Crisostomo - PRIMA TIMOTEO 1204

Del Signore è la terra e quanto essa contiene

Non mi spingerò a esaminare più accuratamente quest'argomento, ma (affronterò così la questione): Ammesso pure che le tue ricchezze siano giuste ed esenti da ogni rapina; che tu non abbia colpa delle azioni ingiuste per le quali tuo padre si è arricchito; resta il fatto che tu possiedi ciò che è frutto di rapina, anche se tu personalmente non ti sei macchiato di simile colpa. Infatti, concesso anche che tuo padre non le abbia sottratte agli altri con forza, ma che l'oro da lui posseduto sia, (per così dire), zampillato dalla terra, forse che per questo le ricchezze sono buone? No. E tu dirai: Ma non per questo sono cattive. (E io ti rispondo):

Esse non sono cattive se non sono frutto di rapina e se vengono partecipate a quanti ne hanno bisogno; al contrario, esse sono cattive e insidiose, se non vengono messe a disposizione degli altri. Tu osserverai: Allora, fino a quando non faranno del male, esse non sono cattive, anche se non compiono il bene. Ammettiamo che sia giusto il tuo modo di dire; ma non è un male possedere per sé soli i beni del Signore? Forse che non è del Signore la terra e quanto essa contiene 33?

Ora, se i nostri beni sono del nostro comune Signore, essi sono anche di quanti lo servono insieme a noi, dal momento che ciò che è del Signore è tutto in comune. Del resto, questa comune appartenenza noi la vediamo verificata nelle grandi case. In esse, infatti, a tutti viene partecipata la stessa misura di frumento; in esse tutto viene pagato con il denaro del padrone; la casa del padrone è infatti aperta a tutti. Altrettanto in comune sono i possedimenti regali: le città, le piazze e i portici sono in comune a tutti, e tutti ne siamo partecipi allo stesso modo. Ebbene, considera insieme a me l'economia del piano di salvezza di Dio: egli ha fatto sì che alcuni beni fossero in comune, affinché anche da questi potesse nascere una sorta di timore riverenziale nei suoi riguardi, e cioè l'aria, il sole, l'acqua, la terra, il cielo, il mare, la luce e gli astri: egli ci ha partecipato questi beni come a dei fratelli. Ha donato a tutti gli stessi occhi, il medesimo corpo, un'anima identica, un'immagine simile in tutti.

(In una parola): tutto deriva dalla terra, tutti proveniamo da un solo uomo, tutti abitiamo in una stessa casa. Eppure nulla di tutto questo ci ha indotto a mutare radicalmente la nostra mente nei confronti delle ricchezze. Il Signore ha fatto in comune anche altre cose, come i bagni pubblici, le città, le piazze e i portici. Ebbene, osserva come in relazione a questi beni comuni non sussista alcuna contestazione, ma tutto è accettato pacificamente. Infatti, non appena uno tenta di



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OMELIA 13

QUESTO TU DEVI PROCLAMARE E INSEGNARE. NESSUNO DISPREZZI LA TUA GIOVANE ETÀ, MA SII ESEMPIO AI FEDELI NELLE PAROLE, NEL COMPORTAMENTO, NELLA CARITÀ, NELLA FEDE, NELLA PUREZZA. FINO AL MIO ARRIVO DÈDICATI ALLA LETTURA, ALL'ESORTAZIONE E ALL'INSEGNAMENTO. NON TRASCURARE IL DONO SPIRITUALE CHE È IN TE E CHE TI È STATO CONFERITO, PER INDICAZIONI DI PROFETI, CON L'IMPOSIZIONE DELLE MANI DA PARTE DEL COLLEGIO DEI PRESBITERI

(1Tm 4,11-14)

Prima Timoteo 4,11-14

Timoteo deve governare insegnando con autorità e impartendo ordini

1301 1. Vi sono alcune cose che devono essere insegnate e altre che invece vanno prescritte 1. Se tu impartisci ordini su cose che devi insegnare, cadi nel ridicolo; e viceversa: se insegni là dove bisogna ordinare, la situazione non cambia, sarai altrettanto ridicolo. Ti faccio un esempio: il non essere cattivi non è materia da insegnare, ma da imporre ricorrendo a tutta la propria autorità. Allo stesso modo, dire: «Non bisogna osservare le prescrizioni giudaiche» rientra nell'ordine del comando. Al contrario, se dirai: «Bisogna privarsi delle ricchezze», oppure: «Bisogna mantenersi vergini»;

o ancora, se esponi delle verità di fede, in questi casi sirichiede un impegno propriamente didattico. È per questo motivo, quindi, che Paolo parla sia d'insegnamento che di comando. Questo - dice - tu devi proclamare e insegnare. Ad esempio, se qualcuno porta degli amuleti o roba del genere, quando si sa che portarli è un male, allora c'è bisogno solamente della prescrizione del divieto; invece, quando non si è a conoscenza che usarne è un male, allora bisogna ricorrere all'insegnamento.

