Crisostomo - PRIMA TIMOTEO 902

Utili suggerimenti pedagogici ai genitori cristiani

È degno di fede quanto vi dico (1 Tim. 3, 1).

Quest'espressione non è da intendersi come riferita a quella successiva: se uno aspira all'episcopato 17. Infatti, poiché finora l'oggetto della discussione è stato quello di stabilire se i padri e le madri potranno trarre o meno dei benefici dalla virtuosa condotta di vita dei figli, allevandoli cioè nel modo migliore, ecco perché Paolo ha concluso dicendo: è degno di fede quanto vi dico.

Ma allora (dirai): Cosa capiterà se la madre è depravata e piena di mille vizi? Forse che non trarrà vantaggio dall'educazione dei figli? O piuttosto è naturale che li educherà simili a sé? Ebbene, l'Apostolo intende riferirsi non a una madre generica, ma a quella che è virtuosa, giacché sarà soltanto questa a ricevere una degna ricompensa e retribuzione.

O padri e madri, ascoltate bene quanto vi dico: l'educazione impartita ai figli non sarà per voi senza ricompensa. Paolo affermerà ciò anche successivamente, quando, insieme ad altre cose, dirà che (la vedova) ha testimonianza di opere buone 18, se ha ben allevato i suoi figli. Infatti, non è di poco conto consacrare a Dio i figli che lui stesso ha dato. Del resto si sa che i genitori riceveranno una grande ricompensa, se avranno costruito l'edificio del loro impegno di educatori su basi salde e su solide fondamenta. Viceversa, se avranno trascurato questo loro ufficio, saranno oggetto di castigo. Infatti Eli trovò la morte a causa dei suoi figli, giacché bisognava che li redarguisse. In verità, Eli li aveva ammoniti, ma non quanto ce ne sarebbe stato bisogno; anzi, per non aver voluto contristarli, finì per perdere se stesso e loro 19.

L'educazione paterna

O padri, ascoltate bene quanto vi dico: allevate i vostri figli con molta cura nella disciplina e nell'ammonizione di Dio. L'età giovanile è dura da trattare: essa ha bisogno di molti istitutori, di maestri, di pedagoghi, di guardiani e di chi provvede alla sua crescita. Infatti, nonostante il tanto amorevole impegno profuso, a stento si riesce a tenerla a freno. Un cavallo indomito, una belva feroce difficile da addomesticare: questa è la giovinezza.

Dunque, se fin da principio, se fin dai primi anni noi sapremo imporle ben precisi limiti, in seguito non ci dovremo affaticare molto, in quanto l'abitudine ad agire correttamente, in futuro diventerà legge per essa. Non permettiamo che i nostri figli facciano cose piacevoli ma che nel contempo risultano dannose; né mostriamoci compiacenti con essi semplicemente perché sono figli. Conserviamoli soprattutto puri, giacché il vizio opposto costituisce la causa principale della loro rovina. Ma per assolvere questo compito abbiamo bisogno di combattere con molta energia e di profondere in esso la massima attenzione. Invogliamoli a prendere moglie quanto prima, di modo che possano contrarre matrimonio conservandosi fisicamente puri e casti: la loro è l'età in cui la passione amorosa avvampa con più ardore!

D'altronde, chi si è mantenuto casto prima delle nozze, molto di più lo sarà dopo il matrimonio; e viceversa, chi prima delle nozze ha conosciuto i piaceri della carne, anche dopo il matrimonio continuerà a comportarsi allo stesso modo. Infatti la Scrittura dice: Per l'uomo impuro ogni pane è appetitoso 20. Questo è il motivo per cui vengono poste delle corone sul capo (dei nubendi): queste costituiscono il simbolo della vittoria, in quanto essi si accostano all'unione coniugale senza essersi lasciati precedentemente né vincere né sopraffare dai desideri carnali. Al contrario, se uno si è lasciato catturare da passioni impure, concedendosi alle prostitute, da sconfitto come potrà in futuro ricevere sul capo la corona?

Sproniamoli, ammoniamoli a comportarsi bene; incutiamo loro paura, minacciamoli pure, ricorrendo ora a questo, ora a un altro mezzo. Ci è stato affidato un grande deposito: i figli! Diamoci grande pensiero di essi e facciamo tutto il possibile affinché quello spirito maligno 21 non riesca a sottrarceli. Oggigiorno, invece, noi ci comportiamo in maniera diametralmente opposta. Infatti, se per l'ottimo rendimento delle nostre terre facciamo l'impossibile per affidarle alla cura di un uomo degno di fiducia ponendoci all'accurata ricerca del migliore asinaio e mulattiere nonché del più capace amministratore e ragioniere; invece, per quanto riguarda ciò che per noi è il bene più prezioso, l'educazione dei nostri figli, noi non poniamo la debita attenzione nell'affidarla a chi è veramente in grado di curare la castità del loro comportamento. E tutto ciò, nonostante che questo nostro impegno, come ho già detto, costituisca per noi il bene più prezioso. Inoltre, i nostri precedenti sforzi si giustificano nella prospettiva di assicurare ai figli una buona condizione economica. Noi, dunque, ci diamo pensiero di renderli ricchi e non già di curare la loro formazione.

