Catechismo Tridentino 1020

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ARTICOLO SECONDO E in Gesù Cristo, suo unico Figliuolo, nostro Signore.

Utilità dell'articolo.

32. Quanto mirabile e ricco vantaggio si sia riversato su tutto il genere umano dalla fede e dalla confessione di questo articolo, lo mostrano da una parte la testimonianza di san Giovanni: Chi professerà che Gesù è Figlio di Dio, Dio dimora in lui ed egli in Dio (1Jn 4,15); dall'altra quell'attestato di beatitudine, elargito da nostro Signore al Principe degli apostoli: Beato te, Simone, figlio di Giona, perché non te l'ha rivelato la carne e il sangue, ma il Padre mio che è nei cieli (Mt 16,17). Qui sta il fondamento più saldo della nostra salvezza e redenzione. Ma per intenderne appieno le ripercussioni benefiche, occorre insistere specialmente sulla perdita di quel felicissimo stato, in cui Dio aveva collocato i primi rappresentanti del genere umano. Curi perciò il Parroco che i fedeli vengano a conoscere la causa delle nostre misere condizioni.

La caduta dell'uomo.

33. Adamo manco all'obbedienza verso Dio col trasgredirne il comando: mangerai i frutti di qualsiasi albero del paradiso, ma non toccherai quelli dell'albero della scienza del bene e del male, poiché il giorno che li toccherai ne morrai (Gn 2,16-17). Cadde perciò intanta disgrazia, da perdere senz'altro la santità e la giustizia in cui era stato posto, e da subire tutti quegli altri malanni, che il concilio Tridentino spiego ampiamente (Sess. 5, can. 1,2; Sess. 6, can. 1). Ricorderanno i Pastori che il peccato e la sua pena non sono rimasti circoscritti al solo Adamo; ma da lui, seme e causa, si sono naturalmente propagati a tutta la posterità.

Necessità della fede nel Redentore.

34. Risollevare il genere umano precipitato dall'altissimo grado di dignità, ricondurlo al suo primiero stato, non era impresa proporzionata alle forze degli uomini o degli angeli. L'unico rimedio possibile alla rovina e ai mali era che l'infinita virtù del Figlio di Dio, assunta la fragilità della nostra carne, cancellasse l'infinita malizia del peccato e a Dio ci riconciliasse a prezzo del suo sangue.

Credere e professare il mistero della redenzione è e fu sempre per gli uomini necessario al conseguimento della salvezza; per questo Dio l'annuncio fin dall'inizio. Cosi nell'atto stesso di condanna, scagliato sull'uman genere subito dopo il peccato, fu indicata la speranza della redenzione nelle parole con cui preannunzio al demonio la sconfitta, a cui l'avrebbe costretto con la liberazione degli uomini: Porro inimicizia fra te e la donna, tra il tuo e il suo seme; essa ti schiaccerà il capo e tu insidierai al suo tallone (Jr 3,15). Più tardi confermo ripetute volte la medesima promessa, manifestando il proprio disegno in una maniera più esplicita, soprattutto a coloro, cui volle dar prova di singolare benevolenza. Tale mistero fu spesso accennato, fra gli altri, al patriarca Abramo, e in modo apertissimo quando egli, docile ai comandi di Dio, stette per immolare l'unico suo figlio, Isacco. Disse infatti: Poiché hai fatto cio, non risparmiando il tuo unigenito, ti benediro e moltiplichero la tua progenie come le stelle del cielo e l'arena innumerevole sulla sponda del mare. Possederà essa le porte dei tuoi nemici; nel seme tuo saranno benedette tutte le genti della terra, perché obbedisti alla mia voce (Gn 22,16-18). Dalle quali parole era naturale ricavare che dalla progenie di Abramo sarebbe uscito Colui, che doveva donare la salvezza a tutti gli affrancati dal giogo immane di Satana. Ora il liberatore non poteva essere altri che il Figlio di Dio, uscito dalla progenie di Abramo, secondo la carne.

Poco più tardi, perché il ricordo della promessa fosse conservato, il Signore strinse il medesimo patto con Giacobbe, nipote di Abramo. Nel sogno gli apparve infatti una scala poggiata sulla terra e toccante con l'apice i cieli; e sulla scala vide gli angeli di Dio scendere e salire, come narra la Scrittura. E udi il Signore, dal sommo della scala, dirgli: Io sono il Signore, il Dio di Abramo, tuo padre, il Dio di Isacco; daro la terra, su cui dormi, a te e alla tua posterità, numerosa come la polvere della terra. Ti propagherai a oriente e a occidente, a settentrione e a mezzogiorno; saranno benedette in te e nella tua semenza tutte le tribù della terra (Gn 28,12-14).

