Catechismo Chiesa Catt. 1638

IV. Gli effetti del sacramento del Matrimonio

1638 « Dalla valida celebrazione del Matrimonio sorge tra i coniugi un vincolo di sua natura perpetuo ed esclusivo; inoltre nel Matrimonio cristiano i coniugi, per i compiti e la dignità del loro stato, vengono corroborati e come consacrati da uno speciale sacramento ». (293)

(293) CIC canone
CIC 1134.


Il vincolo matrimoniale

1639 Il consenso, mediante il quale gli sposi si donano e si ricevono mutuamente, è suggellato da Dio stesso. (294) Dalla loro alleanza « nasce, anche davanti alla società, l'istituto [del matrimonio] che ha stabilità per ordinamento divino ». (295) L'alleanza degli sposi è integrata nell'Alleanza di Dio con gli uomini: « L'autentico amore coniugale è assunto nell'amore divino ». (296)

(294) Cf
Mc 10,9.
(295) Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes GS 48, AAS 58 (1966) 1067.
(296) Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes GS 48, AAS 58 (1966) 1068.

1640 Il vincolo matrimoniale è dunque stabilito da Dio stesso, così che il Matrimonio concluso e consumato tra battezzati non può mai essere sciolto. Questo vincolo, che risulta dall'atto umano libero degli sposi e dalla consumazione del matrimonio, è una realtà ormai irrevocabile e dà origine ad un'alleanza garantita dalla fedeltà di Dio. Non è in potere della Chiesa pronunciarsi contro questa disposizione della sapienza divina. (297)

(297) Cf CIC canone
CIC 1141.


La grazia del sacramento del Matrimonio

1641 I coniugi cristiani « hanno, nel loro stato di vita e nel loro ordine, il proprio dono in mezzo al popolo di Dio ». (298) Questa grazia propria del sacramento del Matrimonio è destinata a perfezionare l'amore dei coniugi, a rafforzare la loro unità indissolubile. In virtù di questa grazia essi « si aiutano a vicenda per raggiungere la santità nella vita coniugale, nell'accettazione e nell'educazione della prole ». (299)

(298) Concilio Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium
LG 11, AAS 57 (1965) 16.
(299) Concilio Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium LG 11, AAS 57 (1965) 15-16; cf Ibid., LG 41: AAS 57 (1965) 47.

1642 Cristo è la sorgente di questa grazia. « Come un tempo Dio venne incontro al suo popolo con un Patto di amore e di fedeltà, così ora il Salvatore degli uomini e Sposo della Chiesa viene incontro ai coniugi cristiani attraverso il sacramento del Matrimonio ». (300) Egli rimane con loro, dà loro la forza di seguirlo prendendo su di sé la propria croce, di rialzarsi dopo le loro cadute, di perdonarsi vicendevolmente, di portare gli uni i pesi degli altri, (301) di essere « sottomessi gli uni agli altri nel timore di Cristo » (Ep 5,21) e di amarsi di un amore soprannaturale, tenero e fecondo. Nelle gioie del loro amore e della loro vita familiare egli concede loro, fin da quaggiù, una pregustazione del banchetto delle nozze dell'Agnello:

« Come sarò capace di esporre la felicità di quel matrimonio che la Chiesa unisce, l'offerta eucaristica conferma, la benedizione suggella, gli angeli annunciano e il Padre celeste ratifica? [...] Quale giogo quello di due fedeli uniti in un'unica speranza, in un unico desiderio, in un'unica osservanza, in un unico servizio! Entrambi sono figli dello stesso Padre, servi dello stesso Signore; non vi è nessuna divisione quanto allo spirito e quanto alla carne. Anzi, sono veramente due in una sola carne e dove la carne è unica, unico è lo spirito ». (302)

(300) Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes GS 48, AAS 58 (1966) 1068.
(301) Cf Ga 6,2.
(302) Tertulliano, Ad uxorem, 2, 8, 6-7: CCL 1, 393 (PL 1, 1415-1416); cf Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris consortio, FC 13: AAS 74 (1982) 94.