Vedi quanta assurdità? Coltiva allora l'animo di tuo figlio e tutti i precedenti beni verranno da sé, in quanto se il suo animo non è buono, egli non trarrà da essi nessun giovamento; al contrario, se esso è retto, lo stato di povertà non gli procurerà alcun danno. Vuoi lasciarlo veramente ricco? Insegnagli a essere virtuoso: solo così egli potrà incrementare le sue ricchezze; ma se anche non dovesse accrescerle, non per questo si troverà in una condizione peggiore di quanti le posseggono.

Se invece sarà malvagio, anche se gli hai lasciato tantissime ricchezze, non lo hai lasciato come loro custode, ma lo hai reso più misero di coloro che hanno toccato il fondo della povertà. Così, per i figli a cui non è stata impartita una retta educazione, la povertà è preferibile alla ricchezza. Mentre questa, infatti, è in grado di far vivere da virtuosi anche quelli che non lo vogliono, la ricchezza, invece, non consente di essere temperanti neppure a coloro che lo vogliono, anzi, li trascina fuori di sé, li travolge completamente e li getta in mille mali.

L'educazione materna. Il comportamento dei figli

Voi madri, curate particolarmente l'educazione delle vostre figlie; per voi risulta facile questo compito. Badate attentamente che esse stiano in casa; prima d'ogni altra cosa educatele alla pietà, a essere oneste, sprezzanti delle ricchezze e dell'esagerata cura di mostrarsi belle. Presentatele così all'unione coniugale. Infatti, se voi le plasmerete in questo modo, salverete non solo esse, ma anche l'uomo che è destinato a sposarle; non solo il marito, ma anche i figli; non solo questi ma l'intera discendenza.

È vero, quando la radice è buona, anche i rami cresceranno nel modo migliore; (senza contare che) per tutto questo vostro impegno educativo sarete ricompensate. Poniamo ogni sforzo, quindi, non con l'intento di giovare a una sola anima, ma a molte mediante questa sola. Una figlia deve uscire dalla casa paterna per affrontare il matrimonio così come un



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OMELIA 10

SE UNO ASPIRA ALL'EPISCOPATO, DESIDERA UN NOBILE LAVORO. MA BISOGNA CHE IL VESCOVO SIA IRREPRENSIBILE, NON SPOSATO CHE UNA SOLA VOLTA, SOBRIO, PRUDENTE, DIGNITOSO, OSPITALE, CAPACE D'INSEGNARE, NON DEDITO AL VINO, NON VIOLENTO MA BENEVOLO, NON LITIGIOSO, NON ATTACCATO AL DENARO. SAPPIA DIRIGERE BENE LA PROPRIA FAMIGLIA E ABBIA FIGLI SOTTOMESSI CON OGNI DIGNITÀ

(1Tm 3,1-4)

Prima Timoteo 3,1-4

Le doti che deve possedere l'aspirante all'episcopato 1

1001 1. Accingendosi ad affrontare il discorso sull'episcopato, Paolo elenca una volta per tutte le doti che un vescovo deve possedere, non con l'intento di parlarne a Timoteo per esortarlo, ma di rivolgersi a tutta la comunità per istruirla tramite lui. E cosa dice? Se uno aspira all'episcopato, non lo rimprovero, giacché si tratta di un provvidenziale ufficio di governo; così come non biasimo chi aspira ardentemente a ricoprire questa carica non per brama di potere e di autorità, ma soltanto per svolgere un provvidenziale ufficio di governo. Infatti, dice l'Apostolo, costui desidera un nobile lavoro. D'altronde anche Mosè vi aspirò, ma non per brama di potere; lo desiderò così ardentemente da sentirsi dire: Chi ti ha costituito capo e giudice su di noi? 3 Se uno può desiderare questa dignità così fortemente, la desideri pure, dal momento che il termine episcopato significa ufficio di vigilanza su tutti.

Paolo pertanto dice: Ma bisogna che il vescovo sia irreprensibile, non sposato che una sola volta.

Egli si esprime così non per sancire una legge, vale a dire come se questa fosse l'unica condizione per svolgere tale funzione, ma per impedire l'eccesso, giacché presso i Giudei era consentito sposarsi due volte e avere contemporaneamente due donne. Il matrimonio è una cosa degna di onore 4. Alcuni invece ritengono che Paolo si sia espresso così per imporre per legge all'uomo di non sposarsi che una volta sola.

(Il vescovo - dice l'Apostolo - sia) irreprensibile. Con questa parola egli vuole indicare l'intero complesso delle virtù (da possedere). Perciò, se uno ha la consapevolezza di vivere in una condizione di peccato, non fa una cosa buona, se aspira a occupare un posto da cui egli stesso si è escluso mediante il suo cattivo comportamento: piuttosto che comandare, è necessario che costui sia comandato. Infatti occorre che chi governa risplenda più di una lampada, conduca un'esistenza senza macchia, di modo che tutti possano guardarlo e improntare sul suo modello la propria condotta di vita. Inoltre, Paolo dice questo non semplicemente per rivolgere un mera esortazione, ma perché egli stava per scegliere e costituire dei vescovi. Del resto, anche quando scrive a Tito fa la stessa esortazione e prescrive le stesse norme, dal momento che probabilmente erano in molti ad aspirare a tale dignità 5.

