Catechismo Chiesa Catt. 2437

V. Giustizia e solidarietà tra le nazioni

2437 A livello internazionale, la disuguaglianza delle risorse e dei mezzi economici è tale da provocare un vero « fossato » tra le nazioni. (319) Da una parte vi sono coloro che possiedono e incrementano i mezzi dello sviluppo, e, dall'altra, quelli che accumulano i debiti.

(319) Cf Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis
SRS 14, AAS 80 (1988) 526-528.

2438 Varie cause, di natura religiosa, politica, economica e finanziaria danno oggi « alla questione sociale [...] una dimensione mondiale ». (320) Tra le nazioni, le cui politiche sono già interdipendenti, è necessaria la solidarietà. E questa diventa indispensabile allorché si tratta di bloccare « i meccanismi perversi » che ostacolano lo sviluppo dei paesi meno progrediti. (321) A sistemi finanziari abusivi se non usurai, (322) a relazioni commerciali inique tra le nazioni, alla corsa agli armamenti si deve sostituire uno sforzo comune per mobilitare le risorse verso obiettivi di sviluppo morale, culturale ed economico, « ridefinendo le priorità e le scale di valori, in base alle quali si decidono le scelte ». (323)

(320) Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis
SRS 9, AAS 80 (1988) 520-521.
(321) Cf Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis SRS 17, AAS 80 (1988) 532-533; Ibid., SRS 45: AAS 80 (1988) 577-578.
(322) Cf Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus CA 35, AAS 83 (1991) 836-838.
(323) Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus CA 28, AAS 83 (1991) 828.

2439 Le nazioni ricche hanno una grave responsabilità morale nei confronti di quelle che da se stesse non possono assicurarsi i mezzi del proprio sviluppo o ne sono state impedite in conseguenza di tragiche vicende storiche. Si tratta di un dovere di solidarietà e di carità; ed anche di un obbligo di giustizia, se il benessere delle nazioni ricche proviene da risorse che non sono state equamente pagate.

2440 L'aiuto diretto costituisce una risposta adeguata a necessità immediate, eccezionali, causate, per esempio, da catastrofi naturali, da epidemie, ecc. Ma esso non basta a risanare i gravi mali che derivano da situazioni di miseria, né a far fronte in modo duraturo ai bisogni. Occorre anche riformare le istituzioni economiche e finanziarie internazionali perché possano promuovere rapporti equi con i paesi meno sviluppati. (324) È necessario sostenere lo sforzo dei paesi poveri che sono alla ricerca del loro sviluppo e della loro liberazione. (325) Questi principi vanno applicati in una maniera tutta particolare nell'ambito del lavoro agricolo. I contadini, specialmente nel terzo mondo, costituiscono la massa preponderante dei poveri.

(324) Cf Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis
SRS 16, AAS 80 (1988) 531.
(325) Cf Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus CA 26, AAS 83 (1991) 824-826.

2441 Alla base di ogni sviluppo completo della società umana sta la crescita del senso di Dio e della conoscenza di sé. Allora lo sviluppo moltiplica i beni materiali e li mette al servizio della persona e della sua libertà. Riduce la miseria e lo sfruttamento economico. Fa crescere il rispetto delle identità culturali e l'apertura alla trascendenza. (326)

(326) Cf Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis
SRS 32, AAS 80 (1988) 556-557; Id., Lett. enc. Centesimus annus, CA 51: AAS 83 (1991) 856-857.

2442 Non spetta ai Pastori della Chiesa intervenire direttamente nell'azione politica e nell'organizzazione della vita sociale. Questo compito fa parte della vocazione dei fedeli laici, i quali operano di propria iniziativa insieme con i loro concittadini. L'azione sociale può implicare una pluralità di vie concrete; comunque, avrà sempre come fine il bene comune e sarà conforme al messaggio evangelico e all'insegnamento della Chiesa. Compete ai fedeli laici « animare, con impegno cristiano, le realtà temporali, e, in esse, mostrare di essere testimoni e operatori di pace e di giustizia ». (327)

(327) Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis
SRS 47, AAS 80 (1988) 582; cf Ibid., SRS 42: AAS 80 (1988) 572-574.


VI. L'amore per i poveri

2443 Dio benedice coloro che soccorrono i poveri e disapprova coloro che se ne disinteressano: « Da' a chi ti domanda e a chi desidera da te un prestito non volgere le spalle » (Mt 5,42). « Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date » (Mt 10,8). Gesù Cristo riconoscerà i suoi eletti proprio da quanto avranno fatto per i poveri. (328) Allorché « ai poveri è predicata la buona novella » (Mt 11,5), (329) è segno che Cristo è presente.

(328) Cf Mt 25,31-36.
(329) Cf Lc 4,18.