Dio non ristette poi dal rinnovare la promessa, suscitando il senso dell'attesa tra i discendenti di Abramo e tra molti altri ancora. Anzi, bene organizzatasi la società e la religione dei giudei, essa divenne anche più nota in mezzo al popolo. Molte furono le figure e molte le profezie delle grandi cose buone che il salvatore e redentore nostro Cristo ci avrebbe arrecato. In particolare i profeti, il cui spirito era illuminato da luce celeste, apertamente, quasi vi fossero presenti, preannunziarono al popolo la nascita del Figlio di Dio, le opere ammirabili che, fatto uomo, avrebbe compiuto, la sua dottrina, i costumi, la sua vita, la morte, la risurrezione e tutti gli altri suoi misteri. Sicché, se prescindiamo dalla diversità, che è tra futuro e passato, vediamo che nessuna divergenza sussiste tra le predizioni dei profeti e la predicazione degli apostoli, tra la fede dei vecchi patriarchi e la nostra. Spieghiamo ora tutte le parti di questo articolo.

Il nome di Gesù, imposto per divino comando, è ben appropriato al Redentore.

302 35. In Gesù Cristo. Gesù, che significa salvatore, è il nome proprio di colui che è Dio e uomo. Non gli fu imposto a caso, o per volontà e decisione umana, bensi per decisione e comando di Dio. Infatti l'Angelo annuncio alla madre di lui, Maria: Ecco, concepirai nel seno e partorirai un figlio, al quale porrai nome Gesù (Lc 1,31). E più tardi non solo comando a Giuseppe, sposo della Vergine, di chiamare il bambino con quel nome, ma ne addusse anche la ragione, dicendo: Giuseppe, figlio di David, non esitare a prender Maria in tua consorte; poiché quel ch'è nato in lei, è da Spirito santo. Partorirà un figliuolo, cui porrai nome Gesù; perché egli libererà il suo popolo dai suoi peccati (Mt 1,20-21).

Molti personaggi veramente portano nella sacra Scrittura questo nome: per es. il figlio di Nave, che successe a Mosè e, cosa a questo negata, introdusse nella terra promessa il popolo liberato da lui dall'Egitto; e il figlio del gran sacerdote Iosedech. Ma con quanta maggiore verità non troviamo noi che esso conviene al nostro Salvatore. Egli infatti conferi la luce, la libertà, la salvezza, non ad un popolo, ma all'umanità di tutti i tempi; umanità non già oppressa dalla fame, o dal dominio egiziano, o babilonese, bensi sperduta nell'ombra della morte, gemente nei durissimi ceppi del peccato e del diavolo; guadagno per lei il diritto ereditario al regno celeste e la riconcilio con Dio Padre.

In quei personaggi dobbiamo scorgere raffigurato Cristo Signore, dal quale il genere umano fu ricolmato dei doni mentovati. Tutti i nomi del resto, che furono preannunciati come riferiti, per disposizione divina, al Figlio di Dio, si riassumono in quest'unico nome di Gesù; poiché mentre essi esprimono, ciascuno sotto un parziale punto di vista, la salvezza che Egli ci doveva impartire, questo abbraccia l'efficacia e la ragione della universale salvezza umana.

Gesù Cristo, re, sacerdote, profeta.

36. Al nome di Gesù è stato accoppiato quello di Cristo, che significa Unto; ed è titolo di onore e di ministero, riservato però non a uno solo, ma a diversi uffici. Perché gli antichi padri chiamavano cristi i sacerdoti e i re, che Dio aveva comandato di ungere, in vista della dignità del loro ufficio. In realtà i sacerdoti sono coloro che raccomandano a Dio, con l'assidua preghiera, il popolo, offrono a Dio sacrifici, implorano per la gente. Ai re poi è affidato il governo dei popoli; ad essi spetta sopra tutto tutelare il prestigio delle leggi e la vita degli innocenti, vendicare l'audacia dei perversi. Ora poiché tali funzioni sembrano rispecchiare sulla terra la maestà di Dio, era naturale che i candidati all'ufficio sacerdotale o regale fossero unti con unguento. Fu anche antica consuetudine ungere i profeti, interpreti di Dio immortale, araldi fra gli uomini dei celesti segreti, esortatori efficaci alla correzione dei costumi, per mezzo di precetti e di previsioni.

