Casti connubii IT 34


II

35 Nel ponderare, Venerabili Fratelli, il pregio così grande delle caste nozze, tanto più Ci appare doloroso il vedere come questa divina istituzione, in questi nostri tempi soprattutto, sia spesso e facilmente dispregiata e vilipesa.

È un fatto, in verità, che non più di nascosto e nelle tenebre, ma apertamente, messo da parte ogni senso di pudore, così a parole come in iscritto, con rappresentazioni teatrali d’ogni specie, con romanzi, con novelle e racconti ameni, con proiezioni cinematografiche, con discorsi radiofonici, infine con tutti i trovati più recenti della scienza, è conculcata e messa in derisione la santità del matrimonio, e invece o si lodano divorzi, adultèri e i vizi più turpi, o se non altro si dipingono con tali colori che sembra si vogliano far comparire scevri d’ogni macchia ed infamia. Né mancano libri, che si decantano come scientifici, ma che, in verità, della scienza sovente altro non hanno che una certa qual tintura, con l’intento di potersi più agevolmente insinuare negli animi. E le dottrine in essi difese si spacciano quali meraviglie dell’ingegno moderno, cioè di quell’ingegno che si vanta come amante solo della verità, di essersi emancipato da tutti i vecchi pregiudizi, fra i quali annovera e bandisce anche la dottrina tradizionale cristiana del matrimonio.

36 Anzi, tali massime si fanno penetrare fra ogni condizione di persone, ricchi e poveri, operai e padroni, dotti e ignoranti, liberi e coniugati, credenti e nemici di Dio, adulti e giovani; a questi soprattutto, come a più facile preda, si tendono i lacci più pericolosi.

37 Certo, non tutti i fautori di siffatte nuove massime giungono alle ultime conseguenze della sfrenata libidine; vi sono taluni che, sforzandosi di arrestarsi come a mezzo della china, vorrebbero far qualche concessione ai tempi nostri, solamente su alcuni precetti della legge divina e naturale. Ma questi non sono altro che mandatari, consapevoli più o meno, di quell’insidiosissimo nemico che sempre si adopera a soprasseminare zizzania in mezzo al frumento [44]. Noi pertanto, che il Padre di famiglia ha posto a custodia del proprio campo, e perciò siamo tenuti dall’obbligo sacrosanto a vigilare che il buon seme non sia soffocato dalle male erbe, stimiamo a Noi rivolte dallo Spirito Santo quelle gravissime parole, con le quali l’Apostolo Paolo esortava il suo diletto Timoteo: «Ma tu, veglia, adempi il tuo ministero … predica la parola, insisti a tempo, fuori di tempo: riprendi, supplica, esorta con ogni pazienza e dottrina » [45].

[44] Cfr.
Mt 13,25.
[45] 2Tm 4,2-5.

38 E poiché, ad evitare le frodi del nemico, è anzitutto necessario scoprirle, e giova molto avvisare gl’incauti degl’inganni suoi, non possiamo del tutto tacerne, per il bene e la salute delle anime, sebbene preferiremmo nemmeno nominare simili malvagità, « come conviene ai Santi » [46].

[46]
Ep 5,3.

39 E per incominciare dalle fonti stesse di tanti mali, la loro principale radice sta nel blaterare che il matrimonio non ha origine da divina istituzione, né è stato dal Signor Nostro Gesù Cristo sollevato alla dignità di Sacramento, ma è un’umana invenzione. Altri sostengono di non averne riconosciuto indizio alcuno nella stessa natura e nelle leggi da cui è retto, ma di avervi trovato soltanto la facoltà generativa, e ad essa congiunto un forte impulso ad adempierla, come che sia; vi sono, nondimeno, alcuni che riconoscono nella natura umana alcuni princìpi, come germi di un vero connubio, nel senso che se gli uomini non si congiungessero con qualche fermezza di vincolo, non si sarebbe provveduto a sufficienza alle dignità dei coniugi al fine naturale della propagazione e della educazione della prole. Nondimeno anche costoro insegnano che lo stesso matrimonio, come istituto che è al disopra di quei germi, col concorso di varie cause è stato escogitato dalla sola umana mente, ed istituito dalla sola volontà degli uomini.

40 Ma quanto grave sia l’errore di tutti costoro, e come essi vergognosamente deviino dalle norme dell’onestà, già si comprende da quanto, in questa Nostra lettera, abbiamo esposto intorno alla origine e alla natura del matrimonio, e dei fini e dei beni ad esso proprii. E che queste invenzioni siano dannosissime, appare anche dalle conseguenze che gli stessi loro propugnatori ne deducono: essendo le leggi, le istituzioni, le consuetudini dalle quali è regolato il matrimonio, nate solo dalla volontà degli uomini, a questa soltanto soggiacciono; quindi esse si potranno e dovranno stabilire, modificare, abrogare a piacere degli uomini e secondo le esigenze delle condizioni umane; e quanto alla virtù generativa, come quella che si fonda nella stessa natura, insegnano che è più sacra e più ampia dello stesso matrimonio: potersi quindi adoperare così dentro come fuori dei cancelli della vita matrimoniale, anche senza tener conto dei fini del matrimonio, come se il libertinaggio di una immonda meretrice godesse quasi gli stessi diritti della casta maternità della legittima consorte.

