el glorioso dottore Augustino dice che v'è sazietà senza fastidio, fame senza pena: di longa è la pena da la fame, e il fastidio da la sazietà. Poi che gustato à l'anima la pace, e gionta a tanto diletto, ella à letto e legge continovamente nelle mani chiavate del Figliuolo di Dio, facendo tutte le sue operazioni spirituali e mentali confitte ne la volontà di Dio, facendole per gloria e lode del nome suo. S'ella è operazione mentale - ch'egli esserciti la mente sua in drizzarla e ordinarla nella divina carità -, sempre il cuore vi sta confitto con tutti quanti gli altri essercizii che la creatura piglia per giognare a virtù, in molti e in diversi modi, sicondo che Dio permette e egli è atto a ricevare; tutte son fatte con santo timore di Dio, confitte in croce, ché già non vorrebbe el vero servo di Dio adoparare e passare questa vita senza pena.

Anco, vuole tòllere la croce sua e seguitare Cristo con ogni verità e constanzia e pazienzia e longa perseveranzia infino a la morte, perch'egli è fondato sopra la viva pietra e à imparata la dottrina nel libro scritto, come detto è, col lume della santissima fede. E però non s'è ritratto per pena da perseverare nella virtù, ma èssi dilettato nelle pene, sì come l'umile Agnello, che non si ritrasse dalla salute nostra e obedienzia del Padre per pena né per morte, né per nostra ingratitudine, né per detto de' Giuderi che diceano: «Discende della croce e crederenti» (Mt 27,42 Mc 15,32). Questo adunque impara la dottrina della perseveranzia da lui. Se non fosse fondato sopra questa pietra, voltarebbe il capo adietro, e temarebbe de l'ombra sua: in ogni cosa verebbe meno. E però vi dissi ch'io desideravo di vedervi fondato sopra la viva pietra Cristo dolce Gesù; e così vi prego che faciate.

E io so' certa che se voi legiarete in questo libro dolce, el libro vostro - donde pare che siate sì tribolato - non vi darà fadiga neuna; ch'io non so vedere per che ragione voi ne pigliate questa fadiga. Se el libro v'è detto che si scordi dalla verità e da la dottrina de' santi aprovati dalla santa Chiesa, lassatelo stare - o voi il fate corregiare - e non l'usate più: atenetevi a quelli che voi sete certo che si conformano co' la verità. E se voi aveste pena di coscienzia, facendovi vedere il dimonio - per farvi venire a confusione di mente -: «Mira quanto tempo se' stato in questo errore! Tu credi avere servito a Dio, e tu ài servito e fatto reverenzia al dimonio», non gli dovete credare, ma col lume vedere che Dio riguarda la buona e santa volontà con che noi adoperiamo - poniamo che 'l libro letto non fusse sicondo Dio - però che solo la mala volontà è quella che fa il peccato, e altro no. Unde a la volontà è dato il peccato e la virtù, sicondo che ella ama o l'uno o l'altro. Adunque per neuna di queste cose dovete stare in tanta aflizione, ma dovete levare ogni pena come uomo virile, come detto è; e co' la dolcezza del dolce umile Agnello cacciarete questa amaritudine. Altro non vi dico.

Permanete etc. Gesù dolce, Gesù amore.



310

A tre cardinali italiani partiti da papa Urbano VI.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimi fratelli e padri in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava de' servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi tornati a vero e perfettissimo lume, e uscire di tanta tenebre e cechità nella quale sete caduti.

