Caterina, Lettere 353

A madonna Catella, madonna Checcia vocata Planula e madonna Caterina Dentice, da Napoli.

Al nome di Gesù Cristo crucifisso e di Maria dolce.

Carissime suore e figliuole in Cristo dolce Gesù, io Caterina, schiava de' servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi gustare el cibo angelico, però che per altro non sete fatte; e a ciò che voi il poteste gustare, Dio vi ricomperò del sangue del suo Figliuolo (1P 1,18-19).

Ma pensate, carissime figliuole, che questo cibo non si mangia in terra, cioè nell'affetto terreno, ma in alto; e però el Figliuolo di Dio si levò in alto in su el legno de la santissima croce, a ciò che in alto, in su la detta mensa, prendessimo questo cibo. Ma voi mi direte: «Quale è questo cibo angelico?». Rispondovi: è il desiderio che è nell'affetto dell'anima, el quale desiderio trae a sé il desiderio di Dio; de' quali si fa una medesima cosa l'uno con l'altro. Questo è uno cibo che, mentre che siamo perregrini in questa vita, trae ad sé l'odore de le vere e reali virtù; le quali virtù sono cotte al fuoco de la divina carità, e mangiate in su la mensa de la santissima croce, cioè sostenendo pene e fadighe per amore de la virtù, recalcitrando a la propria sensualità: con forza e violenzia rapisce el reame dell'anima, la quale è chiamata cielo, perché cela Dio per grazia dentro da sé.

Questo è quello cibo el quale fa l'anima angelica, e però si chiama cibo angelico; e perch'è separata l'anima dal corpo, gusta Dio ne la essenzia sua. Elli la sazia tanto e per sì-fatto modo, che neuna altra cosa ella non appetisce, né può desiderare, se non quello che più perfettamente l'abbi a conservare e acrescere questo cibo; e odia ciò che gli è contrario. Unde, come prudente, raguarda col lume de la santissima fede - el quale lume sta ne l'occhio dell'intelletto - quello che l'è nocivo, e quello che l'è utile: e come ella à veduto, così ama e spregia.

Dispregia la propria sensualità, tenendola legata sotto a' piei dell'affetto, e tutti li vizii che procedono da essa sensualità. Ella fugge tutte le cagioni che la possono inchinare a vizio, o impedire la sua perfezione, unde ella anniega la propria voluntà - che l'è cagione d'ogni male - e sottomettela al giogo de la santa obedienzia de' comandamenti di Dio - a la quale obedienzia tutti i fedeli cristiani sono obligati - e molte altre sono che corrono all'obedienzia dell'ordine santo: questa è maggiore perfezione. Unde, quando l'anima è vera obediente, ella si sogioga non tanto a' comandamenti di Dio - o la religiosa all'ordine suo -, ma ad ogni altra creatura per Dio. Ella fugge e taglia ogni piacere umano, e solo si gloria ne li obbrobrii e pene di Cristo crucifisso: ingiurie, strazii, scherni e villanie le sono uno latte; dilettasi ne le ingiurie per conformarsi con lo Sposo suo. Ella renunzia a la conversazione de le creature, perché spesse volte ci sono mezzo tra noi e 'l Creatore nostro; fugge a la cella del cognoscimento di sé e a la cella attuale.

A questo v'invito, che sempre stiate in questa casa del cognoscimento di voi - dove noi troviamo el cibo angelico dell'affetto del desiderio di Dio verso di noi -, e ne la cella attuale con la vigilia, e con l'umile fedele e continua orazione; spogliando el cuore e l'affetto vostro d'ogni creatura e cosa creata, d'amore fuore di Dio; e vestirvi di Cristo crucifisso perciò che in altro modo el mangiareste in terra, e già vi dissi che in terra non si doveva mangiare. Pensate che lo Sposo dolce Gesù non vuole mezzo tra l'anima, che è sua sposa, e sé; ed è molto geloso: ché, subbito che elli vedesse che noi amassimo cosa fuore di lui, elli si partirebbe da noi, e saremmo fatte degne di mangiare el cibo de le bestie.

E non saremmo noi bene bestiali? perciò che il cibo degli animali sarebbe, se lassassimo el Creatore per le creature e per le cose create; e 'l bene infinito per le cose finite e transitorie, che passano come il vento; la luce per la tenebre; la vita per la morte; quelli che ci veste di sole di giustizia col fibiale de la obedienzia, e con le margarite de la fede speranza e perfetta carità, per quello che ce ne spoglia. E non saremmo noi bene stolte a partirci da quello che ci dà perfetta purità - in tanto che, quanto più ci acostiamo a lui, tanto più diventiamo pure -, per quelli che gittano puzza di immondizia, contaminatori de' cuori e de le menti nostre? Dio el cessi da noi per la sua infinita misericordia.