L'Apostolo dice: Nessuno disprezzi la tua giovane età. Bisogna che tu prenda atto di questo: il sacerdote deve saper comandare, parlare con autorità e non impartire insegnamenti su tutto. Il fatto, poi, che i giovani non devono tenersi in nessun conto, è una semplice ma diffusa questione di pregiudizio; ecco perché allora Paolo dice: Nessuno disprezzi la tua giovane età 2. Dunque, è necessario che il maestro non sia oggetto di disprezzo. Tu osserverai: Ma se egli non sarà mai fatto segno di disprezzo, dove andrà a finire la virtù della modestia, dove quella della mansuetudine? Ebbene, egli sappia accettare e sopportare il disprezzo in quei comportamenti che intaccano la sua personale sfera privata, in quanto la dottrina farà dei notevoli progressi, proprio grazie a questa sua paziente disamina introspettiva. Il discorso invece è diverso se si tratta di comportamenti che coinvolgono gli altri. Infatti, (se non s'interviene), la questione non è più in termini di mansuetudine, ma di fredda indifferenza 3. Se uno, (o Timoteo), si vendica delle ingiurie, delle offese e delle insidie di cui è stato fatto oggetto, tu fai bene ad accusarlo; se invece il problema riguarda la salvezza degli altri fratelli, allora devi comandare e provvedere con autorità, giacché in questo caso non c'è bisogno di mansuetudine ma di autorità, affinché un simile comportamento non costituisca un danno per l'intera comunità. Ed è proprio a questo che Paolo intende riferirsi, quando dice: Nessuno ti disprezzi a causa della tua giovane età. In altri termini, egli afferma: Fino a quando tu mostrerai un'irreprensibile condotta di vita, nessuno ti disprezzerà nonostante la tua giovane età, anzi, sarai piuttosto oggetto di ammirazione.

I compiti e i doveri propri di un vescovo

Ed è ancora per questa ragione che egli continua dicendo: Ma sii esempio ai fedeli nelle parole, nel comportamento, nella carità, nella fede, nella purezza, cioè mostrati in tutto un esempio continuo di operebuone. È come affermare: Sii un esempio di vita, un'immagine, per così dire, esposta allo sguardo di tutti; una legge vivente, una norma e un modello di una retta maniera di vivere.

Tale deve essere la figura di un maestro: sia esempio nelle parole, affinché possa esprimersi facilmente; sia esempio nel comportamento, nella carità, nella fede, nella purezza più intera e nella saggia temperanza. Fino al mio arrivo, dèdicati alla letture, all'esortazione e all'insegnamento.

L'Apostolo ordina a Timoteo di dedicarsi alla lettura. Ascoltiamo tutti (quest'esortazione); impariamo a non trascurare la meditazione delle divine Scritture. Ancora una volta Paolo riprende l'espressione: Fino al mio arrivo. In essa puoi ben intravedere come egli si preoccupi di infondergli coraggio. È verosimile, quindi, pensare che Timoteo gli chiedesse di venire perché ne sentiva la mancanza 4. Fino a quando vengo - dice - dèdicati alla lettura delle divine Scritture, sia per esortare gli altri a fare ciò reciprocamente, sia per insegnare questo a tutti.

Non trascurare il dono spirituale che è in te e che ti è stato conferito, per indicazioni di profeti. Qui l'Apostolo chiama profezia la dottrina. Dice: Con l'imposizione delle mani da parte del collegio dei presbiteri. In questo caso Paolo non intende riferirsi ai presbiteri ma ai vescovi, dal momento che erano i presbiteri a consacrare il vescovo 5.

