Crisostomo - PRIMA TIMOTEO 1400

1400

SE POI QUALCUNO NON SI PRENDE CURA DEI SUOI CARI, SOPRATTUTTO DI QUELLI DELLA SUA FAMIGLIA, COSTUI HA RINNEGATO LA FEDE ED È PEGGIORE DI UN INFEDELE

(1Tm 5,8)

Prima Timoteo 5,8

Bisogna testimoniare la propria fede e non semplicemente dichiararla

1401 1. Molti ritengono che la propria virtù sia sufficienteper salvarsi e sono convinti che per ottenere questa salvezza ad essi non manchi proprio nulla, giacché mantengono una retta condotta di vita. In verità, sbagliano. A dimostrare che il loro è un errore è l'uomo (della parabola evangelica) che sotterrò l'unico talento ricevuto 1. (Quando fu il momento), egli non restituì meno di un talento, ma lo consegnò tutto intero così come gli era stato dato in deposito. Ma anche il beato Paolo mostra l'errore da essi commesso, quando dice: Se poi qualcuno non si prende cura dei suoi cari. Egli qui chiama cura tutto ciò che riguarda sia l'anima che il corpo, giacché questo è il significato proprio del termine cura .

Egli dice: Se poi qualcuno non si prende cura dei suoi cari, soprattutto di quelli della sua famiglia, cioè di quanti per ragione di sangue gli sono parenti, costui ha rinnegato la fede ed è peggiore di un infedele. Ciò è affermato anche dal corifeo dei profeti, Isaia: Non distogliere gli occhi dalla gente della tua casa 2. Infatti, se uno disprezza i suoi parenti per nascita e i suoi congiunti più stretti, come potrà essere benevolo verso gli altri? Non è mera ostentazione di vanagloria il comportamento di chi, disprezzando i suoi e mostrandosi impietoso nei loro riguardi, fa invece del bene a degli estranei? Che dire poi se, mentre è intento a istruire gli altri, di fatto disprezza quelli che si trovano nell'errore, sebbene sia più facile e più giusto vigilare con premura sui familiari? La risposta è di per sé chiara, giacché coloro che disprezzano i propri, spesso li senti dire: I cristiani non sono forse delle persone capaci di amare affettuosamente?

L'Apostolo aggiunge: egli è peggiore di un infedele. Perché? Perché un infedele, anche se disprezza gli altri, non lo fa però con i suoi familiari. Paolo, quindi, vuole esprimere questo concetto: chi trascura i propri familiari viola sia la legge naturale che quella divina. Ora, se colui che non si prende cura di quelli della sua famiglia ha rinnegato la sua fede; se, offendendoli ingiustamente, è peggiore di un infedele, in quale ordine di considerazione dovrà essere tenuto? Dove lo si collocherà?

Ma perché egli è un rinnegatore della propria fede? L'Apostolo afferma: Dichiarano di conoscere Dio, ma lo rinnegano con i fatti 3. Dunque, il Dio in cui crediamo che cosa ha ordinato? Ha prescritto di non disprezzare quelli della propria famiglia. Tu osserverai: Ma, colui che nega Dio, come può essere un uomo di fede? Noi tutti che, preoccupati di essere buoni risparmiatori, disprezziamo quelli della nostra famiglia, dobbiamo fare tale riflessione: Dio ha escogitato il vincolo della parentela, affinché a noi si offrissero più numerose occasioni di compiere reciproche buone azioni. Pertanto, quando tu compi ciò che invece un infedele non fa, non finisci per negare la tua fede? La fede non consiste nel solo dichiarare e ammettere di credere, ma anche nel testimoniarla, compiendo azioni degne di essa. Riguardo ogni cosa, del resto, è possibile credere e non credere. Infatti l'Apostolo, dopo aver parlato dei piaceri smodati e della sensualità, conclude affermando che ci si perde non soltanto perché ci si dà a tali piaceri, ma anche perché si è costretti a disprezzare quelli della propria famiglia. Ed è giusto ciò che Paolo dice, giacché la donna che conduce una vita sregolata, non solo si perde per questo motivo, ma mostra anche di aver rinnegato la sua fede.

E tu ancora: In che modo egli è peggiore di un infedele? Lo è perché non è la stessa cosa disprezzare quelli della propria famiglia e gli estranei, in quanto costituisce una colpa più grave disprezzare una persona conosciuta piuttosto che una sconosciuta, un amico piuttosto che un nemico.

La vera vedova

Una vedova sia iscritta nel catalogo delle vedove quando abbia non meno di sessant'anni, sia andata sposa una sola volta, abbia la testimonianza di opere buone (1 Tim. 5, 9-10).

