Crisostomo - PRIMA TIMOTEO 1502

Come Timoteo deve comportarsi con i presbiteri 8

1502 2. I presbiteri che esercitano bene la presidenza siano trattati con doppio onore, soprattutto quelli che si affaticano nella predicazione e nell'insegnamento. Dice infatti la Scrittura: Non metterai la museruola al bue che trebbia 9 e: Il lavoratore ha diritto al suo salario 10 (1 Tim. 5, 17-18). Qui l'Apostolo chiama con il termine di onore sia la cura che la distribuzione delle cose necessarie. Infatti, vuol significare proprio questo, quando aggiunge: Non metterai la museruola al bue che trebbia; e: Il lavoratore ha diritto al suo salario. Pertanto, anche quando dice: Onora le vedove (1 Tim. 5, 3), egli intende parlare del cibo necessario; e più precisamente ha detto: Perché (la Chiesa) possa così venire incontro a quelle che sono veramente vedove (1 Tim. 5, 16). E ancora: Onora le vedove, quelle che sono veramente vedove, cioè quelle che vivono in povertà, giacché quanto più è povera, tanto più è vedova. L'Apostolo, quindi, richiama sia le prescrizioni della legge (antica) che quelle di Cristo: entrambe concordano. La legge (antica) infatti dice: Non metterai la museruola al bue che trebbia. Vedi allora in che modo egli vuole che il dottore lavori? Non vi è infatti, certamente, non vi è un lavoro simile al suo. Tale è senz'altro il lavoro della legge; ma come fa l'Apostolo a porre Cristo a testimone della legge? Dice: Il lavoratore ha diritto al suo salario. Pertanto non preoccupiamoci soltanto del salario, ma anche di come Paolo l'ha prescritto, dicendo: Il lavoratore ha diritto al suo nutrimento. Ciò significa che costui ne è indegno se consuma la vita nei piaceri e nell'ozio. In altre parole, per meritarlo è necessario che egli si comporti come il bue che trebbia, sostiene il giogo nonostante il caldo e i rovi spinosi e non smette di lavorare prima di aver deposto il raccolto nel granaio.

È doveroso, dunque, provvedere che i dottori abbiano in abbondanza il necessario per il loro sostentamento, affinché non si abbattano né si scoraggino. Infatti, se sono intenti a risolvere problemi di poco conto, finiscono per trascurare quelli di più grande importanza. Al contrario, essi devono preoccuparsi delle cose spirituali e non di quelle materiali. Tali erano i leviti: non dovevano preoccuparsi delle loro necessità materiali, ad esse provvedevano i laici. Del resto, era la legge stessa ad assicurare loro dei redditi, come le decime, i tributi in oro, le primizie della terra, le offerte per le preghiere e tante altre cose 11. Ed era certamente giusto che si assegnasse per legge un reddito a persone che svolgevano un'attività (pastorale) simile a quella degli attuali presbiteri. Io invece ritengo che costoro non debbano ricevere più di quanto serva loro per nutrirsi e per vestirsi, affinché non si lascino fortemente attrarre dalle preoccupazioni del mondo.

Che significa: (Siano trattati) con doppio onore? Doppio (se considerato in rapporto a quello dovuto) alle vedove o ai diaconi; oppure Paolo dice: doppio onore, nel senso di molto onore. Ma non ci soffermiamo tanto sul fatto che egli li ha degnati di un duplice onore, quanto piuttosto riflettiamo bene sull'espressione: I presbiteri che esercitano bene la presidenza. Che cosa vuol dire? Ascoltiamo Cristo: Io sono il buon pastore. Il buon pastore offre la vita per le pecore 12. Ecco dunque cosa significa esercitare bene la presidenza: non risparmiarsi in nulla per la cura dei fedeli loro affidati. L'Apostolo aggiunge: (siano trattati con doppio onore) soprattutto quelli che si affaticano nella predicazione e nell'insegnamento. Dove sono ora quelli che dicono che non c'è bisogno né della predicazione e né dell'insegnamento? Anzi, Paolo raccomanda a Timoteo di assolvere questo duplice dovere, quando gli dice: Abbi premura di queste cose, dèdicati ad esse interamente 13; e ancora: dèdicati alla lettura, all'esortazione... 14, così facendo salverai te stesso e coloro che ti ascoltano 15.

