Caterina, Lettere 373

373

A maestro Ramondo da Capova dell'ordine de' Predicatori ne la quale epistola essa predice la morte sua a dì xv di febraio 1380 e poi morì a dì xxviiij d'aprile 1380.

Al nome di Gesù Cristo crucifisso e di Maria dolce.

Carissimo e dolcissimo padre in Cristo dolce Gesù, io Caterina, schiava de' servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi una colonna nuovamente fondata nel giardino de la santa Chiesa, come sposo fedele de la verità, sì come dovete essere: allora reputarò beata l'anima mia.

Non voglio che volliate el capo adietro per veruna aversità o persecuzione; ma nell'aversità voglio che vi gloriate, però che nel sostenere manifestiamo l'amore e la constanzia nostra, e rendiamo gloria al nome di Dio; in altro modo, no. Ora è il tempo, carissimo padre, di perdere tutto sé, e di sé non pensare punto: sì come facevano i gloriosi lavoratori che con tanto amore e desiderio disponevano di dare la vita loro e inaffiavano questo giardino di sangue, con umili e continue orazioni, col sostenere infino a la morte.

Guardate che io non vi vegga timido che l'ombra vostra vi faccia paura, ma virile combattitore; e già mai da cotesto giogo dell'obedienzia che v'à posto el sommo pontefice non vi partite; e anco nell'Ordine adoperate quello che vedete che sia onore di Dio: questo ci richiede la grande bontà di Dio, e per altro non ci à posti. Raguardate quanta necessità veggiamo ne la santa Chiesa, che in tutto la vediamo rimasa sola.

E così manifestava la Verità, sì come in una altra vi scrivo. E come è rimasa sola la sposa, così è lo sposo suo O padre dolcissimo, io non vi tacerò i misterii grandi di Dio; ma narrarogli el più breve che si potrà, secondo che la fragile lingua potrà narrare e esprimere. E anco vi dirò quello che io voglio che voi facciate; ma senza pena ricevete ciò che io vi dico, perché io non so quello che la divina bontà si farà di me, o del farmi rimanere o del chiamarmi a sé. Padre, padre e figliuolo dolcissimo, ammirabili misterii à Dio adoperati dal dì de la Circuncisione in qua, tanto che la lingua non sarebbe sufficiente a poterli narrare.

Ma lassiamo andare tutto quello tempo e veniamo a la domenica de la Sessagesima, ne la quale domenica furono, come in breve vi scrivo, quelli misterii che udirete, che già mai uno simile caso non mi parbe portare. Però che tanto fu el dolore del cuore, che 'l vestimento de la tonica si stracciò quanto io ne potei pigliare, rivoltandomi per la cappella come persona spasimata; e chi m'avesse tenuta propriamente m'averebbe tolta la vita. Venendo el lunedì a sera io era constretta di scrivere a Cristo in terra e a tre cardinali. Fecimi aitare e anda'mene ne lo studio; e scritto che io ebbi a Cristo in terra non ebbi modo di scrivere più, tante furono le pene che crebbero al corpo mio.

E stando un poco, si cominciò el terrore de le dimonia per sì-fatto modo, che tutta mi facevano stordire, quasi arrabbiando verso di me, come se io, vermine, fusse stata cagione di toller lo' di mano quello che lungo tempo ànno posseduto ne la santa Chiesa. Tanto era il terrore, con la pena corporale, che io volevo fuggirmi de lo studio, e andarmene in capella, come se lo studio fusse stato cagione de le pene mie.

Rizza'mi su, e non potendo andare m'appoggiai al mio figliuolo Barduccio. Subbito io fui gittata giù; essendo gittata, parbe a me come se l'anima si fusse partita dal corpo - non per quello modo come quando se ne partì, però che allora l'anima mia gustò el bene de gl'immortali, ricevendo quello sommo bene con loro insieme -, ma ora parevo come una cosa riservata, ché nel corpo a me non pareva essere, ma vedevo el corpo mio come se fusse stato un altro. E vedendo l'anima mia la pena di colui che era con meco, volse sapere se io aveva a fare cavelle col corpo, per dire a lui: «Figliuolo, non temere»; e io non viddi che lingua o altro membro gli potessi muovere, se non come corpo separato da la vita.

Lassai stare el corpo come egli si stava; e l'intelletto stava fisso nell'abisso de la Trinità: la memoria era piena del ricordamento de la necessità de la santa Chiesa e di tutto el popolo cristiano. Gridavo nel conspetto suo, e con sicurtà dimandavo l'aiutorio divino, offerendoli i desiderii, e constrignendolo per lo sangue dell'Agnello e per le pene che s'erano portate; e sì prontamente si dimandava, che certa mi pareva essere che egli non dinegarebbe quella petizione. Poi dimandavo per tutti voi altri, pregandolo che compisse in voi la volontà sua e i desiderii miei. Poi dimandavo che mi campasse da l'eterna dannazione, stando così per grandissimo spazio, tanto che la fameglia mi piangeva come morta. In questo tutto el terrore de le demonia era andato via.

