Caterina, Lettere 362

362

A la reina che fu di Napoli.

Al nome di Gesù Cristo crucifisso e di Maria dolce.

Carissima e reverenda madre (cara mi sarete quando io vedrò voi essere figliuola suddita e obediente a la santa Ecclesia; reverenda a me, in quanto io vi renderò la debita reverenzia, perciò che ne sarete degna, quando abandonarete la tenebre de la eresia, e seguirete la luce), io Caterina, schiava de' servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedere in voi uno vero cognoscimento di voi medesima e del vostro Creatore.

El quale cognoscimento è necessario a la nostra salute, però che ogni virtù esce di questo santo cognoscimento. Dove si truova la vera umilità? nel cognoscimento di noi, però che l'anima la quale cognosce sé non essere, ma l'essere suo cognosce avere da Dio, non può levare el capo contra il suo Creatore per superbia, né contra il prossimo suo, perciò che la cosa che da sé non è, non può insuperbire.

Dove agrava l'anima la colpa sua? nel cognoscimento di sé, con una santa considerazione, pensando chi è ella che offende Dio, e chi è Dio che è offeso da lei. E vede sé essere uno loto, secondo l'umanità fatta della schiuma della terra, e drittamente è uno sacco pieno di puzza, che da ogni parte gitta fastidio: suddita a molte miserie e necessità, subiecta a la morte; e aspettasi di morire, e non sa quando.

Unde, quando vede che questa così-fatta miseria è uno stormento che non suona altro che offesa inverso el sommo ed etterno bene (bontà dolce di Dio, da la quale bontà à ricevuto l'essere, e ogni grazia che è posta sopra l'essere spirituale e temporale), viene ad odio de la propria fragilità; e per le grazie ricevute da Dio cognosce che elli debba essere servito, e non diservito da noi. Tenuti siamo di renderli gloria e onore, però che utilità non gli potiamo fare, perché elli è lo Dio nostro, che non à bisogno di noi; ma sì noi di lui, perciò che senza lui neuna cosa potiamo avere.

Di questa colpa, ne perdiamo la vita de la grazia e la dignità nostra, perciò che perdiamo el lume de la ragione, e acquistiamo l'essere dell'animale che va senza ragione. Oh cechità umana! A che maggiore miseria possiamo venire, che essere animali bruti? E chi ci dicesse: «Tu se' uno animale», nol potremmo sostenere; anco c'ingegnaremmo di vendicarci di chi l'avesse detto. E nondimeno è tanta la nostra fragilità, che noi ci facciamo noi medesimi animali bruti; e non ci vendichiamo dell'appetito sensitivo e dell'amore proprio di noi medesimi, e' quali sono quelli che ci fanno essere animali.

E tutto questo ci adiviene perché non cognosciamo noi medesimi, unde non agraviamo le colpe nostre.

Perché non le agraviamo? Perché non cognosciamo quello che seguita doppo la colpa, e in quello che ci fa venire, ché - cognoscendolo con quella vera considerazione detta - ci levaremmo da ogni vizio e dal disordenato vivere, e abracciaremmo la virtù: allora rendaremmo l'onore a Dio, conservaremmo la bellezza e la dignità dell'anima nostra, e seguitaremmo la dottrina de la verità; e seguitandola saremmo figliuoli d'essa verità.

O dolcissima madre, io desidero di vedervi fondata in questa verità, la quale seguirete stando nel vero cognoscimento di voi, altrimenti no - e però vi dissi che io desideravo di vedervi cognoscere voi medesima -; a questa verità io v'invito, a cognoscerla a ciò che la potiate amare. Questa è la verità: che Dio v'à creata per darvi vita etterna; e se voi raguardate l'umile Agnello, nel sangue suo v'è manifestato che così è la verità, e però fu sparto e dato a noi in prezzo, e ministrato nel corpo della santa Chiesa. Che promette questa verità a chi l'ama? Promette che nel prezzo del sangue riceverà vita etterna, con la santa confessione, contrizione e satisfazione; anco promette che ogni bene sarà remunerato e ogni colpa punita.

E così ci dà timore santo e amore; invitandoci che, come noi temiamo la pena, così temiamo la colpa.

Doh, carissima madre, voi sapete che la verità non può mentire, dunque perché volete fare contra questa verità? Perciò che, facendo contra la verità de la Ecclesia santa e di papa Urbano VI, fate contra a la verità di Dio, e perdete il frutto del sangue di Cristo, però che la santa Chiesa è fondata sopra questa verità. Doh, se voi non raguardate a la salute vostra, raguardate a' popoli che vi sono commessi ne le mani e sudditi, li quali avete retti tanto tempo con tanta diligenzia e in tanta pace; e ora, per fare contra questa verità, gli vedete desolati e posti in tanta guerra: e uccidonsi insieme come animali, per la maladetta divisione.