Allora sarete padri a me; in altro modo, no: sì che padri vi chiamo, in quanto voi vi partiate dalla morte e torniate alla vita - ché, quanto che ora, sete partiti dalla vita della grazia, membri tagliati dal capo vostro unde traiavate la vita -, stando voi uniti in fede, e in perfetta obedienzia a papa Urbano VI. Nella quale obedienzia stanno quelli che ànno lume, che con lume conoscono la verità; e conoscendola l'amano, però che la cosa che non si vede non si può conoscere, e chi non conosce non ama; e chi non ama e non teme el suo Creatore, ama sé d'amore sensitivo, e ciò che ama - e delizie e onori e stati del mondo - ama sensitivamente. Perché egli è creato per amore, non può vivare senza amore: ché o egli ama Dio, o egli ama sé e il mondo d'amore che gli dà morte, ponendo l'occhio dello 'ntelletto - offuscato dell'amore proprio di sé - sopra queste cose transitorie che passano come 'l vento. Ine non può conosciare verità né bontà neuna; altro che bugia non conosce, perché non à lume. Ché veramente, s'egli avessi lume, egli conosciarebbe che di questo così-fatto amore non à né trae altro che pena e morte etternale: fagli gustare l'arra dello 'nferno in questa vita, perché è fatto incomportabile a sé medesimo colui che disordenatamente ama sé e le cose del mondo.

Oh cechità umana! E non vedi tu, disaventurato uomo, che tu credi amare cosa ferma e stabile, cosa dilettevole buona e bella; ed elle sonno mutabili, somma miseria, laide e senza neuna bontà: none le cose create in loro - che tutte sonno create da Dio, che è sommamente buono -, ma per l'affetto di colui che disordenatamente le possiede. Quanto è mutabile la ricchezza e onore del mondo in colui che senza Dio le possiede, cioè senza el suo timore: che oggi è ricco e grande, e ora è povaro. Quanto è laida la vita nostra corporale, che, vivendo, da ogni parte del corpo nostro gittiamo puzza: dirittamente un sacco pieno di sterco, cibo di vermini e cibo di morte. La nostra vita e la bellezza della gioventudine passano via come la bellezza del fiore poi che è colto dalla pianta: neuno è che possa rimediare a questa bellezza, conservare che non sia colto dalla vita quando piace al sommo giudice di cogliere questo fiore col mezzo della morte; e neuno sa quando. O misero, la tenebre dell'amore proprio non ti lassa conosciare questa verità, ché, se tu la conoscessi, tu elegiaresti inanzi ogni pena che guidare la vita tua a questo modo; porrestiti ad amare e desiderare Colui che è (Ex 3,14); gustaresti la verità sua con fermezza e non ti movaresti come la foglia al vento; serviresti el tuo Creatore e ogni cosa amaresti in lui, e senza lui nulla.

Oh quanto sarà ripresa nell'ultima 'stremità, e con quanto rimproverio, questa cechità, in ogni creatura che à in sé ragione, e molto magiormente in quelli che Dio à tratti del loto del mondo e posti nella magiore eccelenzia che possono essere: d'essere fatti ministri del sangue dell'umile e immaculato Agnello! Oimé, oimé, a che v'à fatto giognare el non avere seguitato in virtù la vostra eccelenzia! Voi fuste posti a notricarvi al petto della santa Chiesa, come fiori messi in questo giardino, acciò che gittaste odore di virtù; fuste posti per colonne a fortificare questa navicella, e il vicario di Cristo in terra; fuste posti come lucerna in sul candelabro per rendare lume a' fedeli cristiani e dilatare la fede. Voi sapete bene se voi avete quello fatto per che fuste posti: certo no, ché l'amore proprio non v'à fatto conosciare che, in verità, solo per fortificare e rendare lume ed essemplo di buona e santa vita voi fuste messi in questo giardino. Che se voi l'aveste conosciuta, l'areste amata, e vestitivi di questa dolce verità.

E dove è la gratitudine vostra, la quale dovete avere a questa sposa che v'à notricati al petto suo? Non ci vegio altro che ingratitudine, la quale ingratitudine disecca la fonte della pietà. Chi mi mostra che voi sete ingrati villani e mercenai? La perseguizione che voi, con gli altri insieme, avete fatta e fate a questa sposa nel tempo che dovete essere scudi, e risistare a' colpi della 'resia; nella quale sapete e conoscete la verità, che papa Urbano VI è veramente papa, sommo pontefice eletto con elezione ordinata, e non con timore, veramente più per 'spirazione divina che per vostra industria umana: e così l'anunziaste a noi quello che era la verità.