Precedentemente Paolo ha detto: Imparino prima a praticare la pietà verso quelli della propria famiglia e a rendere il contraccambio ai loro genitori; e ancora: se qualcuno... non si prende cura... soprattutto di quelli della sua famiglia... è peggiore di un infedele. Ha detto queste cose, perché se la vedova non possiede tali qualità, è indegna di restare iscritta nel catalogo delle vedove; insomma, l'Apostolo qui dichiara apertamente le virtù che lei deve possedere. Cosa dice, dunque? Dobbiamo giudicarla sulla base del numero degli anni? In cosa consiste questa virtù? Il possesso di quest'ultima non implica certamente nessun rapporto di dipendenza con i sessant'anni già compiùti dalla vedova né costei è virtuosa per aver raggiunto tale età. L'Apostolo precisa: una condotta di vita virtuosa non dipende soltanto dall'età; prova ne è il fatto che una vedova non deve essere scelta, nel caso in cui, pur avendo oltrepassato questi anni, non ha compiùto opere buone. Quando poi Paolo prescrive con esattezza l'età necessaria (per l'iscrizione nel catalogo), ne dà anche la ragione, dicendo di averla tratta non da sé, ma dalle vedove stesse. Intanto ascoltiamo ciò che successivamente afferma: abbia la testimonianza di opere buone.

Quali sono queste opere? Dice: Abbia cioè allevato figli. E si sa che allevare i figli non è affatto un compito di poca importanza, giacché allevarli bene non significa soltanto nutrirli, ma anche educarli come si conviene, come appunto già precedentemente ha avuto modo di dire, dichiarando: ...a condizione di perseverare nella fede, nella carità e nella santificazione (1 Tim. 2, 15). Vedi, allora, come l'Apostolo tiene a ribadire che la pratica della pietà verso quelli della propria famiglia deve essere anteposta a quella verso gli estranei? Infatti, in un primo momento ha detto: se ella ha allevato i figli; poi: se ha praticato l'ospitalità, lavato i piedi ai santi, se sia venuta in soccorso agli afflitti, se abbia esercitato ogni opera di bene (1Tm 5,10). E tu osservi: Cosa fare se invece questa vedova è povera? Ebbene, (ti rispondo), neppure in questo caso ella deve astenersi dall'educare i suoi figli, dall'esercitare l'ospitalità e dal risollevare gli afflitti dalle loro angosce. Comunque, (tu ribatti): Costei non è più povera di quella donna che donò i soli due oboli 5 in suo possesso, giacché, anche se è povera, tuttavia possiede una casa e non rimane all'aperto. Inoltre, l'Apostolo dice: se ha lavato i piedi ai santi. A questo tu rispondi che tale opera non comporta nessuna spesa. E ancora: (Sia iscritta nel catalogo) se è venuta in soccorso agli afflitti e abbia esercitato ogni opera di bene.

1402 2. Dio mio, quanta diligenza Paolo richiede da una vedova! Così grande quasi quanto quella che esige da un vescovo! Infatti, l'espressione: se abbia esercitato ogni opera di bene, significa questo: anche se ella personalmente non ha potuto compiere quest'azione, tuttavia ha dato il suo contributo e si è resa servizievole 6. Una volta che ella ha rinunciato ai piaceri, l'Apostolo vuole che sia previdente, attaccata alla sua casa e sempre dedita alla preghiera. Tale infatti era Anna 7. Vedi quanta diligenza richiede da una vedova, maggiore di quella delle stesse vergini, sebbene anche a queste egli imponga una grande diligenza e una somma virtù.

Infatti, l'Apostolo sembra quasi pienamente esprimere l'intera essenza della virtù, quando (scrivendo ai Corinti) dice: (Questo poi lo dico per il vostro bene, non per gettarvi un laccio) ma per indirizzarvi a ciò che è degno e vi tiene uniti al Signore senza distrazioni 8. Come ben ti rendi conto, alla vedova non è sufficiente non contrarre un secondo matrimonio, ma ella deve possedere molte altre qualità. Tu mi dirai: Perché allora l'Apostolo la esorta a non risposarsi? Forse perché disapprova le seconde nozze? No, ti rispondo; ciò che dici è un'eresia. Paolo, invece, vuole che lei, dopo la morte del marito, si dedichi interamente alle cose che riguardano lo spirito, si consacri alla virtù. Il matrimonio non è una cosa impura, ma porta con sé mille preoccupazioni.

Ecco perché l'Apostolo dice: affinché si dedichino (alla preghiera), e non: affinché si purifichino. Lo stato matrimoniale, in realtà, impegna veramente moltissimo. Sicché, se non ti risposi per essere più timorata di Dio, e intanto non lo sei, il prodigarti per gli estranei e per i santi non ti giova proprio a nulla e la tua astensione dal matrimonio suonerà quasi come una sua condanna.