Oimé, come non vi scoppia el cuore a sostenere che per voi siano separati, e l'uno tenga la rosa bianca e l'altro la vermiglia, l'uno tenga la verità e l'altro la bugia! Doimé, disaventurata l'anima mia! Or non vedete voi che essi sono tutti creati da quella rosa purissima dell'etterna voluntà di Dio? e recreati a grazia in quella ardentissima rosa vermiglia del sangue di Cristo? Nel qual sangue fummo lavati da la colpa nel santo battesimo; e àcci congregati noi cristiani, e uniti nel giardino de la santa Chiesa. Raguardate che né voi né veruno altro à dato a loro questo lavamento e queste gloriose rose; ma solo la madre nostra de la santa Chiesa l'à dato col mezzo del sommo pontefice, el quale tiene le chiavi del sangue, papa Urbano VI.

Adunque, come vi può patire l'animo di volere tòllere a loro quello che non lo' potete dare? e non vedete voi che voi usate crudeltà a voi medesima? Però che del loro male e disfacimento voi diminuite lo stato vostro; e anco sete tenuta di renderne ragione a Dio dell'anime che ci periscono. E che ragione se gli potrà rendere? Molto gattiva, e però con grande vergogna ci rapresentaremo dinanzi al sommo giudice nell'ultima estremità de la morte, la quale tosto aspettiamo.

Doimé, se questo non vi muove, or non vi debba muovere almeno la vergogna del mondo, ne la quale vi vedete essere caduta? Molto più doppo la vostra conversione che prima; e più è stata grave questa ultima colpa, e più è dispiaciuta a Dio e a le creature, che quella dinanzi. Però che in questa ultima voi confessaste la verità e la colpa vostra, e come figliuola mostraste di volere tornare a la misericordia e benignità del padre; e doppo questo, peggio s'è fatto che prima: o che sia perché il cuore non era schietto - ma fittivamente si mostrava quello che non era -; o che la divina giustizia abbi voluto che de li miei vecchi e antichi peccati io facci nuova penitenzia, cioè che io non merito di vedervi in pace e in quiete pascervi a le mammelle de la santa Chiesa.

La quale aspettava di pascere voi, e che voi pasceste lei: voi pascere di grazia nel sangue dell'Agnello, e che voi soveniste a lei dell'aiutorio vostro; la quale vedavate - cioè la Ecclesia di Roma che è il principio de la fede nostra - essere stata tanto tempo vedova senza lo Sposo suo, e noi senza il padre nostro. Unde, ora che ella l'à riavuto, mirava che voi le fuste una colonna mantenitrice di questo Sposo, facendovi scudo per riparare a' colpi, e gittarne voi contra loro che glili volevano tòllere. Oh ingratitudine nostra, ché non tanto che elli vi sia padre per la dignità sua, ma anco v'è figliuolo, e però è grande questa crudeltà, ché voi gli fate tutto el contrario: vedesi la figliuola fare contra al padre, e, essendo madre, fare contra al figliuolo.

Questo m'è sì gran pena che maggior croce in questa vita non posso portare, quando io considero la lettera la quale ricevetti da voi, ne la quale confessaste che papa Urbano era vero sommo pontefice, dicendo di volere esserli obediente, e ora truovo el contrario. Doimé! compite, per l'amore di Dio, la confessione vostra. La confessione vuole essere - come detto è - confessare in verità con contrizione di cuore e satisfazione: satisfate rendendo el debito de la obedienzia, poiché avete confessato che elli è vicario di Cristo in terra. Siate obediente, e così ricevarete el frutto de la grazia, e placarete l'ira di Dio inverso di voi. E dove è la verità che si suole trovare ne la bocca de la reina, che suole e debba essere uno evangelio? Ché, cosa che ella prometta con ragione e secondo Dio, mai non debba stornare adietro; e io veggo ora e pruovo che voi avete promesso e detto di volere obedire al sommo pontefice, e voi non solamente in parole, ma in fatti fate el contrario. Unde ò grande ammirazione e intollerabile dolore di vedere tanto offuscato l'occhio dell'intelletto vostro da la nuvila dell'amore proprio - per illusione del demonio e per lo gattivo e malvagio consiglio - che voi non curate la dannazione dell'anima vostra, né la ruina del popolo - così dell'anime come de' corpi -, né il danno vostro temporale, né la vergogna del mondo.

Dolcissima madre, per l'amore di Cristo crucifisso, siate a me dolce, e non mi siate più amara: tornate un poco a voi medesima, e non dormite più in questo così-fatto sonno, ma svegliatevi in questo punto del tempo che v'è rimaso; e non aspettate il tempo, però che elli non aspetta voi. E con vero cognoscimento cognoscete voi, e la grande bontà di Dio in voi, la quale v'à aspettata, e non v'à tolto el tempo in questo stato tenebroso; e questo à fatto per grande misericordia. E con questo desiderio abracciate le virtù, vestitevi di questa verità, e ritornate al padre umiliata con vero cognoscimento; e trovarete misericordia e benignità nella Santità sua, perciò che elli è padre pietoso, che desidera la vita del suo figliuolo.