Poi venne la presenzia de l'umile Agnello dinanzi all'anima mia, dicendo: «Non dubbitare, ché io compirò i desiderii tuoi e degli altri servi miei. Io voglio che tu vegga che io so' maestro buono, che fo come el vasellaio, el quale disfa e rifà i vaselli, come è di suo piacere. Questi miei vaselli io li so disfare e rifare, e però io piglio el vasello del corpo tuo, e rifollo nel giardino de la santa Chiesa, con altro modo che per lo tempo passato». E stregnendomi quella Verità con modi e parole molto atrattive, le quali trapasso, el corpo cominciò un poco a respirare, e mostrare che l'anima fusse tornata al vasello suo. Io era piena d'amirazione; e rimase tanto il dolore nel cuore, che anco me l'ò. Ogni diletto e ogni refrigerio e ogni cibo fu tolto da me.

Essendo poi portata nel luogo di sopra, la camera pareva piena di dimonia; e cominciarono a dare un'altra battaglia, la più terribile che io avessi mai, volendomi fare credere e vedere che io non fussi quella che era nel corpo, ma quasi uno spirito immondo. Io chiamavo l'adiutorio divino con una dolce tenerezza, non refiutando però labore, ma bene dicevo: «Dio, intende al mio adiutorio. Signore, affrettati d'aiutarmi (Ps 69,2). Tu ài permesso che io sia sola in questa battaglia, senza el refrigerio del padre dell'anima mia, del quale io so' privata per la mia ingratitudine». Due notti e due dì si passarono con queste tempeste: vero è che la mente e il desiderio veruna lesione ricevevano, ma sempre stava fisso nell'obiecto suo; ma el corpo pareva quasi venuto meno.

Poi, el dì de la Purificazione di Maria, volsi udire la messa: allora si rinfrescaro tutti i misterii; e mostrava Dio el grande bisogno che era, sì come apparbe poi, però che Roma è stata tutta per rivoltarsi, sparlando miseramente con molta irreverenzia, se non che Dio à posto l'unguento sopra e' cuori loro, e credo che averà buona terminazione. Allora m'impose Dio questa obedienzia, che io dovesse tutto questo tempo de la santa quaresima fare sacrificare i desiderii di tutta la fameglia, e fare celebrare dinanzi a lui solo con questo respetto, cioè per la Chiesa santa; e che io ogni mattina all'aurora udissi una messa, che sapete che a me è una cosa impossibile, ma all'obedienzia sua ogni cosa è stato possibile.

Tanto s'è incarnato questo desiderio che la memoria non ritiene altro, lo intelletto altro non può vedere, e la volontà altro non può desiderare. E non tanto che refiuti le cose di qua giù per questo, ma, conversando co' veri cittadini, l'anima non si può né vuole dilettare nel loro diletto, ma ne la fame loro, la quale ànno e ebbero mentre che furo perregrini e viandanti (He 11,13 1P 2,11) in questa vita. Con questo e molti altri modi, e' quali non posso narrare, si consuma e distilla la vita mia in questa dolce sposa, io per questa via, e i gloriosi martiri col sangue.

Prego la divina bontà che tosto mi lassi vedere la redenzione del popolo suo. Quando egli è l'ora de la Terza, io mi levo da la messa, e voi vedreste andare una morta a Santo Pietro; e entro di nuovo a lavorare ne la navicella de la santa Chiesa. Ine mi sto così infine presso all'ora del Vespro; e di quello luogo non vorrei uscire né dì né notte, infino che io non veggo un poco fermato e stabilito questo popolo col padre loro. Questo corpo sta senza veruno cibo, eziandio senza la gocciola dell'acqua, con tanti dolci tormenti corporali quanti io portasse mai per veruno tempo, in tanto che per uno pelo ci sta la vita mia.

Ora non so quello che la divina bontà si vorrà fare di me; quanto a quello che io mi sento - non dico che io senta la volontà sua in quello che egli vorrà fare di me, ma quanto al sentimento corporale - mi pare che questo tempo io el debba consumare con uno nuovo martirio ne la dolcezza dell'anima mia, cioè ne la santa Chiesa; poi forse che mi farà resuscitare con lui: porrà fine e termine sì a le mie miserie e sì a' cruciati desiderii, o egli terrà i suoi modi usati, di ricerchiare el corpo mio. Ò pregato e prego la sua infinita misericordia che compia la sua volontà in me, e che voi né gli altri non lassi orfani, ma sempre vi dirizzi per la via de la dottrina de la verità, con vero e perfettissimo lume. So' certa che egli el farà.