Abbi premura di queste cose (1 Tim. 4, 15). Vedi come spesso l'Apostolo ritorna sugli stessi avvertimenti, volendo indicare che il maestro fra tutte le altre cose deve curare queste in modo particolare. Vigila su te stesso - dice - e sul tuo insegnamento e sii perseverante. È come se gli dicesse: Vigila su te stesso e insegna agli altri. Così facendo salverai te stesso e coloro che ti ascoltano.

Ora, ben si è espresso l'Apostolo dicendo (salverai) te stesso. Infatti, colui che si è nutrito delle parole della vera dottrina, è il primo a trarne vantaggio, giacché, mentre esorta gli altri, esamina criticamente se stesso. Queste esortazioni non sono state rivolte a Timoteo, ma a tutti i fedeli. Se egli avesse dato tali avvertimenti solo a uno che risuscitava i morti 6, noi oggi cosa avremmo detto? Ma lo stesso Cristo allude ai dottori, quando dice: (Per questo ogni scriba divenuto discepolo del regno dei cieli) è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche 7.

Ed è ancora il beato Paolo che, ritornando sullo stesso argomento, ammonisce dicendo: (Ora, tutto ciò che è stato scritto prima di noi, è stato scritto...) perché in virtù della perseveranza e della consolazione che ci vengono dalle Scritture teniamo viva la nostra speranza 8.

L'importanza della lettura delle Sacre Scritture

In realtà, l'Apostolo stesso aveva curato tra tutti particolarmente questo aspetto, quando si era formato alla scuola di Gamaliele (nelle più rigide norme) della legge paterna 9. Sicché non vi è alcun dubbio che anche successivamente l'Apostolo si sia particolarmente dedicato alla lettura (dei testi sacri). Insomma colui che esorta gli altri in queste cose, precedentemente le ha raccomandate a se stesso. Infatti, non vedi come Paolo frequentemente ricorra alle testimonianze dei profeti e come scruti attentamente ciò che esse dicono? Ebbene, se è lo stesso Paolo a dedicarsi con attenzione a tale lettura (grande è infatti il vantaggio che si ricava dalle Scritture), oseremmo noi comportarci nei loro riguardi negligentemente e ascoltarle occasionalmente? In tal caso come potremmo non essere degni di punizione? Paolo dice a Timoteo: (Dèdicati ad esse interamente) perché tutti vedano il tuo progresso.

I progressi spirituali che deve compiere chi occupa la grave responsabilità dell'episcopato. L'insegnamento pedagogico dell'Apostolo delle Genti

1302 2. Vedi come l'Apostolo vuole che Timoteo divengagrande e meraviglioso in tutto? Egli, dunque, si è espresso così volendo chiaramente indicare di aver ancora bisogno del suo discepolo. Ma cosa significa l'espressione: perché tutti vedano il tuo progresso? L'Apostolo intende parlare non solo del progresso spirituale della sua vita, ma anche di quello della sua parola di maestro.

Non essere aspro nel riprendere un anziano (1 Tim. 5, 1). Forse che qui l'Apostolo allude alla dignità (del suo presbitero)? Personalmente ritengo di no, infatti credo che egli intenda rivolgersi in generale a ogni presbitero.

Ma cosa significa ciò, se si parla di correzione? Ebbene, Paolo dicendo: non essere aspro nel riprendere un anziano, vuole indicare anche al suo discepolo di mantenere lo stesso comportamento che un figlio conserva nei riguardi del padre, quando questi sbaglia: ma esortalo - dice - come fosse tuo padre.

(Esorta) le donne anziane come madri e le più giovani come sorelle, in tutta purezza (
1Tm 5,23).

L'azione del redarguire è per sua natura un qualcosa di fastidioso, soprattutto quando si tratta di persone anziane. (Se a ciò si aggiunge che) tale rimprovero viene fatto da uno più giovane, allora si corre il rischio di compiere un triplice atto temerario. Bisogna dunque agire con buone maniere e con dolcezza. Infatti, uno può rivolgere un rimprovero a un altro senza per questo offenderlo, a condizione però che costui voglia impegnarsi a correggersi. C'è pertanto bisogno di molta prudenza, e ciò è possibile.