Per l'amore di Cristo crucifisso, non giacete più in questa morte dell'anima, a ciò che questa infamia tanto vituperosa e misera non rimanga doppo la vita vostra, però che la morte corporale v'incalcia continuamente, voi e ogni persona, e massimamente quelli che ànno compito el corso de la gioventudine loro: da questo neuna creatura è di tanta potenzia né si grande, che con suo potere o sforzo si possa difendere. Questa è una sentenzia, data subbito che siamo conceputi nel ventre de la madre nostra, a la quale neuno può resistere che non glili convenga pagare. E noi non siamo animali, ché, morto l'animale bruto, non n'è più; noi siamo creature ragionevoli, create a la imagine e similitudine di Dio: unde, morendo il corpo, non muore l'anima quanto ad essere; muore bene quanto a grazia per la colpa, morendo in peccato mortale.

Adunque la necessità vi stringa, e siate pietosa e non crudele a voi medesima: rispondete a Dio, che vi chiama con la clemenzia e pietà sua; non siate lenta a risponderli, ma rispondeteli virilmente, a ciò che non vi sia detta quella aspra parola: «Tu non ti ricordasti di me ne la vita, e però io non mi ricorderò di te ne la morte», cioè «tu non mi rispondesti quando io ti chiamai, mentre che avevi el tempo; passato el tempo, non ài più rimedio veruno».

Spero ne la infinita bontà di Dio, che vi farà grazia di sforzare voi medesima a risponderli con grande sollicitudine, e con pronta obedienzia a la santa Ecclesia, e a papa Urbano VI. Non spregiarà Dio tante orazioni e lagrime quante ànno gittate e gittano e' servi suoi per la vostra salute. Siate grata e cognoscente di tanto benefizio, a ciò che si nutrichi in voi la fonte de la pietà. Altro non vi dico.

Permanete ne la santa e dolce dilezione di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.



363

A maestro Andrea di Vanni dipentore.

Al nome di Gesù Cristo crucifisso e di Maria dolce.

Carissimo figliuolo in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava de' servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi costante e perseverante nelle virtù; e non fatto come la foglia che si vòlle al vento.

Ma, come arbolo, dovete essere piantato al basso della terra de la vera umiltà, a ciò che el vento della superbia non possa offendere l'arbolo dell'anima vostra; la quale è uno arbolo d'amore perché è creata da Dio per amore, e però è d'amore, e non può vivere d'altro che d'amore: cioè o d'amore santo, o d'amore sensitivo proprio di sé medesimo. El quale dà morte e tolle la vita della grazia, posto nell'altezza del monte della superbia dove giongono e' venti in diversi modi contrarii, e' quali tutti l'offendono, e fanno cadere e' frutti e rompere i rami; e se elli non si fortifica ponendovi el remedio, dà a terra l'arbolo.

E alcuna volta giongono venti subbiti di ladie e diverse tentazioni e cogitazioni nel cuore, le quali spesse volte scuotono l'arbolo, e dinudanlo de le foglie - ciò sono i santi pensieri, con le dolci parole caritative col prossimo suo -, le quali foglie ànno a guardare e' frutti; quando uno altro vento giogne, el quale entra ne' cuori delli uomini, ed esce per la bocca. E questi sono e' persecutori del mondo, e' quali, entrata la puzza ne' cuori loro, gittano e' venti, per la bocca, delle molte mormorazioni ingiurie scherni e villanie, in detto e in fatto. Questo è quello vento che fa cadere el frutto de la pazienzia, e rompe i rami dell'altre virtù; e dà a terra l'arbolo, se elli non el remedisce con l'amore di Dio e dilezione del prossimo. E tutto questo gli adiviene - di ricevere danno da' venti - perché elli è posto in alto, però che se elli fusse a basso, in mezzo tra due monti, non gli adiverrebbe, perché percotarebbero e' monti forti, e non lui, ma solamente sentirebbe el busso.

Che remedio ci à che questo arbolo si transpianti ne la valle e terra de l'umiltà? Dicovelo: con uno vero cognoscimento di noi medesimi, e con un odio e dispiacimento della propria sensualità, però che in altro modo non potremmo essere umili. Ma allora si trovarà tra due monti forti, cioè tra la virtù della fortezza e de la vera pazienzia, le quali ricevono e' colpi di qualunque vento contrario si vuole essere; anco, quanto più contrarii à, più si fortifica e si prova l'anima essere forte, provandosi la virtù de la pazienzia.

Allora si conservano le virtù, e maturansi questi frutti, dando dottrina con la parola ed edificazione al prossimo, co' fiori odoriferi de' santi pensieri del giusto giudizio che l'anima piglia, giudicando in sé e nel prossimo suo la volontà dolce di Dio - che non vuole altro che il nostro bene - e non quella delli uomini; mortificando ogni suo parere, e uccidendo la propria volontà; e mantenendo e notricando l'arbolo de la carità del prossimo suo, con ansietato desiderio della salute dell'anime; dilettandosi di questo cibo per onore di Dio.