La stessa cosa si verifica per una vergine: se non ha veramente abbracciato la sua croce, sembrerà aver rifiutato il matrimonio come atto impuro e abominevole. L'ospitalità di cui parla l'Apostolo, come vedi, non consiste in una semplice benvolenza, ma è piuttosto un sentimento carico di premura, di affetto gioioso e insieme di buona disposizione d'animo: è la stessa ospitalità che riserveremmo a Cristo! Ecco perché Paolo non vuole che le vedove affidino questo servizio alle proprie domestiche, ma chiede che siano esse stesse a prestarlo, sull'esempio di Gesù, che ha detto: Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri 9. Ebbene, (o vedova), per quanto grandi siano le tue ricchezze, la dignità e la nobiltà del tuo rango, tuttavia la distanza (che ti separa dagli altri uomini) non è poi così grande come quella che intercorreva tra Dio e i suoi discepoli! Perciò, se accogli un fratello come se accogliessi Cristo, non vergognarti; al contrario, ciò costituisca per te un motivo di gloria; se invece non lo accogli come Cristo, è bene che tu non l'accolga affatto: Gesù ha detto : Chi accoglie voi, accoglie me 10. Dunque, se tu non li accogli, non riceverai la ricompensa. Abramo diede ospitalità a degli uomini, almeno tali riteneva che fossero 11, che si trovavano di passaggio; e non affidò a quelli della sua casa tutto ciò che c'era da fare per ben accoglierli, ma volle riservare a sé la parte più importante del servizio, ordinando alla moglie d'impastare la farina, sebbene avesse trecentodiciotto schiavi 12 nati nella sua casa, tra i quali è verosimile che vi fossero delle schiave. Infatti, egli desiderava personalmente ricevere insieme alla moglie la ricompensa non solo di quanto aveva speso (per le vivande), ma anche per il servizio prestato. Questa, dunque, è l'autentica ospitalità: compiere di persona tutto ciò che occorre fare, se vogliamo santificarci e far sì che le nostre mani siano benedette.

Pertanto, anche se doni ai poveri, non vergognarti di farlo di persona: tu non stai dando a un povero qualsiasi, ma a Cristo. Ora, chi è così miserevole che non si degni egli stesso di tendere la mano a Cristo? Dunque, la perfetta ospitalità è quella che si esercita in nome di Dio. Infatti, anche se tu disponi di accogliere gli ospiti fastosamente e comandi di riservare ad essi i posti d'onore, questa non è ospitalità, perché non è fatta in nome di Dio. L'ospite richiede mille attenzioni, ha bisogno di essere messo a suo agio: soltanto così, e forse a stento, egli potrà non arrossire. Del resto, è naturale che chi riceve un buon trattamento, provi un certo senso di vergogna, per cui bisogna togliere tale imbarazzo, eliminando l'eccessiva disponibilità; occorre mostrare con le parole e con i fatti che chi accorda un beneficio, più che darlo lo riceve. Comportandosi in questo modo, ciò che si fa diventa più gradito, in quanto procede da una gioiosa disposizione interiore. Infatti, come colui che crede di subire un danno finisce per perdere tutto, anche chi ritiene di fare un'opera buona rischia di perdere tutto quando, chi ha ricevuto il beneficio, ritiene di aver avuto (più di quanto s'aspettava).

Dio - dice l'Apostolo - ama chi dona con gioia 13. Perciò, sei tu a ringraziare l'ospite per l'accoglienza che gli hai riservato. Infatti, se non vi fossero i poveri, difficilmente tu potresti sopportare il fardello dei tuoi peccati: essi sono i medici che curano le tue ferite; essi sono i rimedi medicamentosi per le tue mani. D'altronde il medico, porgendoti la sua mano e somministrandoti il medicinale occorrente, non esercita la sua arte come il povero che, tendendoti la mano e ricevendo il tuo obolo, guarisce la tua malattia. Tu gli hai dato del denaro, e i tuoi peccati ti sono stati rimessi.

La stessa cosa vale anche per i sacerdoti. Il Signore dice: Essi si nutrono del peccato del mio popolo 14. Sicché, tu ricevi più di quanto dai; ricevi un beneficio maggiore di quello che offri: tu presti a Dio e non agli uomini; tu incrementi le tue ricchezze, non le diminuisci: le diminuirai, infatti, se non vorrai assottigliarle, se non le distribuirai agli altri.

L'Apostolo ha affermato: (Se la vedova) ha praticato l'ospitalità, lavato i piedi ai santi (1 Tim. 5, 10). Ma chi sono costoro per Paolo? Non sono semplicemente i santi (nel senso stretto del termine), bensì coloro che versano in gravi difficoltà, giacché non vi è nulla di più facile che i santi già godano di una grande considerazione da parte di tutti. Non ricercare, dunque, coloro che vivono nell'abbondanza, ma quelli che soffrono e che sono misconosciuti da tutti. (Gesù ha detto): In verità vi dico: ogni volta che non avete fatto queste cose a uno di questi miei fratelli più piccoli, non l'avete fatto a me 15.

Il cristiano doni di persona: così impongono la carità e l'amore di Dio

1403 3. Non dare a quelli che reggono le Chiese la tuaelemosina affinché siano essi a distribuirla; fallo tu stesso, non solo per ricevere la ricompensa di quanto hai speso, ma anche per il servizio prestato. Elargisci con le tue stesse mani; semina tu stesso nel solco. In questo caso non c'è bisogno né di adoperare l'aratro, né di aggiogare i buoi, né di attendere il tempo propizio per la semina, né di solcare il terreno, né di combattere contro i rigori del freddo: la semente che qui devi gettare non comporta siffatte preoccupazioni. Tu, infatti, stai seminando nel cielo, dove non c'è né il freddo, né l'inverno, e nessun'altra cosa del genere. Tu stai gettando la semente nelle anime, dove nessuno può portare via ciò che viene seminato; al contrario la semente attecchisce molto saldamente in virtù della grande cura e diligenza. Ora, se sei tu a seminare, perché vuoi privarti della ricompensa? Si può ricevere una grande ricompensa anche nel dispensare i beni altrui, giacché si è premiati non soltanto se si dà, ma anche se si distribuisce in maniera equa.