Ora prego e constringo voi, padre e figliuolo dato da quella dolce madre Maria, che - se voi sentite che Dio volla l'occhio de la sua misericordia verso di me - voi rinovelliate la vita vostra, e, come morto ad ogni sentimento sensitivo, voi vi gittiate in questa navicella de la santa Chiesa. E siate sempre cauto ne le conversazioni: la cella attuale poco potrete avere, ma la cella del cuore voglio che sempre abitiate in essa, e sempre la portiate con voi, però che, come voi sapete, mentre che noi ci siamo serrati dentro, i nemici non ci possono offendere. Poi ogni essercizio che farete sarà dirizzato e ordinato secondo Dio.

Anco vi prego che maturiate el cuore con una santa e vera prudenzia; e che la vita vostra sia essemplare negli occhi de' secolari, non conformandovi mai co' costumi del secolo. E quella larghezza verso i poveri e povertà voluntaria che avete avuta sempre, si rinnuovi e rinfreschi in voi, con vera e perfetta umilità. E per veruno stato o essaltazione che Dio vi desse non la allentate mai, ma più vi profondate ne la valle d'essa umilità, dilettandovi in su la mensa de la croce; e ine prendete el cibo dell'anime, abracciando la madre de l'umile fedele e continua orazione, con la vigilia, celebrando ogni dì, se non fusse per caso necessario. Fuggite el parlare ozioso e leggiero; e siate e mostratevi maturo nel parlare, e in ogni modo.

Gittate da voi ogni tenerezza di voi medesimo e timore servile, però che la Chiesa dolce non à bisogno di sì-fatta gente, ma di persone crudeli a loro e pietose a lei. Queste sono quelle cose le quali io vi prego che vi studiate d'osservare.

Anco vi prego che el Libro e ogni scrittura la quale trovaste di me, voi e frate Bartolomeo e frate Tommaso e il Maestro ve le rechiate per le mani; e fatene quello che vedete che sia più onore di Dio, con missere Tommaso insieme, nel quale io truovo alcuna recreazione. Pregovi ancora che a questa fameglia, quanto vi sarà possibile, voi lo' siate pastore e governatore, sì come padre, a conservarli in dilezione di carità e in perfetta unione, sì che non siano né rimangano sciolte come pecorelle senza pastore. E io credo fare più per loro e per voi doppo la morte mia che ne la vita. Pregarò la Verità eterna che ogni plenitudine di grazia e doni, che egli avesse dati nell'anima mia, gli trabocchi sopra voi altri, acciò che siate lucerne poste in su el candelabro (). Prego voi che preghiate lo Sposo eterno che mi facci compire virilmente l'obedienzia sua, e mi perdoni la moltitudine de le iniquitadi mie.

E voi prego che mi perdoniate ogni disobedienzia irreverenzia e ingratitudine, pena e amaritudine che io v'avesse data, e che io ò usata e commessa verso di voi, e la poca sollicitudine che io ò avuta de la vostra salute; e dimandovi la vostra benedizione. Pregate strettamente per me e fate pregare, per l'amore di Cristo crucifisso. Perdonatemi, che io v'ò scritte parole d'amaritudine; non ve le scrivo per darvi amaritudine, ma perché sto in dubio, e non so quello che la bontà di Dio si farà di me: voglio avere fatto el debito mio.

E non pigliate pena perché corporalmente siamo separati l'uno da l'altro, che poniamo che a me fusse di grandissima consolazione, maggiore m'è la consolazione e l'allegrezza di vedere el frutto che fate ne la santa Chiesa. Ora più sollicitamente vi prego che adoperiate, però che ella non ebbe mai tanto bisogno; e Cristo in terra e messere Tomasso vi mandano i ferri co' quali potiate bene lavorare; e per neuna persecuzione vi partite mai senza licenzia di nostro signore lo papa. Confortatevi confortatevi in Cristo dolce Gesù, senza veruna amaritudine. Altro non vi dico.

Permanete ne la santa e dolce dilezione di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.



374

A messer Bartolomeo della Pace.

Al nome di Gesù Cristo e di Maria dolce.

Carissimo e reverendo padre in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava de' servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi cavaliere virile e non timoroso, considerando me che 'l timore servile tolle la forza dell'anima e non può piacere al suo Creatore. Conviensi dunque al tutto tòllere questo timore.