Oh quanto è glorioso l'arbolo dell'anima nostra, quando è piantato così dolcemente, perché si conforma con l'umilità de lo immaculato Agnello dunde aviamo avuta la vita, uno sole di grazia e di misericordia; la quale misericordia non si poteva avere con tutte le nostre giustizie, ma poi che Dio s'aumiliò a l'uomo, dandoci questo dolce e amoroso Verbo - e el Verbo del Figliuolo di Dio con vera pazienzia s'aumiliò all'obrobiosa morte della croce -: sì che le nostre giustizie e ogni virtù vale per l'umilità sua, e per la virtù del suo prezioso sangue, sparto con tanto fuoco d'amore. Si ché vedete che altro modo non ci à a conservare e crescere nella virtù.

E però vi prego, carissimo figliuolo in Cristo dolce Gesù, che impariate da questo dolce e immaculato Agnello a stare sempre a basso per vera e dolce umilità, a ciò che sempre conserviate e cresciate la virtù in qualunque stato voi sete; però che colui che è umile, ogni sua operazione spirituale e temporale gli vale a vita etterna, perché è fatta in grazia. Se elli fa operazioni temporali, esse gli danno vita, perché le fa con l'occhio dirizzato in Dio; e se elle sono spirituali, gittano odore di virtù dinanzi a Dio e dinanzi alli uomini del mondo; e se elli è in stato di signoria, gitta odore di santa giustizia, però che colui che è umile non fa ingiustizia verso el prossimo suo, né dispiacere, anco l'ama come sé medesimo.

E così vi prego, carissimo figliuolo, che ora ne lo stato vostro manteniate ragione e giustizia al piccolo come al grande, al povaro come al ricco; e aguegliatamente a ciascuno rendere el debito suo, secondo che vuole la giustizia santa, condita con la misericordia. So' certa, per la bontà di Dio, che el farete, e io ve ne strengo quanto so e posso; e pregovi che vi ritroviate, in questo dolce Avento e nella santa Pasqua, nel presepio con questo dolce e umile Agnello, dove trovarete Maria con tanta reverenzia a quello figliuolo, pellegrina in tanta povertà - avendo la ricchezza del Figliuolo di Dio - che non à panno da poterlo invòllere né fuoco da scaldare esso fuoco, Agnello immaculato; ma gli animali aciando sopra el corpo del fanciullo, el riscaldavano col fiato loro. Bene si debba dunque vergognare la superbia e le delizie stati e ricchezze del mondo, di vedere Dio tanto umiliato.

Adunque visitate questo prezioso luogo in questo Avento, a ciò che potiate rinascere a grazia. E a ciò che meglio el potiate fare, e ricevare questo Bambino, fate che vi confessiate e vi disponiate, se possibile v'è, a la santa comunione. Altro non dico.

Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.



364

Al papa Urbano VI predetto.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Santissimo e dolcissimo padre in Cristo dolce Gesù, io Caterina, schiava de' servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi con cuore virile, acciò che realmente riprendiate e' vizii che tutto dì si commettono; e spezialmente quelli vizii che sonno contra alla santa volontà vostra - poniamo che ogni vizio vi dispiaccia sì come debbano fare a l'anima che teme Dio, di dispiacerle l'offesa che è fatta contra 'l suo Creatore -.

O santissimo padre, aprite l'occhio de lo 'ntelletto, e con esso riguardate ne l'obietto della dolce verità. Ine conosciarete quanto sete tenuto e obligato d'avere l'occhio vostro sopra e' vostri figliuoli, e riguardare di metare aitatori che v'aitino a guardare le pecorelle, sì che - quando elle fussero inferme della grave infermità che lo' dà morte, cioè della colpa del peccato mortale - questi infermi, quando li vedete, o vi fussero fatti vedere per quelli che amano la Santità vostra, non gli dovete sostenere apresso di voi nel ventre della santa Chiesa; o voi gli corregete, e teneteli per modo che essi non possano commettare iniquità, almeno di quelle che tanto vi dispiacciono cordialmente, delle quali io so che la Santità vostra m'intende, e non bisogna ch' io ve la spiani altrimenti.

Io vi dico che la divina bontà si lagna che la Sposa sua è spogliata delle piante vecchie, che invecchiate erano ne' vizii, in molta superbia immondizia e avarizia, commettendo le grandissime simonie; e ora le piante nuove, le quali con la virtù debbano confondare i vizii, e esse si cominciano a dilargare e a pigliare quello stile medesimo. Di questo si lagna Cristo benedetto, ch'ella non è spazzata de' vizii, e la Santità vostra non ci à quella solecitudine che debba avere.