2444 « L'amore della Chiesa per i poveri [...] appartiene alla sua costante tradizione ». (330) Si ispira al Vangelo delle beatitudini, (331) alla povertà di Gesù (332) e alla sua attenzione per i poveri. (333) L'amore per i poveri è anche una delle motivazioni del dovere di lavorare per far parte dei beni a chi si trova in necessità. (334) Tale amore per i poveri non riguarda soltanto la povertà materiale, ma anche le numerose forme di povertà culturale e religiosa. (335)

(330) Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus
CA 57, AAS 83 (1991) 862-863.
(331) Cf Lc 6,20-22.
(332) Cf Mt 8,20.
(333) Cf Mc 12,41-44.
(334) Cf Ep 4,28.
(335) Cf Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus CA 57, AAS 83 (1991) 863.

2445 L'amore per i poveri è inconciliabile con lo smodato amore per le ricchezze o con il loro uso egoistico:

« E ora a voi, ricchi: piangete e gridate per le sciagure che vi sovrastano! Le vostre ricchezze sono imputridite, le vostre vesti sono state divorate dalle tarme; il vostro oro e il vostro argento sono consumati dalla ruggine, la loro ruggine si leverà a testimonianza contro di voi e divorerà le vostre carni come un fuoco. Avete accumulato tesori per gli ultimi giorni! Ecco, il salario da voi defraudato ai lavoratori che hanno mietuto le vostre terre grida; e le proteste dei mietitori sono giunte alle orecchie del Signore degli eserciti. Avete gozzovigliato sulla terra e vi siete saziati di piaceri, vi siete ingrassati per il giorno della strage. Avete condannato e ucciso il giusto ed egli non può opporre resistenza » (
Jc 5,1-6).

2446 San Giovanni Crisostomo lo ricorda con forza: « Non condividere con i poveri i propri beni è defraudarli e togliere loro la vita. [...] Non sono nostri i beni che possediamo: sono dei poveri ». (336) « Siano anzitutto adempiuti gli obblighi di giustizia perché non si offra come dono di carità ciò che è già dovuto a titolo di giustizia »: (337)

« Quando doniamo ai poveri le cose indispensabili, non facciamo loro delle elargizioni personali, ma rendiamo loro ciò che è loro. Più che compiere un atto di carità, adempiamo un dovere di giustizia ». (338)

(336) San Giovanni Crisostomo, In Lazarum, concio 2, 6: PG 48,992.
(337) Concilio Vaticano II, Decr. Apostolicam actuositatem
AA 8, AAS 58 (1966) 845.
(338) San Gregorio Magno, Regula pastoralis, 3, 21, 45: SC 382,394.

2447 Le opere di misericordia sono azioni caritatevoli con le quali soccorriamo il nostro prossimo nelle sue necessità corporali e spirituali. (339) Istruire, consigliare, consolare, confortare sono opere di misericordia spirituale, come pure perdonare e sopportare con pazienza. Le opere di misericordia corporale consistono segnatamente nel dare da mangiare a chi ha fame, nell'ospitare i senza tetto, nel vestire chi ha bisogno di indumenti, nel visitare gli ammalati e i prigionieri, nel seppellire i morti. (340) Tra queste opere, fare l'elemosina ai poveri (341) è una delle principali testimonianze della carità fraterna: è pure una pratica di giustizia che piace a Dio: (342)

« Chi ha due tuniche, ne dia una a chi non ne ha; e chi ha da mangiare faccia altrettanto » (
Lc 3,11). « Piuttosto date in elemosina quel che c'è dentro, e tutto sarà puro per voi » (Lc 11,41). « Se un fratello o una sorella sono senza vestiti e sprovvisti del cibo quotidiano e uno di voi dice loro: "Andatevene in pace, riscaldatevi e saziatevi", ma non date loro il necessario per il corpo, che giova? » (Jc 2,15-16). (343)

(339) Cf Is 58,6-7 He 13,3.
(340) Cf Mt 25,31-46.
(341) Cf Tb Tb 4,5-11 Si 17,18.
(342) Cf Mt 6,2-4.
(343) Cf 1Jn 3,17.

2448 « Nelle sue molteplici forme – spogliamento materiale, ingiusta oppressione, malattie fisiche e psichiche, e infine la morte – la miseria umana è il segno evidente della naturale condizione di debolezza, in cui l'uomo si trova dopo il primo peccato, e il segno del suo bisogno di salvezza. È per questo che la miseria dell'uomo ha attirato la compassione di Cristo Salvatore, il quale ha voluto prenderla su di sé, e identificarsi con "i più piccoli tra i fratelli" (Mt 25,40 Mt 25,45). È pure per questo che gli oppressi dalla miseria sono oggetto di un amore di preferenza da parte della Chiesa, la quale, fin dalle origini, malgrado l'infedeltà di molti dei suoi membri, non ha cessato di impegnarsi a sollevarli, a difenderli e a liberarli. Ciò ha fatto con innumerevoli opere di beneficenza, che rimangono sempre e dappertutto indispensabili ». (344)

(344) Congregazione per la Dottrina della Fede, Istr. Libertatis conscientia, 68: AAS 79 (1987) 583.