L'Apostolo, quindi, vuole che tra tutti siano onorati in particolar modo i presbiteri e ne spiega anche la ragione, affermando che essi si sottopongono a una grande fatica. E lo dice giustamente. Infatti, se da una parte vi è un presbitero che né vigila né si preoccupa, anzi svolge il suo compito incurante e negligente; se invece dall'altra vi è uno che è oberato di pensieri e di preoccupazioni, soprattutto quando non conosce le critiche dei non credenti, come non bisogna che costui in particolare goda di un onore maggiore di quello di tutti gli altri, lui che si è sottoposto a così grandi fatiche? Egli è oggetto di numerosissime critiche: c'è, infatti, chi l'accusa, chi lo loda, chi lo motteggia e chi scredita la sua memoria e i suoi propositi. Ebbene, per sopportare tutto ciò egli ha veramente bisogno di una grande forza d'animo.

Il compito del presbitero è dunque grande; sì, è veramente grande per l'edificazione della Chiesa, per cui è molto importante che quanti esercitano la presidenza siano istruiti. Al contrario, se ad essi manca la formazione culturale, molte istituzioni vigenti nelle Chiese finiscono per andare in rovina. Dunque l'Apostolo, dicendo dottore, intende includere anche la cultura tra le virtù che il presbitero deve possedere: l'ospitalità, la mansuetudine e l'irreprensibilità.

Perché lo chiama dottore? Certamente, osserverai, affinché egli sappia insegnare mediante l'esempio una retta condotta di vita. Sicché tutto il resto è superfluo e per il progresso spirituale dei discepoli non c'è bisogno di un insegnamento erudito. Ma allora perché Paolo dice: soprattutto quelli che si affaticano nella predicazione e nell'insegnamento?

E ancora: poiché l'Apostolo espone dei dogmi, quale influenza può avere la santità della vita? Insomma, quale linguaggio consiglia (nella predicazione e nell'insegnamento)? Uno che sia privo di ampollosità e che non si attenga all'eleganza formale propria della cultura pagana; al contrario, deve essere un linguaggio che trae la sua forza espressiva dallo spirito, che sia ricco di senso e di saggezza. Esso, dunque, non ha bisogno di un'espressione particolarmente elaborata, bensì di saldi concetti; non di una composizione linguistica ricercata, ma di pensieri veraci.

Non accettare accuse contro un presbitero senza la deposizione di due o tre testimoni (1 Tim. 5, 19) 16.

(Tu dirai): L'Apostolo intende forse affermare che un atto d'accusa va accolto senza testimoni, quando è rivolto contro una persona più giovane? Oppure che tale procedura è valida per chiunque? Non è invece più equo che i giudizi siano resi sempre con accurata imparzialità? Insomma, che cosa realmente vuol dire? Paolo qui (rispondo) non si riferisce ad altre persone ma si rivolge esclusivamente ai presbiteri. Ma egli in questo caso adopera il termine presbitero non sulla base della dignità, bensì dell'età, dal momento che i giovani possono peccare più facilmente degli anziani 17.

Che la questione stia in questi termini, è provato dal fatto che Paolo ha affidato a Timoteo la cura di una Chiesa, anzi di quasi tutta la provincia d'Asia. Ed è per questo motivo che gli si rivolge (per dettargli delle norme di comportamento) nei riguardi dei presbiteri.

Quelli poi che risultino colpevoli riprendili alla presenza di tutti, perché anche gli altri ne abbianotimore (1 Tim. 5, 20).

Ciò significa: Non intervenire subito recidendo drasticamente, ma esamina tutto con estrema attenzione; soltanto quando avrai appreso senza ombra di dubbio lo stato della questione, intervieni energicamente, affinché gli altri traggano profitto dalla lezione. Infatti, come è dannoso condannare affrettatamente, così, non punire i peccati manifesti, significa aprire la via agli altri che oseranno fare altrettanto. Paolo dice: riprendili, volendo significare che bisogna intervenire non con un'azione blanda ma energica, perché soltanto così gli altri avranno timore. Del resto, cosa dice Cristo? Se il tuo fratello commette una colpa, va' e ammoniscilo fra te e lui solo 18. Egli permette anche che il presbitero sia ripreso apertamente nella Chiesa.