41 Movendo da tali princìpi, alcuni giunsero al punto di inventare altre forme di unione, adatte, come essi credono, alle presenti condizioni degli uomini e dei tempi, e propongono quasi nuove forme di matrimonio: l’uno « temporaneo », l’altro « a esperimento», un terzo che dicono « amichevole », e che si attribuisce la piena libertà e tutti i diritti del matrimonio, eccettuato il vincolo indissolubile; escludono la prole, se non nel caso in cui le parti vengano poscia a trasformare quella comunione di vita e di consuetudine in matrimonio di pieno diritto.

E ciò che è peggio, non mancano coloro i quali pretendono e si adoperano perché simili abominazioni siano coonestate dall’intervento delle leggi o, se non altro, vengano giustificate in forza delle pubbliche consuetudini di popoli e delle loro istituzioni; e sembra non sospettino nemmeno che simili cose, lungi dal potersi esaltare quali conquiste della « cultura » moderna, di cui menano sì gran vanto, sono invece aberrazioni nefande, che ridurrebbero senza dubbio anche le nazioni civili ai costumi barbarici di alcuni popoli selvaggi.

42 Ma per venire ormai, Venerabili Fratelli, a trattare dei singoli punti che si oppongono ai diversi beni del matrimonio, il primo riguarda la prole, che molti osano chiamare molesto peso del connubio e affermano doversi studiosamente evitare dai coniugi, non già con l’onesta continenza, permessa anche nel matrimonio, quando l’uno e l’altro coniuge vi consentano, ma viziando l’atto naturale. E questa delittuosa licenza alcuni si arrogano perché, aborrendo dalle cure della prole, bramano soltanto soddisfare le loro voglie, senza alcun onere; altri allegano a propria scusa la incapacità di osservare la continenza, e la impossibilità di ammettere la prole a cagione delle difficoltà proprie, o di quelle della madre, o di quelle economiche della famiglia.

43 Senonché, non vi può esser ragione alcuna, sia pur gravissima, che valga a rendere conforme a natura ed onesto ciò che è intrinsecamente contro natura. E poiché l’atto del coniugio è, di sua propria natura, diretto alla generazione della prole, coloro che nell’usarne lo rendono studiosamente incapace di questo effetto, operano contro natura, e compiono un’azione turpe e intrinsecamente disonesta.

Quindi non meraviglia se la Maestà divina, come attestano le stesse Sacre Scritture, abbia in sommo odio tale delitto nefando, e l’abbia talvolta castigato con la pena di morte, come ricorda Sant’Agostino: « Perché illecitamente e disonestamente si sta anche con la legittima sposa, quando si impedisce il frutto della prole. Così operava Onan, figlio di Giuda, e per tal motivo Dio lo tolse di vita » [47].

[47] S. August., De coniug. adult., lib. II, n. 12; cfr. Gen., XXXVIII, 8-10; S. Poenitent., 3 April., 3 Iun. 1916.

Pertanto, essendovi alcuni che, abbandonando manifestamente la cristiana dottrina, insegnata fin dalle origini, né mai modificata, hanno ai giorni nostri, in questa materia, preteso pubblicamente proclamarne un’altra, la Chiesa Cattolica, cui lo stesso Dio affidò il mandato di insegnare e difendere la purità e la onestà dei costumi, considerando l’esistenza di tanta corruttela di costumi, al fine di preservare la castità del consorzio nuziale da tanta turpitudine, proclama altamente, per mezzo della Nostra parola, in segno della sua divina missione, e nuovamente sentenzia che qualsivoglia uso del matrimonio, in cui per la umana malizia l’atto sia destituito della sua naturale virtù procreatrice, va contro la legge di Dio e della natura, e che coloro che osino commettere tali azioni, si rendono rei di colpa grave.

44 Perciò, come vuole la suprema autorità Nostra e la cura commessaCi della salute di tutte le anime, ammoniamo i sacerdoti che sono impegnati ad ascoltare le confessioni e gli altri tutti che hanno cura d’anime, che non lascino errare i fedeli loro affidati, in un punto tanto grave della legge di Dio, e molto più che custodiscano se stessi immuni da queste perniciose dottrine, e ad esse, in qualsiasi maniera, non si rendano conniventi. Se qualche confessore o pastore delle anime, che Dio non lo permetta, inducesse egli stesso in simili errori i fedeli a lui commessi, o, se non altro, ve li confermasse, sia con approvarli, sia colpevolmente tacendo, sappia di dovere rendere severo conto a Dio, Giudice Supremo, del tradito suo ufficio, e stimi a sé rivolte le parole di Cristo: « Sono ciechi, e guide di ciechi: e se il cieco al cieco fa da guida, l’uno e l’altro cadranno nella fossa » [48].

[48]
Mt 15,14; S. Offic., 22 Nov. 1922.

45 Quanto, poi, ai motivi che li inducono a difendere l’uso perverso del matrimonio, questi non di rado — per tacere di coloro che ridondano a loro vergogna — sono immaginari o esagerati. Nondimeno la Chiesa, pia Madre, intende benissimo e apprende al vivo le difficoltà che si ripetono intorno alla salute della madre e al suo pericolo per la vita stessa. E chi mai potrebbe, se non con viva commiserazione, ponderarle? Chi non sarebbe preso da ammirazione somma nel vedere una madre offrirsi, con forza eroica, a morte quasi certa, pur di risparmiare la vita alla prole già concepita? Tutto ciò che ella avrà sofferto per adempiere perfettamente l’ufficio che la natura le affidò, solo Dio ricchissimo e misericordiosissimo potrà a lei retribuirlo, e, senza dubbio, darà non solo la misura colma, ma anche sovrabbondante [49].