Voi non potete di primo colpo levare i difetti delle creature, e' quali si commettono comunemente nella religione cristiana - massimamente ne l'ordine chericato, sopra de' quali dovete più avere l'occhio -; ma ben potete e dovete fare per debito - e se none, sì l'avareste sopra la coscienzia vostra - almeno di farne la vostra possibilità: lavare el ventre della santa Chiesa, cioè procurare a quelli che vi sono presso e intorno voi, spazzar lo' del fracidume, e ponarvi quelli che attendano a l'onore di Dio e vostro e bene della santa Chiesa, che non si lassino contaminare né per lusinghe né per danari. Se riformate questo ventre della Sposa vostra, tutto l'altro corpo agevolemente si riformarà, e così sarà onore di Dio, e onore e utilità a voi; con la buona e santa fama e odore delle virtù si spegnerà la 'resia; ciascuno corrirà alla Santità vostra vedendo che voi siete estirpatore de' vizii, e mostriate in effetto quello che desiderate. E non curo che vi curiate, né per vestimento né per altro, più di grande valuta che di piccola; ma solo che sieno uomini schietti, che vadano con dirittura e non con falsità.

Sapete che ve ne diverrà, se non ci si pone rimedio in farne quello che ne potete fare? Dio vuole in tutto riformare la Sposa sua, e non vuole ch'ella stia più lebbrosa; se non el farà la vostra Santità giusta el vostro potere - che non sete posto da lui per altro, e datavi tanta dignità -, el farà per sé medesimo col mezzo delle molte tribolazioni: tanto levarà di questi legni torti, ch'egli li drizzarà a modo suo. Oimé, santissimo padre, non aspettiamo d'essere umiliati, ma lavorate voi virilmente, e fate le cose vostre secrete e con modo, e non senza modo - ché il fare senza modo più tosto guasta che non acconcia -; e con benivolenzia e cuore tranquillo udite quelli che temono Dio, e diconvi quello che bisogna e si debba fare, manifestandovi quelli difetti che sapessero che si commettessero intorno alla Santità vostra. Babbo mio dolce, grandissima grazia vi debba essere d'avere di quelli che v'aitino a vedere e a procurare di quelle cose che fussero vitoperio a voi, e danno dell'anime.

Mitigate un poco per l'amore di Cristo crocifisso quelli movimenti sùbiti, che la natura vi porge: con la virtù santa date il botto alla natura. Come Dio v'à dato el cuore grande naturalmente, così vi prego e voglio che v'ingegniate d'averlo grande sopranaturale, cioè che col zelo e desiderio della virtù e della riformazione della santa Chiesa acquistiate cuore virile fondato in vera umilità. Per questo modo avarete el naturale e 'l sopranaturale, ché 'l naturale senza l'altro poco ci farebbe, ma darebbeci più tosto movimento d'ira e di superbia; e quando venisse a vedere a fare alcuno fatto di coregiare persone che li fussero molto intrinsiche, allentarebbe e' passi e diventarebbe pusillanime. Ma quando c'è agionta la fame della virtù - che l'uomo attenda solo a l'onore di Dio, senza alcuno rispetto di sé -, egli riceve lume, fortezza, costanzia e perseveranzia sopranaturale che mai non allenta, ma tutto virile, sì come egli debba essere.

Di questo ò pregato e prego continovamente il sommo e eterno Padre che ne vesta voi, padre santissimo di tutti e' fedeli cristiani, ché mi pare che ne' tempi ne' quali ci troviamo n'abbiate grandissimo bisogno. Io, miserabile e ignorante figliuola, non mi restarò mai, sicondo ch'egli mi darà la grazia: terminare voglio la vita mia per voi e per la santa Chiesa in continovo pianto, vigilia, e fedele umile e continova orazione, quanto Dio mi concedarà; ché da me neuna cosa potrei. So che a l'umile, continova e fedele orazione non sarà disdetto quello che si dimandarà dalla infinita bontà di Dio, essendo giusta petizione. E così gli altri servi e figliuoli vostri, che temono Dio, fanno e faranno questo per voi, e tanto più, quanto essi sonno buoni e io piena di difetto.

Fate voi dal lato vostro quello che dovete e potete; e così mitigaremo l'ira di Dio e darete rifrigerio a' servi suoi. So' certa che, avendo el cuore virile, come detto è, voi el farete; in altro modo, no: e però dissi ch'io desideravo di vedervi el cuore virile; e così desidera l'anima mia. Allora sarete el gaudio, l'alegrezza e consolazione mia e degli altri servi di Dio, che riguardano alle mani della Santità vostra, e' quali v'amano, e cercano l'onore di Dio e 'l vostro con ogni solecitudine; non infinti, avendo una in lengua e un'altra in cuore. Altro non vi dico.

Permanete etc.