(Il vescovo - dice l'Apostolo - sia) sobrio, cioè chiaroveggente, nel senso che abbia dovunque mille occhi per vedere chiaramente; sia un osservatore acuto, munito di una capacità di discernimento dallo spettro visivo per nulla offuscato. Infatti, si possono venire a determinare tante difficoltà tutte insieme, che di fatto impediscono di vedere con chiarezza il vero stato delle cose. (Si pensi ad esempio) a condizioni di afflizione, di preoccupazione, di imprecisata quantità di problemi da risolvere e di ancora tanti altri ostacoli che affluiscono da ogni parte. Ecco perché, dice Paolo, è necessario che sia insonne colui che è preoccupato di risolvere non solo i suoi problemi, ma anche quelli degli altri. Bisogna dunque che egli sia sempre sveglio, pieno di vita nello spirito; che, per così dire, respiri fuoco; che si affatichi più di un generale di esercito che giorno e notte perlustra il suo accampamento; che adempia il suo ufficio di servizio; che si dia pensiero e sollecitudine per tutti.

(Il vescovo - dice l'Apostolo - sia) prudente, dignitoso, ospitale. Ebbene, poiché anche molti sudditi posseggono queste virtù - è necessario infatti che essi assomiglino in questo ai loro capi - Paolo, volendo indicare il compito specifico del ministero episcopale, aggiunge: sia capace di insegnare. Infatti, se l'espletamento di quest'ufficio non rientra tra le mansioni di un suddito, invece è necessario che più di ogni altro esso competa a colui al quale è stata affidata la dignità di governo.

(Il vescovo sia) non dedito al vino. Con quest'espressione Paolo non intende dire: non sia un ubriacone, quanto piuttosto: non sia né un ingiurioso né un arrogante. (Il vescovo sia) non violento. Qui l'Apostolo non si riferisce a uno che materialmente percuote con le mani. Cosa allora vuol significare, quando dice: non violento? Mi sembra che in questo caso Paolo faccia allusione a coloro che, del tutto inopportunamente, percuotono le coscienze dei fratelli.

(Il vescovo sia non violento) ma benevolo, non litigioso, non attaccato al denaro. Sappia dirigere bene la propria famiglia e abbia figli sottomessi con ogni dignità.

(E tu osserverai): ma se ad essere preoccupato delle cose del mondo è l'uomo sposato, mentre un vescovo non deve avere simili affezioni, perché l'Apostolo di costui dice di essere: non sposato che una sola volta? A tal riguardo alcuni sostengono che Paolo ha inteso alludere a colui che si mantiene libero dal legame matrimoniale. Comunque, anche se non fosse così, è possibile, dice, che uno abbia una moglie e intanto viva come se non l'avesse. (E noi osserviamo) che ben comprensibile è stata la concessione di Paolo, se si tiene conto degli usi e dei costumi allora vigenti. E per la verità, a un uomo che veramente lo vuole, è possibile risolvere positivamente la questione 6. Infatti, come difficilmente le ricchezze conducono nel regno dei cieli, ma intanto spesso dei ricchi vi sono entrati, così capita anche per lo stato coniugale. Ti prego, cosa vuoi dire? (Ti rispondo dicendo che) quando l'Apostolo parla del vescovo, afferma che costui non deve essere dedito al vino, ma ospitale, quand'anche sarebbe stato necessario parlare di virtù di gran lunga superiori.

Infatti, perché non ha detto: «Bisogna che il vescovo sia un angelo, senza così essere soggetto a nessuna debolezza umana»? Perché non ha parlato del grande insegnamento lasciato da Cristo, al quale peraltro devono attenersi anche i sudditi 7, di essere cioè disposti a lasciarsi crocifiggere e a sacrificare la propria vita per gli altri? Cristo infatti ha detto anche questo: Il buon pastore offre la vita per le pecore 8; e ancora: Chi non prende la sua croce e non mi segue, non è degno di me 9. Perché invece l'Apostolo ha detto: (Il vescovo) non sia dedito al vino? Quali belle speranze (si possono nutrire) se si ritiene opportuno indirizzare a un vescovo simili esortazioni! 10 Perché, o Paolo, non hai detto: «Bisogna che il vescovo non partecipi più delle cose di questa terra», e invece quelle cose che prescrivi a coloro che vivono nel mondo, queste stesse non le imponi all'osservanza anche dei vescovi? Cosa predichi ai secolari? Mortificate quella parte di voi che appartiene alla terra 11; e poi: Chi è morto è ormai libero dal peccato 12; e ancora: Quelli che sono di Cristo hanno crocifisso la loro carne 13; e Cristo a sua volta ha detto: Così chiunque di voi non rinunzia a tutti i suoi averi, non è degno di me 14. Paolo, dunque, perché non ha dettato queste norme? Perché (rispondo) allora si potevano trovare soltanto pochi uomini siffatti, mentre c'era bisogno di molti vescovi da porre al governo di ciascuna città.