[49]
Lc 6,38.

46 E ben sa altresì la santa Chiesa che non di rado uno dei coniugi soffre piuttosto il peccato, che esserne causa, quando, per ragione veramente grave, permette la perversione dell’ordine dovuto, alla quale pure non consente, e di cui quindi non è colpevole, purché memore, anche in tal caso, delle leggi della carità, non trascuri di dissuadere il coniuge dal peccato e allontanarlo da esso. Né si può dire che operino contro l’ordine di natura quei coniugi che usano del loro diritto nel modo debito e naturale, anche se per cause naturali, sia di tempo, sia di altre difettose circostanze, non ne possa nascere una nuova vita. Infatti, sia nello stesso matrimonio, sia nell’uso del diritto matrimoniale, sono contenuti anche fini secondari, come il mutuo aiuto e l’affetto vicendevole da fomentare e la quiete della concupiscenza, fini che ai coniugi non è proibito di volere, purché sia sempre rispettata la natura intrinseca dell’atto e, per conseguenza, la sua subordinazione al fine principale.

47 Penetrano pure nell’intimo Nostro i gemiti di quei coniugi che, oppressi duramente da mancanza di mezzi, provano difficoltà gravissima a mantenere la loro prole.

Con tutto ciò bisogna attentamente vigilare, perché le deplorevoli condizioni delle cose materiali non siano occasione a un errore ben più deplorevole. Infatti non possono mai darsi difficoltà di tanta gravità che valgano a dispensare dai comandamenti di Dio, che proibiscono ogni atto che sia cattivo di sua natura; e, in qualsivoglia condizione di cose, possano sempre i coniugi, sostenuti dalla grazia di Dio, fedelmente compiere l’ufficio loro e conservare nel matrimonio, pura da macchia tanto abominevole, la castità, perché resta inconcussa la verità della fede cristiana, proposta dal magistero del Concilio di Trento: «Nessuno ardisca pronunciare quel detto temerario, condannato dai Padri sotto la minaccia di anatema, che per l’uomo giustificato i comandamenti di Dio siano impossibili ad osservarsi. Dio non comanda cose impossibili, ma nel comandare ammonisce di fare ciò che puoi e di chiedere ciò che non puoi, e aiuta perché tu possa » [50]. E la dottrina medesima fu dalla Chiesa solennemente ripetuta e confermata nella condanna della eresia giansenistica, che aveva osato bestemmiare contro la bontà di Dio affermando che « alcuni precetti di Dio agli uomini giusti, che pur vogliono e procurano di osservarli, sono impossibili secondo le forze che hanno al presente: e loro manca la grazia, che li renda possibili » [51].

[50] Concil. Trident., sess. VI, cap. 11.
[51] Const. Apost. Cum occasione, 31 Maii 1653, prop. 1.

48 Ma dobbiamo ricordare pure, Venerabili Fratelli, l’altro gravissimo delitto, col quale si attenta alla vita della prole, chiusa ancora nel seno materno. Per alcuni la cosa è lecita, e lasciata al beneplacito della madre e del padre; per altri è invece proibita, salvo il caso in cui esistano gravissimi motivi, che chiamano col nome di « indicazione » medica, sociale, eugenica. Costoro richiedono che, quanto alle pene, con cui le leggi dello Stato sancirono la proibizione di uccidere la prole generata, ma non venuta ancora alla luce, le pubbliche leggi riconoscano la « indicazione », secondo che ciascuno a modo suo la difende, e la dichiarino libera da qualsiasi pena. Anzi, non mancano coloro i quali domandano che le pubbliche autorità prestino il loro aiuto in simili mortifere operazioni; enormità che, purtroppo, in qualche luogo, si commette frequentissimamente, come è noto.

Per quanto riguarda la « indicazione medica e terapeutica » — per adoperare le loro stesse parole — già abbiamo detto, Venerabili Fratelli, quanta compassione Noi sentiamo per la madre, la quale, per ufficio di natura, si trova esposta a gravi pericoli, sia della salute, sia della stessa vita: ma quale ragione potrà mai aver forza da rendere scusabile, in qualsiasi modo, la diretta uccisione dell’innocente? Perché qui si tratta appunto di questa. Sia che essa si infligga alla madre, sia che si cagioni alla prole, è sempre contro il comando di Dio e la voce stessa della natura: «Non ammazzare ! »[52]. È infatti egualmente sacra la vita dell’una e dell’altra persona, a distruggere la quale non potrà mai concedersi potere alcuno, nemmeno all’autorità pubblica. E, con somma leggerezza, questo potere si fa derivare, contro innocenti, dal diritto di spada, che vale solo contro i rei; né ha qui luogo il diritto di difesa, fino al sangue, contro l’ingiusto aggressore (chi, infatti, chiamerebbe ingiusto aggressore una innocente creaturina?); né può essere, in alcun modo, il diritto che dicono « diritto di estrema necessità », e che possa giungere fino all’uccisione diretta dell’innocente. Pertanto i medici probi e capaci si adoperano lodevolmente a difendere e conservare sia la vita della madre, sia quella della prole; per contro si farebbero conoscere indegnissimi del nobile titolo di medici coloro che, sotto il pretesto di usare l’arte medica, o per malintesa pietà, insidiassero alla vita della madre o della prole.

[52]
Ex 20,13; cfr. Decr. S. Offic. 4 Maii 1898, 24 Iulii 1895, 31 Maii 1884.