Piaccia alla Santità vostra di tenere persone fedeli presso a sé, che si vega che temano Dio, acciò che quello che si fa e dice in casa vostra non sia riportato a' dimoni incarnati - che i difetti loro sonno nostri nemici -, cioè a l'antipapa e a' seguaci suoi. Perdonate, padre santissimo, alla mia presunzione, ché ò presunto di scrivare a voi sicuramente, costretta dalla divina bontà, e dal bisogno che si vede, e dall'amore ch'io porto a voi. Sarei venuta e non arei scritto, se non per non darvi tedio nel tanto mio venire. Abbiate pazienzia in me, ch'io non mi ristarò mai di stimolarvi con l'orazione o con la boce viva o con lo scrivare, mentre ch'io viverò, tanto ch'io vedrò in voi e nella santa Chiesa quello ch'io desidero, e ch'io so che molto più di me voi desiderate. A dare la vita, se bisogna, santissimo padre! e non dormiamo più.

Umilemente v'adomando la vostra benedizione. Gesù dolce, Gesù amore.



365

A Stefano di Corrado Maconi.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo figliuolo in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava de' servi di Gesù Cristo, scrivo a te nel prezioso sangue suo, con desiderio di vederti fuori delle mani de' nimici tuoi. Parmi, s'io non so' ingannata, che la divina bontà facci già apparire l'aurora, und'io spero che tosto ne venga il dì chiaro che sia levato il sole.

Tu fusti preso, sicondo che mi scrivi: ma non nel tempo della notte, ma nel tempo del dì. Puoi, adoparando la clemenzia dello Spirito santo, apparbe l'aurora ne' cuori de' dimoni incarnati, unde tu fusti lassato. Pensati, dolcissimo figliuolo, che mentre che tu starai nella notte del vero cognoscimento di te, tu non sarai mai preso; ma se la propria passione volesse passare col dì del proprio sensitivo amore, o l'anima volesse passare prima al dì del cognoscimento di Dio che alla notte del cognoscimento di sé, sarebbe presa da' nimici suoi. E non è dubbio che se l'anima con ansietato e dolce desiderio non sta nel cognoscimento di sé, e della bontà di Dio in sé, e' si trovarebbe menato preso da' nimici di Dio: subbito el nemico della presunzione col legame della superbia, le passioni e le dilizie e stati del mondo, el dimonio e la carne, tutti ci piglierebbono.

E però voglio che sempre ti riposi tra 'l dì e la notte, cioè cognoscendo te in Dio, e Dio in te. Allora trovarai che nimici che t'avessino legato, e agombrato el cuore di molti e varii pensieri; ricevarà el cuore l'aurora; saratti detto dentro nell'anima tua, e tu 'l dirai ancora: «Vatti in pace, e riposati in pace in su la mensa della croce, du' troverai la pace e la quiete, stando nel mare tempestoso». Quanta pace vi fu quando - voi agnelli in mezzo di que' lupi - e' vi fu detto da loro: «Andatevi in pace»! Essendo anco tra la guerra loro, gustaste la pace, quando voi l'udiste. E così ti pensa che, quando l'anima si sente presa con molti e diversi pensieri, ella si conforma con la volontà di Dio, vedendo con quanto amore egli le 'l concede, e quanto ci fanno venire a più perfetta sollicitudine e vera umilità: vi truova la pace, essendo ancora nel tempo della guerra.

Ora disidera l'anima mia che, puoi che 'l dolce sposo etterno vi campò miracolosamente e trassevi delle mani loro, così prego lui che tosto ti traga degli altri, e' quali ci so' maggio nemici e più crudeli che non erano eglino: questi erano nimici del corpo, ma gli altri so' nemici dell'anima. E così è la verità: che e' dimestici dell'uomo sicondo el mondo sono nostri nimici (Mt 10,36); e spezialmente quegli che ci so' più congiunti, che non pare che attendeno altro che alla propria utilità. Quando tu sarai dilibarato da loro, escito fuore di prigione, sarà levato el sole. Ora se' nell'aurora, che anco ben bene non ti lassa gustare né discernere la virtù, perché non se' ancora nel tempo del sole che tu sia sciolto da questi nimici dimestici.

Ma io voglio, carissimo figliuolo, che tu ti conforti ora in questo tempo dell'aurora, però che tosto ne verrà el sole. Udiremo quelle dolci parole: «Lassa i morti sepellire a' morti, e tu mi seguita» (Mt 8,22). Altro non ti dico sopra a questo fatto. Anniegati nel sangue di Cristo crocifisso, nisconditi nel costato di Cristo crocifisso, acciò che i nemici non ti truovino più. Or non dormire nel letto della nigligenzia, e vienti sciogliendo tosto, acciò che meglio ti possa legare.

Rispondoti al fatto dell'andare alle messe. Voi fate bene di non andarvi; e d'avervi fatti famegli di missere Jacomo, s'io l'avessi saputo non l'avreste fatto, ma serestevi stati umili e obbedienti, aspettando con pazienzia come gli altri el tempo della pace. Ora ti dico che, se chiaramente e' vi mostra in verità, e che non s'intenda né facci la conscienzia a modo suo, che voi v'andiate; e quando che no, no. Che se già la dignità sua non la può pigliare largamente, non so ched e' si intenda altro che della famiglia sua propria, la quale stesse al servizio suo. Ché noi sappiamo pure che, perch'io mi faccia titolo d'essere suo fameglio, io pure non so' né voglio essere; nondimeno, forse che la sua dignità per grazia singulare à di poterlo fare.