Il vescovo, modello di vita cristiana: uomo di fede, istruito nella dottrina

1002 2. Quindi, poiché nelle comunità ecclesiali cominciavano a prendere piede delle difficoltà, per questa ragione l'Apostolo si limitava a richiedere negli aspiranti doti modeste e non superiori e sublimi. Infatti, erano in molti a comportarsi in maniera sobria, prudente e dignitosa.

(Il vescovo - dice -) abbia figli sottomessi con ogni dignità. Era necessario, quindi, proporre degli esempi tratti dalla vita familiare. Infatti, quale fiducia potrebbe riscuotere uno che, dovendo imporre a degli estranei la sua autorità, non è in grado di sottomettere neanche i propri figli? Sappia dirigere bene - dice Paolo - la propria famiglia. Del resto, anche i non credenti sono dello stesso avviso, quando appunto affermano che chi sa ben dirigere la propria famiglia, in breve tempo sarà un sagace amministratore anche dei pubblici affari. Ebbene, la Chiesa non è altro che una grande casa, per cui come in una famiglia vi sono i figli, la moglie, i servi e un uomo che comanda su tutti, così anche nella Chiesa non vi è nulla di diverso: ci sono dei figli, una moglie e dei servi. Ora, se colui che in Chiesa detiene l'autorità la esercita in comune con gli altri, (significa che) anche nell'ambito della sua famiglia egli, come marito, divide con la moglie quest'ufficio di governo.

Nella Chiesa bisogna preoccuparsi del sostentamento delle vedove e delle vergini? Anche in casa il marito ha servi e figli da nutrire, senza dire che governare una casa è anche più agevole che non una comunità ecclesiale. Pertanto, chi non è stato capace di dirigere con avvedutezza la propria famiglia, come potrà ben amministrare una Chiesa? Ecco perché l'Apostolo, dopo aver detto: se uno non sa dirigere la propria famiglia, come potrà aver cura della Chiesa di Dio?, aggiunge: non sia un neofita 15. Paolo qui non pone in questione la troppo giovane età del candidato, ma la sua istruzione ricevuta in poco tempo. Infatti dice: Io ho piantato, Apollo ha irrigato, ma è Dio che ha fatto crescere.

Egli quindi si è espresso così, volendo riferirsi alla mancanza di perfezione nella dottrina 17. Infatti, cosa gli ha impedito di dire semplicemente: non sia molto giovane? Del resto, non è stato forse lui stesso a costituire in autorità Timoteo, nonostante la sua troppo giovane età? D'altronde la testimonianza di ciò è data dalle medesime parole che gli rivolge, quando appunto afferma: Nessuno disprezzi la tua giovane età 18.

L'Apostolo, infatti, aveva ben conosciuto la grandezza delle virtù di Timoteo e la straordinaria perfezione della sua condotta di vita. Ne è pienamente consapevole, quando scrivendo gli dice: fin dall'infanzia hai conosciuto le Sacre Scritture 19. Inoltre, del suo discepolo egli testimonia anche l'osservanza di un rigoroso digiuno, quando apertamente gli dice: (Smetti di bere soltanto acqua), ma fa' uso di un po' di vino a causa (dello stomaco e) delle tue frequenti indisposizioni 20. Comunque, nelle sue lettere ritornerà più volte su questo argomento.

Ora, se in lui non avesse riconosciuto tali virtù, né avrebbe scritto né avrebbe fatto tali raccomandazioni al suo discepolo. Ma, poiché un gran numero di pagani giungeva per ricevere il battesimo, egli dice: non ponete un neofita al vertice dell'autorità, se si tratta di una persona che da poco tempo ha appreso la dottrina. Infatti, se viene costituito maestro prima di essere stato discepolo, facilmente gli accadrà di essere arrogante; se poi già occupa un posto di rilievo tra coloro che hanno autorità, facilmente monterà in superbia se prima non avrà imparato a ubbidire.

Per questa ragione l'Apostolo ha aggiunto: ...perché non gli accada di montare in superbia e di cadere nella stessa condanna del diavolo; cioè non subisca come quest'ultimo la dannazione a causa dell'arroganza.

È necessario che egli goda buona reputazione presso quelli di fuori, per non cadere in discredito e in qualche laccio del diavolo 21.

Bene, dal momento che corre il rischio di essere oltraggiato da parte di costoro, è probabilmente per questa ragione che Paolo (a proposito del matrimonio) ha detto: non sia sposato che una sola volta; benché altrove abbia detto: vorrei che tutti fossero come me, cioè vivessero in continenza 22. Egli, dunque, ha richiesto la pratica di semplici virtù in quanto, se dai candidati avesse preteso una perfetta condotta di vita, avrebbe finito per restringere troppo l'ambito della loro scelta, mentre urgeva porre una guida spirituale per ciascuna città. Ascolta infatti ciò che scrive a Tito: (Per questo ti ho lasciato a Creta...) perché stabilissi presbiteri in ogni città, secondo le istruzioni che ti ho dato 23.