49 Tutto ciò pienamente s’accorda con le severe parole del Vescovo d’Ippona, il quale inveisce contro quei coniugi depravati che s’industriano di evitare la prole; ed ove non ottengano l’intento, non temono di ucciderla. «Talvolta — dice — questa crudeltà impura o impurità crudele giunge fino al punto di ricorrere ai veleni atti a procurare la sterilità e, se non vi riesce, a estinguere con qualche mezzo il frutto concepito e a liberarsene, bramando che la propria prole muoia prima di vivere, o se già viveva nel materno seno, sia uccisa prima di nascere. Per certo, se ambedue sono tali, non sono coniugi: e se tali furono fin da principio, non si congiunsero per connubio, ma piuttosto per turpitudine; se tali non sono tutti e due, oso dire: o che ella, in qualche modo, si prostituisce al marito, o che egli si rende adultero verso di lei » [53].

[53] S. August. De nupt. et concupisc., cap. XV.

50 Quanto poi alla « indicazione » sociale ed eugenica, le cose che si propongono, con mezzi leciti e onesti, e dentro i dovuti confini possono, sì, e devono esser prese in considerazione; ma quanto al voler provvedere alla necessità, a cui si appoggiano, con la uccisione degli innocenti, ripugna alla ragione ed è contrario al precetto divino, promulgato pure dalla sentenza apostolica: «Non si deve fare del male per conseguire beni » [54].

[54] Cfr.
Rm 3,8.

51 A coloro, infine, che tengono il supremo governo delle nazioni, e ne sono legislatori, non è lecito dimenticare che è dovere dell’autorità pubblica di difendere con opportune leggi e con la sanzione di pene la vita degli innocenti; e ciò tanto maggiormente, quanto meno valgono a difendersi coloro la cui vita è in pericolo, e alla quale si attenta; e fra essi, certo, sono da annoverare anzitutto i bambini nascosti ancora nel seno materno. Se i pubblici governanti non solo non prendono la difesa di quelle creature, ma anzi con leggi e con pubblici decreti le lasciano, o piuttosto le mettono in mano dei medici o d’altri, perché le uccidano, si rammentino che Dio è giudice e vindice del sangue innocente, il quale dalla terra grida verso il cielo [55].

[55] Cfr.
Gn 4,10.

52 Si deve infine riprovare quella prassi dannosa, che riguarda il diritto naturale dell’uomo a contrarre matrimonio, ma che appartiene pure, con qualche vera ragione, al bene della prole. Vi sono, infatti, alcuni, che dei fini eugenici troppo solleciti, non si contentano di dare alcuni consigli igienici atti a procurare più sicuramente la salute e il vigore della futura prole — il che, certo, non è contrario alla retta ragione — ma vanno così innanzi da anteporre l’« eugenico » a qualsiasi altro fine, anche di ordine più alto, e pretendono che l’autorità pubblica vieti il matrimonio a tutti coloro che, secondo i procedimenti della propria scienza e le proprie congetture, credono che, per via di trasmissione ereditaria, saranno per generare prole difettosa, anche se siano, per sé, capaci di contrarre matrimonio. Anzi, vogliono perfino che essi, per legge, anche se riluttanti, siano, con l’intervento dei medici, privati di quella naturale facoltà; né ciò come pena cruenta da infliggersi dalla pubblica autorità per delitto commesso, né a prevenire futuri delitti dei rei, ma contro il giusto e l’onesto attribuendo ai magistrati civili un potere che mai ebbero, né mai possono legittimamente avere.

53 Tutti coloro che operano in tal guisa, malamente dimenticano che la famiglia è più sacra dello Stato, e che gli uomini, anzitutto, sono procreati non per la terra e per il tempo, ma per il cielo e per l’eternità. E non è giusto, certamente, accusare di grave colpa uomini d’altra parte atti al matrimonio, i quali, anche adoperando ogni cura e diligenza, si prevede che avranno una prole difettosa, se contraggono nozze, sebbene da esse spesso convenga dissuaderli.

54 Le pubbliche autorità, poi, non hanno alcuna potestà diretta sulle membra dei sudditi; quindi, se non sia intervenuta colpa alcuna, né vi sia motivo alcuno di infliggere una pena cruenta, non possono mai, in alcun modo, ledere direttamente o toccare l’integrità del corpo, né per ragioni « eugeniche », né per qualsiasi altra ragione. Questo insegna pure San Tommaso d’Aquino quando, proponendo la questione se i giudici umani per prevenire mali futuri possano recar qualche danno al suddito, lo concede quanto a certi altri mali, ma a ragione lo nega per quanto riguarda la lesione corporale: «Mai, secondo il giudizio umano, alcuno deve essere punito, senza colpa, con pena di battiture, per essere ucciso, o per essere mutilato o flagellato » [56].

[56] Summ. theolog.,
II-II 108,4 ad 2m.

Del resto, la dottrina cristiana insegna, e la cosa è certissima anche al lume naturale della ragione, che gli stessi uomini privati non hanno altro dominio sulle membra del proprio corpo se non quello che spetta al loro fine naturale, e non possono distruggerle o mutilarle o per altro modo rendersi inetti alle funzioni naturali, se non nel caso in cui non si può provvedere per altra via al bene di tutto il corpo.

55 Ed ora, per venire all’altro capo di errori che riguardano la fede coniugale, ogni peccato che si commetta in danno della prole è di conseguenza peccato in qualche modo anche contro la fede coniugale, perché i beni del matrimonio vanno connessi l’uno con l’altro. Ma inoltre sono da annoverare partitamente altrettanti capi di errori e di corruttele contro la fede coniugale, quante sono le virtù domestiche che questa fede abbraccia: la casta fedeltà dell’uno e dell’altro coniuge; l’onesta soggezione della moglie al marito, e infine il saldo e sincero amore tra i due.