Perché non vuoi essere ricompensato? Infatti, (perché tu ti convinca che) si tratta di ricevere una vera e propria ricompensa, ascolta ciò che dice l'evangelista, quando riferisce che gli apostoli preposero Stefano alla cura delle vedove 16. Se tu elargisci i tuoi beni, è la stessa bontà, è lo stesso timor di Dio a ordinartelo. Questo tuo donare è anche privo di vanagloria, in quanto dà vigore alle anime, santifica le mani, scaccia l'orgoglio, insegna la retta condotta di vita, ti rende più zelante e attira su di te ogni benedizione: di ritorno sulla tua testa scenderanno tutte le benedizioni delle vedove. Sii più diligente nelle tue preghiere, ricerca gli uomini santi, quelli che sono veramente santi, quelli che trascorrono nella solitudine la propria esistenza, quelli che non possono mendicare, quelli che hanno sempre la mente rivolta a Dio. Intraprendi un lungo viaggio e dona agli altri per te stesso: se darai molto, trarrai un grande vantaggio. Vedi una tenda, un'osteria, un deserto, un luogo appartato? Ebbene spesso, partito per donare i tuoi beni, ti sei trattenuto, hai dato l'intera tua anima, sei divenuto prigioniero insieme a un altro e ti sei alienato dal mondo.

Dunque, anche visitare i poveri è un'opera altamente meritevole. La Scrittura dice: È meglio andare in una casa in pianto che andare in una casa in festa 18. Ora, è in questa casa in festa che il cuore si gonfia: se tu hai la possibilità di vivere tra i piaceri, ne trai un ulteriore incitamento; viceversa, sei preso dallo scoraggiamento. Al contrario, nella casa in pianto non si prova nulla del genere: se le ricchezze mancano, tu non ne soffri; se invece vi sono, sei costretto a reprimerti nel desiderarle (a causa del lutto).

Il «monastero»: luogo di preghiera, di meditazione e di cantici spirituali. Una particolare scelta di vita per una diversa dimensione dell'esistenza: la giornata di un monaco e quella di un uomo secolare a confronto

E i monasteri, in verità, sono case di lutto: il cilicio e la cenere, la solitudine, l'assoluta mancanza di riso e di confusione mondana, il digiuno e il riposo sulla dura terra 19. Sono luoghi in cui tutto è puro: non si sente nessun odore di vittime sacrificate sugli altari e non vi è spargimento di sangue; si è lontani dai tumulti e dalle agitazioni delle folle. Il monastero è un porto tranquillo; vi sono fari che brillano dall'alto per rischiarare da lontano coloro che vi si dirigono. (I monaci) che risiedono in questo porto, invitano tutti a prendere parte della loro tranquillità; non permettono che coloro che si rivolgono ad essi subiscano un naufragio, né consentono a questi di restare nelle tenebre. Recati da loro, avvicinali con confidenza, accostati ad essi e bacia i sacri piedi, giacché è ben più onorevole toccare i piedi di costoro che non le teste degli altri (che vivono nei piaceri).

Dimmi: se alcuni toccano i piedi delle statue perché esse raffigurano delle persone regali, tu invece per la tua salvezza non oserai toccare i piedi di colui che ha Cristo in sé? I piedi di questi uomini sono santi, anche se umili; mentre dei non credenti non bisogna onorare neppure il capo. I piedi dei santi hanno un grande potere; perciò essi puniscono anche quando scuotono la polvere dai loro sandali. Anche presso di noi ci sono dei santi, non vergogniamoci di onorarli. In verità, sono santi tutti coloro che conservano integra la fede e sana la loro vita: anche se essi non operano segni taumaturgici, anche se non scacciano i demoni, sono ugualmente santi. Recati, perciò, nelle dimore dei santi: rifugiarsi nel monastero di un uomo santo è come elevarsi dalla terra al cielo. Tra loro troverai un tenore di vita completamente diverso da quello di casa tua: il loro è un coro del tutto puro; là regna il silenzio e la quiete; là non si suole dire: Questo è mio, questo è tuo. Se resterai in questo luogo anche solo uno o due giorni, sentirai verso di esso un'attrattiva maggiore.