Venendo al mondo, il nostro Salvatore Gesù Cristo assunse l'ufficio della triplice personalità di profeta, di sacerdote, e di re; per questo è stato chiamato Cristo ed è stato unto, allo scopo di assolvere il molteplice compito, non per le mani di alcun mortale, ma per virtù del Padre celeste: non con uguento terreno, ma con olio spirituale.

Nella sua santissima anima infatti fu versata una pienezza di doni dello Spirito santo, più ricca e generosa di quella che alcuna natura creata possa ospitare. Lo aveva mirabilmente annunziato il Profeta, rivolgendosi direttamente al Redentore: Tu hai amato la giustizia e odiato l'iniquità; perciò il Signore, tuo Dio, ti ha consacrato con olio di letizia sopra i tuoi compagni (Ps 44,8). E anche più esplicitamente l'aveva mostrato Isaia: Lo Spirito del Signore è sopra di Me, avendomi unto e mandato a evangelizzare i mansueti (Is 61,1).

Gesù Cristo fu dunque il profeta e il maestro per eccellenza, poiché ci fece manifesta la volontà di Dio, e dal suo insegnamento il mondo intero attinse la conoscenza del Padre celeste. Tale qualifica gli conviene tanto più propriamente, in quanto tutti coloro che meritarono il nome di profeti furono suoi discepoli, inviati col precipuo scopo di annunciare lui, il Profeta, che sarebbe venuto per la salvezza di tutti.

Parimente Cristo fu sacerdote, non di quell'ordine sacerdotale cui appartennero nell'antica legge i sacerdoti della tribù di Levi; ma di quello cantato da David con le parole: Tu sei sacerdote in eterno, secondo l'ordine di Melchisedech (Ps 109,4); concetto accuratamente spiegato dall'Apostolo nella lettera agli Ebrei. Infine in Cristo riconosciamo un re, non solo in quanto Dio, ma anche in quanto uomo e partecipe della nostra natura, avendo di lui dichiarato l'Angelo: Regnerà in eterno sulla casa di Giacobbe, e il suo regno non conoscerà tramonto (Lc 1,33). Il regno di Cristo però è spirituale ed eterno: iniziato sulla terra, si corona in cielo. Egli esercita mirabilmente le prerogative regali nella Chiesa, governandola, proteggendola dall'impeto e dalle imboscate dei nemici, imponendole leggi, e non solo elargendole santità e giustizia, ma dandole capacità e forza suffidente per perseverare. Sebbene nei confini di tal regno siano promiscuamente compresi buoni e cattivi, e quindi tutti gli uomini a rigore vi appartengano, tuttavia coloro che, uniformandosi ai suoi precetti, conducono vita integra e pura, sperimentano sopra ogni altro l'esimia bontà e beneficenza del nostro Re. Tale regno non tocco a Gesù Cristo, per essere rampollo di illustri sovrani, in virtù di un diritto ereditario, o comunque umano: egli fu re perché nella sua umanità Dio concentro quanto la natura umana può possedere di potenza, di grandezza, di dignità. Con ciò stesso Dio gli conferi il regno del mondo intero, e tutto nel di del giudizio sarà pienamente e perfettamente sottoposto a lui, come già del resto si comincia a vedere nella vita presente.

Gesù Cristo è Figlio di Dio per generazione ineffabile.

303 37. Suo unico Figliuolo, Queste parole propongono alla fede e alla meditazione dei cristiani misteri anche più alti intorno a Gesù; e precisamente che egli è Figlio di Dio e vero Dio, uguale al Padre, che lo genero fin dall'eternità. Inoltre riconosciamo cosi che egli è la seconda Persona della Trinità, del tutto uguale alle altre due. Non si può infatti immaginare qualcosa di vario e di dissimile nelle Persone divine, avendo in tutte ammesso la stessa essenza, volontà e potenza. Questo articolo di fede risulta da molti tratti biblici, ma soprattutto dal celeberrimo testo di san Giovanni: In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio (Jn 1,1).