E acciò che questo non possa mai intervenire, guardianci da le perverse conversazioni di quelle persone che sceleratamente menano la vita loro, e stiamo tutte sode e mature in noi medesime, sovenendo caritativamente a la necessità de' nostri prossimi con grande diligenzia; e così mostraremo di portare nel cuore Cristo crucifisso. Dico che l'anima che à assaggiato el cibo angelico, à veduto col lume che l'amore e la conversazione de le creature fuore del Creatore è uno mezzo che impedisce el cibo suo; e però le fugge con grandissima sollicitudine, e ama e cerca quello che l'acresca e conservi ne la virtù. E perché à veduto che meglio gusta questo cibo col mezzo dell'orazione fatta nel cognoscimento di sé, però vi si essercita continuamente, e in tutti quelli modi che più si possa acostare a Dio.

In tre modi si fa l'orazione: l'una è continua, cioè il continuo santo desiderio - il quale desiderio òra nel conspetto di Dio in ciò che fa la creatura -, perché questo desiderio dirizza nel suo onore tutte le nostre operazioni spirituali e temporali: e però si chiama continua. Di questa pare che parli el glorioso santo Paulo, quando dice: «Orate senza intermissione». (1Th 5,17) L'altro modo è orazione vocale, cioè che parlando con la lingua si dice offizio o altra orazione vocale, e questa è ordinata per giugnere a la mentale; e così vi giogne l'anima quando con prudenzia e umilità essercita la mente nell'orazione vocale: cioè che parlando con la lingua el cuore suo non sia dilonga da Dio, ma debbasi ingegnare di fermare e stabilire el cuore ne l'affetto de la divina carità. E quando sentisse la mente sua essere visitata da Dio, cioè che fusse tratta in alcuno modo a pensare del suo Creatore, debba abbandonare la vocale, e fermare la mente sua con affetto d'amore in quello che sente che Dio la visita; e poi se, cessato quello, ella à tempo, debba ripigliare la vocale, a ciò che la mente stia piena e non vòta.

E perché ne l'orazione abondassero le molte battaglie in diversi modi e tenebre di mente - con molta confusione, facendoci el demonio vedere che la nostra orazione non fusse piacevole a Dio per le molte battaglie e tenebre che avessimo -, non doviamo lassare però, ma stare ferme, con fortezza e lunga perseveranzia, raguardando che il demonio el fa perché noi ci partiamo da la madre de l'orazione; e Dio il permette per provare in noi la fortezza e constanzia nostra, e a ciò che ne le battaglie e tenebre cognosciamo noi non essere, e ne la buona volontà cognosciamo la bontà di Dio: però che esso è donatore e conservatore de le buone e sante voluntà, e non è dinegata a chiunque la vuole.

E per questo modo giogne a la terza e ultima orazione mentale, ne la quale riceve il frutto de la fadiga che sostenne nell'orazione imperfetta vocale. Ella gusta el latte de la fedele orazione; ella leva sé sopra il sentimento grosso sensitivo, e con mente angelica s'unisce per affetto d'amore con Dio; e col lume dell'intelletto vede, cognosce e vestesi de la verità. Ella è fatta sorella degli angeli; ella sta con lo Sposo suo in su la mensa del crociato desiderio, dilettandosi di cercare l'onore di Dio e la salute de l'anime, perché vede bene che per questo lo sposo etterno corse a la obbrobriosa morte de la croce, e così compì l'obedienzia del Padre e la nostra salute.

Drittamente questa orazione è una madre che ne la carità di Dio concepe i figliuoli de le virtù, e ne la carità del prossimo le parturisce. Ove trovate voi el lume che vi guida ne la via de la verità? nell'orazione.

Dove manifestate l'amore, la fede, la speranza e l'umilità? nell'orazione (ché se voi non amaste non vi curereste d'andare a quello che voi non amate; ma perché la creatura ama, però si vuole unire con quella cosa che ama, col mezzo dell'orazione. A lui dimanda la sua necessità perché cognoscendo sé - nel quale cognoscimento è fondata la vera orazione - vedesi avere grande bisogno, sentendosi atorniata da' suoi nemici: dal mondo con le ingiurie, dal demonio con le molte tentazioni, e da la carne che impugna contra lo spirito ribellando a la ragione. E sé vede non essere per sé; non essendo, non si può curare e però con fede corre a colui che è (Ex 3,14), el quale può sa e vuole subvenirla in ogni sua necessità; e con speranza chiede e aspetta l'adiutorio suo. Così vuole essere fatta l'orazione, a volerne avere quello che noi n'aspettiamo; e a questo modo non sarà mai dinegata cosa giusta che noi dimandiamo de la divina bontà.

Facendola in altro modo, poco frutto ne trarreste).