Arriva il giorno, anzi, il gallo ha già cantato prima del suo sorgere. In questo luogo le cose si svolgono diversamente da casa tua, dove quelli che vi dimorano russano, dove le porte sono chiuse e tutti dormono simili a persone morte; il mulattiere scuote i campanelli. Nel monastero non vi è nulla di simile; ma, non appena tutti, abbandonando il sonno con pietà 21, ed esortati dal loro superiore, si alzano dal letto, stando in piedi formano il sacro coro. Subito distendono le mani e cantano inni

sacri. Infatti, a differenza di noi, essi non hanno bisogno di molte ore per scacciare il sonno e il torpore. Noi, invece, non appena ci alziamo dal letto, ci sediamo e stiracchiamo le membra; ci muoviamo per compiere le solite azioni: ci laviamo la faccia e le mani, poi ci mettiamo i calzari e indossiamo la veste, e intanto è già trascorso molto tempo.


1404 4. Nel monastero non vi è nulla di simile: nessunochiama il servo, ciascuno basta a se stesso; non c'è bisogno di avere molti abiti, né di un altro che energicamente ti svegli dal sonno; ma subito, non appena il monaco apre gli occhi, a motivo della suddetta sobrietà, non differisce affatto da colui che ha lungamente vegliato. Infatti, non avendo egli il cuore depresso perché appesantito dal cibo, non ha bisogno di molto tempo per alzarsi, anzi è già pronto. Le mani sono sempre pure, perché il suo sonno è ben regolato. Nessuno li sente russare o respirare affannosamente; non si vede mai alcuno agitarsi durante il sonno. Sono sempre decentemente coperti, anzi, dormono vestiti in modo più composto di quelli che sono svegli. Tutto questo comportamento nasce dal senso di disciplina a cui assoggettano il proprio animo. Essi sono veramente dei santi e, tra gli uomini, veri angeli.

Quando ascolti queste cose, non meravigliarti: il grande timor di Dio impedisce loro di immergersi in un sonno profondo ma, restando per così dire in superficie, concede ad essi soltanto di prendere un po' di riposo (per recuperare le energie). Se tale è il sonno, tali è necessario che siano i sogni e le fantasie oniriche che, infatti, sono del tutto conformi alla loro condotta di vita. In verità, come ho già detto, il gallo ha appena cantato, quando tutti si alzano dal letto, non appena giunge il superiore e tocca il loro piede; ad essi, ripeto, non è lecito dormire nudi. Dopo essersi alzati, stando in piedi, cantano inni profetici con uno straordinario armonico concerto. Questi canti sono utili, opportuni e traboccanti di amore verso Dio. La Scrittura dice: Durante le notti, alzate le vostre mani al Signore 22; Di notte anela a te l'anima mia, o Dio, perché luce sono sulla terra i tuoi precetti 23.

Anche i cantici di Davide fanno sgorgare molte sorgenti di lacrime, quando cantando dice: Sono stremato dai lunghi lamenti, ogni notte inondo di pianto il mio giaciglio, irroro di lacrime il mio letto 24; Di cenere mi nutro come di pane 25; Che cosa è l'uomo perché te ne ricordi? 26 L'uomo è divenuto simile al niente, i suoi giorni sono come ombra che passa27; Se vedi un uomo arricchirsi non temere, se aumenta la gloria della sua casa 28; Ai derelitti Dio fa abitare una casa 29; Sette volte al giorno io ti lodo per le sentenze della tua giustizia 30; Nel cuore della notte mi alzo a renderti lode per i tuoi giusti decreti 31; Ma Dio potrà riscattarmi, mi strapperà dalla mano della morte 32; Se dovessi camminare in una valle oscura, non temerei alcun male perché tu sei con me 33; Non temerò i terrori della notte né la freccia che vola di giorno, la peste che vaga nelle tenebre, lo sterminio che devasta a mezzogiorno 34; e infine: Siamo stimati come pecore da macello 35. Così Davide dichiara il suo ardente amore per Dio. E mentre, sul suo esempio, i monaci cantano insieme agli angeli (infatti la voce degli angeli si unisce alla loro armonia), dicendo: Lodate il Signore dai cieli 36; noi invece sbadigliamo, ci grattiamo, russiamo, stiamo distesi a letto, escogitando chissà quali innumerevoli inganni. Pensa, quindi, quanto è importante che essi trascorrano l'intera notte lodando Dio!

Poco prima dell'alba, finalmente si riposano; mentre noi ci mettiamo al lavoro, i monaci si concedono un momento di riposo. Inoltre, non appena si è fatto giorno, mentre ciascuno di noi chiama un altro, si preoccupa della spesa da fare, si reca in piazza, va dal magistrato, trepida e teme di essere punito; c'è chi si reca nel teatro e chi inizia a svolgere la sua attività; invece i monaci, concluse le preghiere mattutine e cantati gli inni, si danno alla lettura delle Scritture: vi sono infatti anche di quelli che hanno appreso l'arte di scrivere libri.