56 Corrompono dunque anzitutto la fedeltà coloro che stimano doversi essere indulgenti verso le idee e i costumi del nostro tempo, intorno alla falsa e dannosa amicizia con terze persone, e sostengono doversi in queste relazioni estranee consentire ai coniugi una certa maggior licenza di pensare e di operare, e ciò tanto più che (come vanno dicendo) non pochi hanno una congenita costituzione sessuale, a cui non possono soddisfare tra gli angusti confini del matrimonio monogamico. Quindi quella disposizione d’animo, per la quale gli onesti coniugi condannano e ricusano ogni affetto ed atto libidinoso con terza persona, essi la stimano un’antiquata debolezza di mente e di cuore o un’abbietta e vile gelosia; perciò dicono nulle o da annullare le leggi penali dello Stato intorno all’obbligo della fede coniugale.

57 L’animo nobile dei casti coniugi, anche solo per lume naturale respinge e disprezza certamente simili errori, come vanità e brutture; e siffatta voce della natura è approvata e confermata dal comandamento di Dio «Non fornicare » [57], e da quello di Cristo: «Chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso in cuor suo adulterio con lei » [58]. E nessuna consuetudine o pravo esempio e nessuna parvenza di progresso umano potranno mai indebolire la forza di questo divino precetto. Perché come è sempre il medesimo «Gesù Cristo ieri e oggi e nei secoli » [59], così è sempre identica la dottrina di Cristo, della quale non cadrà un punto solo, sino a tanto che tutto sia adempito [60].

[57]
Ex 20,14.
[58] Mt 5,28.
[59] He 13,8.
[60] Cfr. Mt 5,18.

58 I citati maestri di errori che offuscano il candore della fede e della castità coniugale, facilmente scalzano altresì la fedele ed onesta soggezione della moglie al marito. E anche più audacemente molti di essi affermano con leggerezza essere quella una indegna servitù di un coniuge all’altro; i diritti tra i coniugi devono essere tutti uguali, ed essendo essi violati con la servitù di una parte, tali maestri bandiscono superbamente come già fatta o da procurarsi una certa « emancipazione » della donna. Questa emancipazione dicono dovere essere triplice: nella direzione della società domestica, nell’amministrazione del patrimonio, nell’esclusione e soppressione della prole. La chiamano emancipazione sociale, economica, fisiologica; fisiologica in quanto vogliono che la donna, a seconda della sua libera volontà, sia o debba essere sciolta dai pesi coniugali, sia di moglie, sia di madre (e che questa, più che emancipazione, debba dirsi nefanda scelleratezza, già abbiamo sufficientemente dichiarato); emancipazione economica, in forza della quale la moglie, all’insaputa e contro il volere del marito, possa liberamente avere, trattare e amministrare affari suoi privati, trascurando figli, marito e famiglia; emancipazione sociale, in quanto si rimuovono dalla moglie le cure domestiche sia dei figli come della famiglia, perché, mettendo queste da parte, possa assecondare il proprio genio e dedicarsi agli affari e agli uffici anche pubblici.

59 Ma neppure questa è vera emancipazione della donna, né la ragionevole e dignitosa libertà che si deve al cristiano e nobile ufficio di donna e di moglie; ma piuttosto è corruzione dell’indole muliebre e della dignità materna, e perversione di tutta la famiglia, in quanto il marito resta privo della moglie, i figli della madre, la casa e tutta la famiglia della sempre vigile custode. Anzi, questa falsa libertà e innaturale eguaglianza con l’uomo tornano a danno della stessa donna; giacché se la donna scende dalla sede veramente regale, a cui, tra le domestiche pareti, fu dal Vangelo innalzata, presto ricadrà nella vecchia servitù (se non di apparenza, certo di fatto) e ridiventerà, come nel paganesimo, un mero strumento dell’uomo.

60 Quell’eguaglianza poi di diritti, che tanto si esagera e si mette innanzi, deve riconoscersi in tutto quello che è proprio della persona e della dignità umana, che consegue dal patto nuziale ed è insito nel matrimonio. In questo, certo, l’uno e l’altro coniuge godono perfettamente dello stesso diritto e sono legati da uno stesso dovere; nel resto devono esservi una certa ineguaglianza e proporzione, richieste dal bene stesso della famiglia e dalla doverosa unità e fermezza dell’ordine e della società domestica.

Tuttavia se in qualche luogo le condizioni sociali ed economiche della donna maritata debbono mutarsi alquanto per le mutate consuetudini ed i mutati usi della umana convivenza, spetta al pubblico magistrato adattare alle odierne necessità ed esigenze i diritti civili della moglie, tenuto conto di ciò che è richiesto dalla diversa indole naturale del sesso femminile, dall’onestà dei costumi e dal comune bene della famiglia, purché l’ordine essenziale della società domestica rimanga intatto, come quello che fu istituito da un’autorità e da una sapienza più alte della umana, cioè divina, e non può essere cambiata per leggi pubbliche o per gusti privati.

