Catechismo Chiesa Catt. 2373

Il dono del figlio

2373 La Sacra Scrittura e la pratica tradizionale della Chiesa vedono nelle famiglie numerose un segno della benedizione divina e della generosità dei genitori. (260)

(260) Cf Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes
GS 50, AAS 58 (1966) 1071.

2374 Grande è la sofferenza delle coppie che si scoprono sterili. « Che mi darai? », chiede Abramo a Dio. « Io me ne vado senza figli... » (Gn 15,2). « Dammi dei figli, se no io muoio! », grida Rachele al marito Giacobbe (Gn 30,1).

2375 Le ricerche finalizzate a ridurre la sterilità umana sono da incoraggiare, a condizione che si pongano « al servizio della persona umana, dei suoi diritti inalienabili e del suo bene vero e integrale, secondo il progetto e la volontà di Dio ». (261)

(261) Congregazione per la Dottrina della Fede, Istr. Donum vitae, Introductio, 2: AAS 80 (1988) 73.

2376 Le tecniche che provocano una dissociazione dei genitori, per l'intervento di una persona estranea alla coppia (dono di sperma o di ovocita, prestito dell'utero) sono gravemente disoneste. Tali tecniche (inseminazione e fecondazione artificiali eterologhe) ledono il diritto del figlio a nascere da un padre e da una madre conosciuti da lui e tra loro legati dal matrimonio. Tradiscono « il diritto esclusivo [degli sposi] a diventare padre e madre soltanto l'uno attraverso l'altro ». (262)

(262) Congregazione per la Dottrina della Fede, Istr. Donum vitae, 2, 1: AAS 80 (1988) 87.

2377 Praticate in seno alla coppia, tali tecniche (inseminazione e fecondazione artificiali omologhe) sono, forse, meno pregiudizievoli, ma rimangono moralmente inaccettabili. Dissociano l'atto sessuale dall'atto procreatore. L'atto che fonda l'esistenza del figlio non è più un atto con il quale due persone si donano l'una all'altra, bensì un atto che « affida la vita e l'identità dell'embrione al potere dei medici e dei biologi e instaura un dominio della tecnica sull'origine e sul destino della persona umana. Una siffatta relazione di dominio è in sé contraria alla dignità e all'uguaglianza che dev'essere comune a genitori e figli ». (263) « La procreazione è privata dal punto di vista morale della sua perfezione propria quando non è voluta come il frutto dell'atto coniugale, e cioè del gesto specifico dell'unione degli sposi [...]; soltanto il rispetto del legame che esiste tra i significati dell'atto coniugale e il rispetto dell'unità dell'essere umano consente una procreazione conforme alla dignità della persona ». (264)

(263) Congregazione per la Dottrina della Fede, Istr. Donum vitae, 2, 5: AAS 80 (1988) 93.
(264) Congregazione per la Dottrina della Fede, Istr. Donum vitae, 2, 4: AAS 80 (1988) 91.

2378 Il figlio non è qualcosa di dovuto, ma un dono. Il « dono più grande del matrimonio » è una persona umana. Il figlio non può essere considerato come oggetto di proprietà: a ciò condurrebbe il riconoscimento di un preteso « diritto al figlio ». In questo campo, soltanto il figlio ha veri diritti: quello « di essere il frutto dell'atto specifico dell'amore coniugale dei suoi genitori e anche il diritto a essere rispettato come persona dal momento del suo concepimento ». (265)

(265) Congregazione per la Dottrina della Fede, Istr. Donum vitae, 2, 8: AAS 80 (1988) 97.


2379 Il Vangelo mostra che la sterilità fisica non è un male assoluto. Gli sposi che, dopo aver esaurito i legittimi ricorsi alla medicina, soffrono di sterilità, si uniranno alla croce del Signore, sorgente di ogni fecondità spirituale. Essi possono mostrare la loro generosità adottando bambini abbandonati oppure compiendo servizi significativi a favore del prossimo.



IV. Le offese alla dignità del matrimonio

2380 L'adulterio. Questa parola designa l'infedeltà coniugale. Quando due persone, di cui almeno una è sposata, intrecciano tra loro una relazione sessuale, anche episodica, commettono un adulterio. Cristo condanna l'adulterio anche se consumato con il semplice desiderio. (266) Il sesto comandamento e il Nuovo Testamento proibiscono l'adulterio in modo assoluto. (267) I profeti ne denunciano la gravità. Nell'adulterio essi vedono simboleggiato il peccato di idolatria. (268)

(266) Cf
Mt 5,27-28.
(267) Cf Mt 5,32 Mt 19,6 Mc 10,11-12 1Co 6,9-10.
(268) Cf Os 2,7 Jr 5,7 Jr 13,27.