Ora avete voltato le spalle, come vili e miserabili cavalieri: l'ombra vostra v'à fatto paura; partiti vi sete dalla verità che vi fortificava, e acostatevi alla bugia che indebilisce l'anima e il corpo, privandovi della grazia spirituale e temporale. Chi ve n'è cagione? Il veleno dell'amor proprio, che à avelenato el mondo: egli è quello che voi colonne à fatti peggio che paglia. Non fiori che gitiate odore, ma puzza che tutto 'l mondo avete apuzzato; non lucerne poste in sul candelabro acciò che dilatiate la fede, ma - nascoso questo lume sotto lo staio della superbia (Mc 4,21 Mt 5,15 Lc 8,16 Lc 11,33) -, fatti non dilatatori ma contaminatori della fede, gittate tenebre in voi e in altri. D'angioli terrestri che dovete essere posti per levarci dinanzi al dimonio infernale - pigliare l'ofizio degli angioli riducendo le pecorelle all'obedienzia della santa Chiesa -, e voi avete preso l'ufizio delle dimonia. E di quello male che avete in voi, di quello volete dare a noi, ritraendoci dalla obedienzia di Cristo in terra e inducendoci all'obedienzia d'antecristo, membro del diavolo, e voi con lui insieme, mentre che starete in questa 'resia. Questa non è cechità d'ignoranza, cioè che venga per ignoranza: non vi viene che vi sia porto dalle creature una cosa, e sia un'altra, no: ché voi sapete quello che è la verità, e voi l'avete anunziata a noi, e non noi a voi. Oh come sete matti, che a noi deste la verità, e per voi volete gustare la bugia! Ora volete seducere questa verità e farci vedere in contrario, dicendo che per paura elegeste papa Urbano; la qual cosa non è, ma chi el dice - parlando a voi non riverentemente, perché vi sete privati della riverenzia - mente sopra el capo suo, però che quello che voi mostraste avere eletto per paura aparbe evidente a chiunque lo volse vedere: ciò fu misser di Santo Pietro. Potreste dire a me: «Perché non credimi? Meglio sappiamo noi la verità, che lo elegemmo, che voi». E io vi rispondo che voi medesimi m'avete mostrato che voi vi partite dalla verità, in molti modi, e ch'io non vi debbo credare che papa Urbano VI non sia vero papa. S'io mi vollo al principio della vita vostra, non vi conosco di tanta buona e santa vita che voi per coscienzia vi ritraeste dalla bugia. E chi mi mostra la vostra vita poco ordinata? Il veleno della 'resia.

S'io mi vollo alla elezione ordinata, per la bocca vostra abiamo saputo che voi lo elegeste canonicamente, e non per paura. Detto abiamo che quello che mostraste per paura fu misser di San Pietro. Chi mi mostra la elezione ordinata con che elegeste misser Bartolomeo, arcivescovo di Bari, el quale è oggi papa Urbano VI, fatto in verità? Nella solennità fatta della sua coronazione c'è mostrata questa verità. Che la solennità sia fatta in verità, ci mostra la riverenzia che li faceste, e le grazie domandate a lui, e voi averle usate. In tutte quante le cose non potete dinegare questa verità altro che con menzogne. Ahi stolti, degni di mille morti! Come ciechi non vedete el male vostro; venuti sete a tanta confusione che voi stessi vi fate menzonieri e idolatri. Ché, eziandio se fusse vero - che non è, anco confesso, e non lo niego, che papa Urbano VI è vero papa -, ma se fusse vero quello che dite, non areste voi mentito a noi, che cel diceste per sommo pontefice - com'egli è -; e non areste voi falsamente fattoli riverenzia, adorandolo per Cristo in terra; e non sareste voi stati simoniaci a procacciare le grazie e usarle illicitamente? Sì bene.