61 Ma vanno ancor più oltre i recenti sovvertitori del matrimonio, sostituendo al sincero e solido amore, che è il fondamento dell’intima dolcezza e felicità coniugale, una certa cieca convenienza di carattere e concordia di gusti, che chiamano simpatia, al cessar della quale sostengono che si rallenta e si scioglie l’unico vincolo con il quale gli animi si uniscono. Che altro mai sarà questo, se non un edificare la casa sopra l’arena? Della quale Cristo dice che appena venga assalita dai flutti dell’avversità subito vacillerà e ruinerà: «E soffiarono i venti e imperversarono contro quella casa, ed essa andò giù, e fu grande la sua ruina » [61]. Al contrario, la casa che sia stata eretta sulla pietra, cioè sul mutuo amore tra i coniugi, e rassodata da una consapevole e costante unione di animi, non sarà mai scossa né abbattuta da nessuna avversità.

[61]
Mt 7,27.

62 Abbiamo fin qui rivendicato, Venerabili Fratelli, i due primi eccellentissimi beni del matrimonio cristiano, insidiati dai sovvertitori della società odierna. Ma siccome a questi va innanzi di gran lunga un terzo bene, quello del « sacramento », così non ci stupisce vedere che anzitutto questa bontà ed eccellenza siano da costoro molto più aspramente impugnate. Dapprima insegnano che il matrimonio è cosa affatto profana e meramente civile, e in nessun modo da affidare alla società religiosa, cioè alla Chiesa di Cristo, ma soltanto alla società civile. Soggiungono inoltre che il nodo nuziale dev’essere affrancato da ogni legame d’indissolubilità, non solo tollerando ma sancendo con la legge le separazioni ossia i divorzi dei coniugi; dal che infine nascerà che il matrimonio, spogliato di ogni santità, rimarrà nel novero delle cose profane e civili.

63 Come prima cosa stabiliscono che l’atto civile sia da ritenere quale vero contratto nuziale (e lo chiamano comunemente «matrimonio civile »); l’atto religioso poi sia una mera aggiunta, o al più da permettere al volgo superstizioso. Inoltre vogliono che senza rimprovero d’alcuno sia lecito il matrimonio tra cattolici ed acattolici, non avendo riguardo alla religione e senza chiedere il consenso dell’autorità religiosa. Un’altra cosa, che viene di conseguenza, consiste nello scusare i divorzi effettuati e nel lodare e propugnare quelle leggi civili, che favoriscono la dissoluzione del vincolo stesso.

64 Per quanto riguarda la natura religiosa di qualsivoglia matrimonio, e molto più del matrimonio cristiano che è altresì sacramento, avendo Leone XIII largamente trattato e appoggiato con gravi argomenti ciò che in questa materia è da notare, rimandiamo all’Enciclica che Noi più volte abbiamo citata e apertamente dichiarata Nostra. Qui stimiamo dover ripetere soltanto alcuni pochi punti.

Anche col solo lume della ragione, massime chi voglia investigare gli antichi monumenti della storia e interrogare la costante coscienza dei popoli e consultare le istituzioni e i costumi di tutte le genti, si può dedurre chiaramente essere inerente allo stesso matrimonio naturale qualche cosa di sacro e di religioso, « non sopravvenuto ma congenito; non ricevuto dagli uomini, ma inserito dalla natura », avendo il matrimonio « Dio per autore, ed essendo stato, fin da principio, una tal quale figura della Incarnazione del Verbo di Dio » [62]. La ragione sacra del coniugio, che va intimamente connessa con la religione e con l’ordine delle cose sacre, risulta sia dall’origine sua divina, che abbiamo ricordato, sia dal suo fine, che è generare ed educare a Dio la prole e condurre parimenti a Dio i coniugi mediante l’amore cristiano e il vicendevole aiuto; sia infine dall’ufficio stesso naturale del matrimonio, voluto dalla provvida mente di Dio Creatore, perché sia come un tramite onde si trasmette la vita, facendo in ciò i genitori quasi da ministri dell’onnipotenza divina. A tutto questo si aggiunge la nuova ragione di dignità, derivante dal Sacramento, in grazia del quale il matrimonio cristiano è divenuto di gran lunga più nobile ed è stato elevato a tanta eccellenza, da apparire all’Apostolo « un grande mistero, in tutto onorabile » [63].

[62] Leo XIII, Litt. Encycl. Arcanum, 10 Febr. 1880.
[63]
Ep 5,32 He 13,4.

65 La natura religiosa del matrimonio e la sublime sua significazione della grazia e dell’unione fra Gesù Cristo e la Chiesa, richiedono dai futuri sposi una santa riverenza per le nozze cristiane e un santo amore e zelo perché il matrimonio, che stanno per contrarre, si avvicini il più possibile al modello di Cristo e della Chiesa.

66 Molto mancano su questo punto, e talora mettono in pericolo la loro salvezza eterna, coloro che, senza gravi motivi, contraggono matrimonio misto. Da siffatti matrimoni misti il provvido amore materno della Chiesa distoglie i fedeli per gravissime ragioni, come risulta da molti documenti compresi in quel canone del Codice di diritto canonico, dove si legge: « La Chiesa con ogni severità vieta dappertutto, che si contragga matrimonio tra due persone battezzate, delle quali una sia cattolica, l’altra appartenente a setta eretica o scismatica; se poi vi è pericolo di perversione del coniuge cattolico e della prole, il matrimonio è vietato dalla stessa legge divina » [64]. Ed anche quando la Chiesa si induce, attese le circostanze dei tempi, delle cose e delle persone, a concedere la dispensa da queste severe disposizioni (salvo il diritto divino e rimosso con opportune guarentigie, quanto è possibile, il pericolo di perversione), non può non avvenire, se non difficilmente, che il coniuge cattolico abbia a risentire qualche danno da siffatto matrimonio. Da esso infatti non raramente deriva nei discendenti una luttuosa defezione dalla religione, o almeno il cadere facilmente nell’indifferenza religiosa, vicinissima alla incredulità ed alla empietà. Inoltre, in questi matrimoni misti, è resa molto più difficile quella viva unione degli animi, la quale deve imitare il mistero dianzi ricordato, cioè l’arcana unione della Chiesa con Cristo.