V. I beni e le esigenze dell'amore coniugale

1643 « L'amore coniugale comporta una totalità in cui entrano tutte le componenti della persona – richiamo del corpo e dell'istinto, forza del sentimento e dell'affettività, aspirazione dello spirito e della volontà –; esso mira a una unità profondamente personale, quella che, al di là dell'unione in una sola carne, conduce a non fare che un cuore solo e un'anima sola; esso esige l'indissolubilità e la fedeltà della donazione reciproca definitiva e si apre sulla fecondità.In una parola, si tratta di caratteristiche normali di ogni amore coniugale, ma con un significato nuovo che non solo le purifica e le consolida, ma anche le eleva al punto di farne l'espressione di valori propriamente cristiani ». (303)

(303) Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris consortio,
FC 13: AAS 74 (1982) 96.


L'unità e l'indissolubilità del Matrimonio

1644 L'amore degli sposi esige, per sua stessa natura, l'unità e l'indissolubilità della loro comunità di persone che abbraccia tutta la loro vita: « Così che non sono più due, ma una carne sola » (Mt 19,6). (304) Essi « sono chiamati a crescere continuamente nella loro comunione attraverso la fedeltà quotidiana alla promessa matrimoniale del reciproco dono totale ». (305) Questa comunione umana è confermata, purificata e condotta a perfezione mediante la comunione in Cristo Gesù, donata dal sacramento del Matrimonio. Essa si approfondisce mediante la vita di comune fede e mediante l'Eucaristia ricevuta insieme.

(304) Cf Gn 2,24.
(305) Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris consortio, FC 19: AAS 74 (1982) 101.

1645 « L'unità del Matrimonio confermata dal Signore appare in maniera lampante anche dalla uguale dignità personale sia dell'uomo che della donna, che deve essere riconosciuta nel mutuo e pieno amore ». (306) La poligamia è contraria a questa pari dignità e all'amore coniugale che è unico ed esclusivo. (307)

(306) Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes
GS 49, AAS 58 (1966) 1070.
(307) Cf Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris consortio, FC 19: AAS 74 (1982) 102.


La fedeltà dell'amore coniugale

1646 L'amore coniugale esige dagli sposi, per sua stessa natura, una fedeltà inviolabile. È questa la conseguenza del dono di se stessi che gli sposi si fanno l'uno all'altro. L'amore vuole essere definitivo. Non può essere « fino a nuovo ordine ». « Questa intima unione, in quanto mutua donazione di due persone, come pure il bene dei figli, esigono la piena fedeltà dei coniugi e ne reclamano l'indissolubile unità ». (308)

(308) Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes
GS 48, AAS 58 (1966) 1068.

1647 La motivazione più profonda si trova nella fedeltà di Dio alla sua Alleanza, di Cristo alla sua Chiesa. Dal sacramento del Matrimonio gli sposi sono abilitati a rappresentare tale fedeltà e a darne testimonianza. Dal sacramento, l'indissolubilità del Matrimonio riceve un senso nuovo e più profondo.

1648 Può sembrare difficile, persino impossibile, legarsi per tutta la vita a un essere umano. È perciò quanto mai necessario annunciare la Buona Novella che Dio ci ama di un amore definitivo e irrevocabile, che gli sposi sono partecipi di questo amore, che egli li conduce e li sostiene, e che attraverso la loro fedeltà possono essere testimoni dell'amore fedele di Dio. I coniugi che, con la grazia di Dio, danno questa testimonianza, spesso in condizioni molto difficili, meritano la gratitudine e il sostegno della comunità ecclesiale. (309)

(309) Cf Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris consortio,
FC 20: AAS 74 (1982) 104.

1649 Esistono tuttavia situazioni in cui la coabitazione matrimoniale diventa praticamente impossibile per le più varie ragioni. In tali casi la Chiesa ammette la separazione fisica degli sposi e la fine della coabitazione. I coniugi non cessano di essere marito e moglie davanti a Dio; non sono liberi di contrarre una nuova unione. In questa difficile situazione, la soluzione migliore sarebbe, se possibile, la riconciliazione. La comunità cristiana è chiamata ad aiutare queste persone a vivere cristianamente la loro situazione, nella fedeltà al vincolo del loro matrimonio che resta indissolubile. (310)

(310) Cf Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris consortio,
FC 83: AAS 74 (1982) 184; CIC canoni CIC 1151-1155.