2449 Fin dall'Antico Testamento tutte le varie disposizioni giuridiche (anno di remissione, divieto di prestare denaro a interesse e di trattenere un pegno, obbligo di dare la decima, di pagare ogni giorno il salario ai lavoratori giornalieri, diritto di racimolare e spigolare) sono in consonanza con l'esortazione del Deuteronomio: « I bisognosi non mancheranno mai nel paese; perciò io ti do questo comando e ti dico: Apri generosamente la mano al tuo fratello povero e bisognoso nel tuo paese » (Dt 15,11). Gesù fa sua questa parola: « I poveri infatti li avete sempre con voi, ma non sempre avete me » (Jn 12,8). Non vanifica con ciò la parola veemente degli antichi profeti: comprano « con denaro gli indigenti e il povero per un paio di sandali... » (Am 8,6), ma ci invita a riconoscere la sua presenza nei poveri che sono suoi fratelli: (345)

Il giorno in cui sua madre la rimproverò di accogliere in casa poveri e infermi, santa Rosa da Lima senza esitare le disse: « Quando serviamo i poveri e i malati, serviamo Gesù. Non dobbiamo lasciar mancare l'aiuto al nostro prossimo, perché nei nostri fratelli serviamo Gesù ». (346)

(345) Cf Mt 25,40.
(346) P. Hansen, Vita mirabilis [...] venerabilis sororis Rosae de sancta Maria Limensis (Roma 1664) p. 200.


In sintesi

2450 « Non rubare » (Dt 5,19). « Né ladri, né avari, [...] né rapaci erediteranno il regno di Dio » (1Co 6,10).

2451 Il settimo comandamento prescrive la pratica della giustizia e della carità nella gestione dei beni terreni e dei frutti del lavoro umano.

2452 I beni della creazione sono destinati all'intero genere umano. Il diritto alla proprietà privata non abolisce la destinazione universale dei beni.

2453 Il settimo comandamento proibisce il furto. Il furto consiste nell'usurpare il bene altrui, contro la volontà ragionevole del proprietario.

2454 Ogni modo di prendere ed usare ingiustamente i beni altrui è contrario al settimo comandamento. L'ingiustizia commessa esige riparazione. La giustizia commutativa esige la restituzione di ciò che si è rubato.

2455 La legge morale proibisce gli atti che, a scopi mercantili o totalitari, provocano l'asservimento di esseri umani, il loro acquisto, la loro vendita, il loro scambio, come se fossero merci.

2456 Il dominio accordato dal Creatore all'uomo sulle risorse minerali, vegetali e animali dell'universo, non può essere disgiunto dal rispetto degli obblighi morali, compresi quelli che riguardano le generazioni future.

2457 Gli animali sono affidati all'uomo, il quale dev'essere benevolo verso di essi. Possono servire alla giusta soddisfazione dei suoi bisogni.

2458 La Chiesa dà un giudizio in materia economica e sociale quando i diritti fondamentali della persona o la salvezza delle anime lo esigono. Essa si interessa del bene comune temporale degli uomini in funzione del suo ordinamento al Bene supremo, ultimo nostro fine.

2459 L'uomo stesso è l'autore, il centro e il fine di tutta la vita economica e sociale. Il nodo decisivo della questione sociale è che i beni creati da Dio per tutti in effetti arrivino a tutti, secondo la giustizia e con l'aiuto della carità.

2460 Il valore primario del lavoro riguarda l'uomo stesso, il quale ne è l'autore e il destinatario. Mediante il lavoro, l'uomo partecipa all'opera della creazione. Compiuto in unione con Cristo, il lavoro può essere redentivo.

2461 Il vero sviluppo è quello dell'uomo nella sua integralità. Si tratta di far crescere la capacità di ogni persona a rispondere alla propria vocazione, quindi alla chiamata di Dio. (347)

(347) Cf Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus
CA 29, AAS 83 (1991) 828-830.

2462 L'elemosina fatta ai poveri è una testimonianza di carità fraterna: è anche un'opera di giustizia che piace a Dio.

2463 Nella moltitudine di esseri umani senza pane, senza tetto, senza fissa dimora, come non riconoscere Lazzaro, il mendicante affamato della parabola? (348) Come non risentire Gesù: « Non l'avete fatto a me » (Mt 25,45)?