Non mi pare che l'uomo abbi cagione di temere, però che Dio l'à fatto forte contra ogni aversario. Che può il demonio contra noi? egli è fatto infermo; perduta à la potenzia per la morte del Figliolo di Dio. Che può la carne, che è infermata per li flagelli e battiture di Cristo crocifisso? cioè, che l'anima che raguarda il suo Creatore, Dio e Uomo, svenato in su el legno della santissima croce, pone freno di subito a ogni movimento carnale e sensuale. Che potrà el mondo, con la superbia e stolte delizie sue? sconfitto l'à colla profonda umilità, sostenendo obrobrio e vitoperio. Debasi confondare l'umana superbia d'insuperbire, dove Dio è umiliato. Così dicea il nostro Salvatore, invitandoci a non temere di timore servile, dicendo: «Rallegratevi, ch'io ò vinto il mondo» (
Jn 16,33). Sì che i nimici sono sconfitti e l'uomo è forte, e di tanta fortezza che da veruno può esser vinto, se egli non vorrà. Questo dolce Idio ci à data la fortezza della volontà, che è la rocca de l'anima, che né dimonio né creatura me la può tòllere. Adunque bene potiamo star sicuri e non timorosi.

La sicurtà vostra voglio che sia in Cristo dolce Gesù: egli ci à vestiti del più forte vestimento che sia, dell'amore, affibiato con la maglia del libero arbitrio, che 'l puoi asciogliare e legare, secondo che vogli. Se questo vestimento della carità egli el vuole gettare, egli può, e s'egli il vuole tenere, anco può. Pensate, carissimo padre, che 'l primo vestimento che noi avessimo fu l'amore, però che fumo creati all'imagine e similitudine di Dio solo per amore; e però l'uomo non può stare senza amore, ché non è fatto d'altro che d'esso amore: ché ciò ch'egli à, secondo l'anima e secondo il corpo, à per amore, perché à el padre e la madre dato l'essere al figliuolo, cioè della sustanzia della carne sua, mediante la grazia di Dio, solo per amore.

Però è tanto obligato il figliolo al padre, ed eziandio per l'amore ched egli gli à - che ve lo inchina la natura - non può sostenere cavelle del padre, d'ingiuria che gli sia fatta, s'egli è vero figliuolo. (Guarda già che, per uno amore proprio di sé, egli fosse venuto a odio con lui: costui non seguita la natura sua, ma per la sua cechità n'è uscito fuore). Veramente così è, caro padre in Cristo dolce Gesù, che l'anima naturalmente in sé medesima die amare e seguitare il suo Padre Creatore, Dio etterno: che, vedendo che Dio l'à creata solo per amore, sentesi trare verso di lui, e non puote sostenere le 'ngiurie che gli sien fatte.

Vuolne fare la vendetta, per l'amore ch'egli à al padre, e questa è la ragione perché l'anima vuole sempre fare vendetta contra la parte sensitiva, che è suo nimico mortale; però che colui che va drieto a essa sensualità, egli rimane morto di morte etternale, crocifige Cristo un'altra volta, ché voi sapete che solo per lo peccato egli morì. Sì che l'anima inamorata di Dio, sommo etterno Padre, vuole seguitare la natura sua; l'amore gli fa perdare, e l'amore fa vendetta di sé medesimo, percotendo la falsa passione sensitiva: el dimonio, el mondo e la carne percotendo col coltello de l'odio e dell'amore, odio e dispiacimento del peccato, amore de la virtù, dilettandosi di quello che Dio amò, odiando quello che egli odiò. Allora rende l'anima il debito suo al padre, seguita la sua natura, già mai non n'esce. Guarda già che non ci mettesse el veleno dell'amore proprio di sé medesimo, d'amarsi fuore di Dio, ponendo lo studio suo nelle dilizie, stati e diletti del mondo, far della carne sua uno dio tenendola con disordinato diletto e dilicatezze. Questo cotale, non tanto che facci vendetta del nimico che gli à morto il padre, ma esso medesimo l'uccide.