Dove sentiremo l'odore de l'obedienzia? nell'orazione. Dove ci spogliaremo dell'amore proprio, che ci fa impazienti nel tempo de le ingiurie o d'altre pene, e vestirenci d'uno divino amore che ci farà pazienti, e gloriarenci ne la croce di Cristo crucifisso? nell'orazione. Dove sentiremo l'odore de la continenzia e de la purità, e la fame del martirio, disponendoci a dare la vita in onore di Dio e salute dell'anime? in questa dolce madre dell'orazione. Ella ci farà osservatrici de' santi comandamenti di Dio, e suggellaracci i suoi consigli nel cuore e ne la mente nostra, lassandovi la impronta del desiderio di seguitarli infine a la morte.

Ella ci leva da le conversazioni de le creature, e dacci la conversazione del Creatore; ella empie il vasello del cuore del sangue de l'umile e immaculato Agnello, e ricuoprelo di fuoco, perché per fuoco d'amore fu sparto.

Più e meno perfettamente riceve l'anima e gusta questa madre dell'orazione, secondo che ella si nutrica del cibo angelico, cioè del santo desiderio di Dio, levandosi in alto - come detto è - a prenderlo in su la mensa de la dolcissima croce; altrimenti, no. E però vi dissi che io desideravo di vedervi nutricare del cibo angelico, però che in altro modo non potreste avere la vita de la grazia, né essere vere serve di Cristo crucifisso. Altro non vi dico.

Permanete ne la santa e dolce dilezione di Dio.

Ricevetti una vostra lettera, la quale udii e intesi con allegrezza, sì perché volontà avevo di sapere novelle di voi, e sì per le buone novelle che in poche parole vi si contengono, dell'avenimento de la luce sopra cotesta terra: perché il cuore di Faraone è spezzato, cioè de la reina che tanta durizia à mostrata infine a ora, essendosi partita dal capo suo, Cristo in terra, - e accostatasi ad Antecristo, membro del demonio, à perseguitata la verità, ed essaltata la bugia -.

Grazia, grazia sia al nostro dolce Salvatore, che à alluminato il cuore suo o per forza o per amore che sia, e à mostrato in lei l'amirabili cose sue. Or godiamo ed essultiamo con allegrezza cordiale e con uno santo essercizio, come detto aviamo, sempre purificando la conscienzia nostra con la confessione spesso, e la comunione per ogni pasqua solenne; a ciò che, confortate in questa via de la perregrinazione, voi corriate virilmente a la mensa de la croce, per la dottrina de l'umile Agnello, a prendere el cibo angelico e suave, e relucano in voi le stimate di Cristo crucifisso. Bagnatevi nel prezioso sangue suo. Strettamente mi vi racomando. Gesù dolce, Gesù amore.



354

A madonna Pentella Maii da Napoli la quale perché lo suo marito la trattava male per cagione d'una sua schiava, era molto tribolata e desiderava la morte d'ambedue.

Al nome di Gesù Cristo crucifisso e di Maria dolce.

Carissima suoro in Cristo dolce Gesù, io Caterina, schiava de' servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi uno vero e perfettissimo lume, col quale lume cognosciate la verità - però che, cognoscendola, l'amarete -, e a ciò che vediate la via per la quale vi conviene tenere.

Or vediamo quale è questa via e questa verità, e per che modo la potiamo seguitare, e perché la doviamo seguitare: Cristo crucifisso è nostra via, e è essa verità, e è vita. Così disse elli: «Io so' via verità e vita» (Jn 14,6); e chi tiene questa via, cioè chi seguita la dottrina e le vestigie sue, tiene per la via de la verità: e chi tiene per la via de la verità, riceve in sé la vita de la grazia. Che modo debba tenere l'anima ad andare per questa via? Quello modo che tenne colui che à fatta la via. Che modo tenne elli? El modo fu questo: che col lume - el quale era esso - si specolò ne la volontà del Padre etterno, la quale volontà voleva - per nostra santificazione - manifestare l'etterna verità sua.

La quale verità fu questa: che elli aveva creato l'uomo per dargli vita etterna, a ciò che godesse el suo sommo ed etterno bene; ma per la colpa commessa non si compiva questa verità in noi, unde era bisogno che, per compirla, la colpa si purgasse. E però Dio vuole insiememente purgare la colpa e compire la sua verità ne l'uomo; e perciò questa verità detta costrinse il Padre etterno: e per l'amore ineffabile che elli ebbe a noi, e a la verità sua, ci donò la verità del Verbo del suo Figliuolo, e vestillo de l'umanità nostra, a ciò che in essa, col sostenere, fusse satisfatto a le nostre colpe; e satisfacendo a la colpa si compisse la sua verità in noi. Unde, ricevendo il Verbo dolce del Figliuolo di Dio la grande obedienzia del Padre, corse, come inamorato, a la obbrobriosa morte de la santissima croce; e compiendo l'obedienzia compì la verità: cioè, che fummo restituiti a grazia quanto da la parte sua, se noi da la nostra non ricalcitriamo con le miserie e defetti nostri.