1650 Oggi, in molti paesi, sono numerosi i cattolici che ricorrono al divorzio secondo le leggi civili e che contraggono civilmente una nuova unione. La Chiesa sostiene, per fedeltà alla parola di Gesù Cristo (« Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un'altra, commette adulterio contro di lei; se la donna ripudia il marito e ne sposa un altro, commette adulterio »: Mc 10,11-12), che non può riconoscere come valida una nuova unione, se era valido il primo matrimonio. Se i divorziati si sono risposati civilmente, essi si trovano in una situazione che oggettivamente contrasta con la Legge di Dio. Perciò essi non possono accedere alla Comunione eucaristica, per tutto il tempo che perdura tale situazione. Per lo stesso motivo non possono esercitare certe responsabilità ecclesiali. La riconciliazione mediante il sacramento della Penitenza non può essere accordata se non a coloro che si sono pentiti di aver violato il segno dell'Alleanza e della fedeltà a Cristo, e si sono impegnati a vivere in una completa continenza.

1651 Nei confronti dei cristiani che vivono in questa situazione e che spesso conservano la fede e desiderano educare cristianamente i loro figli, i sacerdoti e tutta la comunità devono dare prova di una attenta sollecitudine affinché essi non si considerino come separati dalla Chiesa, alla vita della quale possono e devono partecipare in quanto battezzati:

« Siano esortati ad ascoltare la Parola di Dio, a frequentare il Sacrificio della Messa, a perseverare nella preghiera, a dare incremento alle opere di carità e alle iniziative della comunità in favore della giustizia, a educare i figli nella fede cristiana, a coltivare lo spirito e le opere di penitenza, per implorare così, di giorno in giorno, la grazia di Dio ». (311)

(311) Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris consortio,
FC 84: AAS 74 (1982) 185.


L'apertura alla fecondità

1652 « Per sua indole naturale, l'istituto stesso del matrimonio e l'amore coniugale sono ordinati alla procreazione e all'educazione della prole e in queste trovano il loro coronamento »: (312)

« I figli sono il preziosissimo dono del matrimonio e contribuiscono moltissimo al bene degli stessi genitori. Lo stesso Dio che disse: "Non è bene che l'uomo sia solo" (
Gn 2,18) e che "creò all'inizio l'uomo maschio e femmina" (Mt 19,4), volendo comunicare all'uomo una certa speciale partecipazione nella sua opera creatrice, benedisse l'uomo e la donna, dicendo loro: "Crescete e moltiplicatevi" (Gn 1,28). Di conseguenza la vera pratica dell'amore coniugale e tutta la struttura della vita familiare che ne nasce, senza posporre gli altri fini del matrimonio, a questo tendono che i coniugi, con fortezza d'animo, siano disposti a cooperare con l'amore del Creatore e del Salvatore, che attraverso di loro continuamente dilata e arricchisce la sua famiglia ». (313)

(312) Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes GS 48, AAS 58 (1966) 1068.
(313) Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes GS 50, AAS 58 (1966) 1070-1071.

1653 La fecondità dell'amore coniugale si estende ai frutti della vita morale, spirituale e soprannaturale che i genitori trasmettono ai loro figli attraverso l'educazione. I genitori sono i primi e principali educatori dei loro figli. (314) In questo senso il compito fondamentale del matrimonio e della famiglia è di essere al servizio della vita. (315)

(314) Cf Concilio Vaticano II, Dich. Gravissimum educationis
GE 3, AAS 58 (1966) 731.
(315) Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris consortio, FC 28: AAS 74 (1982) 114.

1654 I coniugi ai quali Dio non ha concesso di avere figli, possono nondimeno avere una vita coniugale piena di senso, umanamente e cristianamente. Il loro matrimonio può risplendere di una fecondità di carità, di accoglienza e di sacrificio.



VI. La Chiesa domestica

1655 Cristo ha voluto nascere e crescere in seno alla santa Famiglia di Giuseppe e di Maria. La Chiesa non è altro che la « famiglia di Dio ». Fin dalle sue origini, il nucleo della Chiesa era spesso costituito da coloro che, insieme con tutta la loro famiglia, erano divenuti credenti. (316) Allorché si convertivano, desideravano che anche « tutta la loro famiglia » fosse salvata. (317) Queste famiglie divenute credenti erano piccole isole di vita cristiana in un mondo incredulo.