[64] Cod. iur. can.,
CIS 1060.

67 Verrà a mancare facilmente la stretta unione degli animi, la quale, com’è segno e nota distintiva della Chiesa di Cristo, così dev’essere distintivo, decoro ed ornamento del coniugio cristiano. Infatti suole sciogliersi o almeno rallentarsi il vincolo dei cuori, dove è diversità di pensiero e di affetto circa le cose più alte e supreme dall’uomo venerate, cioè nelle verità e nei sentimenti religiosi. Quindi viene il pericolo che languisca l’amore tra i coniugi e ne vadano in rovina la pace e la felicità della famiglia, la quale fiorisce principalmente dall’unità dei cuori. E così, già da tanti secoli, l’antico diritto romano aveva definito: « Il matrimonio è la congiunzione dell’uomo e della donna nel consorzio di tutta la vita e nella comunicazione del diritto divino ed umano » [65].

[65] Modestinus (in Dig., lib. XXIII, II: De ritu nuptiarum), lib. I, Regularum.

68 Ma ciò che soprattutto impedisce la restaurazione e la perfezione del matrimonio stabilito da Cristo Redentore, è, come avvertimmo, Venerabili Fratelli, la sempre crescente facilità dei divorzi. Anzi, gli odierni fautori del neopaganesimo, per nulla fatti saggi dall’esperienza, vanno sempre più acremente contestando la sacra indissolubilità del coniugio e le leggi che la sostengono, e affermano doversi dichiarare lecito il divorzio, e che una legge nuova e più umana venga a sostituire leggi antiquate e sorpassate.

69 Essi presentano molte e varie ragioni per il divorzio; alcune provenienti da vizio o colpa delle persone, altre inerenti alle cose stesse (le une dicono soggettive, le altre oggettive); in una parola, tutto ciò che rende più aspra ed ingrata la indivisibile convivenza. Pretendono di dimostrare siffatte ragioni per molti capi: dapprima, per il bene di ambedue i coniugi, sia dell’innocente, il quale ha perciò il diritto di separarsi dal coniuge reo, sia del colpevole di delitti, che per questo appunto deve essere separato da una unione ingrata e coatta; poi, per il bene della prole, la quale resta priva della retta educazione, essendo troppo facilmente scandalizzata e allontanata dalla via della virtù per le discordie e altre colpe dei genitori; infine, per il bene comune della società, il quale richiede che anzitutto si sciolgano quei matrimoni che non valgono più ad ottenere il fine inteso dalla natura. Inoltre si permettano dalla legge i divorzi sia per prevenire quei delitti che si possono facilmente temere dalla convivenza di tali coniugi, sia per evitare che cadano sempre più in ludibrio i tribunali e l’autorità delle leggi, quando i coniugi, per ottenere la bramata sentenza di divorzio, o commettono a bella posta quei delitti per i quali il giudice può sciogliere il vincolo a norma di legge, o sfacciatamente mentiscono e spergiurano di averli commessi, nonostante il giudice veda chiaramente lo stato delle cose. Pertanto, essi dicono, le leggi devono in ogni modo conformarsi a tutte queste necessità, alle mutate condizioni dei tempi, alle opinioni degli uomini, alle istituzioni e ai costumi delle nazioni: tali motivi per sé soli, e massimamente se tutti insieme considerati, dimostrerebbero con evidenza che per determinate cause deve assolutamente concedersi la facoltà di divorzio.

70 Altri, con più audacia, opinano che il matrimonio, come contratto meramente privato, deve essere lasciato al consenso e all’arbitrio privato dei due contraenti, come avviene negli altri contratti privati; e perciò sostengono che può essere sciolto per qualsiasi motivo.

71 Senonché, contro tutte queste demenze, sta immobile, Venerabili Fratelli, la legge di Dio, da Cristo amplissimamente confermata, e che non può venire smossa da nessun decreto degli uomini, opinione di popoli o volontà di legislatori: «Quello che Dio ha congiunto, l’uomo non separi » [66]. E se l’uomo ingiuriosamente tenta separarlo, il suo atto sarà del tutto nullo, e resta immutabile quanto Cristo apertamente affermò: « Chiunque rimanda la moglie e ne sposa un’altra, è adultero; e chi sposa la rimandata dal suo marito, è adultero » [67]. E queste parole di Cristo riguardano qualsiasi matrimonio, anche quello soltanto naturale e legittimo, giacché ad ogni vero matrimonio spetta quella indissolubilità, per la quale esso è sottratto, quanto alla soluzione del vincolo, all’arbitrio delle parti e ad ogni potestà laicale.

[66]
Mt 19,6.
[67] Lc 16,18.