Sentendo che Gesù è Figlio di Dio, non dobbiamo ricorrere col pensiero ad una origine, che implichi qualche elemento terreno o mortale. Noi non possiamo cogliere con la ragione e compiutamente comprendere l'atto mediante il quale, da tutta l'eternità, il Padre genero il Figlio; però lo dobbiamo credere con fermezza e venerare col più intimo ossequio del cuore, esclamando, stupiti avanti al mirabile mistero, col Profeta: Chi spiegherà la sua generazione? (Is 56,8). Dobbiamo dunque ritenere che il Figlio possiede la medesima natura, potenza e sapienza del Padre, come confessiamo più apertamente nel simbolo Niceno: In Gesù Cristo suo unico Figliuolo, nato dal Padre prima di tutti i secoli; Dio da Dio, luce da luce, vero Dio da vero Dio; generato, non fatto, consostanziale al Padre; per mezzo di lui tutto è stato fatto.

Duplice natività e filiazione di Gesù Cristo.

38. Tra le diverse similitudini presentate per adombrare la maniera e la natura della generazione eterna, la più felice è quella ricavata dalla genesi del pensiero umano. San Giovanni appunto lo chiama Verbo il Figlio di Dio. Infatti, come la nostra mente, intuendo in certo modo se stessa, foggia un'immagine di sé, che i teologi chiamano verbo, cosi Dio (per quanto è dato paragonare con le realtà umane le divine), comprendendo sé, genera il Verbo eterno. Ma vai meglio arrestarsi a contemplare quel che la fede propone; cioè credere e professare che Gesù Cristo è insieme vero Dio e vero uomo; generato, come Dio, prima dell'alba dei secoli, dal Padre; come uomo, nato nel tempo da Maria vergine e madre.

Gesù Cristo unica Persona e unico Figlio del Padre.

39. Pur riconoscendo la sua duplice generazione, crediamo unico il Figlio, perché è un'unica persona, in cui convergono la natura divina e l'umana. Sotto l'aspetto della generazione divina non ha fratelli o coeredi, perché Figlio unico del Padre; mentre noi uomini siamo opera e formazione delle sue mani. Sotto l'aspetto invece dell'origine umana, egli non solo chiama molti col nome di fratelli, ma anche li tratta come tali, affinché con lui raggiungano la gloria dell'eredità paterna. Son coloro che ricevettero con fede Gesù Cristo Signore, e manifestano in pratica, con le opere di carità, la fede oralmente professata. In questo senso egli fu chiamato dall'Apostolo: Primogenito fra una moltitudine di fratelli (Rm 8,29).

Gesù Cristo è nostro Signore secondo le due nature.

304 40. Nostro Signore. Le sacre Scritture attribuiscono al Salvatore molteplici qualità, di cui alcune chiaramente gli spettano come Dio, altre come uomo, avendo Egli in sé, con la duplice natura, le proprietà rispettive. Rettamente dunque dicevamo che Gesù Cristo, per la sua natura divina, è onnipotente, eterno, immenso; mentre per la sua natura umana, diciamo che ha patito, è morto, è risorto. Ma, oltre questi, altri attributi convengono a entrambe le nature, come quando, in questo articolo, lo diciamo nostro Signore; a buon diritto del resto, potendosi riferire tale qualifica all'una e all'altra natura.

Infatti egli è Dio eterno come il Padre; cosi pure è Signore di tutte le cose quanto il Padre. E come egli e il Padre non sono due distinti Dei, ma assolutamente lo stesso Dio, cosi non sono due Signori distinti. Ma anche come uomo, per molte ragioni è chiamato Signore nostro. Innanzi tutto perché fu nostro Redentore e ci libero dai nostri peccati, giustamente ricevette la potestà di essere vero nostro Signore e meritarne il nome. Insegna infatti l'Apostolo: Si umilio, fattosi ubbidiente fino alla morte e morte di croce; per cui Dio lo ha esaltato, conferendogli un nome, che è sopra ogni altro, onde al nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi, in cielo, in terra, nell'inferno; e ogni lingua proclami che il Signore Gesù Cristo è nella gloria di Dio Padre (
Ph 2,8-11). Egli stesso disse di sé dopo la risurrezione: Mi è stato conferito ogni potere in cielo e sulla terra (Mt 28,18). Inoltre è chiamato Signore per aver riunito in una sola Persona due nature, la divina e l'umana. Per questa mirabile unione merito, anche senza morire per noi, d'essere costituito quale Signore, sovrano di tutte le creature in genere, e specialmente dei fedeli che gli obbediscono e lo servono con intimo affetto.

Quanto il cristiano debba a Gesù Cristo.