Ma che senso ha dire che egli gode di chiara testimonianza e di buona reputazione, se di fatto non ètale? È molto difficile che ciò si verifichi, poiché quelle stesse persone che vivono rettamente, a stento riescono a mantenere una buona reputazione agli occhi dei nemici. In verità nel nostro caso l'Apostolo non si è limitato a richiedere soltanto questa dote, se è vero che non ha detto: «Bisogna che egli abbia una buona reputazione», bensì: «Bisogna che egli abbia anche una buona reputazione», ossia questa dote insieme alle altre, e non quindi questa sola. Ma che dire, poi, se si dovesse parlare male di lui a sproposito o spinti anche dall'invidia, soprattutto quando i detrattori sono i Greci? 24 Neppure ciò è possibile, perché anche costoro rispettano un uomo che di fatto vive in maniera irreprensibile. E in che modo?, obietterai. Ascolta ciò che l'Apostolo dice di sé: (Ma in ogni caso ci presentiamo come ministri di Dio...) nella cattiva e nella buona fama 25. Ad essere posta sotto accusa, infatti, non era la loro condotta di vita, bensì la loro predicazione. Ecco perché dice: nella cattiva fama. D'altronde, era proprio a causa della loro predicazione che essi erano considerati come ingannatori 26 e impostori 27. Lanciavano queste accuse perché non avevano nulla da recriminare sulla loro vita. Del resto, perché mai nessuno ebbe a dire degli apostoli: «Sono dei fornicatori, degli impudichi, degli avari»; ma soltanto: «Sono degli ingannatori»? Esclusivamente a motivo della loro predicazione!. Ebbene, questa mancanza di accuse non era forse dovuta al fatto che la loro vita era effettivamente irreprensibile? Sì, proprio così. Manteniamo, quindi, anche noi questa condotta di vita e certamente nessuno dirà male di noi, anche se è un nostro nemico, anche se è un non credente. Infatti, anche costui rispetta chi conduce una vita risplendente di virtù, giacché la verità chiude la bocca anche ai nemici 28.

Tu dirai: Ma (un aspirante) come può cadere in qualche laccio? Commettendo spesso gli stessi peccati di coloro che non credono. Ora, se viene a trovarsi in tale condizione, subito il diavolo gli tende un altro laccio e ben presto i nemici hanno la meglio su di lui. Ma, se dai nemici bisogna riscuotere una grande reputazione, molto maggiore deve essere quella degli amici. Inoltre, per quanto poi riguarda il fatto che un uomo dalla vita irreprensibile non può affatto sentir parlare male di sé, ascolta ciò che Cristo dice: così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli 29. Ma dirai: Cosa fare se egli viene falsamente denigrato, se a motivo delle circostanze esterne deve sottostare alla calunnia? Sì, ciò può accadere; ma in questo caso è necessario che egli non si esponga troppo, dal momento che c'è molta ragione di temere. Ecco perché, dice Paolo, bisogna che egli abbia anche una buona reputazione: risplendano le vostre opere buone (ha detto Cristo).

Ebbene, come nessuno oserebbe dire che il cielo è oscuro, neppure un cieco, giacché si vergognerebbe di combattere un'opinione accreditata da tutti; allo stesso modo nessuno ardirà biasimare coloro che vivono virtuosamente. Spesso i Greci a causa della loro dottrina li hanno attaccati, sì, ma non hanno mai avuto nulla da ridire sulla loro retta condotta di vita; anzi, al pari degli altri, ne restano colpiti e meravigliati.

I veri cristiani devono brillare come astri nel mondo 30

1003 3. Viviamo dunque così, in modo che il nome di Dionon venga bestemmiato. Non miriamo alla gloria umana, per non ottenere una cattiva reputazione, ma sappiamo conservarci equilibrati nell'una e nell'altra cosa. In questo modo, afferma Paolo, brillerete come astri nel mondo 31.

I motivi quindi per cui (Dio) ci ha lasciati sulla terra sono questi: perché noi fossimo degli astri, perché ci costituissimo maestri degli altri, perché divenissimo lievito, perché vivessimo come angeli in mezzo agli uomini, come adulti in mezzo ai bambini, come esseri spirituali accanto a nature carnali, affinché queste potessero trarne vantaggio; perché fossimo dei semi capaci di produrre molti frutti. Se la nostra vita avesse un tale fulgore, se noi mostrassimo le nostre opere buone, non ci sarebbe bisogno né di spendere parole né di avere maestri 32.

Non ci sarebbe nessun greco, se noi fossimo dei veri cristiani, come di dovere; (in altre parole), se noi custodissimo gelosamente gli insegnamenti di Cristo, se fossimo disposti a tollerare ingiurie e violenze; a benedire se oltraggiati e a beneficare se trattati male, nessuno manifesterebbe una natura così ferina da non sentire subito la necessità di ricorrere alla vera religione. E tutto questo sarebbe possibile, a condizione che tutti ci comportassimo rettamente 33. Del resto, per poter comprendere tale verità, basti pensare a Paolo che, pur essendo solo, riuscì a guadagnare a Cristo tante anime. Se invece noi fossimo tali (cioè simili a lui), quanti mondi noi attrarremmo?