(316) Cf
Ac 18,8.

1656 Ai nostri giorni, in un mondo spesso estraneo e persino ostile alla fede, le famiglie credenti sono di fondamentale importanza, come focolari di fede viva e irradiante. È per questo motivo che il Concilio Vaticano II, usando un'antica espressione, chiama la famiglia « Ecclesia domestica » – Chiesa domestica. (318) È in seno alla famiglia che « i genitori devono essere per i loro figli, con la parola e con l'esempio, i primi annunciatori della fede, e secondare la vocazione propria di ognuno, e quella sacra in modo speciale ». (319)

(317) Cf
Ac 16,31 Ac 11,14.
(318) Concilio Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium LG 11, AAS 57 (1965) 16; cf Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris consortio, FC 21: AAS 74 (1982) 105.
(319) Concilio Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium LG 11, AAS 57 (1965) 16.

1657 È qui che si esercita in maniera privilegiata il sacerdozio battesimale del padre di famiglia, della madre, dei figli, di tutti i membri della famiglia, « con la partecipazione ai sacramenti, con la preghiera e il ringraziamento, con la testimonianza di una vita santa, con l'abnegazione e l'operosa carità ». (320) Il focolare è così la prima scuola di vita cristiana e « una scuola di umanità più ricca ». (321) È qui che si apprende la fatica e la gioia del lavoro, l'amore fraterno, il perdono generoso, sempre rinnovato, e soprattutto il culto divino attraverso la preghiera e l'offerta della propria vita.

(320) Concilio Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium
LG 10, AAS 57 (1965) 15.
(321) Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes GS 52, AAS 58 (1966) 1073.

1658 Bisogna anche ricordare alcune persone che, a causa delle condizioni concrete in cui devono vivere – e spesso senza averlo voluto – sono particolarmente vicine al cuore di Gesù e meritano quindi affetto e premurosa sollecitudine da parte della Chiesa e in modo speciale dei Pastori: il gran numero di persone celibi. Molte di loro restano senza famiglia umana, spesso a causa di condizioni di povertà. Ve ne sono di quelle che vivono la loro situazione nello spirito delle beatitudini, servendo Dio e il prossimo in maniera esemplare. A tutte loro bisogna aprire le porte dei focolari, « Chiese domestiche », e della grande famiglia che è la Chiesa. « Nessuno è privo della famiglia in questo mondo: la Chiesa è casa e famiglia per tutti, specialmente per quanti sono "affaticati e oppressi" (Mt 11,28) ». (322)

(322) Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris consortio, FC 85: AAS 74 (1982) 187.


In sintesi

1659 San Paolo dice: « Voi, mariti, amate le vostre mogli, come Cristo ha amato la Chiesa [...]. Questo mistero è grande; lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa » (Ep 5,25 Ep 5,32).

1660 L'alleanza matrimoniale, mediante la quale un uomo e una donna costituiscono fra loro un'intima comunione di vita e di amore, è stata fondata e dotata di sue proprie leggi dal Creatore. Per sua natura è ordinata al bene dei coniugi così come alla generazione e all'educazione della prole. Tra battezzati essa è stata elevata da Cristo Signore alla dignità di sacramento. (323)

(323) Cf Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes
GS 48, AAS 58 (1966) 1067-1068; CIC canone CIC 1055, § 1.

1661 Il sacramento del Matrimonio è segno dell'unione di Cristo e della Chiesa. Esso dona agli sposi la grazia di amarsi con l'amore con cui Cristo ha amato la sua Chiesa; la grazia del sacramento perfeziona così l'amore umano dei coniugi, consolida la loro unità indissolubile e li santifica nel cammino della vita eterna. (324)

(324) Cf Concilio di Trento, Sess. 24a, Doctrina de sacramento Matrimonii:
DS 1799.

1662 Il matrimonio si fonda sul consenso dei contraenti, cioè sulla volontà di donarsi mutuamente e definitivamente, allo scopo di vivere un'alleanza d'amore fedele e fecondo.