41. Infine il Parroco esorterà il popolo fedele a riconoscere quanto sia giusto che noi, sopra tutti gli uomini, - avendo tratto da lui il nome di cristiani, e non potendo ignorare gli immensi benefici di cui ci ha ricolmato, anche perché la sua bontà ce li fece conoscere per fede - ci consacriamo per sempre come servi docili al Redentore e Signor nostro. Promettemmo di farlo quando l'iniziazione battesimale ci schiuse le porte della Chiesa. Dichiarammo allora di rinunciare a Satana e al mondo, e di donarci tutti a Gesù Cristo. Se dunque per essere introdotti nella milizia cristiana ci consacrammo a nostro Signore con si santa e solenne promessa, di qual supplizio non saremo meritevoli, se dopo aver passato la soglia della Chiesa, dopo aver conosciuto la volontà e la legge di Dio, e aver usufruito della grazia dei sacramenti, vivessimo secondo le prescrizioni e le massime del mondo e del diavolo, quasi che nell'atto del battesimo, non a Cristo Signore e Redentore avessimo dato il nostro nome, ma al mondo e a Satana? Ma in quale anima non accenderà fuochi di amore la volontà di cosi grande Signore, tanto benigna e propizia verso di noi, che, pur avendoci in suo completo potere, quali servi riscattati col suo sangue, ci circonda di cosi profondo amore che non ci chiama servi, ma amici e fratelli? (Jn 15,15). Questa, senza dubbio, è la causa più giusta, e forse la maggiore, per riconoscerlo, venerarlo, servirlo sempre come nostro Signore.





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ARTICOLO TERZO

2 quale fu concepito di Spirito santo, nacque da Maria Vergine

Significato dell'articolo.

42. Da quanto è stato esposto nell'articolo precedente i fedeli possono comprendere quale prezioso e singolare beneficio Dio abbia accordato al genere umano, chiamandoci, dalla schiavitù di un tiranno crudelissimo, alla libertà. Se poi esamineremo il piano e i mezzi coi quali volle attuare cio, vedremo come nulla ci sia di più insigne e meraviglioso della benevolenza e bontà divina verso di noi.

Fu concepito di Spirito santo. Il Parroco comincerà a mostrare, spiegando il terzo articolo, la grandezza di questo mistero, che le sacre Scritture propongono spesso alla nostra meditazione, come il cardine fondamentale della nostra salvezza. Insegnerà che il suo significato è questo: Noi dobbiamo credere e professare che lo stesso Gesù Cristo, unico Signor nostro, Figlio di Dio, assumendo per noi carne umana nel seno di una Vergine, fu concepito, non già da germe virile, come gli altri uomini, ma per virtù dello Spirito santo, sopra ogni legge di natura (Mt 1,20 Lc 1,35). Restando la stessa Persona divina che era dall'eternità, divenne uomo; ciò che prima non era. Che quelle parole si debbano intendere cosi, risulta nettamente dalla professione di fede del sacro concilio di Costantinopoli, dove è detto: Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo; si incarno nel seno di Maria Vergine per opera dello Spirito santo e si fece uomo.

Il medesimo concetto spiego san Giovanni evangelista, che aveva attinto la conoscenza di questo sublime mistero sul petto del Salvatore. Esposta la natura del Verbo divino con le parole: In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio (Jn 1,1), conclude: E il Verbo si fece carne e abito fra noi (ivi 14). Il Verbo appunto, che è una delle ipostasi della natura divina, ha assunto la natura umana in modo che unico fosse l'ipostasi e la persona delle due nature: la divina e l'umana. Sicché la meravigliosa unione delle due nature conservo le azioni e proprietà dell'una e dell'altra; e, secondo la frase del pontefice S. Leone Magno, la sublimazione non annullo l'inferiore natura, come l'assunzione non degrado la superiore (Discorso I, Della Nativ. 2).

L'opera dell'incarnazione, comune a tutta la Trinità, è in modo speciale attribuita allo Spirito santo.

401 43. Non dovendosi però trascurare la dilucidazione dei termini, il Parroco insegnerà che se diciamo il Figlio di Dio concepito per virtù dello Spirito santo, non vogliamo asserire che il mistero dell'Incarnazione fu compiuto unicamente da questa Persona della divina Trinità. Se il solo Figlio assunse natura umana, tuttavia tutte e tre le divine Persone, Padre, Figlio e Spirito santo, furono autrici del mistero. E infatti regola imprescindibile della fede cristiana che quanto Dio opera fuori di sé, nel creato, è comune alle tre Persone, delle quali nessuna fa qualcosa più o senza dell'altra.