Ecco, i cristiani sono più numerosi dei pagani. Eppure, mentre nelle altre scienze uno solo è in grado di insegnare contemporaneamente a cento ragazzi; invece qui, benché i maestri siano moltissimi e di gran lunga più numerosi degli alunni, tuttavia nessuno vi si accosta. Infatti, coloro ai quali s'impartisce l'insegnamento non fanno altro che guardare soprattutto la vita virtuosa dei propri maestri; ebbene, quando essi vedono che noi desideriamo e ambiamo ardentemente le loro stesse cose, cioè il comando e l'onore, come potranno ammirare il cristianesimo?

Esortazioni conclusive

Essi vedono delle vite degne di reprensione, delle anime attente alle cose della terra; dal canto nostro amiamo le ricchezze così come loro, e talora perfino di più; similmente ad essi mostriamo di aver paura della morte, come essi temiamo la povertà, come essi sopportiamo a malincuore le sofferenze; come essi aspiriamo alla gloria e ai primi posti; ci tormentiamo per l'amore verso il denaro né tralasciamo le circostanze propizie (per procurarcelo).

(Con tale condotta di vita), dunque, da che cosa essi dovrebbero essere indotti a credere, dai miracoli? Ma questi non accadono più. Dallo stare a contatto con noi? Ma ciò li rovina. Dalla carità? Ma di questa non si scorge neppure una semplice impronta. Per questo motivo un giorno renderemo conto del danno provocato non solo per i nostri peccati, ma anche per quelli degli altri.

Rinsaviamo dunque una volta per sempre; manteniamoci sempre vigilanti e mostriamo di vivere sulla terra un'esistenza degna del cielo; comportiamoci in modo da dire: la nostra patria è nei cieli 34, e intanto sulla terra sosteniamo le nostre battaglie. A questo punto il pagano osserverà: Ma presso di noi ci sono stati grandi uomini, per cui da dove dovrò attingere le ragioni della mia fede, dal momento che non vi vedo compiere le stesse cose che essi compivano? Ebbene, se proprio bisogna portare il discorso su questo piano, anche noi abbiamo dei grandi filosofi e degni di ammirazione a motivo della loro condotta di vita.

(Ad esempio), mostrami un altro Paolo o un altro Giovanni; certamente non potresti farlo. Sicché come un pagano non ci irriderebbe, sentendoci parlare in questo modo? Come non desidererebbe restare ancora nella sua ignoranza, vedendo che noi siamo filosofi soltanto a parole e non nei fatti? La prova è che oggigiorno ciascuno di noi è pronto a farsi uccidere e a uccidere per un solo misero obolo, ad affrontare mille tribunali per una tazza di terreno 35, a mettere tutto a soqquadro per la morte di un figlio. Tralascio altre cose degne di lacrime, come le pratiche superstiziose, i vaticini, le divinazioni, le genealogie, i simboli, i talismani, gli incantesimi, le arti magiche. Si tratta di cose veramente gravi, capaci di suscitare l'ira di Dio, dal momento che noi osiamo ricorrere a tali mezzi, dopo che egli ha inviato il suo Figlio. Non ci resta altro da fare che piangere al pensiero che a stento un piccolo numero di uomini giungerà alla salvezza.

Ma coloro che si perdono, provano una grande gioia nell'udire che essi non sono i soli a subire tale condanna; infatti si perdono insieme a molti altri. Ebbene quale gioia potranno mai provare, se proprio per questa gioia essi saranno tormentati? Non credere che, se qui sulla terra avere dei compagni di sventura costituisce un conforto, là sarà la medesima cosa! Cosa mai te lo può provare? Te lo mostrerò io. Dimmi: un uomo condannato a perire nel fuoco, se vedesse anche suo figlio bruciare insieme a lui e sentisse giungere alla narici l'odore della sua carne bruciata, forse che non ne morirebbe (di dolore)? Certamente; ma in che modo, sarò io a dirlo. Infatti, se quegli stessi che non soffrono questo tormento, alla sola sua vista si irrigidiscono e si sentono venir meno, molto di più ne soffriranno i condannati a tale supplizio.

Ma non meravigliarti di ciò; ascolta piuttosto la parola di un uomo saggio, che dice: Anche tu sei stato abbattuto come noi, sei diventato uguale a noi 36. (È vero), la natura umana è incline alla commiserazione e



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OMELIA 11

ALLO STESSO MODO I DIACONI SIANO DIGNITOSI, NON DOPPI NEL PARLARE, NON DEDITI AL MOLTO VINO NÉ AVIDI DI GUADAGNO DISONESTO, E CONSERVINO IL MISTERO DELLA FEDE IN UNA COSCIENZA PURA. PERCIÒ SIANO PRIMA SOTTOPOSTI A UNA PROVA E POI, SE TROVATI IRREPRENSIBILI, SIANO AMMESSI AL LORO SERVIZIO

(1Tm 3,8-10)