(348) Cf Lc 16,19-31.







ARTICOLO 8

L'OTTAVO COMANDAMENTO

« Non pronunciare falsa testimonianza contro il tuo prossimo » (Ex 20,16).

« Fu detto agli antichi: "Non spergiurare, ma adempi con il Signore i tuoi giuramenti" » (Mt 5,33).

2464 L'ottavo comandamento proibisce di falsare la verità nelle relazioni con gli altri. Questa norma morale deriva dalla vocazione del popolo santo ad essere testimone del suo Dio il quale è verità e vuole la verità. Le offese alla verità esprimono, con parole o azioni, un rifiuto di impegnarsi nella rettitudine morale: sono profonde infedeltà a Dio e, in tal senso, scalzano le basi dell'Alleanza.



I. Vivere nella verità

2465 L'Antico Testamento attesta: Dio è sorgente di ogni verità. La sua Parola è verità. (349) La sua Legge è verità. (350) La sua « fedeltà dura per ogni generazione » (Ps 119,90). (351) Poiché Dio è il « Verace » (Rm 3,4), i membri del suo popolo sono chiamati a vivere nella verità. (352)

(349) Cf Pr 8,7 2S 7,28.
(350) Cf Ps 119,142.
(351) Cf Lc 1,50.
(352) Cf Ps 119,30.

2466 In Gesù Cristo la verità di Dio si è manifestata interamente. Pieno di grazia e di verità, (353) egli è la « luce del mondo » (Jn 8,12), egli è la verità. (354) Chiunque crede in lui non rimane nelle tenebre. (355) Il discepolo di Gesù rimane fedele alla sua parola, per conoscere la verità che fa liberi (356) e che santifica. (357) Seguire Gesù è vivere dello Spirito di verità (358) che il Padre manda nel suo nome (359) e che guida « alla verità tutta intera » (Jn 16,13). Ai suoi discepoli Gesù insegna l'amore incondizionato della verità: « Sia il vostro parlare sì, sì; no, no » (Mt 5,37).

(353) Cf Jn 1,14.
(354) Cf Jn 14,6.
(355) Cf Jn 12,46.
(356) Cf Jn 8,31-32.
(357) Cf Jn 17,17.
(358) Cf Jn 14,17.
(359) Cf Jn 14,26.

2467 L'uomo è naturalmente proteso alla verità. Ha il dovere di rispettarla e di attestarla: « A motivo della loro dignità tutti gli uomini, in quanto sono persone, [...] sono spinti dalla loro stessa natura e tenuti per obbligo morale a cercare la verità, in primo luogo quella concernente la religione. E sono pure tenuti ad aderire alla verità conosciuta e ordinare tutta la loro vita secondo le esigenze della verità ». (360)

(360) Concilio Vaticano II, Dich. Dignitatis humanae
DH 2, AAS 58 (1966) 931.

2468 La verità in quanto rettitudine dell'agire e del parlare umano è detta veracità, sincerità o franchezza. La verità o veracità è la virtù che consiste nel mostrarsi veri nei propri atti e nell'affermare il vero nelle proprie parole, rifuggendo dalla doppiezza, dalla simulazione e dall'ipocrisia.

2469 « Sarebbe impossibile la convivenza umana se gli uomini non avessero fiducia reciproca, cioè se non si dicessero la verità ». (361) La virtù della verità dà giustamente all'altro quanto gli è dovuto. La veracità rispetta il giusto equilibrio tra ciò che deve essere manifestato e il segreto che deve essere conservato: implica l'onestà e la discrezione. Per giustizia, « un uomo deve onestamente manifestare a un altro la verità ». (362)

(361) San Tommaso d'Aquino, Summa theologiae,
II-II 109,3, ad 1: Ed. Leon. 9, 418.
(362) San Tommaso d'Aquino, Summa theologiae, II-II 109,3, c: Ed. Leon. 9, 418.


2470 Il discepolo di Cristo accetta di « vivere nella verità », cioè nella semplicità di una vita conforme all'esempio del Signore e rimanendo nella sua verità. « Se diciamo che siamo in comunione con lui e camminiamo nelle tenebre, mentiamo e non mettiamo in pratica la verità » (1Jn 1,6).



II. «Rendere testimonianza alla verità»

2471 Davanti a Pilato Cristo proclama di essere venuto nel mondo per rendere testimonianza alla verità. (363) Il cristiano non deve vergognarsi « della testimonianza da rendere al Signore » (2Tm 1,8). Nelle situazioni in cui si richiede che si testimoni la fede, il cristiano ha il dovere di professarla senza equivoci, come ha fatto san Paolo davanti ai suoi giudici. Il credente deve « conservare una coscienza irreprensibile davanti a Dio e davanti agli uomini » (Ac 24,16).