Ora ànno fatto l'antipapa, e voi con loro insieme: quanto a l'atto e aspetto di fuori avete mostrato così, sostenendo di ritrovarvi ine quando e' dimoni incarnati elessero el dimonio. Voi mi potreste dire: «Noi non lo eleggemmo». Non so ch'io mel creda, però che non credo che voi aveste sostenuto di ritrovarvi ine, se la vita ne fusse dovuta andare. Almeno el tacere la verità, e non stroppiare! Che questo non fusse giusta el vostro potere, mi fa inchinare a credare che, poniamo che forse faceste meno male che gli altri nella 'ntenzione vostra, voi faceste pure male con gli altri insieme. E che posso dire? Posso dire che chi non è per la verità è contra la verità (Mt 12,30 Lc 11,23): chi non fu allora per Cristo in terra, papa Urbano VI, fu contra lui.

E però vi dico che voi, con lui insieme, faceste male; e posso dire che sia eletto uno membro del diavolo: ché se fusse stato membro di Cristo arebbe eletto inanzi la morte che consentito a tanto male, però ch'egli sa bene la verità, e non si può scusare per ignoranza. Ora tutti questi difetti commettete e avete commessi inverso questo dimonio: cioè di confessarlo per papa - e egli non è così la verità -, e di fare la riverenzia a cui voi non dovete. Partiti sete dalla luce e itine alla tenebre; dalla verità, e congionti alla bugia. Da qualunque lato io mi vollo io non ci truovo altro che bugie. Degni sete di suplizio, el quale suplizio veramente io vi dico - e ne scarico la coscienzia mia - che se voi non ritornate all'obedienzia con vera umilità, verrà sopra di voi. O miseria sopra miseria, o cechità sopra cechità, che non lassa vedere el male suo, né 'l danno dell'anima e del corpo! Ché se lo vedeste non vi sareste così di legiero con timore servile partiti dalla verità.

Tutti passionati, come superbi e persone abituate arbitrarie ne' piaceri e diletti umani, non poteste sostenere non solamente la correzione di fatto attualmente, ma la parola aspra riprensibile vi fece levare el capo. E questo, cioè la cagione per che vi sete mossi, ci dichiara bene la verità: ché prima che Cristo in terra vi cominciasse a mordare, voi el confessaste e riveriste come vicario di Cristo ch'egli è. Ma l'ultimo frutto ch'è uscito di voi, che germina morte, dimostra che albori voi sete, e che il vostro alboro è piantato nella terra della superbia che esce dell'amore proprio di voi, el quale amore v'à tolto el lume della ragione.

Oimé, non più così per l'amore di Dio! Pigliate lo scampo d'aumiliarvi sotto la potente mano di Dio e a l'obbedienzia del vicario suo, mentre che avete el tempo; ché, passato el tempo, non c'è più rimedio.

Riconoscete le colpe vostre, acciò che vi potiate aumiliare e conosciare la 'nfinita bontà di Dio, che non à comandato a la terra che v'inghiottisca (Nb 16,32), né alli animali che vi divorino - anco v'à dato el tempo acciò che potiate corregiare la vita vostra -; ma se voi nol conosciarete, quello che egli v'à dato per grazia vi tornarà a grande giudicio. Ma se vorrete tornare all'ovile, e pasciarvi in verità al petto della Sposa di Cristo, sarete ricevuti con misericordia da Cristo in cielo e da Cristo in terra, non ostante le 'niquità che avete commesse. Pregovi che non tardiate più, né ricalcitrate a lo stimolo della coscienzia, che continovamente so che vi percuote; e non vi vinca tanto la confusione della mente, del male che avete fatto, che voi abandoniate la salute vostra per tedio e disperazione, quasi non parendovi di potere trovare rimedio. Non si vuole fare così ma, con fede viva, ferma speranza pigliate nel vostro Creatore, e con umilità tornate al giogo vostro; ché peggio sarebbe l'ultima offesa della ostinazione e disperazione, e più spiacevole a Dio e al mondo, e danno a voi, che la prima. Adunque levatevi su col lume, ché senza el lume andareste in tenebre, sì come sete andati per infino a qui.