Se n'avete avuta tanta dichiarazione che basti, so' contenta.

Del tuo venire, puoi che per lo fatto d'Anibaldo non è bisogno, per questo non te richeggo che tu venga; ma bene l'avrei avuto molto caro che tu fussi venuto, e che tu venissi, se venire puoi senza scandalo, ma con scandalo e turbazione del padre e della madre, no, infino che lo scandalo non fosse necessario. Anco voglio, in chesto tempo, che gli fuga, quantunque tu puoi. So' certa che, se la divina bontà vedrà che sia el meglio, che cessarà lo scandalo, sicché tu potrai venire con pace. Vieni, se tu puoi. Se monna Lapa torna a Siena, fate ch'ella vi sia raccomandata.

A Petro risponde che de' danari che mi mandò, dicendo dell'avanzo del cavallo, io non ebbi mai cavelle, né mai parola ne feci di avergli, né pensiero veruno; né mai a me non ne fu fatto parola niuna, se none, il dì ch'io ebbi le lettere, venne Mino di Simone Mino a me, e dimandommi se questi danari io gli avesse avuti: sì ch'io gli rispuosi di no - come egli è la verità -, né parola udita mai. Dissemi che andarebbe a Andrea, e sì gliel direbbe s'egli gli recava; sì glili mandarò di quegli che degga dare. Se gli vuole dare, sì gli dia a Nanni. Altro non ti dico.

Permane nella santa e dolce dilezione di Dio.

Conforta Petro e tutti gli altri figliuoli; e al priore ditegli che di monna Lapa farà quel che gli pare; e mandivi cui gli pare. Non scrivo a lui né a Petro, perché non ò tempo, ché so' occupata d'altro scrivere.

Dice il tuo negligente fratello Barduccio, che tu sì ne venga tosto, per alcuna cosa ch'egli à a fare, ché vorrebbe la tua compagnia. Pargli malagevolemente trovare el modo di farla, se tu non se' con lui: tanto che, se non ci vieni, verrà infino a te, inanzi che la faccia. Sievi raccomandato nell'orazione di te e degli altri, perché n'à grande bisogno; ché ora è messo al paragone per sempre. Lisa similemente ti prega che preghi Dio per liei, tu e gli altri. Gesù dolce, Gesù amore.

Di Baptista, ti rispondo che sarà bene fatto che voi el mandiate (...) oltre acciò, che sia buona pianta novella nel corpo mistico della santa Chiesa. Ma tanto ti dico, ch'io vorrei volentieri che fusse o con misser Tommaso, o con misser Martino, però che so' uomini virtuosi e sofficienti in ogni cosa. Mandai a chiedere alla Contessa el libro mio; e òllo aspettato parecchie dì, e non viene. E però se tu vai là, dì che 'l mandi subito; o tu ordina che chi vi va el dica, e non manchi.



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A maestro Andrea di Vanni dipentore.

Al nome di Gesù Cristo crucifisso e di Maria dolce.

Carissimo figliuolo in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava de' servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi osservatore de' santi e dolci comandamenti di Dio, a ciò che, terminata la vita vostra, voi potiate avere la eredità di vita etterna.

Ma voglio che voi sappiate che la legge di Dio non si può osservare mentre che l'uomo giacesse nell'amore proprio di sé medesimo, però che colui che ama sé di disordenato amore non può amare né servire el prossimo suo schiettamente, come debba, e i comandamenti della Legge stanno solamente nella carità di Dio e del prossimo: cioè d'amare Dio sopra ogni cosa, e 'l prossimo come sé medesimo. E però colui che disordenatamente s'ama non gli può osservare infine che non si spoglia de l'uomo vecchio, cioè della propria sensualità, e vestasi del nuovo, Cristo dolce Gesù, seguitando la dottrina sua.

Adunque c'è di bisogno, carissimo figliuolo, di venire a odio santo e di noi medesimi, a ciò che in verità amiamo e temiamo Dio. E se voi mi diceste: «Che modo posso tenere per avere questo odio, a ciò che io abbi questo amore? e dove el truovo?», io vi rispondo: el modo è questo, che voi apriate l'occhio dell'intelletto vostro col lume della santissima fede; però che senza el lume non potreste vedere el luogo.

El luogo dove elli si truova è la casa del cognoscimento di noi medesimi; e in altro luogo non potiamo cognoscere, e non cognoscendo la cosa buona da la gattiva, non si può odiare né amare.