2381 L'adulterio è un'ingiustizia. Chi lo commette viene meno agli impegni assunti. Ferisce quel segno dell'Alleanza che è il vincolo matrimoniale, lede il diritto dell'altro coniuge e attenta all'istituto del matrimonio, violando il contratto che lo fonda. Compromette il bene della generazione umana e dei figli, i quali hanno bisogno dell'unione stabile dei genitori.


Il divorzio

2382 Il Signore Gesù ha insistito sull'intenzione originaria del Creatore, che voleva un matrimonio indissolubile. (269) Ha abolito le tolleranze che erano state a poco a poco introdotte nella Legge antica. (270) Tra i battezzati « il Matrimonio rato e consumato non può essere sciolto da nessuna potestà umana e per nessuna causa, eccetto la morte ». (271)

(269) Cf
Mt 5,31-32 Mt 19,3-9 Mc 10,9 Lc 16,18 1Co 7,10-11.
(270) Cf Mt 19,7-9.
(271) CIC canone CIC 1141.

2383 La separazione degli sposi, con la permanenza del vincolo matrimoniale, può essere legittima in certi casi contemplati dal diritto canonico. (272) Se il divorzio civile rimane l'unico modo possibile di assicurare certi diritti legittimi, quali la cura dei figli o la tutela del patrimonio, può essere tollerato, senza che costituisca una colpa morale.

(272) Cf CIC canoni
CIC 1151-1155.

2384 Il divorzio è una grave offesa alla legge naturale. Esso pretende di sciogliere il patto, liberamente stipulato dagli sposi, di vivere l'uno con l'altro fino alla morte. Il divorzio offende l'Alleanza della salvezza, di cui il Matrimonio sacramentale è segno. Il fatto di contrarre un nuovo vincolo nuziale, anche se riconosciuto dalla legge civile, accresce la gravità della rottura: il coniuge risposato si trova in tal caso in una condizione di adulterio pubblico e permanente:

« Se il marito, dopo essersi separato dalla propria moglie, si unisce ad un'altra donna, è lui stesso adultero, perché fa commettere un adulterio a tale donna; e la donna che abita con lui è adultera, perché ha attirato a sé il marito di un'altra ». (273)

(273) San Basilio Magno, Moralia, regula 73: PG 31,852.


2385 Il carattere immorale del divorzio deriva anche dal disordine che esso introduce nella cellula familiare e nella società. Tale disordine genera gravi danni: per il coniuge, che si trova abbandonato; per i figli, traumatizzati dalla separazione dei genitori, e sovente contesi tra questi; per il suo effetto contagioso, che lo rende una vera piaga sociale.

2386 Può avvenire che uno dei coniugi sia vittima innocente del divorzio pronunciato dalla legge civile; questi allora non contravviene alla norma morale. C'è infatti una differenza notevole tra il coniuge che si è sinceramente sforzato di rimanere fedele al sacramento del Matrimonio e si vede ingiustamente abbandonato, e colui che, per sua grave colpa, distrugge un Matrimonio canonicamente valido. (274)

(274) Cf Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris consortio,
FC 84: AAS 74 (1982) 185.


Altre offese alla dignità del matrimonio

2387 Si comprende il dramma di chi, desideroso di convertirsi al Vangelo, si vede obbligato a ripudiare una o più donne con cui ha condiviso anni di vita coniugale. Tuttavia la poligamia è in contrasto con la legge morale. Contraddice radicalmente la comunione coniugale; essa, « infatti, nega in modo diretto il disegno di Dio quale ci viene rivelato alle origini, perché è contraria alla pari dignità personale dell'uomo e della donna, che nel matrimonio si donano con un amore totale e perciò stesso unico ed esclusivo ». (275) Il cristiano che prima era poligamo, per giustizia, ha il grave dovere di rispettare gli obblighi contratti nei confronti delle donne che erano sue mogli e dei suoi figli.

(275) Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris consortio,
FC 19: AAS 74 (1982) 102; cf Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, GS 47: AAS 58 (1966) 1067.