(363) Cf Jn 18,37.

2472 Il dovere dei cristiani di prendere parte alla vita della Chiesa li spinge ad agire come testimoni del Vangelo e degli obblighi che ne derivano. Tale testimonianza è trasmissione della fede in parole e opere. La testimonianza è un atto di giustizia che comprova o fa conoscere la verità: (364)

« Tutti i cristiani, dovunque vivono, sono tenuti a manifestare con l'esempio della vita e con la testimonianza della parola l'uomo nuovo, che hanno rivestito col Battesimo, e la forza dello Spirito Santo, dal quale sono stati rinvigoriti con la Confermazione ». (365)

(364) Cf
Mt 18,16.
(365) Concilio Vaticano II, Decr. Ad gentes AGD 11, AAS 58 (1966) 959.

2473 Il martirio è la suprema testimonianza resa alla verità della fede; il martire è un testimone che arriva fino alla morte. Egli rende testimonianza a Cristo, morto e risorto, al quale è unito dalla carità. Rende testimonianza alla verità della fede e della dottrina cristiana. Affronta la morte con un atto di fortezza. « Lasciate che diventi pasto delle belve. Solo così mi sarà concesso di raggiungere Dio ». (366)

(366) Sant'Ignazio di Antiochia, Epistula ad Romanos, 4, 1: SC 10bis, p. 110 (Funk 1, 256).

2474 Con la più grande cura la Chiesa ha raccolto le memorie di coloro che, per testimoniare la fede, sono giunti sino alla fine. Si tratta degli atti dei martiri. Costituiscono gli archivi della verità scritti a lettere di sangue:

« Nulla mi gioverebbe tutto il mondo e tutti i regni di quaggiù; per me è meglio morire per [unirmi a] Gesù Cristo, che essere re sino ai confini della terra. Io cerco colui che morì per noi; io voglio colui che per noi risuscitò. Il parto è imminente... ». (367)

« Ti benedico per avermi giudicato degno di questo giorno e di quest'ora, degno di essere annoverato tra i tuoi martiri [...]. Tu hai mantenuto la tua promessa, o Dio della fedeltà e della verità. Per questa grazia e per tutte le cose, ti lodo, ti benedico, ti rendo gloria per mezzo di Gesù Cristo, Sacerdote eterno e onnipotente, Figlio tuo diletto. Per lui, che vive e regna con te e con lo Spirito, sia gloria a te, ora e nei secoli dei secoli. Amen ». (368)

(367) Sant'Ignazio di Antiochia, Epistula ad Romanos, 6, 1: SC 10bis, p. 114 (Funk 1, 258-260).
(368) Martyrium Polycarpi, 14, 2-3: SC 10bis, p. 228 (Funk 1, 330-332).


III. Le offese alla verità

2475 I discepoli di Cristo hanno rivestito « l'uomo nuovo, creato secondo Dio nella giustizia e nella santità vera » (Ep 4,24). « Deposta la menzogna » (Ep 4,25), essi devono respingere « ogni malizia e ogni frode e ipocrisia, le gelosie e ogni maldicenza » (1P 2,1).

2476 Falsa testimonianza e spergiuro. Un'affermazione contraria alla verità, quando è fatta pubblicamente, riveste una gravità particolare. Fatta davanti ad un tribunale, diventa una falsa testimonianza. (369) Quando la si fa sotto giuramento, è uno spergiuro. Simili modi di comportarsi contribuiscono sia alla condanna di un innocente sia alla assoluzione di un colpevole, oppure ad aggravare la pena in cui è incorso l'accusato. (370) Compromettono gravemente l'esercizio della giustizia e l'equità della sentenza pronunciata dai giudici.

(369) Cf
Pr 19,9.
(370) Cf Pr 18,5.

2477 Il rispetto della reputazione delle persone rende illecito ogni atteggiamento ed ogni parola che possano causare un ingiusto danno. (371) Si rende colpevole:

- di giudizio temerario colui che, anche solo tacitamente, ammette come vera, senza sufficiente fondamento, una colpa morale nel prossimo;
- di maldicenza colui che, senza un motivo oggettivamente valido, rivela i difetti e le mancanze altrui a persone che li ignorano; (372)
- di calunnia colui che, con affermazioni contrarie alla verità, nuoce alla reputazione degli altri e dà occasione a giudizi erronei sul loro conto.

(371) Cf CIC canone
CIC 220.
(372) Cf Si 21,28.