Solamente questo non può essere comune a tutte: che una Persona proceda dall'altra. Il Figlio infatti è generato solamente dal Padre; lo Spirito santo poi procede dal Padre e dal Figliuolo. Fuori di cio, le tre Persone compiono insieme, senza alcuna discrepanza, tutto ciò che deriva da esse fuori di loro; e in questa classe di operazioni va collocata l'incarnazione del Figlio di Dio. ciò nonostante tra le proprietà comuni a tutte e tre le divine Persone, ve n'è di quelle che le sacre Scritture sogliono attribuire all'una o all'altra delle Persone e cioè: il dominio di tutte le cose al Padre, la sapienza al Figlio, l'amore allo Spirito santo. E poiché il mistero della divina incarnazione esprime l'immensa e mirabile benevolenza di Dio verso di noi, essa viene ascritta allo Spirito santo in precipua maniera.

L'incarnazione di Cristo implica elementi naturali ed altri soprannaturali.

44. Va notato che questo mistero comprende fatti naturali e fatti soprannaturali. Riconosciamo innanzi tutto la natura umana, nel ritenere che il corpo di Gesù Cristo è stato formato dal purissimo sangue della Vergine madre. E proprietà infatti dei corpi di tutti gli uomini l'essere formati dal sangue della madre loro. Ma oltrepassa ogni ordine di natura e ogni capacità di intelligenza umana il fatto che, non appena la beata Vergine, consentendo all'angelico annuncio, pronuncio le parole: Ecco l'ancella del Signore, si faccia di me secondo quanto hai detto (Lc 1,38), immediatamente il corpo santissimo di Gesù Cristo fu formato, e ad esso fu congiunta l'anima razionale, riuscendo nel medesimo istante perfetto Dio e perfetto uomo. Nessuno può revocare in dubbio che si tratti qui di un'originale e stupenda opera dello Spirito santo; poiché nessun corpo puo, secondo il corso normale della natura, essere avvivato da anima umana, prima del tempo prescritto.

Altra circostanza meravigliosa fu questa: non appena l'anima fu unita al corpo, anche la divinità si uni all'uno e all'altro. perciò appena il corpo fu formato e animato, nel medesimo istante al corpo e all'anima fu congiunta la divinità. Da ciò segue che il Salvatore fu nel medesimo istante perfetto Dio e perfetto uomo; e che la Vergine santissima potè realmente e propriamente essere chiamata Madre di Dio e madre di un uomo, avendo concepito simultaneamente l'Uomo-Dio. L'Angelo le aveva annunciato: Ecco, concepirai nel seno e partorirai un figlio, cui porrai nome Gesù. Questi sarà grande e sarà chiamato Figlio dell'Altissimo (Lc 1,31). Cosi veniva in realtà verificata la predizione di Isaia: Una vergine concepirà e partorirà un figliuolo (Is 7,14). Il medesimo evento aveva adombrato Elisabetta quando, ricolma di Spirito santo, conobbe il concepimento del Figlio di Dio ed esclamo: Donde a me questo, che la Madre del Signor mio venga a me? (Lc 1,43).

Nell'anima di Gesù Cristo fu la pienezza di tutte le grazie; ma Cristo non può esser detto per ciò figlio adottivo di Dio.

45. Come il corpo di Gesù Cristo, secondo quanto abbiamo detto, fu formato col sangue purissimo della più illibata tra le vergini, senza intervento alcuno di uomo ma per sola virtù dello Spirito santo, cosi, non appena fu concepito, ebbe l'anima inondata dallo Spirito di Dio e dalla copia dei suoi carismi. Come attesta san Giovanni (Jn 3,34), Dio non conferi a lui lo spirito con parsimonia, come agli altri individui, adornati della santità e della grazia, ma infuse nell'anima sua cosi copioso flusso di carismi, che tutti dobbiamo attingervi (Jn 1,16). Non ci è permesso però di chiamare Gesù Cristo figlio adottivo di Dio, sebbene abbia ricevuto quello spirito, in virtù del quale i santi conseguono l'adozione di figli di Dio. Essendo Figlio di Dio per natura, non possono in verun modo convenirgli né il dono né il titolo, impliciti nell'adozione.

Queste le delucidazioni, che ci è sembrato opportuno presentare intorno al mirabile mistero del divino concepimento. Perché da esse discendano frutti salutari sopra di noi, i fedeli dovranno sopratutto tener presenti alla memoria e scolpiti nel cuore questi punti: che propriamente fu Dio ad assumere la nostra carne, facendosi uomo in una maniera che né la mente può comprendere, né l'umana parola spiegare; e che volle incarnarsi affinché noi uomini ritornassimo figli di Dio. Meditandoli con attenta cura, non tralascino mai di credere e di adorare, con cuore confidente, tutti i misteri racchiusi in questo articolo, astenendosi da ogni curiosa indagine o analisi, che non sarebbero senza grave pericolo.