Or non voglio che sia in voi, ma voglio che seguitiate l'anima gentile vostra, che Dio v'à data; con amore e libero arbitrio vi strignete e vi legate questo vestimento, che non sarà dimonio né creatura che ve 'l possa tòllere. Così vestito e armato delle virtù, col coltello de l'odio e dell'amore, perderete il timore servile, possederete la città dell'anima vostra; non ne schifarete mai i colpi di veruna tribulazione o pena che poteste sostenere, né voltarete il capo adietro, cioè cominciando a intrare nella via delle virtù e poi rivoltarvi el capo adietro a ripigliare el vomito de' peccati mortali. Non voglio così, ma con una vera perseveranzia infino a l'ultimo: però che 'l cominciare non è coronato né degno di gloria, ma solamente el perseverare. Grande viltà è de l'uomo di cominciar una cosa e non trarla a fine. O di quanta confusione sarebbe degno quel cavaliere, che si truova nel campo della bataglia, ed e' voltasse le spalle adietro! Su, padre carissimo, non più negligenzia, né voltate più el capo adietro a raguardare le stolte miserie del mondo, ché passano e' deletti suoi come il vento, senza veruna fermezza o stabilità. Non vi fidate della gioventudine del corpo vostro, né delle signorie del mondo: testé l'uomo è vivo, testé è morto; testé sano, testé infermo; testé signore, testé è fatto servo. Dunque, quanto è stolto l'uomo che ci pone l'afetto disordinato: fidasi di quello che non si può fidare, aspetta quello tempo che non può avere e fugge quello ch'egli può avere e tenere per suo, cioè la grazia, ché la può avere quantunque e' vuole e quando egli vuole - non per sé, ma per essa grazia, dono di Spirito santo, che gli à dato il libero arbitrio -.

O inestimabile dolcissima carità, chi t'à mosso? solamente l'amore. O dolcissimo amore Gesù, per fare più forte questa anima e torli la debilezza nella quale era caduta per lo peccato, tu l'ài murata atorno atorno, intrisa la calcina coll'abondanzia del sangue tuo, el quale sangue fa unire e conformare l'anima nella divina dolce volontà e carità di Dio. Ché, come in mezzo tra pietra e pietra, per conformarse insieme in fortezza, vi si mette la calcina intrisa con l'acqua, così Dio à messo in mezzo fra la creatura e sé il sangue dell'unigenito suo Figliuolo, intriso colla calcina viva del fuoco dell'ardentissima carità: però non è sangue senza fuoco, né fuoco senza sangue. Isparto fu il sangue col fuoco dell'amore che Dio a l'umana generazione ebbe. Per questo muro è fatto l'anima tanto forte che veruno vento contrario el potrà dare a terra, se non vorrà smurarlo sé medesimo, dandovi col piccone del peccato mortale.

Qual serà quello cuore tanto duro e ostinato che non si muova, a raguardare tanto infinito amore e la grande sua dignità, dove egli è posto, per grazia di Dio e non per debito? Non sarà veruno che, raguardandolo e ponendoselo per oggetto, che non trapassi ogni sensualità, e non disolva ogni durizia e ignoranzia; riceverà perfettissimo lume e cognoscimento di sé, vedendo e cognoscendo sé non essere e la bontà di Dio in sé, che gli à dato l'essere e ogni grazia ch'è fondata sopra l'essere. Accendasi el cuore e l'anima vostra in Cristo dolce Gesù, con amore e desiderio, a rendarli cambio a tanto amore, a rendarli vita per vita. Egli à dato la vita per voi, e voi vogliate dare la vita per lui, sangue per sangue. E io v'invito, da parte di Cristo crocifisso, a darlo el sangue vostro per lo sangue suo, quando verrà el tempo aspettato da' servi di Dio, d'andare a racquistare quello che ci è tolto, cioè 'l luogo santo del sepolcro di Cristo, e sì l'anime degl'infedeli, che sono nostri fratelli, ricomperati del sangue di Cristo come noi: e 'l luogo trare delle mani loro, e l'anime loro delle mani delle dimonia e della loro infideltà. Invitovi a non esser negligente né tardare quando sarete invitato, quando il padre santo rizzarà il gonfalone della santissima croce, ordenando il santo e dolce passagio. Non mi pare che sia veruno che se ne debba ritrare né fugirlo, ch'egli non corra: per timore di morte non tema. E però dissi ch'io desideravo di vedervi cavaliere virile e non temoroso; el sangue vi farà inanimare e fortificaravi, torravi ogni timore.

Pregovi, per l'amore di Cristo crocifisso, che con letizia e desiderio atenete la 'nvitata di queste dolci e gloriose nozze, ch'elle sono nozze piene di letizia, di dolcezza e d'ogni soavità. A queste nozze si lascia la immondizia, e libera della colpa e della pena; pasceli alla mensa dello Agnello, ch'è cibo in essa e servitore. Vedete che 'l Padre ci è mensa, che tiene in sé ogni cosa che è, eccetto che 'l peccato - che non è - non è in lui. El Verbo del Figliuolo di Dio ci è fatto cibo, arrostito al fuoco dell'ardentissima carità. Lo Spirito santo ci è servidore, essa carità, che per le sue mani ci à donato e dona Idio. Ogni grazia e dono spirituale e temporale egli ce la ministra continuamente: bene sareste semplice, voi e chi el facesse, che si dilungasse da tanto diletto! Parmi che ogn'uomo, se non potesse andare ritto, vi vada carponi, acciò che potiamo mostrarli segno d'amore a lui, dandogli la vita per amore della vita, scontiare i peccati e difetti nostri con lo strumento del corpo, sì come collo istrumento del corpo aviamo offeso.