Possedendo ciascuno di essi una cella personale, vive sempre tranquillamente, senza che nessuno lo disturbi per sciocchezze o gli parli. Poi recitano le preghiere dell'ora Terza, della Sesta, della Nona e del Vespro, dividendo così l'intera giornata in quattro parti, in ciascuna delle quali essi onorano Dio, salmodiando e inneggiando. Mentre tutti gli altri uomini pranzano, ridono, scherzano e mangiano a crepapelle; i monaci invece sono impegnati a elevare inni di lode a Dio. Pochissimo è il tempo che riservano al cibo e al disbrigo delle faccende personali relative al corpo. Dopo pranzo, concessosi un po' di sonno, riprendono le medesime attività. Mentre gli uomini del mondo dormono anche durante il giorno, essi invece vegliano anche di notte. I monaci sono veramente figli della luce! Inoltre, mentre quelli dopo aver consumato dormendo la gran parte del giorno, escono storditi; essi invece sono ancora digiuni, resistendo a non prendere cibo fino a sera, impegnati, come ho detto, a elevare inni di lode.

Quando poi giunge la sera, mentre tutti gli altri, dopo essersi lavati, vanno a letto; i monaci invece, riposandosi dalle fatiche, si siedono a mensa, senza impegnare una folla di domestici, senza mettersi a camminare su e giù per la casa, senza creare scompiglio, senza porre sulla mensa molti cibi prelibati e dal fragrante odore: alcuni si accontentano solo di un po' di pane con del sale; altri vi aggiungono anche un po' di olio; quelli che invece sono infermi ricevono delle erbe e dei legumi. Poi, dopo essere stati seduti per poco tempo, essi chiudono l'intera giornata cantando inni; ciascuno va a porsi su di un letto preparato solo per il riposo e non per i piaceri della carne.

Nel monastero non vi sono né capi da temere, né padroni arroganti, né paura da parte dei servi; manca l'agitazione delle donne, lo scompiglio creato dai bambini e il gran numero dei portagioielli (da custodire); non vi sono abiti superflui da deporre, non c'è né oro e né argento. Non vi sono né guardie, né vedette; né dispense, né alcunché di simile, ma tutto è pieno di preghiere, di inni e di fragranza spirituale: non vi è posto per le cose della carne!

I monaci non temono irruzioni di ladri, dal momento che non posseggono nulla che possa correre il pericolo semplicemente preceduti nel segno della fede? La morte, di essere portato via: non vi sono ricchezze, ma solamente i loro corpi e le loro anime che, se sottratte, non costituiscono per essi una perdita, bensì un guadagno. L'Apostolo del resto dice: Per me infatti il vivere è Cristo e il morire un guadagno. Si sono liberati da ogni catena; veramente allora si può riferire ad essi il versetto davidico: Grida di giubilo e di vittoria nelle tende dei giusti!

1405 5. Nel monastero non si odono mai né lamenti, négemiti; è un tetto privo di tali molestie e di simili clamori. I monaci vi muoiono anche, non avendo un corpo immortale; ma essi non considerano morte la loro morte! Accompagnano cantando inni coloro che muoiono, chiamando questo rito processione e non semplicemente trasporto del feretro. È stata annunziata la morte di qualcuno? Ecco che in essi si ingenera una grande gioia, un forte sentimento di letizia; anzi, nessuno osa dire: Costui è morto; bensì: Costui si è consumato! 39 È da qui, quindi, che procedono le azioni di grazie, la grande gloria e la profonda gioia (che inonda i loro cuori): ciascuno di essi, infatti, prega per ottenere una tale fine della vita, di uscire in questo modo dalla lotta terrena, di trovare il termine delle fatiche e dei combattimenti, di vedere Cristo. Se qualcuno si ammala, i monaci non effondono né lacrime né dolore, ma solo preghiere, nella consapevolezza che il più delle volte a guarire l'infermo non sono le mani dei medici, ma la sola fede. Tuttavia, se talvolta c'è bisogno di ricorrere ai medici, ecco che essi in questo caso mettono in luce il loro particolare stile di vita e la loro fermezza d'animo. (Accanto ad essi), infatti, non vi è una moglie con i capelli in disordine, né dei bambini che ancora non hanno sperimentato la condizione di orfano; non vi sono servi che auspicano la morte del padrone, sperando per sé un più sicuro futuro; tutti loro hanno un'anima libera dai vincoli terreni, un'anima che mira a questo solo scopo: nell'esalare l'ultimo respiro, poter lasciare questo mondo come cara e gradita a Dio.

Inoltre, se giunge una malattia, questa non proviene né dall'eccesso del mangiare né da quello del bere; al contrario, le stesse cause che l'hanno determinata sono degne di lode e non costituiscono affatto una colpa, come invece accade per gli eccessi. Ora, poiché la loro malattia è dovuta alle veglie, ai frequenti digiuni o a qualche altra cosa di simile, ecco che essa è facilmente curabile: per scacciare l'infermità i monaci devono soltanto astenersi dall'eccessivo lavoro.