Maria Vergine partori Cristo.

402 46. Nacque da Maria Vergine. Ecco la seconda parte di questo articolo. Il Parroco la spiegherà con particolare cura, dovendo i fedeli credere non solo che Gesù Cristo fu concepito per virtù dello Spirito santo, ma che nacque da Maria Vergine, dalla quale fu dato alla luce. Quanta intima letizia scaturisca dalla contemplazione di questo mistero fu già indicato dalla voce angelica, che prima reco al mondo la felicissima novella: Eccomi a recarvi l'annunzio di grande allegrezza per tutto il popolo (Lc 2,10). Appare parimente dal cantico della milizia celeste, intonato dagli angeli: Gloria a Dio nel più alto dei cieli, e pace in terra agli uomini di buona volontà (IB 14). Cosi cominciava ad attuarsi la grandiosa promessa di Dio ad Abramo, che dovevano un giorno essere benedette, nel seme suo, tutte le nazioni (Gn 22,18). Infatti Maria, che noi proclamiamo e onoriamo vera Madre di Dio, avendo partorito chi era insieme Dio e uomo, discendeva dal re David.

Mirabile nascita di Gesù Cristo.

47. Come il concepimento di Cristo supera ogni ordine di natura, nella sua natività parimente nulla cogliamo che non sia divino. Nacque Gesù infatti dalla Madre - che cosa si sarebbe mai potuto immaginare di più miracoloso? - senza detrarre alcunché alla materna verginità. Come più tardi egli uscirà dalla tomba chiusa e sigillata, e penetrerà nel luogo dove saranno radunati i discepoli, nonostante le porte serrate (Jn 20,19); o come i raggi del sole, per non uscire dall'ambito del l'esperienza naturale di ogni giorno, attraversano la compatta sostanza del vetro senza romperla o comunque lederla, in maniera molto più sublime Gesù Cristo usci dal seno materno, senza la minima offesa alla dignità verginale della sua Genitrice. Per questo ne celebriamo con lodi giustissime l'incorruttibile e perpetua verginità. Privilegio attuato per virtù dello Spirito santo, che assiste la Madre nel concepimento e nel parto, in modo da conferirle la fecondità, conservandole la permanente integrità verginale.

Paragone fra Gesù Cristo e Adamo; fra Maria ed Eva.

48. L'Apostolo chiama ripetute volte Gesù Cristo nuovo Adamo (1Co 15,21-22) e lo paragona all'antico. In realtà se tutti gli uomini muoiono nel primo, tutti sono richiamati a vita nel secondo. E come Adamo è stato il padre del genere umano nell'ordine di natura, cosi Gesù Cristo è per tutti l'autore della grazia e della gloria (Rm 5,14). Parimente si può stabilire un'analogia fra la Vergine Madre, seconda Eva, e la prima: analogia corrispondente a quella sopra illustrata fra il secondo Adamo, Cristo, e il primo. Avendo creduto alle lusinghe del serpente (Gn 3,6), Eva attiro sul genere umano la maledizione e la morte; avendo Maria creduto all'annuncio dell'Angelo, fece si che la bontà di Dio ridonasse agli uomini benedizione e vita. A causa di Eva nasciamo figli della collera (Ep 2,3); ma da Maria ricevemmo Gesù Cristo, per merito del quale siamo rigenerati come figli della grazia. A Eva fu detto: partorirai figli nel dolore (Gn 3,16); Maria fu esente dalla dura legge, e, salva restando in lei l'integrità della verginale pudicizia, partori Gesù Cristo figlio di Dio, senza alcun dolore, come sopra abbiamo detto.

Tipi e profezie dell'incarnazione del Signore.

49. Essendo tanto numerose e insigni le meraviglie racchiuse nel concepimento e nella natività, fu opportuno che la divina Provvidenza ne preannunziasse l'avvento con molte immagini e predizioni. I santi Dottori hanno interpretato, come pertinenti a questo mistero, molti passi scritturali. Principalmente hanno inteso come figurativa la porta del santuario, che Ezechiele vide serrata (Ez 49,2); la pietra che, secondo la visione di Daniele (Da 2,34), si stacca, senza intervento umano, dalla montagna e, divenuta a sua volta un alto monte, riempie tutta la terra; la verga di Aronne che, unica tra le verghe dei capi di Israele, miracolosamente fiorisce (Nb 17,8); il roveto infine che Mosè vide ardere, senza consumarsi (Ex 3,2). Del resto l'evangelista narra minutamente la storia della natività di Gesù Cristo (Lc 2), e a noi non conviene insistervi, potendo il Parroco leggerla direttamente.