Questa sarà la santa e dolce vendetta che noi faremo di noi medesimi. Essendo venta questa parte sensitiva e fragile corpo nostro, rimaremo vencitori. La ragione e l'anima nostra rimarrà libera e donna; possederà Idio, ch'è sommo etterno bene. Non indugiamo più tempo, padre carissimo: seguitate le vestigie di Cristo crocifisso, bagnatevi nel sangue di Cristo crocifisso, nascondetevi nelle piaghe di Cristo crocifisso, ponetevi per ogietto dinanzi agli occhi dell'anima vostra Cristo crocifisso, acciò che rimaniate in amore e in timore filiale, temendo la colpa e non la pena. Non dico di più. Perdonate alla mia ignoranzia; l'amore e 'l desiderio mi scusi, e 'l dolore di vederci correre ostinati e accecati nelle miserie del peccato mortale.

Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.

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375
DESTINATARIO IGNOTO

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo figliuolo in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava de' servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi piena la memoria del sangue di Cristo dolce Gesù crocifisso, e aperto l'occhio dello intelletto a riguardare il fuoco della divina carità, la quale v'è manifesta in esso sangue di Cristo Gesù dolce.

Allora la volontà e l'affetto s'empierà e sazierà d'amore, però che l'affetto ama quello che lo inteletto à veduto; e così vedrò accordate e congregate le tre potenzie dell'anima nostra, e sarà adempiuta quella parola che disse el nostro Salvatore: «Quando saranno due o tre congregati nel nome mio, io sarò in mezzo di loro» (
Mt 18,20), e veramente così è. E questo parve che il nostro Salvatore volesse dire: che, congregate le tre potenzie dell'anima, che la memoria s'empia del sangue e de' benifici d'Iddio, l'occhio dello intelletto veggia, ponendosi per obbietto l'amore ineffabile che Iddio gli à, e la volontà ami.

Seguita che, congregate queste tre potenzie, tutte l'operazioni che l'uomo fa e adopera, tutte sono congregate nel nome di Dio, perché per lui è fatto ogni cosa. Allora l'anima nostra gode, ché si vede avere Iddio in mezzo di sé per grazia e per affetto dolce d'amore. Adunque io voglio che siate sollecito ad andare alla fonte del sangue, e empietene il vasello della memoria vostra. Altro non dico. Priegovi per l'amore di Cristo crocifisso etc.

Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio. Dolce Gesù, dolce Gesù. Amen.

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376
DESTINATARIO IGNOTO Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

A voi, carissimo figliuolo in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava de' servi di Gesù Cristo, iscrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi vestito di Cristo dolce Gesù, e spogliato dello antico vecchio peccato, el quale procede dallo amore propio sensitivo che l' uomo à a sé medesimo.

Oimé! egli è quell'amore che acciega l'anima, toglie la vita e dàgli la morte, toglie la ricchezza della virtù e dàgli la povertà: egli è iscordante del prossimo suo. S'egli è suddito, non ubbidisce, perché è fondato in superbia; s'egli è prelato o signore, non corregge, per timore di perdere la signoria; s'egli è giudice, non giudica giustamente secondo coscienzia, ma secondo le volontà e piaceri degl'uomini. Tutto questo procede dalla perversità dell'amore propio, ché se l'uomo non amasse sé per sé, ma amasse sé per Dio, non farebbe così: col timore suo farebbe ciò che avesse a fare, tenendo Iddio dinanzi agli occhi dello intelletto suo (e perde l'amore sensitivo, e acquista uno amore ineffabile del suo Creatore; spoglia sé dell'uomo vecchio, e veste sé dell'uomo nuovo, ché, vestendosi d'amore d'affetto di carità, si truova vestito di Cristo crocifisso, cioè che non cerca né Iddio né virtù sanza fatica, ma per la via della croce, seguitando le vestigie della prima dolce Verità).

Questo fa l'anima inamorata d'Iddio, che poi ch'è aperto l'occhio dello intelletto a riguardare l'amore inistimabile che Iddio gli à - che per amore gli à dato il Verbo dell'unigenito suo Figliuolo, e il Figliuolo à dimostrato l'amore con pena, sostenendo infine alla obbrobiosa morte della croce -, allora concepe tanto amore in sé che in tutto egli vuole seguitare in pena e in croce, sostenendo fame e sete, persecuzione, molestie dal mondo, dal dimonio e da sé medesimo; con tutti resiste e combatte, per amore della virtù.