E cognoscendo questo dolce Verbo che senza il sostenere non si poteva renderci la vita, inamorossi de le pene, saziossi d'obbrobrii, vestissi de le ingiurie, fame, sete, scherni e villanie, dispiacimento del vizio - e tanto gli dispiace che, non essendo in lui veleno di peccato, elli el punisce sopra il corpo suo -, e l'amore de le virtù, in tanto che nel sangue suo le maturò e, come arbore di vita, ci produsse questi frutti de le virtù, però che - doppo la redenzione che ricevemmo nel sangue - i frutti de le virtù ci sono tutti valuti a vita eterna. Che à cercato questo dolce Verbo, e di che s'è doluto? À cercato l'onore del Padre e la salute nostra; e dolutosi più dell'offesa, e del danno che seguitò doppo la colpa, che de la pena sua. Unde noi aviamo che più si dolse de la dannazione di Juda che del tradimento che elli gli fece. Questa è quella dolce via la quale elli ci à insegnata, e per la quale doviamo tenere.

E se voi mi diceste: «Elli era vero Figliuolo di Dio, e però poteva portare, ma io so' fragile e non posso», or raguardate i santi che l'ànno seguitato, e' quali ebbero questa legge fragile perché furono conceputi e nati e nutricati di quello medesimo cibo che noi; e nondimeno nell'aiutorio divino l'ànno seguitato realmente. El quale aiutorio è così per noi come per loro: sì che, volendo, noi potiamo. Ma perché non ci pare potere e nol facciamo? per la cechità nostra: perché non cognosciamo, né ci diamo in verità a cognoscere nella dottrina sua l'etterna verità - come detto è -, perché noi non vogliamo. Che se noi volessimo con vero dispiacimento e odio del vizio, e amore de la virtù, ricalcitraremmo a la propria sensualità, e non cercaremmo di satisfarle con una tenerezza e compassione femminile; ma levaremmoci con uno odio santo, annegandoci dentro la propria volontà, e abracciaremmo la croce con uno crociato e santo desiderio. E tanto goderemmo quanto ci vedessimo conculcare dal mondo, e 'l vederci sostenere senza colpa sarebbe la gloria nostra. E questo è uno de' più singularissimi segni che si possa vedere, nel servo di Dio, se elli è alluminato in cognoscere e amare questa verità, o no.

Oh vita dolce, quanto se' dolce all'anima che t'assaggia, la quale à perduta e annegata sé medesima! Questo cognoscimento la fa corrire, morta a ogni propria volontà; essendo morta, non à chi le faccia guerra, perciò che solo la volontà è quella che dà guerra e amaritudine, non le tribulazioni né le persecuzioni del mondo; anco sono el diletto e la consolazione del vero servo di Dio. E tanto à bene quanto si vede patire; e più, che se elli vede che il mondo gli abbi alcuna reverenzia o buona oppinione, elli si contrista, temendo che in questa vita Dio nol voglia remunerare di quello poco del bene che fa, e perché si vorrebbe conformare con Cristo crucifisso e seguitare le vestigie sue. Elli non si duole di colui che gli fa ingiuria, né vorrebbe che colui che 'l fa patire fusse tolto dinanzi da lui; ma bene si duole dell'offesa di Dio, e del danno dell'anima del prossimo suo, unde non cessa di tenerlo nel conspetto di Dio, con grande desiderio offerendo umili, continue e fedeli orazioni. Questo perché fa? Perché nel lume e ne la dottrina di Cristo è cognosciuta la verità, e perché con esso lume à veduto che di debito el debba fare.

Unde l'anima debba rispondere al demonio e a la propria fragilità - quando vogliono impugnare contra la ragione e a la virtù per tutti quanti i modi -: «Io non debbo consentire a voi, ma debbo servire al mio Creatore con tutto il cuore e con tutto l'affetto e con tutte le forze mie; el quale servire debbo dimostrare col sostenere». - Perché fai questo? «Perché m'è debito e comandamento al quale io so' tenuto e obligato d'obedire; e oltre al comandamento ne so' tenuto di grazia, cioè che per grazia ò ricevuto l'essere e ogni grazia posta sopra l'essere. Unde, se mai non mi fusse comandato, per le grazie ricevute io so' tenuto di farlo: e però non voglio essere villana né ingrata di tanti benefizii, ma voglio rendere quello che non è mio - però che io lavoro con quello del mio Creatore -, e con questo rendo e non dono veruna cosa a Dio, ma rendoli di quello che io gli so' obligato».