2388 L'incesto consiste in relazioni intime tra parenti o affini, in un grado che impedisce tra loro il matrimonio. (276) San Paolo stigmatizza questa colpa particolarmente grave: « Si sente da per tutto parlare d'immoralità tra voi [...] al punto che uno convive con la moglie di suo padre! [...] Nel nome del Signore nostro Gesù, [...] questo individuo sia dato in balia di Satana per la rovina della sua carne... » (1Co 5,1 1Co 5,3-5). L'incesto corrompe le relazioni familiari e segna un regresso verso l'animalità.

(276) Cf Lv 18,7-20.


2389 Si possono collegare all'incesto gli abusi sessuali commessi da adulti su fanciulli o adolescenti affidati alla loro custodia. In tal caso la colpa è, al tempo stesso, uno scandaloso attentato all'integrità fisica e morale dei ragazzi, i quali ne resteranno segnati per tutta la loro vita, ed è altresì una violazione della responsabilità educativa.

2390 Si ha una libera unione quando l'uomo e la donna rifiutano di dare una forma giuridica e pubblica a un legame che implica l'intimità sessuale.

L'espressione è fallace: che senso può avere una unione in cui le persone non si impegnano l'una nei confronti dell'altra, e manifestano in tal modo una mancanza di fiducia nell'altro, in se stessi o nell'avvenire?

L'espressione abbraccia situazioni diverse: concubinato, rifiuto del matrimonio come tale, incapacità di legarsi con impegni a lungo termine. (277) Tutte queste situazioni costituiscono un'offesa alla dignità del matrimonio; distruggono l'idea stessa della famiglia; indeboliscono il senso della fedeltà. Sono contrarie alla legge morale: l'atto sessuale deve avere posto esclusivamente nel matrimonio; al di fuori di esso costituisce sempre un peccato grave ed esclude dalla comunione sacramentale.

(277) Cf Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris consortio,
FC 81: AAS 74 (1982) 181-182.


2391 Molti attualmente reclamano una specie di « diritto alla prova » quando c'è intenzione di sposarsi. Qualunque sia la fermezza del proposito di coloro che si impegnano in rapporti sessuali prematuri, tali rapporti « non consentono di assicurare, nella sua sincerità e fedeltà, la relazione interpersonale di un uomo e di una donna, e specialmente di proteggerla dalle fantasie e dai capricci ». (278) L'unione carnale è moralmente legittima solo quando tra l'uomo e la donna si sia instaurata una comunità di vita definitiva. L'amore umano non ammette la « prova ». Esige un dono totale e definitivo delle persone tra loro. (279)

(278) Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede, Dich. Persona humana, 7: AAS 68 (1976) 82.
(279) Cf Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris consortio,
FC 80: AAS 74 (1982) 180-181.


In sintesi

2392 « L'amore è la fondamentale e nativa vocazione di ogni essere umano ». (280)

(280) Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris consortio,
FC 11: AAS 74 (1982) 92.

2393 Creando l'essere umano uomo e donna, Dio dona all'uno e all'altra, in modo uguale, la dignità personale. Spetta a ciascuno, uomo e donna, riconoscere e accettare la propria identità sessuale.

2394 Cristo è il modello della castità. Ogni battezzato è chiamato a condurre una vita casta, ciascuno secondo lo stato di vita che gli è proprio.

2395 La castità significa l'integrazione della sessualità nella persona. Richiede che si acquisisca la padronanza della persona.

2396 Tra i peccati gravemente contrari alla castità, vanno citati la masturbazione, la fornicazione, la pornografia e le pratiche omosessuali.

2397 L'alleanza liberamente contratta dagli sposi implica un amore fedele. Essa impone loro l'obbligo di conservare l'indissolubilità del loro Matrimonio.

2398 La fecondità è un bene, un dono, un fine del matrimonio. Donando la vita, gli sposi partecipano della paternità di Dio.

2399 La regolazione delle nascite rappresenta uno degli aspetti della paternità e della maternità responsabili. La legittimità delle intenzioni degli sposi non giustifica il ricorso a mezzi moralmente inaccettabili (per esempio, la sterilizzazione diretta o la contraccezione).

2400 L'adulterio e il divorzio, la poligamia e la libera unione costituiscono gravi offese alla dignità del matrimonio.






ARTICOLO 7

IL SETTIMO COMANDAMENTO

« Non rubare » (Ex 20,15). (281)

« Non rubare » (Mt 19,18).

(281) Cf Dt 5,19.