(Bisogna esortare) i più giovani come fratelli. Perché Paolo a questo punto fa una simile esortazione? Egli si esprime così per mettere in risalto il senso di audacia che connota l'età giovanile. Ora, anche in questo caso, è necessario addolcire il comando ricorrendo alla mitezza. Poi dice: le più giovani come sorelle, aggiungendo: in tutta purezza. È come se egli dicesse: Non solo non è più il caso di parlare di peccato, ma di non offrire neppure occasione di sospetto. Infatti, poiché i colloqui con le più giovani difficilmente sfuggono al sospetto, e intanto bisogna che un vescovo parli anche con esse, ecco perché l'Apostolo ha aggiunto: in tutta purezza. Egli, quindi, ha voluto intendere che i colloqui con le più giovani devono essere condotti in tutta purezza.

Cosa dici, (o Paolo)? Impartisci questi ordini a Timoteo? Sì, anche a lui, perché tramite lui io parlo al mondo intero. Ora, (io così rifletto): se l'Apostolo dà allo stesso Timoteo questi ordini, pensino tutti gli altri a come deve comportarsi un vescovo, affinché non dia luogo ad alcun sospetto su di sé e neppure l'ombra dell'occasione a quanti sono pronti a calunniarlo.

L'onore da riservare alle vedove

Onora le vedove, quelle che sono veramente vedove (1 Tim. 5, 3). Perché non pone alcuna questione nei riguardi della verginità, né dice: Onora le vergini? A mio avviso, o perché allora non vi era un ordine di vergini, oppure perché queste, (peccando), avevano perduto la loro verginità 11. Infatti, l'Apostolo in seguito dice: Già alcune purtroppo si sono sviate dietro a satana (1 Tim. 5, 15).

Ora egli dice: Onora le vedove, quelle che sono veramente vedove 12. Dunque, è possibile che una donna non si sposi, e che tuttavia non sia vedova. Infatti, come una vergine non è tale semplicemente perché non si è unita in matrimonio, ma è necessario che ella possegga anche molte altre virtù, come l'essere esente da colpa e mantenersi perseverante nel proprio stato; allo stesso modo, a rendere vedova una donna, non è soltanto la perdita del marito, ma anche la sua costanza, la sua continenza e la sua completa riservatezza.

Sono queste le vedove che l'Apostolo impone di onorare, e giustamente. Sono, infatti, le uniche a meritare un grande rispetto, dal momento che vivono sole, senza più un uomo capace di proteggerle.

Eppure questo comportamento nei loro confronti da molti è ritenuto assai riprovevole e di cattivo augurio! Ecco perché Paolo vuole che la vedova sia tenuta dal sacerdote in grande onore, ma non solo per questa ragione, quanto piuttosto perché ella si mostra di fatto degna di onore.

Ma se una vedova ha figli o nipoti, questi imparino prima a praticare la pietà verso quelli della propria famiglia e a rendere il contraccambio ai loro genitori (1Tm 5,4).

Osserva la saggezza di Paolo, in che modo cioè egli spesso rivolge la sua esortazione ricorrendo a dei ragionamenti umani. In questo caso, infatti, non ha detto nulla né di grande né di sublime, ma una cosa di facile comprensione: imparino prima a praticare la pietà verso quelli della propria famiglia. In che modo? Con l'educazione e con lo sviluppo. Ad esempio, (ad essi potresti dire): Molti hanno avuto cura di te; poi sono morti e non hai potuto rendere loro il contraccambio; tu non li hai né generati né educati: perciò paga il tuo debito tramite i tuoi nipoti, estingui ogni obbligazione per mezzo dei tuoi figli. L'Apostolo afferma: questi imparino prima a praticare la pietà verso quelli della propria famiglia. Mentre con queste espressioni egli cerca semplicemente di spronarli ad agire in modo retto, invece successivamente, per sollecitarli di più, aggiunge: poiché è gradito a Dio (1 Tim. 5, 4).

Inoltre, dal momento che egli già prima ha affermato: quelle che sono veramente vedove, ora invece dichiara apertamente chi è la vera vedova:

Quella poi veramente vedova e che sia rimasta sola, ha riposto la speranza in Dio e si consacra all'orazione e alla preghiera giorno e notte; al contrario quella che si dà ai piaceri, anche se vive, è già morta (1 Tim. 5, 5-6).