1663 Poiché il matrimonio stabilisce i coniugi in uno stato pubblico di vita nella Chiesa, è opportuno che la sua celebrazione sia pubblica, inserita in una celebrazione liturgica, alla presenza del sacerdote (o del testimone qualificato della Chiesa), dei testimoni e dell'assemblea dei fedeli.

1664 L'unità, l'indissolubilità e l'apertura alla fecondità sono essenziali al matrimonio. La poligamia è incompatibile con l'unità del matrimonio; il divorzio separa ciò che Dio ha unito; il rifiuto della fecondità priva la vita coniugale del suo « preziosissimo dono », il figlio. (325)

(325) Cf Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes
GS 50, AAS 58 (1966) 1070.

1665 Il nuovo matrimonio dei divorziati, mentre è ancora vivo il coniuge legittimo, contravviene al disegno e alla Legge di Dio insegnati da Cristo. Costoro non sono separati dalla Chiesa, ma non possono accedere alla Comunione eucaristica. Vivranno la loro vita cristiana particolarmente educando i loro figli nella fede.

1666 Il focolare cristiano è il luogo in cui i figli ricevono il primo annuncio della fede. Perciò la casa familiare è chiamata a buon diritto « la Chiesa domestica », comunità di grazia e di preghiera, scuola delle virtù umane e della carità cristiana.






CAPITOLO QUARTO

LE ALTRE CELEBRAZIONI LITURGICHE


ARTICOLO 1

I SACRAMENTALI

1667 « La santa Madre Chiesa ha istituito i sacramentali. Questi sono segni sacri per mezzo dei quali, con una certa imitazione dei sacramenti, sono significati e, per impetrazione della Chiesa, vengono ottenuti effetti soprattutto spirituali. Per mezzo di essi gli uomini vengono disposti a ricevere l'effetto principale dei sacramenti e vengono santificate le varie circostanze della vita ». (326)

(326) Concilio Vaticano II, Cost. Sacrosanctum Concilium
SC 60, AAS 56 (1964) 116; cf CIC canone CIC 1166; CCEO canone CIO 867.


I tratti caratteristici dei sacramentali

1668 Essi sono istituiti dalla Chiesa per la santificazione di alcuni ministeri ecclesiastici, di alcuni stati di vita, di circostanze molto varie della vita cristiana, così come dell'uso di cose utili all'uomo. Secondo le decisioni pastorali dei Vescovi, possono anche rispondere ai bisogni, alla cultura e alla storia propri del popolo cristiano di una regione o di un'epoca. Comportano sempre una preghiera, spesso accompagnata da un determinato segno, come l'imposizione della mano, il segno della croce, l'aspersione con l'acqua benedetta (che richiama il Battesimo).

1669 Essi derivano dal sacerdozio battesimale: ogni battezzato è chiamato ad essere una benedizione (327) e a benedire. (328) Per questo anche i laici possono presiedere alcune benedizioni; (329) più una benedizione riguarda la vita ecclesiale e sacramentale, più la sua presidenza è riservata al ministro ordinato (Vescovo, presbiteri o diaconi). (330)

(327) Cf
Gn 12,2.
(328) Cf Lc 6,28 Rm 12,14 1P 3,9.
(329) Cf Concilio Vaticano II, Cost. Sacrosanctum Concilium SC 79, AAS 56 (1964) 120; cf CIC canone CIC 1168.
(330) Cf Benedizionale, Premesse generali, 16 e 18 (Libreria Editrice Vaticana 1992) p. 26. 14-15.

1670 I sacramentali non conferiscono la grazia dello Spirito Santo alla maniera dei sacramenti; però mediante la preghiera della Chiesa preparano a ricevere la grazia e dispongono a cooperare con essa. « Ai fedeli ben disposti è dato di santificare quasi tutti gli avvenimenti della vita per mezzo della grazia divina che fluisce dal mistero pasquale della passione, morte e risurrezione di Cristo, mistero dal quale derivano la loro efficacia tutti i sacramenti e i sacramentali; e così ogni uso onesto delle cose materiali può essere indirizzato alla santificazione dell'uomo e alla lode di Dio ». (331)

(331) Concilio Vaticano II, Cost. Sacrosanctum Concilium
SC 61, AAS 56 (1964) 116-117.