2401 Il settimo comandamento proibisce di prendere o di tenere ingiustamente i beni del prossimo e di arrecare danno al prossimo nei suoi beni in qualsiasi modo. Esso prescrive la giustizia e la carità nella gestione dei beni materiali e del frutto del lavoro umano. Esige, in vista del bene comune, il rispetto della destinazione universale dei beni e del diritto di proprietà privata. La vita cristiana si sforza di ordinare a Dio e alla carità fraterna i beni di questo mondo.



I. La destinazione universale e la proprietà privata dei beni

2402 All'inizio, Dio ha affidato la terra e le sue risorse alla gestione comune dell'umanità, affinché se ne prendesse cura, la dominasse con il suo lavoro e ne godesse i frutti. (282) I beni della creazione sono destinati a tutto il genere umano. Tuttavia la terra è suddivisa tra gli uomini, perché sia garantita la sicurezza della loro vita, esposta alla precarietà e minacciata dalla violenza. L'appropriazione dei beni è legittima al fine di garantire la libertà e la dignità delle persone, di aiutare ciascuno a soddisfare i propri bisogni fondamentali e i bisogni di coloro di cui ha la responsabilità. Tale appropriazione deve consentire che si manifesti una naturale solidarietà tra gli uomini.

(282) Cf
Gn 1,26-29.

2403 Il diritto alla proprietà privata, acquisita o ricevuta in giusto modo, non elimina l'originaria donazione della terra all'insieme dell'umanità. La destinazione universale dei beni rimane primaria, anche se la promozione del bene comune esige il rispetto della proprietà privata, del diritto ad essa e del suo esercizio.

2404 « L'uomo, usando dei beni creati, deve considerare le cose esteriori che legittimamente possiede, non solo come proprie, ma anche come comuni, nel senso che possano giovare non unicamente a lui, ma anche agli altri ». (283) La proprietà di un bene fa di colui che lo possiede un amministratore della provvidenza; deve perciò farlo fruttificare e spartirne i frutti con gli altri, e, in primo luogo, con i propri congiunti.

(283) Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes
GS 69, AAS 58 (1966) 1090.

2405 I beni di produzione – materiali o immateriali –, come terreni o stabilimenti, competenze o arti, esigono le cure di chi li possiede, perché la loro fecondità vada a vantaggio del maggior numero di persone. Coloro che possiedono beni d'uso e di consumo devono usarne con moderazione, riservando la parte migliore all'ospite, al malato, al povero.

2406 L'autorità politica ha il diritto e il dovere di regolare il legittimo esercizio del diritto di proprietà in funzione del bene comune. (284)

(284) Cf Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes
GS 71, AAS 58 (1966) 1093; Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, SRS 42: AAS 80 (1988) 572-574; Id., Lett. enc. Centesimus annus, CA 40: AAS 83 (1991) 843; Ibid., CA 48: AAS 83 (1991) 852-854.


II. Il rispetto delle persone e dei loro beni

2407 In materia economica, il rispetto della dignità umana esige la pratica della virtù della temperanza, per moderare l'attaccamento ai beni di questo mondo; della virtù della giustizia, per rispettare i diritti del prossimo e dargli ciò che gli è dovuto; e della solidarietà, seguendo la regola aurea e secondo la liberalità del Signore il quale, da ricco che era, si è fatto povero per noi, perché noi diventassimo ricchi per mezzo della sua povertà. (285)

(285) Cf
2Co 8,9.


Il rispetto dei beni altrui

2408 Il settimo comandamento proibisce il furto, cioè l'usurpazione del bene altrui contro la ragionevole volontà del proprietario. Non c'è furto se il consenso può essere presunto, o se il rifiuto è contrario alla ragione e alla destinazione universale dei beni. È questo il caso della necessità urgente ed evidente, in cui l'unico mezzo per soddisfare bisogni immediati ed essenziali (nutrimento, rifugio, indumenti...) è di disporre e di usare beni altrui. (286)

(286) Cf Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes
GS 69, AAS 58 (1966) 1090-1091.