Oh quanto è degno di supplicio el servo mercennaio, che attende di tòllere quello che non è suo! Molto sono ripresi nel conspetto di Dio e ne la conscienzia loro questi cotali: essi debbono dare l'onore a lui, ed essi el danno a loro medesimi. Perché è degno di tanto supplicio e reprensione? Perché è tenuto di servire schiettamente, senza rispetto di propria consolazione o di diletto da lui, o da la creatura per lui; e perché è tenuto di rendere gloria e loda al nome suo, perciò che con servigio mercennaio non glili potrebbe rendere per quello modo che elli è obligato. Poniamo che Dio ne la traesse elli da la parte sua, ma da la parte nostra non sarebe così, né compirebbesi in noi quella etterna verità che ci creò, e recreocci a grazia nel sangue per darci vita etterna.

E però l'anima, la quale con lume raguarda questo debito che le conviene rendere, e anco la grazia - perché di grazia si vede essere amata da Dio, e tutte le grazie che à ricevute, spirituali e temporali, tutte le vede fatte in questa medesima forma e in uno medesimo modo -, si sente constretta a rispondere a Dio, e a non partirsi da quelli modi che truova in lui, e di non lassare le forme de le vestigie di Cristo crucifisso.

Vero è che d'amore di grazia non potiamo rendere a lui, però che esso ci amò prima che noi fussimo: sì che ne siamo tenuti, come detto è. E però l'anima, avendolo veduto col lume, si vòlle a quello mezzo che Dio à posto con che si renda, cioè il prossimo suo: ella glili rende schietto, in tanto che per fadiga che truovi in lui, né per rimproverio o ingratitudine che ricevesse da lui de li servizii che essa gli avesse fatti, non allenta mai, perché il lume l'à fatta constante e perseverante; imparando da l'umile Agnello, el quale né per pena, né per detto de' Judei e' quali dicevano: «Discende de la croce, e credarenti» (Mt 27,42 Mc 15,32), né per nostra ingratitudine non si ritrasse, ma constante e perseverante, infine all'ultimo che elli ebbe rimessa la sposa che gli fu data, de l'umana generazione, nelle mani del Padre etterno.

E così ella col lume conculca ogni malizia e inganno del demonio, quando in questo con molti colori la volesse ingannare. Ella non vuole scendere de la croce del cruciato santo desiderio per detto de' Judei, cioè per le demonia che la vogliono fare scendere di questa croce, per molti e per diversi modi: alcuna volta con colore di non offendere Dio; alcuna volta per fare ricognoscere il prossimo suo, el quale truova ingrato, unde a lei è colorato col colore de la giustizia. Alcuna volta vuole gittare a terra questa croce con desiderare la morte del prossimo suo, sotto colore d'avere più pace e più quiete ne la mente sua; e con tanta ragione glili fa vedere el demonio - e sì le incarna questo pazzo e stolto desiderio -, che neuno è che le 'l possa tòllere, perché la cechità sua, e il dimonio de la propria sensualità, e lo sdegno e il dispiacere che à preso inverso di lui, non la lassano vedere né cognoscere che ella si scorda da la volontà di Dio, el quale non vuole la morte del peccatore, ma vuole che esso si converta e viva (Ez 33,11). E però ne la creatura ci conviene desiderare la vita spirituale e corporale, ciò è per vederlo vivere in grazia; dandoli Dio tempo perché si corregga a ciò che non muoia in tenebre di peccato mortale. Questo è quello desiderio santo che ànno quelli che con lume ànno raguardato el debito, el quale lo' conviene rendere al prossimo rendendo a lui, di grazia, quello che a Dio non possono rendere, cioè d'amare lui, poniamo che mai egli non l'amasse.

E con questo medesimo lume à conculcata la schiava de la propria sensualità; e però non si duole se non solo dell'offesa di Dio, quando alcuna creatura, o vuoli sposo che non la trattasse come donna ma come serva, né il figliuolo la trattasse come madre, o la schiava come donna, o qualunque altra persona fusse che la volesse signoreggiare; ma tutto porta con reverenzia, e con perfettissima pazienzia la ingiuria sua, ma dell'offesa di Dio si duole, pregando umilemente per loro, non che lo' dia la morte, ma dia loro vero lume. Questo è il santo e vero desiderio dell'anima alluminata.

E perché e' mi pare, carissima suoro, che di questo così-fatto lume abbiate bisogno - secondo il caso e lo stato vostro -, dissi che io desideravo di vedere in voi uno vero e perfettissimo lume, a ciò che in verità cognosceste la via che vi conviene tenere, e come e perché; e a ciò che voi cognosciate lo inganno e la malizia del demonio, nel quale allaccia l'anima vostra col semplice e stolto desiderio - desiderando con instanzia la morte di veruna creatura -: e pare che sia sì fermo, che mostra che nullo ve ne possa levare.

Questo non è costume di serva di Dio, ma de' servi del mondo e del demonio. Non so che veruna virtù si possa barbicare in quella anima: potrà bene avere l'atto de la virtù, ma virtù no, perché in questo stolto desiderio si mostrano molti mali.