Ma come l'occhio dell'intelletto col lume de la fede raguarda in questa casa del cognoscimento di sé - vede sé per sé non essere, anco l'essere suo cognosce e vede averlo da Dio -; che elli cognosce e vede tanta larghezza e fuoco di carità - cioè d'essere creato alla imagine e similitudine di Dio, e d'essere recreato a grazia nel sangue dell'unigenito suo Figliuolo -; e più, che si vede essere quella pietra e terra che tenne ritto el gonfalone della santissima croce, - sì che la croce non era sufficiente né la terra a tenerla ritta, né e' chiovi a tenerlo confitto e chiavellato in croce, se l'amore non l'avesse tenuto -, allora cresce l'anima nell'amore con ansietati e dolci desiderii, osservando i comandamenti suoi, cioè d'amarlo sopra ogni cosa, e 'l prossimo come sé medesimo.

E vedendo che utilità a Dio non può fare, fa utilità al suo prossimo, amandolo e servendolo in ciò che elli può; e così dimostra l'amore perfetto che elli à al suo Creatore, però che con altro mezzo non può mostrare l'amore e la virtù che è dentro nell'anima, se non col prossimo: perché ogni virtù si pruova con questo mezzo. E poi che l'anima à trovato amore per lo cognoscimento che à avuto di Dio, ed ella truova la balia de l'umilità, la quale è balia e nutrice della carità. Dove la trovò? Nella casa del cognoscimento di sé, là dove elli trovò la carità, come detto è, però che colui che cognosce sé medesimo non à materia di insuperbire, però che la cosa che non è non può venire a superbia.

Di bisogno è dunque che chi non è superbo, sia umile: poi che elli à cognosciuto sé e la bontà di Dio in sé, ama ed è umile, e da l'umilità cognosce e' difetti suoi, e vedesi sempre impugnare con la perversa legge del corpo suo contra alla grande bontà di Dio, che elli à cognosciuta in sé. E però si leva con odio santo e dispiacimento della propria sensualità; e per l'odio che à, ne vuole fare vendetta. E con che ne la fa? Con darle el contrario di quello che l'amore sensitivo vuole. Ella si vuole dilettare del vizio, e la ragione le dà el contrario, ché si diletta della virtù; dilettasi de l'onore e dello stato e de' disordenati diletti e di fare ingiustizia al prossimo, e l'anima che col lume della ragione à cognosciuto Dio, ne fa la vendetta, spregiando el mondo con tutte le sue delizie - o attualmente, che al tutto si parte dal mondo, o elli vi sta attualmente e levasene col santo desiderio: e questo debba fare ogni creatura che à in sé ragione -; e fa giustizia - però che giustamente rende a Dio la gloria e l'onore, e a sé rende odio e dispiacimento della propria sensualità, e amore de la virtù -; e al prossimo rende dilezione di carità e fadiga - affadigandosi per la salute sua: per l'anima offera orazioni, e il corpo soviene della sustanzia temporale, se elli n'à, o di qualunque altra cosa elli el può sovenire -. E se elli è in stato di signoria, fa giustizia e ragione al grande e al piccolo, e al povaro come al ricco, e non teme di dispiacere ad alcuna creatura; ma solo teme Dio, però che el timore servile el perdette nell'amore divino e nell'odio santo di sé medesimo, e questa è la principale vendetta che fa l'anima della propria sensualità.

Una altra vendetta fa: che gastiga el corpo suo, quando impugnasse contra allo spirito. E anco non si chiama contento di questo; ma ciò che elli fa, gli pare fare poco, e desidera che altri ne la facci per lui, quando elli pensa all'offese che à fatte al suo Creatore. E però non si scandalizza della ingiuria, né d'alcuna altra tribulazione o pena che sostenesse o da le creature o da Dio - cioè che Dio gli desse alcuna disciplina, o perché elli sotraesse da la mente sua la consolazione della mente, e lassasseli dare al dimonio le molte tentazioni e battaglie -, ma tutte s'ingegna di portarle pazientemente; e fa forza a sé medesimo, tenendo la volontà che non si scandalizzi, e umiliando sé medesimo, reputandosi degno della fadiga e indegno del frutto che seguita doppo la fadiga, e indegno de la pace e quiete de la mente. E così trae fuore la pazienzia, che è el mirollo de la carità.

E per questo modo à adempita tutta la legge, cioè d'amare Dio sopra ogni cosa, e 'l prossimo come sé medesimo. Con che la vidde e cognobbe? con l'occhio dell'intelletto e col lume de la santissima fede. Dove la trovò? nel cognoscimento di sé, nel quale cognoscimento trovò la bontà di Dio, e però l'amò; e trovò la miseria sua, e però s'aumiliò e concepette odio al vizio e a la propria sensualità. Senza questo cognoscimento non poteva osservare la legge; e non osservandola, è privato l'uomo della grazia e del regno di Dio, el quale regno è la eredità che dà el sommo Padre a' legittimi figliuoli che virilmente combattono nel campo della battaglia co' nemici loro, non vollendo el capo a dietro.

E però vi dissi che io desideravo di vedervi osservatore de' santi e dolci comandamenti di Dio, a ciò che aveste qui la vita della grazia, e nell'altro vita etterna. Pregovi per l'amore di Cristo crucifisso che v'ingegniate d'osservarli infine alla morte. Altro non dico.

Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.




Caterina, Lettere 362