2409 Ogni modo di prendere e di tenere ingiustamente i beni del prossimo, anche se non è in contrasto con le disposizioni della legge civile, è contrario al settimo comandamento. Così, tenere deliberatamente cose avute in prestito o oggetti smarriti; commettere frode nel commercio; (287) pagare salari ingiusti; (288) alzare i prezzi, speculando sull'ignoranza o sul bisogno altrui. (289)

Sono pure moralmente illeciti: la speculazione, con la quale si agisce per far artificiosamente variare la stima dei beni, in vista di trarne un vantaggio a danno di altri; la corruzione, con la quale si svia il giudizio di coloro che devono prendere decisioni in base al diritto; l'appropriazione e l'uso privato dei beni sociali di un'impresa; i lavori eseguiti male, la frode fiscale, la contraffazione di assegni e di fatture, le spese eccessive, lo sperpero. Arrecare volontariamente un danno alle proprietà private o pubbliche è contrario alla legge morale ed esige il risarcimento.

(287) Cf
Dt 25,13-16.
(288) Cf Dt 24,14-15 Jc 5,4.
(289) Cf Am Am 8,4-6.


2410 Le promesse devono essere mantenute, e i contratti rigorosamente osservati nella misura in cui l'impegno preso è moralmente giusto. Una parte rilevante della vita economica e sociale dipende dal valore dei contratti tra le persone fisiche o morali. È il caso dei contratti commerciali di vendita o di acquisto, dei contratti d'affitto o di lavoro. Ogni contratto deve essere stipulato e applicato in buona fede.

2411 I contratti sottostanno alla giustizia commutativa, che regola gli scambi tra le persone e tra le istituzioni nel pieno rispetto dei loro diritti. La giustizia commutativa obbliga strettamente; esige la salvaguardia dei diritti di proprietà, il pagamento dei debiti e l'adempimento delle obbligazioni liberamente contrattate. Senza la giustizia commutativa, qualsiasi altra forma di giustizia è impossibile.

Va distinta la giustizia commutativa dalla giustizia legale, che riguarda ciò che il cittadino deve equamente alla comunità, e dalla giustizia distributiva, che regola ciò che la comunità deve ai cittadini in proporzione alle loro prestazioni e ai loro bisogni.

2412 In forza della giustizia commutativa, la riparazione dell'ingiustizia commessa esige la restituzione al proprietario di ciò di cui è stato derubato:

Gesù fa l'elogio di Zaccheo per il suo proposito: « Se ho frodato qualcuno, restituisco quattro volte tanto » (
Lc 19,8). Coloro che, direttamente o indirettamente, si sono appropriati di un bene altrui, sono tenuti a restituirlo, o, se la cosa non c'è più, a rendere l'equivalente in natura o in denaro, come anche a corrispondere i frutti e i profitti che sarebbero stati legittimamente ricavati dal proprietario. Allo stesso modo hanno l'obbligo della restituzione, in proporzione alla loro responsabilità o al vantaggio avutone, tutti coloro che in qualche modo hanno preso parte al furto, oppure ne hanno approfittato con cognizione di causa; per esempio, coloro che l'avessero ordinato, o appoggiato, o avessero ricettato la refurtiva.

2413 I giochi d'azzardo (gioco delle carte, ecc.) o le scommesse non sono in se stessi contrari alla giustizia. Diventano moralmente inaccettabili allorché privano la persona di ciò che le è necessario per far fronte ai bisogni propri e altrui. La passione del gioco rischia di diventare una grave schiavitù. Truccare le scommesse o barare nei giochi costituisce una mancanza grave, a meno che il danno causato sia tanto lieve da non poter essere ragionevolmente considerato significativo da parte di chi lo subisce.

2414 Il settimo comandamento proibisce gli atti o le iniziative che, per qualsiasi ragione, egoistica o ideologica, mercantile o totalitaria, portano all'asservimento di esseri umani, a misconoscere la loro dignità personale, ad acquistarli, a venderli e a scambiarli come se fossero merci. Ridurre le persone, con la violenza, ad un valore d'uso oppure ad una fonte di guadagno, è un peccato contro la loro dignità e i loro diritti fondamentali. San Paolo ordinava ad un padrone cristiano di trattare il suo schiavo cristiano « non più come schiavo, ma [...] come un fratello carissimo [...], come uomo, nel Signore » (Phm 1,16).



Il rispetto dell'integrità della creazione

2415 Il settimo comandamento esige il rispetto dell'integrità della creazione. Gli animali, come anche le piante e gli esseri inanimati, sono naturalmente destinati al bene comune dell'umanità passata, presente e futura. (290) L'uso delle risorse minerali, vegetali e animali dell'universo non può essere separato dal rispetto delle esigenze morali. La signoria sugli esseri inanimati e sugli altri viventi accordata dal Creatore all'uomo non è assoluta; deve misurarsi con la sollecitudine per la qualità della vita del prossimo, compresa quella delle generazioni future; esige un religioso rispetto dell'integrità della creazione. (291)

(290) Cf
Gn 1,28-31.
(291) Cf Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus CA 37-38, AAS 83 (1991) 840-841.