L'Apostolo, quindi, dice: È veramente vedova colei che, restando in tale stato, non ha più ripreso la vita del mondo; è colei che ha riposto la sua speranza in Dio, così come del resto bisogna fare; è colei che attende incessantemente alla preghiera ed è perseverante giorno e notte: questa è veramente vedova! Inoltre, Paolo la considera tale anche se ha dei figli. Anzi, elogia anche costei se saprà educare i suoi figli come bisogna. Comunque, egli si preoccupa particolarmente di colei che non ha figli, cioè di colei che è rimasta sola. Perciò, proprio perché non ha figli, egli le dà conforto e dice che è questa mancanza a rendere una donna veramente vedova: costei si è trovata privata non soltanto del sostegno del marito, ma anche dei figli. Ma ella possiede Dio e così sopperisce alla mancanza di tutti costoro. D'altronde, il non avere figli non costituisce per lei uno stato d'inferiorità, perché a colmare questo vuoto vi è il conforto divino. L'Apostolo, insomma, le si rivolge accoratamente e le dice: Non sopportare con amarezza la tua condizione, se ti capita di ascoltare: «Bisogna educare i figli», mentre tu non ne hai. Questa mancanza non deve farti ritenere inferiore in dignità: tu sei una vera vedova.

Gli smodati piaceri che il mondo offre recano con sé molti mali: spirituali e fisici

Al contrario, quella che si dà ai piaceri, anche se vive è già morta

1303 3. Vi sono molte donne che, pur avendo dei figli, scelgono la vedovanza, non per eliminare le occasioni di condurre una vita mondana, ma per attaccarsi maggiormente ad essa, per fare ogni cosa con maggior indipendenza, per darsi ancora di più ai piaceri del mondo. Ecco perché l'Apostolo dice: Al contrario, quella che si dà ai piaceri, anche se vive è già morta.

Cosa dici? Una vedova non deve darsi ai piaceri? No, dice Paolo. E tu ribatti: Se l'età giovanile e la debolezza della natura non solo non comportano necessariamente una vita sregolata, anzi procurano anche la morte, e la morte eterna, cosa dovrebbero allora dire quegli uomini che vivono nei piaceri? Paolo, quindi, ha detto con ragione: Al contrario, quella che si dà ai piaceri, anche se vive è già morta. Ma, affinché tu comprenda bene, esaminiamo ciò che essenzialmente distingue i vivi dai morti, e dove noi possiamo stabilire questa nota distintiva. Coloro che vivono, guardano con un occhio particolare alle cose della vita futura, cioè di quella che è veramente vita. Ora, per capire cosa realmente è la vita futura, per la quale conviene che noi ci impegniamo costantemente, ascolta ciò che dice Cristo: (Allora il re dirà a quelli che stanno alla sua destra): Venite, (benedetti del Padre mio), ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo. Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere 13.

Coloro che vivono, quindi, differiscono dai morti non solo perché vedono il sole e respirano l'aria. Non è questa, secondo noi, la differenza. Essi si distinguono sulla base del bene che compiono; infatti, se non s'impegnano a vivere così rettamente, in nulla sono migliori dei morti. Se poi vuoi veramente approfondire la questione, ascolta come è possibile che il morto possa vivere.

(PAGINA 229) L'evangelista dice: Ora, egli non è Dio dei morti, ma dei vivi 14. Ma tu dici: Questo è un enigma. Risolviamo allora il problema della distinzione tra vivo e morto. Quando una persona viva si dà ai piaceri, è morta. Perché? Perché vive soltanto per i piaceri del ventre 15 e non utilizza affatto gli altri sensi. Ad esempio, non vede ciò che bisogna vedere; non ode ciò che bisogna udire; non dice ciò che bisogna dire, né compie le azioni proprie di coloro che vivono. La condizione di costui è simile, anzi di gran lunga peggiore di quella di un uomo che sta disteso sul letto con gli occhi socchiusi. Una volta privato del senso della vista, egli non percepisce nessun'altra sensazione della realtà circostante. (La differenza?) Mentre l'uno non percepisce con i sensi né il bene né il male; l'altro invece è sensibile solo al male; per quanto poi riguarda il bene, è immobile e simile a colui che giace sul letto. Questa è la ragione per cui egli, (pur vivo), è morto. La vita futura non lo smuove affatto: l'ebbrezza del vivere lo afferra e lo scaglia in buie dimore e, come i morti, lo lascia sempre nell'oscurità, immettendolo in un cunicolo oscuro, tenebroso e pieno di ogni immondizia. Infatti, trascorrendo tutto il tempo tra banchetti e intemperanze, forse che egli non vive nell'oscurità? Forse che non è una persona morta? La stessa condizione si verifica nelle prime ore del mattino, quando si presume che egli sia digiuno. Di fatto però non lo è, o perché non ha ancora digerito il vino bevuto la sera precedente, o perché è tutto preso dal desiderio di altre coppe da tracannare; d'altronde, sia al mattino che a mezzogiorno sta sempre seduto a tavola, per poi trascorrere completamente assonnato e frastornato 16 l'intera notte e la maggior parte della mattinata. (Stando così le cose), dimmi, potremo annoverare costui tra i viventi? Chi mai potrebbe descrivere la grande tempesta che il piacere smoderato suscita, riversando i suoi flutti sia nell'anima che nel corpo?