2478 Per evitare il giudizio temerario, ciascuno cercherà di interpretare, per quanto è possibile, in un senso favorevole i pensieri, le parole e le azioni del suo prossimo:

« Ogni buon cristiano deve essere più disposto a salvare l'espressione oscura del prossimo che a condannarla; e se non la può salvare, cerchi di sapere quale significato egli le dà; e, se le desse un significato erroneo, lo corregga con amore; e, se non basta, cerchi tutti i mezzi adatti perché, dandole il significato giusto, si salvi dall'errore ». (373)

(373) Sant'Ignazio di Loyola, Exercitia spiritualia, 22: MHSI 100, 164.

2479 Maldicenze e calunnie distruggono la reputazione e l'onore del prossimo. Ora, l'onore è la testimonianza sociale resa alla dignità umana, e ognuno gode di un diritto naturale all'onore del proprio nome, alla propria reputazione e al rispetto. Perciò la maldicenza e la calunnia offendono le virtù della giustizia e della carità.

2480 È da bandire qualsiasi parola o atteggiamento che, per lusinga, adulazione o compiacenza, incoraggi e confermi altri nella malizia dei loro atti e nella perversità della loro condotta. L'adulazione è una colpa grave se si fa complice di vizi o di peccati gravi. Il desiderio di rendersi utile o l'amicizia non giustificano una doppiezza del linguaggio. L'adulazione è un peccato veniale quando nasce soltanto dal desiderio di riuscire gradito, evitare un male, far fronte ad una necessità, conseguire vantaggi leciti.

2481 La iattanza o millanteria costituisce una colpa contro la verità. Ciò vale anche per l'ironia che tende ad intaccare l'apprezzamento di qualcuno caricaturando, in maniera malevola, qualche aspetto del suo comportamento.

2482 « La menzogna consiste nel dire il falso con l'intenzione di ingannare ». (374) Nella menzogna il Signore denuncia un'opera diabolica: « Voi [...] avete per padre il diavolo [...]. Non vi è verità in lui. Quando dice il falso, parla del suo, perché è menzognero e padre della menzogna » (Jn 8,44).

(374) Sant'Agostino, De mendacio, 4, 5: CSEL 41, 419 (PL 40, 491).


2483 La menzogna è l'offesa più diretta alla verità. Mentire è parlare o agire contro la verità per indurre in errore. Ferendo il rapporto dell'uomo con la verità e con il suo prossimo, la menzogna offende la relazione fondamentale dell'uomo e della sua parola con il Signore.

2484 La gravità della menzogna si commisura alla natura della verità che essa deforma, alle circostanze, alle intenzioni del mentitore, ai danni subiti da coloro che ne sono vittime. Se la menzogna, in sé, non costituisce che un peccato veniale, diventa mortale quando lede in modo grave le virtù della giustizia e della carità.

2485 La menzogna è per sua natura condannabile. È una profanazione della parola, la cui funzione è di comunicare ad altri la verità conosciuta. Il proposito deliberato di indurre il prossimo in errore con affermazioni contrarie alla verità costituisce una mancanza in ordine alla giustizia e alla carità. La colpevolezza è maggiore quando l'intenzione di ingannare rischia di avere conseguenze funeste per coloro che sono sviati dal vero.

2486 La menzogna (essendo una violazione della virtù della veracità) è un'autentica violenza fatta all'altro. Lo colpisce nella sua capacità di conoscere, che è la condizione di ogni giudizio e di ogni decisione. Contiene in germe la divisione degli spiriti e tutti i mali che questa genera. La menzogna è dannosa per ogni società; scalza la fiducia tra gli uomini e lacera il tessuto delle relazioni sociali.

2487 Ogni colpa commessa contro la giustizia e la verità impone il dovere di riparazione, anche se il colpevole è stato perdonato. Quando è impossibile riparare un torto pubblicamente, bisogna farlo in privato; a colui che ha subito un danno, qualora non possa essere risarcito direttamente, va data soddisfazione moralmente, in nome della carità. Tale dovere di riparazione riguarda anche le colpe commesse contro la reputazione altrui. La riparazione, morale e talvolta materiale, deve essere commisurata al danno che è stato arrecato. Essa obbliga in coscienza.



IV. Il rispetto della verità

2488 Il diritto alla comunicazione della verità non è incondizionato. Ognuno deve conformare la propria vita al precetto evangelico dell'amore fraterno. Questo richiede, nelle situazioni concrete, che si vagli se sia opportuno o no rivelare la verità a chi la domanda.

2489 La carità e il rispetto della verità devono suggerire la risposta ad ogni richiesta di informazione o di comunicazione. Il bene e la sicurezza altrui, il rispetto della vita privata, il bene comune sono motivi sufficienti per tacere ciò che è opportuno che non sia conosciuto, oppure per usare un linguaggio discreto. Il dovere di evitare lo scandalo spesso esige una discrezione rigorosa. Nessuno è tenuto a palesare la verità a chi non ha il diritto di conoscerla. (375)

(375) Cf
Si 27,17 Pr 25,9-10.