2416 Gli animali sono creature di Dio. Egli li circonda della sua provvida cura. (292) Con la loro semplice esistenza lo benedicono e gli rendono gloria. (293) Anche gli uomini devono essere benevoli verso di loro. Ci si ricorderà con quale delicatezza i santi, come san Francesco d'Assisi o san Filippo Neri, trattassero gli animali.

(292) Cf
Mt 6,26.
(293) Cf Dn Da 3,79-81.

2417 Dio ha consegnato gli animali a colui che egli ha creato a sua immagine. (294) È dunque legittimo servirsi degli animali per provvedere al nutrimento o per confezionare indumenti. Possono essere addomesticati, perché aiutino l'uomo nei suoi lavori e anche a ricrearsi negli svaghi. Le sperimentazioni mediche e scientifiche sugli animali sono pratiche moralmente accettabili, se rimangono entro limiti ragionevoli e contribuiscono a curare o salvare vite umane.

(294) Cf
Gn 2,19-20 Gn 9,1-4.


2418 È contrario alla dignità umana far soffrire inutilmente gli animali e disporre indiscriminatamente della loro vita. È pure indegno dell'uomo spendere per gli animali somme che andrebbero destinate, prioritariamente, a sollevare la miseria degli uomini. Si possono amare gli animali; ma non si devono far oggetto di quell'affetto che è dovuto soltanto alle persone.



III. La dottrina sociale della Chiesa

2419 « La rivelazione cristiana [...] ci guida a un approfondimento delle leggi che regolano la vita sociale ». (295) La Chiesa riceve dal Vangelo la piena rivelazione della verità dell'uomo. Quando compie la sua missione di annunziare il Vangelo, attesta all'uomo, in nome di Cristo, la sua dignità e la sua vocazione alla comunione delle persone; gli insegna le esigenze della giustizia e della pace, conformi alla sapienza divina.

(295) Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes
GS 23, AAS 58 (1966) 1044.

2420 La Chiesa dà un giudizio morale, in materia economica e sociale, « quando ciò sia richiesto dai diritti fondamentali della persona o dalla salvezza delle anime ». (296) Per ciò che attiene alla sfera della moralità, essa è investita di una missione distinta da quella delle autorità politiche: la Chiesa si interessa degli aspetti temporali del bene comune in quanto sono ordinati al Bene supremo, nostro ultimo fine. Cerca di inculcare le giuste disposizioni nel rapporto con i beni terreni e nelle relazioni socio-economiche.

(296) Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes
GS 76, AAS 58 (1966) 1100.

2421 La dottrina sociale della Chiesa si è sviluppata nel secolo diciannovesimo, all'epoca dell'impatto del Vangelo con la moderna società industriale, le sue nuove strutture per la produzione dei beni di consumo, la sua nuova concezione della società, dello Stato e dell'autorità, le sue nuove forme di lavoro e di proprietà. Lo sviluppo della dottrina della Chiesa, in materia economica e sociale, attesta il valore permanente dell'insegnamento della Chiesa e, ad un tempo, il vero senso della sua Tradizione sempre viva e vitale. (297)

(297) Cf Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus
CA 3, AAS 83 (1991) 794-796.

2422 L'insegnamento sociale della Chiesa costituisce un corpo dottrinale, che si articola a mano a mano che la Chiesa, alla luce di tutta la parola rivelata da Cristo Gesù, con l'assistenza dello Spirito Santo, interpreta gli avvenimenti nel corso della storia. (298) Tale insegnamento diventa tanto più accettabile per gli uomini di buona volontà quanto più profondamente ispira la condotta dei fedeli.

(298) Cf Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis
SRS 1, AAS 80 (1988) 513-514; Ibid., SRS 41: AAS 80 (1988) 570-572.

2423 La dottrina sociale della Chiesa propone principi di riflessione; formula criteri di giudizio, offre orientamenti per l'azione:

Ogni sistema secondo cui i rapporti sociali sarebbero completamente determinati dai fattori economici, è contrario alla natura della persona umana e dei suoi atti. (299)

(299) Cf Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus
CA 24, AAS 83 (1991) 821-822.