Infatti, come la persistente densità delle nubi talora non consente ai raggi del sole di irradiare il loro splendore; così i vapori del piacere smodato e del vino, infrangendosi sul cervello come su di uno scoglio e avvolgendolo in una densa nube, non permettono alla ragione di svolgere debitamente il suo compito, giacché mantengono l'ubriaco in uno stato di grande oscurità. Riesci allora a immaginare quale tempestoso sconvolgimento interiore si agiti in colui che versa in tale condizione? Infatti, come quando avviene un'inondazione e l'acqua supera gli atri delle botteghe, noi vediamo quelli che si trovano all'interno in preda a una frenetica agitazione: impiegano secchi, anfore e spugne; ricorrono a ogni altro mezzo di prosciugazione, nel timore che l'acqua possa far crollare le fondamenta e rendere così inutili tutti gli sforzi; allo stesso modo anche l'anima, quando imbarca acqua da ogni parte a causa dei molti piaceri smodati, presenta tutte le sue capacità razionali interamente soggette a un grave sconvolgimento e, poiché queste non sono in grado di evacuare il materiale ammassato, che anzi continua incessantemente ad accumularsi, ecco che in essa scoppia una tempesta spirituale di immani proporzioni.

Non ti fermare a guardare un volto che esternamente è lieto e gioioso; scruta piuttosto la situazione che si presenta al suo interno: lo vedrai in preda a una grande angoscia. Se poi fosse possibile vedere con gli occhi del corpo l'anima ormai posta allo scoperto, vedresti che l'anima di chi trascorre la vita nei piaceri è abbattuta, mesta, triste e destituita di ogni forza. Infatti, quanto più il corpo s'ingrassa e si dilata, tanto più l'anima perde vigore e sempre più s'indebolisce; quanto più il corpo viene fatto oggetto di eccessive cure, tanto più l'anima si scava la sua fossa. E come nella pupilla degli occhi spesso viene a formarsi una vera e propria cortina di oscurità, quando dall'esterno s'indossano delle tunichette dai colori così densi da impedire alla forza visiva di guardare e di penetrare fino in fondo l'oggetto, dal momento che il raggio è respinto dalla densità (dello splendore emesso); così, quando il corpo viene frequentemente rimpinguato, finisce per essere abbondantemente circondato dalla sua stessa massa corporea.

Ora tu osserverai: Ma i morti si decompongono e imputridiscono, e da essi scorre sangue putrefatto. Ebbene, tu potrai vedere lo stesso fenomeno anche in colui che si dà ai piaceri: egli emette flussi d'umori, di catarro, di liquido vischioso, di muffa, singhiozzi, vomito, eruttazioni..., e tralascio tante altre cose ancor più disgustose. Insomma, la tirannia dei piaceri smodati è certamente così potente, da costringere a sopportare ciò che non osiamo dire.

13044. E tu mi chiederai ancora: In che modo il corpo sidissolve completamente, se mangia e beve? Ma queste azioni non costituiscono affatto la nota distintiva dell'anima umana, dal momento che anche gli animali bruti mangiano e bevono. Del resto, quando l'anima si trova in uno stato mortale, quale reale utilità si può trarre da un cibo e da una bevanda? Pertanto, come per ricoprire un corpo che ormai giace cadavere, a nulla serve una splendida veste; così, quando un'anima è morta, a nulla le giova essere rivestita di un florido corpo. Questa, infatti, come non può considerarsi morta, se parla sempre di cuochi, di imbanditori, di mense, di pasticcieri e non pronuncia mai una parola concernente la pietà?