Manifestasi il veleno de la superbia con la propria reputazione, ché, se ella non vi fusse, credarebbe più altrui che a sé; e mostrasi una inreverenzia e infedelità verso il padre spirituale, però che se ella fusse fedele s'atterrebbe al consiglio suo, el quale le mostra che questo così-fatto desiderio non è secondo Dio - e così è la verità, però che elli è dal demonio, e da la propria passione sensitiva -. E anco dimostra che l'amore inverso Dio e verso el prossimo è posto per propria utilità e diletto, sì come l'avaro che ama la pecunia. Nutricacisi una impazienzia con uno maladetto sdegno e schifezza d'animo, la quale schifezza si debba avere de la colpa e non de la propria persona. Oh quante sono le mormorazioni, li giudicii e le bastemmie, e tanti altri mali, che a pena si potessero contiare! Adunque, carissima suoro, levianci da questa cechità, e vogliamo seguitare Dio in verità, amarlo in tutto e non a mezzo. A volerlo tutto, vel conviene amare schiettamente, come detto è, senza veruno rispetto di voi; seguitarlo per la via de la croce non eleggendo d'essere cruciata a vostro modo, ma a suo; amare il prossimo vostro come voi medesima (Mt 22,39 Mc 12,21 Lc 27), desiderando di vedere in lui quello che volete vedere in voi; offerire lagrime, umili e continue orazioni per lui; e col lume de la fede credere in verità che ciò che Dio dà e permette, dà per la vostra salute; con vera umilità e pazienzia portare, reputandovi degna de le pene e indegna del frutto che seguita doppo la pena.

Or mirate quanto sete bene savia! Non vi fa peggio la schiava de la vostra umanità e lo sposo del libero arbitrio, el quale voluntariamente consente a questa schiava, e con essa conculca e avilisce la ragione, che è la donna? Certo sì. Adunque dovete odiare più questo che è dentro da voi, che la schiava e 'l marito, che sono fuore di voi, però che questi percuotono la corteccia del corpo con ingiurie e pene, ma quelli percuotono l'anima, e l'anima è molto più nobile che none il corpo; anco, ogni nobilità che à il corpo, l'à mediante l'anima, e l'anima l'à da Dio.

Adunque dovete con sollicitudine attendere per suo onore a subvenire a quella parte che è più nobile, rivoltando tutto l'odio a voi medesima; e sia odio mortale, cioè che sempre desideriate la morte de la propria vostra perversa voluntà, e che solo viva in voi l'etterna voluntà di Dio. Bagnatevi nel sangue di Cristo crucifisso, e fate che quello che è stato infine a ora non sia più. Altro non vi dico.

Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.



355

A madonna Orietta Scotta, a la Croce di Canneto in Genova.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissima madre e figliuola in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava de' servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi fondata in vera e perfetta pazienzia; la quale pazienzia dimostra se in verità amiamo il nostro Creatore o no, perché ella è il mirollo de la carità: ché carità non è senza pazienzia, né pazienzia senza carità.

Ella è una virtù tanto piacevole e necessaria a la nostra salute che senza essa non potiamo essere piacevoli a Dio, né ricevere il frutto de le nostre fadighe, le quali Dio ci permette per la nostra salute: anco, gustaremmo l'arra de lo 'nferno in questa vita. Questa virtù dimostra el lume che è ne l'anima che la possiede; cioè dimostra che l'anima, col lume de la santissima fede, à veduto e cognosciuto che Dio non vuole altro che 'l suo bene: e ciò che esso dà e permette a noi in questa vita, dà per nostra santificazione. E però l'anima che à cognosciuto questo, subbito è paziente, quasi dicendo a sé medesima, quando la propria sensualità si volesse levare per impazienzia: «E vuoli tu dolerti del tuo bene? Non te ne puoi né debbi dolere, ma debbi portare realmente, per gloria e loda del nome di Dio».

La pazienzia germina una dolcezza nel mezzo del cuore; ella è forte, che caccia da sé ogni impazienzia; è longa e perseverante, che per veruna fadiga volta il capo adietro a mirare l'arato (Lc 9,62), ma sempre va innanzi, seguitando l'umile Agnello: che tanta fu la sua pazienzia e mansuetudine, che il grido suo non fu udito per veruna mormorazione. Ella si conforma con Cristo crocifisso, perché si veste de la dottrina sua; satollasi d'obrobrii. Ella signoregia l'ira, conculcandola con mansuetudine; ella non si stanca per veruna fadiga, perché ella è unita con la carità; ella non tolle le cose altrui, ma dà largamente: non è veruna cosa che ella abbi tanto cara che ella non dia, privandone sé con buona pazienzia. Come ebbra del sangue di Cristo crocifisso perde sé medesima; e quanto più si perde, più si truova unita e conformata ne la dolce volontà di Dio, spregiando il mondo con tutte le sue delizie, dilettandosi di tenere per la via de la viltà, abbracciando la povertà volontaria per santo e vero desiderio.