2424 Una teoria che fa del profitto la regola esclusiva e il fine ultimo dell'attività economica è moralmente inaccettabile. Il desiderio smodato del denaro non manca di produrre i suoi effetti perversi. È una delle cause dei numerosi conflitti che turbano l'ordine sociale. (300)
Un sistema che sacrifica « i diritti fondamentali delle singole persone e dei gruppi all'organizzazione collettiva della produzione » è contrario alla dignità dell'uomo. (301) Ogni pratica che riduce le persone a non essere altro che puri strumenti in funzione del profitto, asservisce l'uomo, conduce all'idolatria del denaro e contribuisce alla diffusione dell'ateismo. « Non potete servire a Dio e a mammona » (
Mt 6,24 Lc 16,13).

(300) Cf Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes GS 63, AAS 58 (1966) 1085; Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens, LE 7: AAS 73 (1981) 592-594; Id., Lett. enc. Centesimus annus, CA 35: AAS 83 (1991) 836-838.
(301) Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes GS 65, AAS 58 (1966) 1087.

2425 La Chiesa ha rifiutato le ideologie totalitarie e atee associate, nei tempi moderni, al « comunismo » o al « socialismo ». Peraltro essa ha pure rifiutato, nella pratica del « capitalismo », l'individualismo e il primato assoluto della legge del mercato sul lavoro umano. (302) La regolazione dell'economia mediante la sola pianificazione centralizzata perverte i legami sociali alla base; la sua regolazione mediante la sola legge del mercato non può attuare la giustizia sociale, perché « esistono numerosi bisogni umani che non hanno accesso al mercato ». (303) È necessario favorire una ragionevole regolazione del mercato e delle iniziative economiche, secondo una giusta gerarchia dei valori e in vista del bene comune.

(302) Cf Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus
CA 10, AAS 83 (1991) 804-806; Ibid., CA 13: AAS 83 (1991) 809-810; Ibid., CA 44: AAS 83 (1991) 848-849.
(303) Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus CA 34, AAS 83 (1991) 836.


IV. L'attività economica e la giustizia sociale

2426 Lo sviluppo delle attività economiche e l'aumento della produzione sono destinati a soddisfare i bisogni degli esseri umani. La vita economica non mira solo ad accrescere la produzione dei beni e ad aumentare il profitto o la potenza; essa è prima di tutto ordinata al servizio delle persone, dell'uomo nella sua integralità e di tutta la comunità umana. Realizzata secondo i propri metodi, l'attività economica deve essere esercitata nell'ambito dell'ordine morale, nel rispetto della giustizia sociale, in modo che risponda al disegno di Dio sull'uomo. (304)

(304) Cf Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes
GS 64, AAS 58 (1966) 1086.

2427 Il lavoro umano proviene immediatamente da persone create ad immagine di Dio e chiamate a prolungare, le une con le altre e per le altre, l'opera della creazione sottomettendo la terra. (305) Il lavoro, quindi, è un dovere: « Chi non vuol lavorare, neppure mangi » (2Th 3,10). (306) Il lavoro esalta i doni del Creatore e i talenti ricevuti. Può anche essere redentivo. Sopportando la penosa fatica (307) del lavoro in unione con Gesù, l'artigiano di Nazaret e il crocifisso del Calvario, l'uomo in un certo modo coopera con il Figlio di Dio nella sua opera redentrice. Si mostra discepolo di Cristo portando la croce, ogni giorno, nell'attività che è chiamato a compiere. (308) Il lavoro può essere un mezzo di santificazione e un'animazione delle realtà terrene nello Spirito di Cristo.

(305) Cf Gn 1,28 Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes GS 34, AAS 58 1052-1053; Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus CA 31, AAS 83 831-832.
(306) Cf 1Th 4,11.
(307) Cf Gn 3,14-19.
(308) Cf Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens LE 27, AAS 73 (1981) 644-647.


2428 Nel lavoro la persona esercita e attualizza una parte delle capacità iscritte nella sua natura. Il valore primario del lavoro riguarda l'uomo stesso, che ne è l'autore e il destinatario. Il lavoro è per l'uomo, e non l'uomo per il lavoro. (309)
Ciascuno deve poter trarre dal lavoro i mezzi di sostentamento per la propria vita e per quella dei suoi familiari, e per servire la comunità umana.

(309) Cf Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens
LE 6, AAS 73 (1981) 589-592.