Che cosa è l'uomo? Filosofia pagana e dottrina cristiana a confronto

Esaminiamo allora che cosa è l'uomo. I filosofi pagani lo definiscono un animale razionale, mortale, dotato di ragione e d'intelligenza; noi invece non mutuiamo da essi la nostra definizione. Ma da dove? Dalla divina Scrittura. E dove la divina Scrittura ha definito l'uomo? Ascolta ciò che essa dice: (Giobbe) era un uomo integro e retto, temeva Dio ed era alieno dal male 17. Questo è l'uomo! E ancora dice: Cosa grande è l'uomo, è prezioso l'uomo misericordioso 18. Perciò, coloro che non sono tali, anche se dotati di ragione e di cultura, la Scrittura non suole chiamarli uomini, ma cani, cavalli, vipere, serpenti, volpi, lupi e qualsiasi altra cosa che vi è di più vile nelle bestie.

Dunque, se l'uomo è questo, colui che trascorre nei piaceri la sua vita non è degno di tale nome. Infatti, come potrà essere uomo colui che non si preoccupa di avere tutte le qualità che costituiscono l'essenza dell'uomo, dal momento che la ricerca sfrenata del piacere e il senso della sobrietà escludono ogni possibilità di coesistenza, anzi l'una distrugge l'altra? Anche i pagani sono d'accordo su ciò, quando affermano:

Un ventre pingue non genera uno spirito delicato

Si sa anche che la Scrittura suole chiamare uomini senz'anima (quelli che si danno ai piaceri). Il Signore infatti dice: Il mio spirito non resterà sempre nell'uomo, perché egli è carne 20. Eppure egli aveva un'anima; ma poiché essa era morta, Dio lo chiama carne. Infatti, come di una persona virtuosa, nonostante abbia un corpo, noi diciamo: Essa è tutta anima, tutto spirito; così diciamo esattamente il contrario di chi non è tale. Anche Paolo era solito dire la stessa cosa: Voi però non siete sotto il dominio della carne 21, semplicemente perché le loro opere non erano carnali. Allo stesso modo, coloro che vivono e si dedicano ai piaceri sono preda a un sonno profondo durante la maggior parte della mattinata, è piuttosto uno che, continuando a mangiare e a tracannare vino, è nella condizione tipica di chi è profondamente frastornato, di chi non è padrone delle sue facoltà sia per la sbornia per nulla digerita e sia per il sonno mai sufficientemente recuperato.

L'Apostolo dice: Al contrario, quella che si dà ai piaceri, anche se vive è già morta. Ascoltate bene voi donne, che trascorrete la vostra vita tra banchetti ed ebbrezze; voi che disprezzate i poveri che per la fame si infiacchiscono e muoiono: voi uccidete continuamente il vostro spirito tra le voglie dei piaceri.

Voi, infatti, procurate una duplice morte, sia a quelli che sono già tribolati, che anche a voi stesse, perché entrambe le morti procedono dalla vostra incapacità di darvi una misura. Al contrario, se voi parteciperete il vostro superfluo a coloro che vivono nell'indigenza, conserverete due vite. Perché fai a pezzi il tuo intestino a furia di mangiare? Perché fai contrarre quello dell'indigente per la mancanza di cibo? Mentre riempi la tua pancia a dismisura, riduci al minimo quella dell'altro. Pensa allora che cosa sono i cibi, in che cosa si mutano e che cosa diventano. Forse che ascoltando queste cose mostri una sorta d'indignazione? E allora perché ti preoccupi di ricercare quanto più ti è possibile i piaceri della gola? Il loro accumulo non è nient'altro che accumulo di sterco. La natura ha una sua misura, e ciò che sovrabbonda non può certo considerarsi alimento, è piuttosto un danno, è abbondanza di sterco.

Devi nutrire il corpo, non ucciderlo. Del resto il cibo si chiama così, non perché con esso perdiamo il corpo, ma perché possiamo nutrirlo. Personalmente ritengo che lo scopo precipuo della nutrizione è questo: impedirci di essere amanti dei ricercati piaceri della tavola. Se le cose invece stessero diversamente, se i piaceri del mangiare non fossero inutili, se non nuocessero al corpo, noi non smetteremmo mai di distruggerci l'un l'altro. Infatti, ammesso che lo stomaco potesse contenere tutto il cibo che noi desideriamo immettervi e lo distribuisse all'organismo, a quante guerre e battaglie si potrebbe assistere.