2490 Il segreto del sacramento della Riconciliazione è sacro, e non può essere violato per nessun motivo. « Il sigillo sacramentale è inviolabile; pertanto non è assolutamente lecito al confessore tradire anche solo in parte il penitente con parole o in qualunque altro modo e per qualsiasi causa ». (376)

(376) CIC canone
CIC 983, § 1.


2491 I segreti professionali – di cui sono in possesso, per esempio, uomini politici, militari, medici e giuristi – o le confidenze fatte sotto il sigillo del segreto, devono essere serbati, tranne i casi eccezionali in cui la custodia del segreto dovesse causare a chi li confida, a chi ne viene messo a parte, o a terzi danni molto gravi ed evitabili soltanto mediante la divulgazione della verità. Le informazioni private dannose per altri, anche se non sono state confidate sotto il sigillo del segreto, non devono essere divulgate senza un motivo grave e proporzionato.

2492 Ciascuno deve osservare il giusto riserbo riguardo alla vita privata delle persone. I responsabili della comunicazione devono mantenere un giusto equilibrio tra le esigenze del bene comune e il rispetto dei diritti particolari. L'ingerenza dell'informazione nella vita privata di persone impegnate in un'attività politica o pubblica è da condannare nella misura in cui viola la loro intimità e la loro libertà.



V. L'uso dei mezzi di comunicazione sociale

2493 Nella società moderna i mezzi di comunicazione sociale hanno un ruolo di singolare importanza nell'informazione, nella promozione culturale e nella formazione. Tale ruolo cresce in rapporto ai progressi tecnici, alla ricchezza e alla varietà delle notizie trasmesse, all'influenza esercitata sull'opinione pubblica.

2494 L'informazione attraverso i mass-media è al servizio del bene comune. (377) La società ha diritto ad un'informazione fondata sulla verità, la libertà, la giustizia e la solidarietà:

« Il retto esercizio di questo diritto richiede che la comunicazione nel suo contenuto sia sempre vera e, salve la giustizia e la carità, integra; inoltre, nel modo, sia onesta e conveniente, cioè rispetti scrupolosamente le leggi morali, i legittimi diritti e la dignità dell'uomo, sia nella ricerca delle notizie, sia nella loro divulgazione ». (378)

(377) Cf Concilio Vaticano II, Decr. Inter mirifica
IM 11, AAS 56 (1964) 148-149.
(378) Concilio Vaticano II, Decr. Inter mirifica IM 5, AAS 56 (1964) 147.

2495 « È necessario che tutti i membri della società assolvano, anche in questo settore, i propri doveri di giustizia e di carità. Perciò si adoperino, anche mediante l'uso di questi strumenti, a formare e a diffondere opinioni pubbliche rette ». (379) La solidarietà appare come una conseguenza di una comunicazione vera e giusta, e di una libera circolazione delle idee, che favoriscono la conoscenza ed il rispetto degli altri.

(379) Concilio Vaticano II, Decr. Inter mirifica
IM 8, AAS 56 (1964) 148.

2496 I mezzi di comunicazione sociale (in particolare i mass-media) possono generare una certa passività nei recettori, rendendoli consumatori poco vigili di messaggi o di spettacoli. Di fronte ai mass-media i fruitori si imporranno moderazione e disciplina. Si sentiranno in dovere di formarsi una coscienza illuminata e retta, al fine di resistere più facilmente alle influenze meno oneste.

2497 Proprio per i doveri relativi alla loro professione, i responsabili della stampa hanno l'obbligo, nella diffusione dell'informazione, di servire la verità e di non offendere la carità. Si sforzeranno di rispettare, con pari cura, la natura dei fatti e i limiti del giudizio critico sulle persone. Devono evitare di cadere nella diffamazione.

2498 « Particolari doveri in questo settore incombono sull'autorità civile in vista del bene comune [...]. È infatti compito della stessa autorità, nel suo proprio ambito, difendere e proteggere [...] la vera e giusta libertà di informazione ». (380) Mediante la promulgazione di leggi e l'efficace loro applicazione il potere pubblico provvederà affinché dall'abuso dei media « non derivino gravi danni alla moralità pubblica e al progresso della società ». (381) L'autorità civile punirà la violazione dei diritti di ciascuno alla reputazione e al segreto intorno alla vita privata. A tempo debito e onestamente fornirà le informazioni che riguardano il bene generale o danno risposta alle fondate inquietudini della popolazione. Nulla può giustificare il ricorso a false informazioni per manipolare, mediante i mass-media, l'opinione pubblica. Non si attenterà, con simili interventi, alla libertà degli individui e dei gruppi.