2429 Ciascuno ha il diritto di iniziativa economica; ciascuno userà legittimamente i propri talenti per concorrere a un'abbondanza di cui tutti possano godere, e per raccogliere dai propri sforzi i giusti frutti. Procurerà di conformarsi agli ordinamenti emanati dalle legittime autorità in vista del bene comune. (310)

(310) Cf Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus
CA 32, AAS 83 (1991) 832-833; Ibid., CA 34: AAS 83 (1991) 835-836.

2430 La vita economica chiama in causa interessi diversi, spesso tra loro opposti. Così si spiega l'emergere dei conflitti che la caratterizzano. (311) Si farà di tutto per comporre tali conflitti attraverso negoziati che rispettino i diritti e i doveri di ogni parte sociale: i responsabili delle imprese, i rappresentanti dei lavoratori, per esempio le organizzazioni sindacali, ed, eventualmente, i pubblici poteri.

(311) Cf Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens
LE 11, AAS 73 (1981) 602-605.

2431 La responsabilità dello Stato. « L'attività economica, in particolare quella dell'economia di mercato, non può svolgersi in un vuoto istituzionale, giuridico e politico. Essa suppone, al contrario, sicurezza circa le garanzie delle libertà individuali e della proprietà, oltre che una moneta stabile e servizi pubblici efficienti. Il principale compito dello Stato, pertanto, è quello di garantire tale sicurezza, di modo che chi lavora possa godere i frutti del proprio lavoro e, quindi, si senta stimolato a compierlo con efficienza e onestà. [...] Compito dello Stato è quello di sorvegliare e guidare l'esercizio dei diritti umani nel settore economico; in questo campo, tuttavia, la prima responsabilità non è dello Stato, bensì dei singoli e dei diversi gruppi e associazioni di cui si compone la società ». (312)

(312) Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus
CA 48, AAS 83 (1991) 852-853.

2432 I responsabili di imprese hanno, davanti alla società, la responsabilità economica ed ecologica delle loro operazioni. (313) Hanno il dovere di considerare il bene delle persone e non soltanto l'aumento dei profitti. Questi, comunque, sono necessari. Permettono di realizzare gli investimenti che assicurano l'avvenire delle imprese. Garantiscono l'occupazione.

(313) Cf Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus
CA 37, AAS 83 (1991) 840.

2433 L'accesso al lavoro e alla professione deve essere aperto a tutti, senza ingiusta discriminazione: a uomini e a donne, a chi è in buone condizioni psico-fisiche e ai disabili, agli autoctoni e agli immigrati. (314) In rapporto alle circostanze, la società deve da parte sua aiutare i cittadini a trovare un lavoro e un impiego. (315)

(314) Cf Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens
LE 19, AAS 73 (1981) 625-629; Ibid., LE 22-23: AAS 73 (1981) 634-637.
(315) Cf Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus CA 48, AAS 83 (1991) 852-854.

2434 Il giusto salario è il frutto legittimo del lavoro. Rifiutarlo o non darlo a tempo debito può rappresentare una grave ingiustizia. (316) Per stabilire l'equa remunerazione, si deve tener conto sia dei bisogni sia delle prestazioni di ciascuno. « Il lavoro va remunerato in modo tale da garantire i mezzi sufficienti per permettere al singolo e alla sua famiglia una vita dignitosa su un piano materiale, sociale, culturale e spirituale, corrispondentemente al tipo di attività e grado di rendimento economico di ciascuno, nonché alle condizioni dell'impresa e al bene comune ». (317) Non è sufficiente l'accordo tra le parti a giustificare moralmente l'ammontare del salario.

(316) Cf
Lv 19,13 Dt 24,14-15 Jc 5,4.
(317) Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes GS 67, AAS 58 (1966) 1088-1089.

2435 Lo sciopero è moralmente legittimo quando appare come lo strumento inevitabile, o quanto meno necessario, in vista di un vantaggio proporzionato. Diventa moralmente inaccettabile allorché è accompagnato da violenze oppure gli si assegnano obiettivi non direttamente connessi con le condizioni di lavoro o in contrasto con il bene comune.

2436 È ingiusto non versare agli organismi di sicurezza sociale i contributi stabiliti dalle legittime autorità. La disoccupazione, per carenza di lavoro, quasi sempre rappresenta, per chi ne è vittima, un'offesa alla sua dignità e una minaccia per l'equilibrio della vita. Oltre al danno che egli subisce personalmente, numerosi rischi ne derivano per la sua famiglia. (318)

(318) Cf Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens
LE 18, AAS 73 (1981) 622-625.



Catechismo Chiesa Catt. 2373