Egli ama quello che Iddio ama, odia quello che Iddio odia, perché Cristo benedetto amò la virtù e avea in odio il peccato, e però ne volle morire e punirlo sopra il corpo suo. Costui il volle seguitare; per sì-fatto modo n'è fatto amatore delle pene, che se fussi possibile avere virtù sanza fatica non la vuole, per unirsi con Cristo crocifisso.

Costui fa il contrario che colui che è nello amore propio: egli à il cuore largo e liberale d'amare Iddio e 'l prossimo suo come sé medesimo, ubbidiente e umile sanza superbia, giusto giudice che rende a ciascuno il debito suo; non è cieco né ignorante, anzi è illuminato, e - vera sapienzia! - discerne e vede quello che à a fare, perché egli à tratto da sé l'amore propio che l'accecava; riceve l'aiuto della grazia, collo amore divino e lume della fede, mediante il sangue del Figliuolo d'Iddio: di questo si sazia e sì se ne inebria di fuoco d'amore. Veste sé dell'uomo nuovo, che ripara a' colpi delle ricchezze e delle avversità del mondo e agli inganni del dimonio, e in tutti è forte; per Cristo crocifisso sé reputa fare ogni cosa. Nelle pene si diletta, ne' diletti temporali si contrista, per odio e dispiacimento della parte sensitiva che è stata ed è ribella al suo Criatore. A questo modo si spoglia dell'amore di sé, e vestesi dello amore d'Iddio. Vedete quanto è necessario ad essere vestito di sì glorioso vestimento. Essendo noi posti in questo campo della battaglia, per gli colpi che ci sono dati verremo meno, però dissi io che io desideravo di vedervi vestito, considerando me che altro modo non c'era a potere gustare e avere Iddio per grazia in questa vita. Priegovi che siate sollecito e non nigrigente, cercando le vie e modi el quale vel faccino avere.

Iscrivestimi se mi parea il meglio lo stare di qua, perché avate disiderio per più pace e salute vostra, del venire. Figliuolo mio dolce, io non so bene discernere quale sia il meglio, ma voi avete provato di qua e di costà; dove voi trovate più pace e più quiete e meno pericolo dell'anima vostra, quello pigliate, secondo che lo Spirito santo v'amaestra. E io ò pregato e pregherrò lui che v'ispiri, o qui, o costì, o a Roma, di farne quello che sia più onore suo e bene di voi. Altro non vi dico.

Permanete nella santa e dolce dilezione d'Iddio. Gesù dolce, Gesù amore.

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377
A' signori Priori dell'arte e 'l Confaloniere della giustizia della città di Firenze.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimi fratelli e signori miei in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava de' servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi legati e uniti nel legame della carità, el quale legame è di tanta fortezza che né dimonio né creatura il può tagliare, e di tanta unione che niuno può separare l'anima ch'è unita in questa perfetta carità.

Non la può separare il mondo co' suoi inganni, né colle sue frode, né colle sue mormorazioni e infamie; né il dimonio colla sua astuzia né con diversi e sottili inganni suoi, che spesse volte con inganni si pone in sulla lingua della creatura facendoli dire parole di rimproverio al prossimo suo - questo fa solo per privarlo dell'unione della carità -; né la propria sensualità colla fragile carne la può separare, ma co' lume della ragione la dispregia con dispiacimento della propria colpa sua. Questi combatte virilmente col mondo, e non n'è mai vinto, ma sempre vince, perché Dio, che è somma e etterna fortezza, è dentro nell'anima sua per grazia; e in qualunque stato la persona è, vive virilmente e con affetto di virtù quando è legato in sì dolce legame, e unito nella dilezione e carità dolce del prossimo suo.

Se elli è suddito secolare, elli è sempre obediente alla legge divina, oservando i dolci comandamenti di Dio, e alla legge civile, non trapassando le costituzioni e comandamento del signore suo; se elli è religioso, è oservatore dell'Ordine infino alla morte; e se viene a stato di signoria, in lui riluce la margarita della santa giustizia, tenendo ragione e giustizia al picciolo come al grande, e al povaro come a ricco. E non la guasta questa virtù della giustizia né per piacere alli uomini, né per rivenderia di pecunia, né per amore che elli abbi al suo bene particulare, però che non atende al suo bene proprio ma al bene universale di tutta la città, e però apre l'ochio dello intelletto non passionato per alcuna ingiuria che elli abbi ricevuta, ma al bene comune.