Le varie forme di sacramentali

1671 Fra i sacramentali ci sono innanzi tutto le benedizioni (di persone, della mensa, di oggetti, di luoghi). Ogni benedizione è lode di Dio e preghiera per ottenere i suoi doni. In Cristo, i cristiani sono benedetti da Dio Padre « con ogni benedizione spirituale » (Ep 1,3). Per questo la Chiesa impartisce la benedizione invocando il nome di Gesù, e facendo normalmente il santo segno della croce di Cristo.

1672 Alcune benedizioni hanno una portata duratura: hanno per effetto di consacrare persone a Dio e di riservare oggetti e luoghi all'uso liturgico. Fra quelle che sono destinate a persone – da non confondere con l'ordinazione sacramentale – figurano la benedizione dell'abate o dell'abbadessa di un monastero, la consacrazione delle vergini e delle vedove, il rito della professione religiosa e le benedizioni per alcuni ministeri ecclesiastici (lettori, accoliti, catechisti, ecc). Come esempio delle benedizioni che riguardano oggetti, si può segnalare la dedicazione o la benedizione di una chiesa o di un altare, la benedizione degli olii santi, dei vasi e delle vesti sacre, delle campane, ecc.

1673 Quando la Chiesa domanda pubblicamente e con autorità, in nome di Gesù Cristo, che una persona o un oggetto sia protetto contro l'influenza del maligno e sottratto al suo dominio, si parla di esorcismo. Gesù l'ha praticato; (332) è da lui che la Chiesa deriva il potere e il compito di esorcizzare. (333) In una forma semplice, l'esorcismo è praticato durante la celebrazione del Battesimo. L'esorcismo solenne, chiamato « grande esorcismo », può essere praticato solo da un presbitero e con il permesso del Vescovo. In ciò bisogna procedere con prudenza, osservando rigorosamente le norme stabilite dalla Chiesa. (334) L'esorcismo mira a scacciare i demoni o a liberare dall'influenza demoniaca, e ciò mediante l'autorità spirituale che Gesù ha affidato alla sua Chiesa. Molto diverso è il caso di malattie, soprattutto psichiche, la cui cura rientra nel campo della scienza medica. È importante, quindi, accertarsi, prima di celebrare l'esorcismo, che si tratti di una presenza del maligno e non di una malattia.

(332) Cf
Mc 1,25-26.
(333) Cf Mc 3,15 Mc 6,7 Mc 6,13 Mc 16,17.
(334) Cf CIC canone CIC 1172.

La religiosità popolare

1674 Oltre che della liturgia dei sacramenti e dei sacramentali, la catechesi deve tener conto delle forme della pietà dei fedeli e della religiosità popolare. Il senso religioso del popolo cristiano, in ogni tempo, ha trovato la sua espressione nelle varie forme di pietà che accompagnano la vita sacramentale della Chiesa, quali la venerazione delle reliquie, le visite ai santuari, i pellegrinaggi, le processioni, la « via crucis », le danze religiose, il Rosario, le medaglie, ecc. (335)

(335) Cf Concilio di Nicea II, Definitio de sacris imaginibus:
DS 601; Ibid.: DS 603 Concilio di Trento, Sess. 25a, Decretum de invocatione, veneratione et reliquiis sanctorum, et sacris imaginibus: DS 1822.

1675 Queste espressioni sono un prolungamento della vita liturgica della Chiesa, ma non la sostituiscono:

« Bisogna che tali esercizi, tenuto conto dei tempi liturgici, siano ordinati in modo da essere in armonia con la sacra liturgia, derivino in qualche modo da essa, e ad essa, data la sua natura di gran lunga superiore, conducano il popolo cristiano ». (336)

(336) Concilio Vaticano II, Cost. Sacrosanctum Concilium
SC 13, AAS 56 (1964) 103.