O carissima madre e figliuola, ora è il tempo d'abbracciare questa vera e reale virtù. Vedete che 'l mondo perseguita quegli che sonno amatori de la verità, con molte ingiurie e rimproveri. A noi conviene essere paziente de le ingiurie e fadighe proprie, ma de l'altrui doviamo avere compassione grande, ed essere impazienti verso il vizio di colui che offende. Carissima madre e figliuola, se mai fu tempo di compassione e d'amaritudine per l'offese di Dio, sì è oggi, in tanta tenebre e amaritudine vediamo posto el mondo, solo per la nuvila de l'amore proprio di noi medesimi che à avelenato e corrotto il mondo. Chi avarà pazienzia, à perfetta carità; avendo perfetta carità, si duole e debba dolere più di questi mali che vede, che de le pene o tribolazioni sue.

Oimé che è a vedere, che gli occhi nostri veggono contaminata la fede nostra! Essendo cristiani segnati del segno di Cristo, con la tenebre de la eresia perdono il sangue di Cristo: bene ci debba dolere, e con questo dolore cacciare ogni altro dolore. Io v'invito a portare con vera pazienzia, e offerire voi medesima dinanzi da Dio con umile continua e fedele orazione. Non dormiamo più, ma destianci dal sonno de la negligenzia, ché tempo è di surgere: date tutta voi medesima, spogliando tutto il cuore e l'affetto vostro.

Attaccatevi a l'arbore de la vita, a l'umile e immaculato Agnello, dove trovarete la virtù de la pazienzia e ogni altra virtù: ché elle sonno tutte maturate e innaffiate col sangue. Oh quanto sarà beata l'anima, che con forza e col molto sostenere si truovarà vestita de le virtù! La lingua nol poterebbe mai narrare; ma provàtelo.

Anegatevi nel sangue di Cristo crocifisso, nel quale sangue ogni cosa amara diventa dolce, e ogni grande peso leggiero. El sangue c'insegna a ministrare la substanzia temporale: sì come à fatto e fa continuamente in voi facendovi, de' povari e di coloro che ànno necessità, signori. Ora ministrate in questo prezioso sangue la propria vostra volontà: fatene sacrificio a Dio. El quale, sacrificio avendolo fatto, il mostrarete con la virtù de la pazienzia. In altro modo mostrare nol potreste, e però vi dissi ch'io desideravo di vedervi fondata in vera e perfetta pazienzia. Confortatevi in Cristo dolce Gesù. Altro non vi dico.

Permanete etc.

Benedicete etc. A tutte ci racomandate; e fate fare speciale orazione per la santa Chiesa e per Cristo in terra. Gesù dolce, Gesù amore.



356

A tre donne vedove spirituali di Napoli.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissime madre e suore in Cristo dolce Gesù, io Caterina, schiava de' servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi fondate in vera e perfetta carità, acciò che siate vere nutrici e governatrici dell'anime vostre. Imperò che mai non potremmo nutricare altrui se prima non nutricassimo l'anima nostra di vere e reali virtù; e di virtù non si può nutricare, se prima non s'attacca al petto della divina carità, del quale petto si trae il latte della divina dolcezza.

A voi, carissime suore, conviene fare come fa il fanciullo che, volendo prendere il latte, prende la mammella della madre e mettesela in bocca, unde col mezzo della carne trae a sé il latte. E così doviamo fare noi, se voliamo nutricare l'anima nostra, e dovianci attaccare al petto di Cristo crocifisso, in cui si truova la madre della carità; e col mezzo della carne sua traremo a noi il latte che nutrica l'anima nostra e i figliuoli delle virtù, cioè per mezzo de l'umanità di Cristo, però che in essa umanità fu sostenuta e cadde la pena, ma non nella deità.

E noi non potremmo nutricarci di questo latte che traiamo dalla madre della carità, sanza pena. E differenti sono le pene: spesse volte sono pene di grandi battaglie o dal dimonio o dalle creature, con molte persecuzioni, infamie, strazii e rimproverii. Queste sono pene in loro, ma non sono pene all'anima che s'è posta a nutricare a questo dolce e glorioso petto unde à tratto l'amore - vedendo in Cristo crocifisso l'amore ineffabile che Dio ci à mostrato col mezzo di questo dolce e amoroso Verbo -; e da questo amore à tratto l'odio della propria colpa e della legge perversa sua, che sempre impugna contra lo spirito (Rm 7,23).