72 E qui deve pur essere ricordato il solenne giudizio con il quale il Concilio Tridentino condannò tali insanie di anatema: « Chiunque dice che il vincolo del matrimonio può essere sciolto dal coniuge, a causa di eresia o di molesta coabitazione o di pretesa assenza, sia anatema » [68]; e inoltre « Chiunque dice che la Chiesa erra quando ha insegnato e insegna che, secondo la dottrina evangelica ed apostolica, non può essere disciolto il vincolo del matrimonio per l’adulterio di uno dei coniugi, e che nessuno dei due, neanche l’innocente che non diede motivo all’adulterio, può contrarre altro matrimonio, vivente l’altro coniuge, e che commette adulterio tanto colui il quale, ripudiata l’adultera, sposa un’altra, quanto colei che, abbandonato il marito, ne sposa un altro, sia anatema » [69].

Se la Chiesa non errò né erra in questa sua dottrina, e perciò è del tutto certo che il vincolo del matrimonio non può essere sciolto neppure per l’adulterio, ne segue con evidenza che molto minor valore hanno tutti gli altri motivi di divorzio, di molto più deboli, che sogliono o possono allegarsi, e quindi non è da farne alcun conto.

[68] Concil. Trident., sess. XXIV, c. 5.
[69] Concil. Trident., sess. XXIV, c. 7.

73 Del resto, le obiezioni che vengono mosse contro la saldezza del vincolo da quel triplice capo, sono di facile soluzione. Infatti, i danni ricordati vengono impediti e i pericoli rimossi, se in quelle estreme circostanze si permette la separazione imperfetta dei coniugi, rimanendo cioè intatto il vincolo; la quale separazione è consentita chiaramente dalla legge della Chiesa nelle chiare parole dei canoni che trattano della separazione del talamo, della mensa e dell’abitazione [70]. Lo stabilire poi le cause di tale separazione, le condizioni, il modo e le cautele onde si provveda all’educazione dei figli e all’incolumità della famiglia, e si rimuovano quanto è possibile i danni tutti derivanti ai coniugi, alla prole e alla stessa comunità civile, spetta alle leggi sacre e, almeno in parte, anche alle leggi civili, in quanto si attiene alle cose e agli effetti civili.

[70] Cod. iur. can.,
CIS 1128 sqq.

Tutti gli argomenti, poi, che sogliono apportarsi e sopra abbiamo toccati, a dimostrare la indissolubilità del matrimonio, valgono chiaramente con uguale forza ad escludere non solamente la necessità ma anche ogni facoltà o concessione di divorzio. Inoltre quanti sono gli eccellenti vantaggi che militano per la indissolubilità, altrettanti all’opposto appaiono i danni del divorzio, e questi perniciosissimi sia agli individui sia a tutta l’umana convivenza.

74 E, per valerCi di nuovo della dottrina del Nostro predecessore, è appena necessario osservare che quanta copia di beni in sé contiene la fermezza indissolubile del matrimonio, altrettanta messe di mali portano con sé i divorzi. Da una parte, con la fermezza del vincolo, i matrimoni sono pienamente sicuri; dall’altra invece, con la possibilità e anzi probabilità del divorzio, il legame nuziale diventa mutabile o almeno soggetto ad ansietà e sospetti. Da una parte vengono mirabilmente consolidate la mutua benevolenza e comunione di beni; dall’altra deplorevolmente indebolito il legame, per l’offerta facoltà di separarsi. Da una parte validi presidii alla fedeltà dei coniugi; dall’altra perniciosi incitamenti all’infedeltà. Dall’una la procreazione, protezione ed educazione dei figli efficacemente promosse; dall’altra la prole esposta ai più gravi danni. Da una parte chiuso l’adito molteplice alle discordie tra le famiglie e i parenti; dall’altra se ne presenta più frequente l’occasione. Dall’una più facilmente sopiti i germi di dissenso; dall’altra più copiosamente e largamente diffusi. Dall’una massimamente reintegrati e felicemente restaurati la dignità e l’ufficio della donna nella famiglia e nella società; dall’altra indegnamente depressa, esposta com’è la sposa al pericolo di « venire abbandonata dopo aver servito alla passione dell’uomo » [71].

[71] Leo XIII, litt. Encycl. Arcanum, 10 Febr. 1880.

75 E poiché a distruggere le famiglie — per concludere con le gravissime parole di Leone XIII — « e ad abbattere la potenza dei regni niente ha maggior forza che la corruzione dei costumi, è agevole conoscere che alla prosperità delle famiglie e delle nazioni sono funestissimi i divorzi, i quali nascono da depravate consuetudini, e come ne attesta l’esperienza, aprono l’adito ad una sempre maggiore corruttela del pubblico e privato costume. E questi mali appariranno anche più gravi se si considera che non vi sarà mai alcun freno così potente che valga a contenere entro certi e prestabiliti confini la licenza una volta concessa ai divorzi. È grande la forza degli esempi, maggiore quella delle passioni; per tali eccitamenti avverrà certo che la sfrenata voglia dei divorzi, serpeggiando ogni dì più largamente, invada l’animo di moltissimi, a guisa di morbo che si sparge per contagio, o come torrente che, rotti i ripari, trabocca » [72].

Perciò, come nell’Enciclica stessa si legge, « ove non si muti consiglio, le famiglie e la società umana dovranno stare in perpetuo timore di essere travolte nel rivolgimento e nello scompiglio di tutte le cose » [73]. Orbene, la corruzione ogni giorno crescente e l’incredibile depravazione della famiglia nelle regioni pienamente dominate dal comunismo, ben dimostrano con quanta verità tutto ciò sia stato preannunciato cinquant’anni addietro.

[72] Litt. Encycl. Arcanum, 10 Febr. 1880.
[73] Litt. Encycl. Arcanum, 10 Febr. 1880.


Casti connubii IT 34