1676 È necessario un discernimento pastorale per sostenere e favorire la religiosità popolare e, all'occorrenza, per purificare e rettificare il senso religioso che sta alla base di tali devozioni e per far progredire nella conoscenza del mistero di Cristo. Il loro esercizio è sottomesso alla cura e al giudizio dei Vescovi e alle norme generali della Chiesa. (337)

« La religiosità popolare, nell'essenziale, è un insieme di valori che, con saggezza cristiana, risponde ai grandi interrogativi dell'esistenza. Il buon senso popolare cattolico è fatto di capacità di sintesi per l'esistenza. È così che esso unisce, in modo creativo, il divino e l'umano, Cristo e Maria, lo spirito e il corpo, la comunione e l'istituzione, la persona e la comunità, la fede e la patria, l'intelligenza e il sentimento. Questa saggezza è un umanesimo cristiano che afferma radicalmente la dignità di ogni essere in quanto figlio di Dio, instaura una fraternità fondamentale, insegna a porsi in armonia con la natura e anche a comprendere il lavoro, e offre motivazioni per vivere nella gioia e nella serenità, pur in mezzo alle traversie dell'esistenza. Questa saggezza è anche, per il popolo, un principio di discernimento, un istinto evangelico che gli fa spontaneamente percepire quando il Vangelo è al primo posto nella Chiesa, o quando esso è svuotato del suo contenuto e soffocato da altri interessi ». (338)

(337) Cf Giovanni Paolo II, Esort. ap. Catechesi tradendae,
CTR 54: AAS 71 (1979) 1321-1322.
(338) III Conferencia General del Episcopado Latinoamericano, Puebla. La Evangelización en el presente y en el futuro de América Latina, 448 (Bogotá 1979) p. 131; cf Paolo VI, Esort. ap. Evangelii nuntiandi, EN 48: AAS 68 (1976) 37-38.


In sintesi

1677 Si chiamano sacramentali i sacri segni istituiti dalla Chiesa il cui scopo è di preparare gli uomini a ricevere il frutto dei sacramenti e di santificare le varie circostanze della vita.

1678 Fra i sacramentali, le benedizioni occupano un posto importante. Esse comportano ad un tempo la lode di Dio per le sue opere e i suoi doni, e l'intercessione della Chiesa affinché gli uomini possano usare i doni di Dio secondo lo spirito del Vangelo.

1679 Oltre che della liturgia, la vita cristiana si nutre di varie forme di pietà popolare, radicate nelle diverse culture. Pur vigilando per illuminarle con la luce della fede, la Chiesa favorisce le forme di religiosità popolare, che esprimono un istinto evangelico e una saggezza umana e arricchiscono la vita cristiana.






ARTICOLO 2

LE ESEQUIE CRISTIANE

1680 Tutti i sacramenti, e principalmente quelli dell'iniziazione cristiana, hanno per scopo l'ultima pasqua del figlio di Dio, quella che, attraverso la morte, lo introduce nella vita del Regno. Allora si compie ciò che confessa nella fede e nella speranza: « Aspetto la risurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà ». (339)

(339) Simbolo niceno-costantinopolitano:
DS 150.


I. L'ultima pasqua del cristiano

1681 Il senso cristiano della morte si manifesta alla luce del mistero pasquale della morte e della risurrezione di Cristo, nel quale riposa la nostra unica speranza. Il cristiano che muore in Cristo Gesù va in esilio dal corpo per abitare presso il Signore. (340)

(340) Cf
2Co 5,8.

1682 Il giorno della morte inaugura per il cristiano, al termine della sua vita sacramentale, il compimento della sua nuova nascita cominciata con il Battesimo, la « somiglianza » definitiva all'« immagine del Figlio » conferita dall'unzione dello Spirito Santo e la partecipazione al banchetto del Regno anticipato nell'Eucaristia, anche se, per rivestire l'abito nuziale, ha ancora bisogno di ulteriori purificazioni.

1683 La Chiesa che, come Madre, ha portato sacramentalmente nel suo seno il cristiano durante il suo pellegrinaggio terreno, lo accompagna al termine del suo cammino per rimetterlo « nelle mani del Padre ». Essa offre al Padre, in Cristo, il figlio della sua grazia e, nella speranza, consegna alla terra il seme del corpo che risusciterà nella gloria. (341) Questa offerta è celebrata in pienezza nel sacrificio eucaristico; le benedizioni che precedono e che seguono sono dei sacramentali.

(341) Cf
1Co 15,42-44.