1406 6. Tu ora osserverai: Se in chiesa vi è qualcunodisposto a lavare i piedi ai santi, non è possibile trovarlo anche qui nel monastero? Certo, certo che è possibile; ma ad una sola condizione, quella cioè di non disprezzare coloro che operano nelle chiese, dal momento che abbiamo esaminato l'esemplare condotta di vita dei monaci. La ragione è che spesso simili uomini si trovano anche nelle chiese, agendo nel nascondimento. Costoro non devono essere disprezzati semplicemente perché se ne vanno in giro per le case degli altri, si recano in piazza, oppure perché occupano dei posti di comando. D'altronde questo è un comando dato da Dio stesso, quando dice:

Rendete giustizia all'orfano, difendete la causa della vedova 40. Ebbene, molte sono le vie che conducono alla santità, così come molto diverse tra loro sono le pietre preziose, benché tutte abbiano lo stesso nome. Tra esse, infatti, mentre una è più rotonda ed emana splendore da ogni parte; un'altra, invece, pur non avendo una simile bellezza, ha comunque un altro pregio. Quale? (Ti faccio un esempio): come c'è un



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OMELIA 15


LE VEDOVE PIÙ GIOVANI NON ACCETTARLE PERCHÉ, NON APPENA VENGONO PRESE DA DESIDERI INDEGNI DI CRISTO, VOGLIONO SPOSARSI DI NUOVO E SI ATTIRANO COSÌ UN GIUDIZIO DI CONDANNA PER AVER TRASCURATO LA LORO PRIMA FEDE. INOLTRE, TROVANDOSI SENZA FAR NIENTE, IMPARANO A GIRARE QUA E LÀ PER LE CASE E SONO NON SOLTANTO OZIOSE, MA PETTEGOLE E CURIOSE, PARLANDO DI CIÒ CHE NON CONVIENE. DESIDERO QUINDI CHE LE PIÙ GIOVANI SI RISPOSINO, ABBIANO FIGLI, GOVERNINO LA LORO CASA, PER NON DARE ALL'AVVERSARIO NESSUN MOTIVO DI BIASIMO. GIÀ ALCUNE PURTROPPO SI SONO SVIATE DIETRO A SATANA

(1Tm 5,11-15)

Prima Timoteo 5,11-15


Le ragioni per escludere dal catalogo le vedove più giovani

1501 1. Paolo, dopo aver parlato molto delle vedove eaverne fissata l'età necessaria per essere accolte, dicendo: Una vedova sia iscritta nel catalogo delle vedove quando abbia non meno di sessant'anni (1 Tim. 5, 9), e ancora, dopo aver insegnato quali devono essere le sue virtù, affermando: Se ha allevato figli, praticato l'ospitalità e lavato i piedi ai santi (1 Tim. 5, 10), poi ha aggiunto: Le vedove più giovani non accettarle. Ora, per quanto riguarda le vergini, sebbene questo stato abbia una maggiore dignità, egli non allude a nulla di simile, e lo fa a giusta ragione 1. Perché? Sia perché le vergini si sono consacrate a cose di più grande valore e sia perché questa vocazione è derivata loro da una maggiore nobiltà d'animo. Dunque, le espressioni: se (la vedova) ha praticato l'ospitalità, se ha lavato i piedi ai santi e tutte le altre simili a queste, l'Apostolo le ha poste e per sottolineare il concetto della perseveranza (nella scelta) e perché già ha detto: così la donna non sposata, come la vergine, si preoccupa delle cose del Signore 2.

Non meravigliarti se l'Apostolo non affronta la questione dell'età, giacché essa è di per sé già molto chiara da quanto poc'anzi è stato affermato: ripeto, esse hanno scelto la verginità in virtù della loro maggiore nobiltà d'animo. A questo aggiungi il fatto che già si erano registrate delle cadute 3. Perciò, se a fornire l'occasione per imporre una simile legge era stato il comportamento stesso delle vedove, tale prescrizione non riguardava affatto le vergini. Del resto, che alcune vedove giovani già avessero commesso delle colpe, risulta evidente dalle seguenti parole: non appena vengono prese da desideri indegni di Cristo, vogliono sposarsi di nuovo (1 Tim. 5, 11); e ancora: Già alcune purtroppo si sono sviate dietro a satana (1 Tim. 5, 15). Le vedove più giovani non accettarle (1 Tim. 5, 11).



Che significa: non appena vengono prese da desideri indegni? Significa che esse cadono nella sensualità e nei piaceri della carne 4; in altri termini, ci si trova nel medesimo caso in cui un uomo giusto dice a un altro: Rimanda indietro questa donna, perché ella appartiene a un altro 5. Paolo, quindi, mostra chiaramente che queste hanno scelto la consacrazione alla vedovanza alla leggera, senza un adeguato discernimento: lo sposo della vedova, infatti, è Cristo. D'altronde egli dice: Io sono il protettore delle vedove e il padre degli orfani 6. In questo modo l'Apostolo fa palese che esse non hanno scelto rettamente la vedovanza, bensì di essere preda di desideri indegni; egli comunque tollera questa scelta, benché altrove abbia affermato: ...avendovi promesse a un unico sposo, per presentarvi quale vergine casta a Cristo.

Ecco che esse, dice l'Apostolo, benché già consacrate a Cristo, vogliono sposarsi di nuovo e si attirano così un giudizio di condanna per aver trascurato la loro prima fede (1 Tim. 5, 11-12). Egli chiama questa fede, patto, verità; è come se dicesse: Esse hanno mentito, lo hanno disprezzato, hanno violato il patto.