Considerando questo l'anima mia: che senza el lume non potiamo conosciare né amare la verità, dissi e dico ch'io desidero con grandissimo desiderio di vedervi levati dalla tenebre, e unirvi con la luce. A tutte le creature che ànno in loro ragione si stende questo desiderio, ma molto maggiormente a voi tre, de' quali io ò avuto massimo dolore, e amirazione più del vostro difetto che di tutti gli altri che l'ànno commesso: ché, se tutti si partivano dal padre loro, voi dovavate essere quelli figliuoli che fortificaste el padre, manifestando la verità. Non ostante che 'l padre non avesse con voi usato altro che rimproverio, non dovavate però essere Giuda, dinegando la Santità sua. Per ogni modo, pure naturalmente parlando - ché, secondo virtù, tutti dobiamo essere eguali, ma parlando umanamente -: Cristo in terra italiano e voi italiani, che non vi poteva muovare la passione della patria come gli oltramontani, cagione non ci vegio se non l'amore proprio. Aterratelo ogimai, e non aspettate el tempo - ché 'l tempo non aspetta voi -, conculcando co' piei dell'affetto, con odio del vizio e amore della virtù.

Tornate, tornate, e non aspettate la verga della giustizia, però che dalle mani di Dio non potiamo uscire: noi siamo nelle mani sue, o per giustizia o per misericordia. Meglio è a noi di riconosciare le colpe nostre - e staremo nelle mani della misericordia -, che di stare in colpa e nelle mani della giustizia, perché le colpe nostre non passano impunite, e spezialmente quelle che sonno fatte contra la santa Chiesa. Ma io mi voglio obligare di portarvi dinanzi a Dio con lagrime e continova orazione, e con voi insieme portare la penitenzia, pure che vogliate ritornare al padre che, come vero padre, v'aspetta con l'ale aperte della misericordia. Oimé, oimé, non la fugite né schifate ma umilmente la ricevete, e non crediate a' malvagi consiglieri che v'ànno dato la morte. Oimé, fratelli - dolci dolci fratelli e padri mi sarete in quanto v'acostiate alla verità -, non fate più resistenzia alle lagrime e a' sudori che gittano e' servi di Dio per voi, che dal capo a' piei ve ne lavareste; che se voi le spregiaste, e gli ansietati dolci e dolorosi desideri che per voi sonno offerti da loro, molta più dura riprensione ricevereste. Temete Dio, e il vero giudicio suo. Spero per la infinita sua bontà, che adempierà in voi el desiderio de' servi suoi.

Non vi paia duro s'io vi pongo con le parole, ché l'amore della salute vostra m'à fatto scrivare e più tosto vi pognarei con la voce viva, se Dio mel permettesse - sia fatta la volontà sua -; e anco meritate più tosto e' fatti che le parole. Pongo fine e non dico più, che s'io seguitassi la volontà anco non mi ristarei, tanto è piena di dolore e di tristizia l'anima mia di vedere tanta cechità in quelli che sonno posti per lume: non come agnelli che si pascono del cibo de l'onore di Dio e salute dell'anime e riformazione della santa Chiesa, ma come ladri involano quello onore che debono dare a Dio, e dannolo a loro medesimi; e, come lupi, divorano le pecorelle, sì ch'io ò grande amaritudine. Pregovi per amore di quello prezioso sangue sparto con tanto fuoco d'amore per voi, che diate rifrigerio all'anima mia, che cerca la salute vostra. Altro non vi dico.

Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio. Bagnatevi nel sangue dell'Agnello immaculato, dove perdarete ogni timore servile, e, con lume, rimarrete nel timore santo. Gesù dolce, Gesù amore.




Caterina, Lettere 306