Prima Timoteo 3,8-10

Le doti che deve possedere l'aspirante al diaconato 1

1101 1. Dopo aver parlato dei vescovi, dopo aver fissato le note caratterizzanti la loro condotta di vita e dopo aver detto le doti che devono possedere e i difetti da cui devono tenersi lontani; smettendo di parlare dell'ordine dei presbiteri 2, ora passa a trattare dei diaconi. Per quale motivo? Perché non vi è una grande distanza fra costoro ei vescovi 3. Infatti, anch'essi sono preposti all'insegnamento e al governo della Chiesa; inoltre, ciò che Paolo ha detto dei vescovi si adatta anche ai presbiteri. (I primi) sono superiori (ai secondi) soltanto per la loro consacrazione e per questa ragione sembra che ne guadagnino in privilegio. L'Apostolo dice: Allo stesso modo i diaconi... Ciò significa che questi devono avere le medesime doti degli altri. Ma che vuol dire: le stesse doti? Vuol dire che essi devono essere irreprensibili, modesti, ospitali, mansueti, non litigiosi e non amanti del denaro. Del resto, il fatto che Paolo con l'espressione: allo stesso modo abbia voluto intendere che essi fossero tali (nella loro condotta), lo ha precisato subito dopo, aggiungendo: siano dignitosi, non doppi nel parlare, cioè non siano né simulatori né ingannatori. Di solito, niente rende così degeneri come l'inganno; niente è così inutilmente nocivo nella Chiesa come una subdola simulazione.

L'Apostolo dice: non siano dediti al molto vino né avidi di guadagno disonesto, e conservino il mistero della fede in una coscienza pura.

Ecco come egli ha specificato il significato del: siano irreprensibili. Inoltre, vedi la ragione per cui anche qui ha adoperato l'espressione: egli non sia un neofita 4? Infatti, quando dice: perciò siano prima sottoposti a una prova, egli intende riferirlo come detto anche del vescovo. Sicché, ha voluto operare tale connessione, dal momento che nulla si frappone fra questi due termini: (vescovo-presbitero e diacono). Ecco perché precedentemente ha affermato: egli non sia un neofita. Non sarebbe infatti assurdo che, mentre a un servo, di recente assunto in una casa, non si affidano mansioni domestiche di una certa importanza, senza che prima egli dia per lunga esperienza numerose testimonianze di sincera affidabilità; invece per quanto riguarda la Chiesa di Dio subito si assegni un posto di primaria importanza a uno che ha appena fatto il suo ingresso in essa?

Le doti che devono possedere le diaconesse

L'Apostolo, parlando delle diaconesse, dice: Allo stesso modo le donne 5 siano dignitose, non calunniatrici, sobrie, fedeli in tutto (1 Tim. 3, 11).

Alcuni sostengono che l'Apostolo ha detto ciò semplicemente in riferimento alle donne in genere; ma non è così. Infatti egli, inserendo un argomento riguardante le donne nel contesto delle cose già dette, quale nuovo tema ha voluto introdurre? Ebbene, Paolo a questo punto intende parlare di quelle donne che ricoprono l'ufficio di diaconesse.

I diaconi - aggiunge - non siano sposati che una sola volta (1 Tim. 3, 12) 6. In verità, ciò riguarda anche le diaconesse, in quanto questa era nella Chiesa una condizione necessaria, utile e dignitosa. Egli dice: I diaconi non siano sposati che una sola volta. Vedi come egli dai diaconi esige la stessa virtù (richiesta ai vescovi)? Infatti, anche se essi non hanno la medesima dignità di un vescovo, tuttavia sono tenuti ad essere allo stesso modo irreprensibili e casti. E ancora: Sappiano dirigere bene i propri figli e le proprie famiglie. Coloro infatti che avranno ben servito, si acquisteranno un grado onorifico e una grande sicurezza nella fede in Cristo Gesù (1 Tim. 3, 12-13).

Dovunque l'Apostolo raccomanda la premurosa formazione dei figli, affinché gli altri non abbiano a trarre da essa qualche ragione di scandalo. Pertanto dice: Coloro infatti che avranno ben servito, si acquisteranno un grado onorifico; cioè avranno fatto un notevole progresso e acquistato una grande sicurezza nella fede in Cristo Gesù 7. È come se dicesse: Coloro che mostreranno il debito zelo nei gradi inferiori, subito giungeranno a quelli superiori.

La «verità»: cardine della fede e della predicazione della Chiesa

Ti scrivo tutto questo, nella speranza di venire presto da te; ma se dovessi tardare, voglio che tu sappia come comportarti nella casa 8 di Dio, che è la Chiesa del Dio vivente, colonna e sostegno della verità (1 Tim. 3, 14-15).

L'Apostolo, per non gettare nello sconforto il discepolo col dettargli simili norme, dice: Non ti scrivo queste raccomandazioni perché non ho intenzione di venire, perché certamente verrò; tuttavia, se mi dovesse accadere di tardare, non affliggerti. Sicché, se da una parte scrive a Timoteo per risollevarlo dal suo stato di scoraggiamento; dall'altra, invece, si rivolge alla comunità per stimolarla e per renderla più zelante. Tanto era il potere della sua personale presenza, anche se solo annunziata! Non ti meravigliare del fatto che Paolo, sebbene sia in grado di prevedere tutto nell'interno del suo spirito, mostra di non conoscere (il momento della sua venuta), quando scrive: nella speranza di venire presto da te; ma se dovessi tardare..., e questo è un parlare proprio di chi ignora le cose! Ma la ragione per cui ignora è perché egli è guidato dallo Spirito e ciò che fa non dipende dalla sua volontà!