Questa è quella dolce virtù che pacifica la creatura col suo Creatore, e l'uno cittadino coll'altro, perché ella esce della fontana della carità e vincolo d'amore e unione perfetta, la quale à fatta in Dio e nel prossimo suo. Onde considerando me ch'ella v'è tanto di necessità, e singularmente in questo tempo, dissi che io desideravo di vedevi legati e uniti nel legame della carità, però che in altro modo non verreste in effetto di quello che disiderate.

Voi avete desiderio di riformare la vostra città; ma io vi dico che questo desiderio non s'adempirà mai, se voi non vi ingegnate di gittare a terra l'odio e 'l rancore del cuore e l'amore proprio di voi medesimi, cioè che voi non atendiate solamente a voi, ma al bene universale di tutta la città. Unde io vi priego per l'amore di Cristo crocifisso che per l'utilità vostra voi non miriate a mettere governatori nella città più uno che un altro, ma uomini virtuosi, savi e discreti, e' quali col lume della ragione diano quello ordine che è di necessità, per la pace dentro e per confermazione di quella di fuori, la quale Idio ci à conceduta per la infinita sua misericordia, d'avere pacificati i figliuoli col padre, e rimesse noi pecorelle nell'ovile della santa Chiesa. E però fate che voi non siate ingrati a tanto benefizio, el quale avete ricevuto da Dio, col mezzo delle lagrime e della continua orazione de' servi suoi, non per le nostre virtù, ma solo in virtù dell'afocata carità di Dio, el quale non dispregia l'orazione e 'l desiderio de' servi suoi.

Dicovi che se non sarete grati e conoscenti al vostro Creatore si secarebbe verso di noi la fonte della pietà: unde io vi priego che giusto al vostro potere voi vi studiate di mostrare questa gratitudine, d'ordinare che voi tosto abiate le messe e l'asoluzione ordinata - acciò che si possa dire l'oficio con voce di laude dinanzi a Dio -, e una processione ordinata con debita devozione, acciò che le dimonia - che per li nostri peccati ànno accopata la città e tolto il lume e 'l conoscimento alli uomini - si caccino, legandole con questo dolce legame della carità, e così non ci potranno nuocere, ma più tosto noi noceremo a loro. Per questo modo compierete el vostro e 'l mio desiderio, cioè di riformare la città vostra in buono stato, e terretela in vera e perfetta pace. Ma se ogniuno volesse tirare a suo parere con poco senno di ragione, nol fareste mai, però che la cosa che non è unita non può tenere pur la casa sua, non tanto che una città così-fatta. Vogliono essere uomini maturi, esperti, e non fanciulli, e così vi priego che facciate; e ingegnatevi di tenere i cittadini vostri dentro e non di fuore, però che usciti non fece mai buona città, la quale reputo mia; e il dolore ch'io ò di vederla in tanta fadiga me ne scusi.

Non credetti scrivarvi, ma a bocca con voce viva vi credetti dire queste simili parole, per onore di Dio e vostra utilità, ché mia intenzione era di visitarvi e fare festa con voi della santa pace, per la quale pace io tanto tempo mi so' afadigata in ciò che io ò potuto secondo la mia possibilità e la mia poca virtù; se più virtù avessi avuta, più virtù avrei adoperato. Fatta festa e ringraziato la divina bontà e voi, mi volevo partire, e andarmene a Siena. Ora pare che 'l dimonio abbia tanto seminato ingiustamente ne' cuori loro verso di me, che io non ò voluto ch'essi agiunghino più offesa sopra offesa, però che quanto più se n'agiugnesse, più cresciarebbe ruina. Sonmi partita colla divina grazia, e priego la somma etterna bontà che pacifichi e unisca e leghi e' cuori vostri, l'uno coll'altro, sì in affetto di carità che né dimonio né creatura vi possa mai separare. Ciò che per me per la salute vostra si potrà adoperare, infino alla morte adoperrò volentieri, a malgrado de' dimoni visibili e invisibili, che vogliono impedire ogni santo desiderio.

Vommene consolata, perch'è compiuto in me quello che io mi puosi in cuore quando entrai in questa città, di mai non partirmi, se io ne dovessi morire, infino che io non vedessi pacificati voi figliuoli col vostro padre, vedendo tanto pericolo e danno nell'anime e ne' corpi. Dolorosa e con tristizia mi parto, lassando la città in tanta amaritudine; ma Dio etterno che m'à consolata dell'una mi consoli dell'altra, che io vi vega e senta pacificare in buono e fermo e perfetto stato, acciò che potiate atendere a rendere gloria e loda al nome suo, e non con tanta aflizione stare sotto l'arme. Spero che la clemenzia dolce di Dio vollerà l'ochio della sua misericordia, e compirà il disiderio de' servi suoi. Altro non vi dico.

Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.

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Caterina, Lettere 373