(Queste vedove più giovani) imparano a essere oziose. Dunque, Paolo ordina di essere operosi non solo agli uomini ma anche alle donne, giacché l'ozio ha insegnato ogni vizio. Inoltre, egli afferma che esse si attirano non solo un giudizio di condanna, ma si assoggettano anche ad altri peccati. Dunque, se a una donna sposata non si addice aggirarsi qua e là per le case, a maggior ragione ciò non è consentito a una vergine.

Esse imparano non solo a essere oziose, maanche pettegole e curiose, parlando di ciò che non conviene. Desidero quindi che le più giovani sirisposino, abbiano figli e governino le loro case (1 Tim. 5, 13-14). Allora, quando ad esse manca l'attenzione verso il marito e non sono possedute dallo zelo verso il Signore, che cosa accade? Paolo risponde che certamente diventano oziose, pettegole e curiose. Infatti, chi non cura le proprie cose, sicuramente si preoccuperà di quelle degli altri; così come chi si mostra sollecito delle sue, non si preoccuperà di quelle degli altri né avrà alcun pensiero per esse.

Parlando di ciò che non conviene. Nulla si addice di meno a una donna che indagare curiosamente sulle cose degli altri; e ciò è valido non solo per la donna ma anche per l'uomo, in quanto questo costituisce la massima espressione dell'impudenza e della sfrontatezza.

Desidero quindi... Giacché esse stesse lo vogliono, anch'io voglio che le vedove più giovani si risposino, abbiano figli, governino la loro casa e stiano in essa: è di gran lunga preferibile fare queste cose che quelle. Bisognava certamente dedicarsi alle cose di Dio; bisognava conservare integra la propria fede; ma poiché ciò non è stato fatto, non è meglio risposarsi? In tal modo Dio non sarà disprezzato ed esse non impareranno ciò che non devono conoscere. Infatti, da una simile vedovanza non si trarrà nessun vantaggio, mentre da un secondo matrimonio ne potrebbero scaturire molti. Questo infatti contribuirà sia a risollevare l'animo che ad eliminare un'oziosa condotta di vita.

A questo punto obietterai: Ma perché l'Apostolo non ha detto: «Poiché le vedove sono venute meno alla loro promessa bisogna soccorrerle con molta cura, affinché non siano oggetto dei mali di cui si è detto», ma ha comandato loro di risposarsi? Perché non è proibito sposarsi, anzi il matrimonio dà sicurezza. Ecco perché aggiunge: ... Per non dare all'avversario nessun motivo di biasimo. Già alcune purtroppo sisono sviate dietro a satana (1 Tim. 5, 14-15). L'Apostolo proibisce di accogliere tali vedove, non già perché vuole che (nel catalogo) non vi siano vedove più giovani, ma perché non vuole che ve ne siano di adultere, oziose e curiose, parlando di ciò che non conviene; inoltre, non vuole che da ciò il diavolo colga l'occasione per averla vinta. Paolo, quindi, non avrebbe posto il suo divieto, se esse non avessero corso un simile rischio.

Se qualche donna credente ha con sé dellevedove, provveda lei a loro e non ricada il peso sulla Chiesa, perché questa possa venire incontro a quelle che sono veramente vedove (1 Tim. 5, 16).

Vedi allora come di nuovo l'Apostolo parla di quelle che sono veramente vedove, cioè completamente abbandonate e senza alcun conforto da nessuna parte? Paolo aveva molto a cuore tale questione. Da essa, infatti, derivavano due notevoli vantaggi: alle une, si dava l'occasione di comportarsi bene; alle altre, si offriva la possibilità di essere convenientemente sostenute, senza gravare sulla Chiesa.

Giustamente quindi ha aggiunto: Se qualche donnacredente... (1 Tim. 5, 16): era necessario che le vedove cristiane non fossero sostenute da persone non credenti, affinché non apparissero bisognose del loro aiuto. Osserva, poi, in che maniera egli infonde loro coraggio. Non dice: Siano soccorse con grande generosità; ma si limita a dire: (La donna credente) provveda lei a loro... perché questa possa venire incontro a quelle che sono veramente vedove.

Dunque, la donna fedele riceve anche la ricompensa dell'aiuto prestato: questo infatti giova non solo alla Chiesa, ma anche alle vedove, dal momento che tale intervento fa sì che esse siano meglio sostenute.

Desidero che le più giovani... (1 Tim. 5, 14). Cosa? Che esse vivano nei piaceri, nella sensualità? No, nulla di tutto questo, ma: si risposino, abbiano figli,governino la loro casa. Inoltre, affinché tu non creda

che le esorti a vivere nei piaceri, l'Apostolo aggiunge: per non dare all'avversario nessun motivo di biasimo. In fondo bisognava che esse fossero superiori alle cose del mondo; ma, poiché si sono dimostrate inferiori, rimangano quindi in tale condizione.


Crisostomo - PRIMA TIMOTEO 1400