Dice a Timoteo: Voglio che tu sappia come comportarti nella casa di Dio, che è la Chiesa del Dio vivente, colonna e sostegno della verità; essa cioè non è come il tempio dei Giudei. La verità è colonna e sostegno della Chiesa: questo è il cardine della nostra fede e della nostra predicazione.

Dobbiamo confessare che grande è il mistero della pietà: Dio si manifestò nella carne, fu giustificato nello Spirito (1 Tim. 3, 16). Ecco, questo non è altro se non l'ineffabile disegno dell'economia della salvezza decretato da Dio per noi! 9 Perciò, non parlarmi più né di sonagli 10, né di Santo dei Santi 11 e né di sommo sacerdote: la Chiesa è la colonna del mondo 12. Pensa a questo mistero e sentirai un brivido: sì, è un mistero, e anche grande; è il mistero della pietà: una realtà che tutti confessano; essa è indiscutibile, perché inequivocabile.

Poiché Paolo, quando parla dell'ordinamento sacerdotale non dice nulla di simile a quanto è stato detto nel Levitico 13, (vuol dire che) egli intende levare più in alto il nostro pensiero, quando appunto afferma: Dio si manifestò nella carne, cioè il Creatore è apparso rivestito di carne. Con l'espressione poi: fu giustificato nello Spirito, vuol significare che alla sapienza è stata resa giustizia da tutti i suoi figli 14, e ancora: Egli (Cristo) non ha commesso inganno, come dice il profeta: Egli non ha commesso peccato né vi è stato inganno nella sua bocca 15.

Apparve agli angeli (1 Tim. 3, 16). Sicché gli angeli stessi, non avendo visto precedentemente il Figlio di Dio, lo hanno visto insieme a noi. Questo mistero è veramente grande!

Fu annunziato ai pagani, fu creduto nel mondo (1 Tim. 3, 16).

In ogni parte della terra è stato udito e creduto: è quanto indica il salmista, dicendo: Per tutta la terra si diffonde la loro voce 16. Queste parole non ritenerle semplici, non lo sono affatto; anzi sono completamente arcane.

Egli fu assunto nella gloria (1 Tim. 3, 16), vale a dire: nelle nubi del cielo. Dice infatti Luca: Questo Gesù, che è stato di tra voi assunto fino in cielo, tornerà un giorno allo stesso modo in cui l'avete visto andare in cielo 17. Osserva ora insieme a me la prudenza del beato Paolo. Accingendosi a fare le sue raccomandazioni a coloro che sono ritenuti degni di svolgere il ministero del diaconato, li esorta semplicemente ad essere moderati nel bere il vino; non dice loro di non ubriacarsi, ma di non essere dediti al molto vino (1 Tim. 3, 8).

E giustamente. Infatti, se quelli che entrano nel tempio si astengono completamente dal vino, quanto più è necessario che lo facciano gli aspiranti al diaconato! Il vino, dice, ottunde la mente, e quand'anche non la getta nell'ebbrezza completa, tuttavia debilita le forze dell'animo e separa ciò che è armonicamente unito. Vedi, allora, come l'Apostolo dovunque chiama mistero quell'economia di salvezza operata per noi? E giustamente, giacché essa non è conosciuta da tutti gli uomini; anzi, neppure dagli angeli. D'altronde, come avrebbero potuto conoscerla, se essa è stata manifestata per mezzo della Chiesa? Per questa ragione l'Apostolo ha detto: Dobbiamo confessare che grande è il mistero della pietà (1 Tim. 3, 16)! Sì, è veramente grande: l'uomo è divenuto Dio e Dio si è fatto uomo. Come uomo è apparso senza peccato, come uomo è stato assunto in cielo, come uomo è stato annunziato in tutto il mondo, e gli angelil'hanno visto insieme a noi. È dunque un mistero! Perciò non possiamo andare a divulgarlo così, semplicemente; né possiamo predicarlo dovunque; impegniamoci piuttosto a vivere un'esistenza degna della sua insondabile profondità!

Sono veramente grandi coloro ai quali sono stati affidati i misteri. Dimmi: se un re viene a confidarci un misterioso segreto, non riteniamo una simile confidenza come segno di grande amicizia? Ebbene, Dio ora ci ha confidato il suo mistero. Ma noi, come se non fossimo stati toccati da un beneficio così grande, ricambiamo con l'ingratitudine il nostro benefattore! Tremiamo, quindi, se restiamo ancora insensibili di fronte a una cosìgrande benefica azione di grazia. È un mistero che tutti conoscono; o meglio, ciò che prima d'oggi non tutti conoscevano, ora invece è stato manifestato a tutti.


Crisostomo - PRIMA TIMOTEO 902