L'incarnazione di Gesù Cristo mirabile esempio di umiltà.

50. Il parroco dovrà spiegare assiduo zelo, affinché tali misteri, registrati per nostra istruzione (Rm 15,4), aderiscano intimamente all'intelletto e al cuore dei fedeli. Innanzi tutto, perché il ricordo di cosi segnalato beneficio li spinga a tributarne grazie all'autore Dio; in secondo luogo, perché dinanzi ai loro occhi sia stimolo alla imitazione un cosi meraviglioso esempio di umiltà. Riflettere spesso alla maniera in cui Dio volle umiliarsi per comunicare la propria gloria agli uomini, fino ad assumerne la fragile infermità; meditare la degnazione di un Dio che si fa uomo e pone a servizio dell'uomo quella sua infinita maestà, al cui cenno, secondo la parola biblica, tremano di sbigottimento le colonne del cielo (Jb 26,11); contemplare il mistero della nascita sulla terra di chi è nei cieli adorato dagli angeli, costituiscono senza dubbio l'esercizio più utile ai nostri spiriti, il più efficace per debellare la nostra superbia. Se Dio compi tutto ciò per noi, che cosa non dovremo far noi per obbedirgli? Con quanta prontezza e alacrità d'animo non dovremo noi prediligere e attuare tutti i doveri dell'umiltà!

Riflettano i fedeli di quanta salutare dottrina Cristo pargolo ci nutre, prima di articolare parola. Ecco: nasce povero; è respinto dall'albergo; nasce in una miserrima stalla a mezzo inverno. Scrive infatti san Luca: E avvenne che, mentre ivi si trovavano, si compi per lei il tempo del parto e partori il suo Figlio primogenito; lo fascio e lo pose in una mangiatoia, perché non trovarono posto nell'albergo (Lc 2,6-7). Avrebbe potuto l'evangelista nascondere sotto parole più umili la maestà e la gloria, che riempiono il cielo e la terra? Non dice genericamente che non v'era più posto nell'albergo; ma che non ve n'era per Colui che può dire: Mia è la terra, con quanto contiene (Ps 49,12). Tale testimonianza ha la conferma di un altro evangelista: Venne nella sua proprietà, e i suoi non l'accolsero (Jn 1,11).

L'Incarnazione manifesta la dignità umana.

51. Mentre mediteranno tutto cio, i fedeli non di menticheranno che Dio volle sottostare all'umile fragilità della nostra carne, affinché il genere umano fosse innalzato al più alto livello della dignità. Sufficientemente trasparela nobiltà insigne, conferita all'uomo per dono divino, dal fatto che fu uomo Colui che era nel medesimo tempo vero e perfetto Dio. Noi possiamo ormai dire con orgoglio che il Figlio di Dio è ossa e carne nostra; cosa che non possono fare gli spiriti beati. Ha detto l'Apostolo: Ha assunto la natura dei figli di Abramo, non la natura angelica (He 2,16).

A Gesù Cristo dobbiamo preparare una dimora nei nostri cuori.

52. Guardiamoci bene dal far si che, per nostra disgrazia, come non trovo posto nell'albergo per nascere, cosi non ne trovi nostri cuori, quando viene per nascervi, non corporalmente, ma spiritualmente. Desidera egli, bramosissimo com'è della nostra salvezza, questa mistica natività. Percio, come egli si fece uomo, nacque e fu santificato, anzi fu la santità stessa, per virtù dello Spirito santo, in maniera soprannaturale; cosi occorre che noi nasciamo, non da sangue, né da voler di carne, né da voler di uomo, ma da Dio (Jn 1,13); e che dopo ciò procediamo nella vita come creature rinnovellate in novità di spirito (Rm 6,4-5 Rm 7,6), custodendo gelosamente quella santità e integrità di mente, che si addicono ad individui rigenerati nello spirito di Dio. Cosi ritrarremo in noi stessi una qualche sembianza di quella concezione e natività del Figlio di Dio, in cui crediamo fermamente e che accogliamo e adoriamo come il mistero che racchiude il capolavoro della sapienza divina (1Co 2,7).






Catechismo Tridentino 1020