(Riflettiamo): Pur sapendo che alcuni alimenti si tramutano in sterco, e che altri invece si risolvono in sangue, in liquido vischioso, inutile e adulterino, tuttavia continuiamo a concederci ai piaceri della gola, e spesso unicamente per la tavola abbiamo dilapidato tutte le nostre ricchezze. Ebbene, cos'altro non saremmo capaci di fare, se il risultato di tali piaceri non fosse quello (a cui abbiamo testé accennato)? Quanto più ci ingozziamo, tanto più saremo maleodoranti: il nostro corpo sarà come un otre da cui fluiscono liquidi da ogni parte. C'è chi erutta in modo da dar fastidio al cervello del vicino 23. Il corpo da ogni sua parte sprigiona oscuri vapori, come una fornace che dal suo interno emana un putrido calore.

Ora, se i commensali che si trovano all'esterno provano un così intollerabile fastidio, riesci a immaginare quale mai sarà, all'interno, la sofferenza del cervello (del responsabile), continuamente investito da così nauseabondi vapori? Cosa dire dell'impedimento della perfetta circolazione del flusso sanguigno, che ormai ribolle e fermenta nelle arterie? Cosa di quegli organi che all'interno del corpo fungono da raccoglitori: il fegato e la milza? Cosa della stessa canalizzazione delle feci? Ma la cosa più grave è costituita dal fatto che noi ci preoccupiamo di canalizzarle bene, affinché non si ostruiscano, col rischio di rimandare le feci verso la parte superiore. In questa operazione, poi, non trascuriamo proprio nulla: adoperiamo delle pertiche per spingerle in avanti e le traiamo fuori con delle vanghe. Al contrario, non ci curiamo di purificare il nostro ventre e di ben canalizzarlo, anzi ne ostruiamo e ne restringiamo i condotti, del tutto incuranti che le feci salgano nella parte superiore, dove è assiso il re, cioè dove risiede il cervello. Sicché noi compiamo tutte le nostre azioni come se non avessimo un re degno di rispetto, ma un cane immondo. Dio, dunque, ha posto la parte inferiore del corpo ben distante dal cervello, proprio per evitare che potesse danneggiarlo. Ma noi non la smettiamo, anzi con l'uso smoderato corrompiamo tutto.

Uno cosa dovrebbe dirti degli altri mali (che provengono da questi)? Ostruisci i condotti delle fogne e vedrai come ben presto attecchisce la peste. Ebbene, se il fetore che invade dall'esterno genera la peste, quello che invece proviene dall'interno non procurerà forse infinite malattie all'anima e al corpo, dal momento che esso è ostruito da ogni parte, vuoi perché il corpo è ristretto, vuoi perché gli manca un'adeguata valvola di sfogo?

In tutta questa situazione, comunque, la cosa più grave è che molti si mostrano indignati nei riguardi di Dio. Che significa? Significa che essi, affermando che Dio ha stabilito per legge che noi portassimo le feci (nel nostro interno), non fanno altro che aumentarle. Ma Dio, al contrario, ha sancito questa legge perché ci astenessimo dai piaceri smodati della gola e per persuaderci a non essere troppo attaccati alle cose del mondo. Tu invece non vuoi smettere di tenerti lontano da questi piaceri; perserveri in essi a furia d'ingozzarti, (pur sapendo) che non vanno oltre la gola, che durano il tempo di un pasto, anzi neppure così a lungo! Del resto, forse che l'intero piacere del gusto non si estingue subito, non appena il cibo è andato oltre la lingua e la gola? La sensazione di piacere, infatti, si prova nel gusto e basta; il resto è soltanto una grande molestia, o perché lo stomaco non svolge bene il suo compito, oppure lo compie con grande difficoltà. Perciò a ragione Paolo ha detto: Quella che si dà ai piaceri, anche se vive, è già morta. Infatti, l'anima che si dedica ai piaceri non è in grado né di udire né di parlare; diventa debole, ignobile, vile, non libera, timida, insolente, preda dell'adulazione, dell'ignoranza, dell'in-dignazione e dell'irascibilità, colma di ogni genere di male e priva di ogni bene. Perciò l'Apostolo aggiunge:




Crisostomo - PRIMA TIMOTEO 1204