Ma sopra l'altre pene che porti l'anima che è venuta a fame e desiderio di Dio, sono i crociati e amorosi desiderii che à per la salute di tutto quanto il mondo, però che la carità fa questo: che ella s'inferma con quelli che sono infermi e fassi sana con quelli che sono sani; ella piagne con quegli che piangono e gode con coloro che godono, cioè che piagne con coloro che sono nel tempo del pianto del peccato mortale, e gode con coloro che godono nello stato della grazia. Allora à l'anima presa la carne di Cristo crocifisso, portando con pene la croce con lui: non pena affligitiva che disecchi l'anima, ma pena che la ingrassa, dilettandosi di seguitare le vestigie di Cristo crocifisso: e allora gusta il latte della divina dolcezza. E con che l'à preso? Con la bocca del santo desiderio, in tanto che, se possibile le fosse d'avere questo latte senza pena, e con esso dare vita alle virtù - le quali virtù ànno vita dal latte della affocata carità -, non vorrebbe, ma più tosto elegge di volerlo con pena per l'amore di Cristo crocifisso; però che non le pare che sotto el capo spinato debbano stare membri dilicati, ma più tosto portare la spina con lui insieme, non eleggendo punture a suo modo, ma a modo del capo suo. E facendo così, non porta; ma il capo suo, Cristo crocifisso, n'è fatto portatore.

Oh quanto è dolce questa dolce madre della carità, la quale non cerca le sue cose (1Co 13,5), cioè che non cerca sé per sé, ma sé per Dio; e ciò che ella ama e desidera, ama e desidera in lui, e fuori di lui nulla vuole possedere. In ogni stato che ella è, spende il tempo suo secondo la voluntà di Dio: se ella è secolare, ella vuole essere perfetta nello stato suo; se ella è religiosa suddita, ella è perfetta angela terresta in questa vita, e non appetisce né pone l'amore suo nel secolo, né nelle ricchezze volendo possedere in particulare, perché vede che ella farebbe contra al voto della povertà voluntaria. Sì che, in qualunque stato l'anima è, e in stato vedovile e in ogni modo, avendo in sé questa dolce madre della carità, nutricandosi al petto di Cristo crocifisso, ella gusta questo dolce e soave latte con affocato desiderio e con perfetto lume, perché s'à tolta le tenebre del perverso e miserabile amore proprio di sé. Ora è il tempo da perdere sé, di non cercare sé né il prossimo per sé, ma per Dio, e Dio dolce in quanto egli è somma bontà, degno d'essere amato e cercato da noi; in lui dobiamo cognoscere la verità, e annunziarla, e fortificarla ne' cuori delle creature che ànno in loro ragione, sanza timore servile.

Ora è il tempo del bisogno che voi e gli altri servi di Dio vi disponiate a sostenere per la verità, e che l'amore, il quale avete trovato al petto di Cristo crocifisso, voi il manifestiate sopra al prossimo vostro, portandolo per affetto d'amore con compassione, nel conspetto di Dio con lagrime, vigilie, e umili e continue orazioni. Non dobiamo terminare la vita nostra altro che in pianto e in amaritudine, per vedere levate tante tenebre da coloro che debono dare luce nel corpo mistico della santa Chiesa. Dissolvasi la vita nostra; diamo agli occhi nostri fiume di lagrime; mugghi el desiderio sopra questi morti, acciò che si partano dalla morte e giunghino alla vita.

Or che è questo a vedere, che quegli che ànno eletto Cristo in terra, papa Urbano VI, con tanto ordine, ora per l'amore proprio, e miserabile vita loro, dicano che non è papa? Guardate, carissime suoro che voi non cadeste in tanta ignoranzia né in tanta cechità che voi credeste a questi iniqui e malvagi uomini, non degni d'essere chiamati uomini, ma più tosto dimoni incarnati; ma ferme e stabili - non seguitando la natura della femina che si vòlle come la foglia al vento -, ma virili e constanti confessate e tenete che così è la verità, che papa Urbano VI è veramente papa, vicario di Cristo in terra. E se voi teneste il contrario, sareste riprovate da Dio, partirestevi dalla verità e seguitereste la bugia e il dimonio che è padre delle bugie (Jn 8,44).

Ò grande desiderio di ritrovarmi con voi, perché, poi che frate Roberto mi contò di voi e teneramente vi raccomandò a me, miserabile piena di difetto, vi concepei amore. E però mi mossi a scrivervi toccandovi alcuna cosa di questa materia, acciò che non andiate vacillando con la mente vostra, ma perché voi vi fermiate in questa verità. Forse che Dio adempirà i nostri desideri di ritrovarci insieme: allora più largo e lungamente ne potremo parlare. Bastivi questo, che se volete nutricarvi a questo glorioso petto - sì come nel principio io vi dissi che io desiderava di vedervi -, e se volete gustare il latte della divina dolcezza dell'affocata carità di Cristo in cielo, vi conviene tenere affermativamente che papa Urbano VI è veramente Cristo in terra, vero e sommo pontefice, e veruno altro no, mentre che questo vive; e chi tenesse il contrario sta in stato di dannazione, come ribello alla santa Chiesa e all'obedienzia di Cristo in terra.

Altro non vi dico.

Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.




Caterina, Lettere 353