II. La celebrazione delle esequie

1684 Le esequie cristiane sono una celebrazione liturgica della Chiesa. Il ministero della Chiesa in questo caso mira ad esprimere la comunione efficace con il defunto come pure a rendere partecipe la sua comunità riunita per le esequie e ad annunciarle la vita eterna.

1685 I differenti riti delle esequie esprimono il carattere pasquale della morte cristiana, e rispondono alle situazioni e alle tradizioni delle singole regioni, anche quanto al colore liturgico. (342)

(342) Cf Concilio Vaticano II, Cost. Sacrosanctum Concilium
SC 81, AAS 56 (1964) 120.

1686 Il Rito delle esequie della liturgia romana propone tre tipi di celebrazione delle esequie, corrispondenti ai tre luoghi del suo svolgimento (la casa, la chiesa, il cimitero), e secondo l'importanza che vi attribuiscono la famiglia, le consuetudini locali, la cultura e la pietà popolare. Questo svolgimento è del resto comune a tutte le tradizioni liturgiche e comprende quattro momenti principali:

1687 L'accoglienza della comunità. Un saluto di fede apre la celebrazione. I parenti del defunto sono accolti con una parola di « conforto » (nel senso del Nuovo Testamento: la forza dello Spirito Santo nella speranza (343)). La comunità che si raduna in preghiera attende anche « parole di vita eterna ». La morte di un membro della comunità (o il giorno anniversario, il settimo o il trigesimo giorno) è un evento che deve far superare le prospettive di « questo mondo » e attirare i fedeli nelle autentiche prospettive della fede nel Cristo risorto.

(343) Cf
1Th 4,18.

1688 La liturgia della Parola, durante le esequie, esige una preparazione tanto più attenta in quanto l'assemblea presente in quel momento può comprendere fedeli poco assidui alla liturgia e amici del defunto che non sono cristiani. L'omelia, in particolare, deve evitare la forma e lo stile di un elogio funebre (344) e illuminare il mistero della morte cristiana alla luce di Cristo risorto.

(344) Cf Rito delle esequie, Esequie degli adulti, 69 (Libreria Editrice Vaticana 1989) p. 73.

1689 Il sacrificio eucaristico. Quando la celebrazione ha luogo in chiesa, l'Eucaristia è il cuore della realtà pasquale della morte cristiana. (345) È allora che la Chiesa esprime la sua comunione efficace con il defunto: offrendo al Padre, nello Spirito Santo, il sacrificio della morte e della risurrezione di Cristo, gli chiede che il suo figlio sia purificato dai suoi peccati e dalle loro conseguenze e che sia ammesso alla pienezza pasquale della mensa del Regno. (346) È attraverso l'Eucaristia così celebrata che la comunità dei fedeli, specialmente la famiglia del defunto, impara a vivere in comunione con colui che « si è addormentato nel Signore », comunicando al corpo di Cristo di cui egli è membro vivente, e pregando poi per lui e con lui.

(345) Cf Rito delle esequie, Premesse, 1 (Libreria Editrice Vaticana 1989) p. 13.
(346) Cf Rito delle esequie, Al sepolcro, 89 (Libreria Editrice Vaticana 1989) p. 93.

1690 L'addio (« a-Dio ») al defunto è la sua « raccomandazione a Dio » da parte della Chiesa. È « l'ultimo saluto rivolto dalla comunità cristiana a un suo membro, prima che il corpo sia portato alla sepoltura ». (347) La tradizione bizantina lo esprime con il bacio di addio al defunto: Con questo saluto finale « si canta per la sua dipartita da questa vita e la sua separazione, ma anche perché esiste una comunione e una riunione. Infatti, morti, non siamo affatto separati gli uni dagli altri, poiché noi tutti percorriamo la medesima strada e ci ritroveremo nel medesimo luogo. Non saremo mai separati, perché vivremo per Cristo, e ora siamo uniti a Cristo, andando incontro a lui [...] saremo tutti insieme in Cristo ». (348)

(347) Rito delle esequie, Premesse, 10 (Libreria Editrice Vaticana 1989) p. 16.
(348) San Simeone di Tessalonica, De ordine sepulturae, 367: PG 155,685.





Catechismo Chiesa Catt. 1638