(380) Concilio Vaticano II, Decr. Inter mirifica
IM 12, AAS 56 (1964) 149.
(381) Concilio Vaticano II, Decr. Inter mirifica IM 12, AAS 56 (1964) 149.


2499 Il senso morale denuncia la piaga degli stati totalitari che sistematicamente falsano la verità, esercitano mediante i mass-media un'egemonia politica sull'opinione pubblica, « manipolano » gli accusati e i testimoni di processi pubblici e credono di consolidare il loro dispotismo soffocando o reprimendo tutto ciò che essi considerano come « delitti d'opinione ».



VI. Verità, bellezza e arte sacra

2500 La pratica del bene si accompagna ad un piacere spirituale gratuito e alla bellezza morale. Allo stesso modo, la verità è congiunta alla gioia e allo splendore della bellezza spirituale. La verità è bella per se stessa. All'uomo, dotato d'intelligenza, è necessaria la verità della parola, espressione razionale della conoscenza della realtà creata ed increata; ma la verità può anche trovare altre forme di espressione umana, complementari, soprattutto quando si tratta di evocare ciò che essa comporta di indicibile, le profondità del cuore umano, le elevazioni dell'anima, il mistero di Dio. Ancora prima di rivelarsi all'uomo mediante parole di verità, Dio si rivela a lui per mezzo del linguaggio universale della creazione, opera della sua Parola, della sua Sapienza: dall'ordine e dall'armonia del cosmo, che sia il bambino sia lo scienziato sanno scoprire, « dalla grandezza e bellezza delle creature per analogia si conosce l'autore » (Sg 13,5), « perché li ha creati lo stesso autore della bellezza » (Sg 13,3).

« La Sapienza è un'emanazione della potenza di Dio, un effluvio genuino della gloria dell'Onnipotente, per questo nulla di contaminato in essa si infiltra. È un riflesso della luce perenne, uno specchio senza macchia dell'attività di Dio e un'immagine della sua bontà » (Sg 7,25-26). « Essa in realtà è più bella del sole e supera ogni costellazione di astri; paragonata alla luce, risulta superiore; a questa, infatti, succede la notte, ma contro la Sapienza la malvagità non può prevalere » (Sg 7,29-30). « Mi sono innamorato della sua bellezza » (Sg 8,2).

2501 « Creato ad immagine di Dio », (382) l'uomo esprime la verità del suo rapporto con Dio Creatore anche mediante la bellezza delle proprie opere artistiche. L'arte, invero, è una forma di espressione propriamente umana. Al di là dell'inclinazione a soddisfare le necessità vitali, comune a tutte le creature viventi, essa è una sovrabbondanza gratuita della ricchezza interiore dell'essere umano. Frutto di un talento donato dal Creatore e dello sforzo dell'uomo, l'arte è una forma di sapienza pratica che unisce intelligenza e abilità (383) per esprimere la verità di una realtà nel linguaggio accessibile alla vista o all'udito. L'arte comporta inoltre una certa somiglianza con l'attività di Dio nel creato, nella misura in cui trae ispirazione dalla verità e dall'amore per gli esseri. Come ogni altra attività umana, l'arte non ha in sé il proprio fine assoluto, ma è ordinata al fine ultimo dell'uomo e da esso nobilitata. (384)

(382) Cf
Gn 1,26.
(383) Cf Sap Sg 7,17.
(384) Cf Pio XII, Messaggio radiofonico (24 dicembre 1955): AAS 48 (1956) 26-41; Id., Messaggio radiofonico ai membri della società dei giovani operai cristiani (J.O.C.) (3 settembre 1950): AAS 42 (1950) 639-642.

2502 L'arte sacra è vera e bella quando, nella sua forma, corrisponde alla vocazione che le è propria: evocare e glorificare, nella fede e nella adorazione, il mistero trascendente di Dio, bellezza eccelsa di verità e di amore, apparsa in Cristo « irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza » (He 1,3), nel quale « abita corporalmente tutta la pienezza della divinità » (Col 2,9), bellezza spirituale riflessa nella santissima Vergine Maria, negli angeli e nei santi. L'autentica arte sacra conduce l'uomo all'adorazione, alla preghiera e all'amore di Dio Creatore e Salvatore, Santo e Santificatore.

2503 Per questo i Vescovi, personalmente o per mezzo di delegati, devono prendersi cura di promuovere l'arte sacra, antica e moderna, in tutte le sue forme, e di tenere lontano, con il medesimo zelo, dalla liturgia e dagli edifici del culto, tutto ciò che non è conforme alla verità della fede e all'autentica bellezza dell'arte sacra.(385)

(385) Cf Concilio Vaticano II, Cost. Sacrosanctum Concilium
SC 122-127, AAS 56 (1964) 130-132.



Catechismo Chiesa Catt. 2437