15033. Cosa? Non costituisce forse uno scandalomaggiore un rimprovero rivolto alla presenza di tutti ? E per quale motivo? Anzi, lo scandalo sarà veramente più grande (per i fedeli) quando, riconosciuta la colpa del presbitero, non lo vedranno punito. Infatti, come molti sono spinti al peccato quando vedono che coloro che peccano restano impuniti; così molti si ravvedono quando chi sbaglia è punito. Anche Dio si comportò allo stesso modo quando punì il faraone spingendolo e facendolo morire tra i flutti 19; quando infierì su Nabucodonosor, su di un gran numero di città e di persone.

L'Apostolo, dunque, preponendo il vescovo alla guida di tutti, vuole che i fedeli abbiano verso di lui un salutare timore. Tuttavia, poiché il più delle volte in molte questioni si è soliti giudicare sulla base di semplici sospetti, è necessario, afferma Paolo, che vi siano dei testimoni, affinché possano accusare (il presbitero) secondo le norme dell'antica legge: Qualunque peccato questi abbia commesso, il fatto dovrà essere stabilito sulla parola di due o tretestimoni 20. Non accettare accuse contro un presbitero (
1Tm 5,19). L'Apostolo non ha detto: Non condannarlo, ma: Non accogliere l'accusa contro di lui e non chiamarlo direttamente in giudizio. Ma che cosa allora ha voluto dire, se menziona la presenza di due testimoni? In verità, ciò si verifica raramente: comunque è possibile convocarli per istruire la causa. Pertanto, è sufficiente che le colpe vengano acclarate sulla base di due testimonianze, dal momento che esse possono essere compiute in segreto; ora, per far questo è indispensabile un'accurata indagine. Ebbene, obietterai: Come ci si comporterà nel caso in cui le colpe sono manifeste, se mancano i testimoni e intanto (il presbitero) è soggetto a una cattiva reputazione? Precedentemente ho riferito il pensiero di Paolo, quando ha detto: È necessario che egli goda buonareputazione presso quelli di fuori 21.



Anche la geenna manifesta apertamente la provvidenza di Dio

Sforziamoci dunque di amare Dio con timore: la legge non è stata fatta per il giusto. (La prova è costituita dal fatto che) sebbene la maggior parte degli uomini pratichi la virtù per necessità e non per volontà di scelta, tuttavia ricava grandi vantaggi da questo timore e, spesso, riesce anche a eliminare le proprie passioni. Perciò ascoltiamo con buona disposizione d'animo ciò che ci vien detto a riguardo della geenna e traiamo un grande vantaggio dalle sue minacce e dalla sua paura. Infatti, se Dio non avesse fatto ricorso alle minacce, prima di precipitare i peccatori nella geenna, molti vi sarebbero caduti. Ebbene, pur scuotendo le nostre anime per la paura, se ora alcuni di noi facilmente cadono nel peccato come se non ci fosse nessun castigo futuro; se nulla di tal genere ci fosse stato mai detto e non ci fossero state prospettate delle minacce, quali peccati non commetteremmo? Perciò, come sempre dico, la geenna manifesta apertamente la provvidenza di Dio non meno che la sua potenza. Del resto, la geenna opera insieme a tale potenza, spingendo gli uomini a una virtuosa condotta di vita con la paura.

Comunque, non riteniamo questa un'espressione di ferocia e di crudeltà, bensì di misericordia, di grande bontà, di provvidenza e di amore di Dio verso di noi. Se al tempo di Giona non fossero state intimate delle minacce di totale distruzione, questa si sarebbe verificata. Infatti se il profeta non avesse detto: Ninive sarà distrutta 22, questa città non sarebbe più esistita. Allo stesso modo, se non ci fossero le minacce della geenna, tutti precipiteremmo in essa; se non ci fosse la paura del fuoco, nessuno potrebbe sfuggirvi. In altri termini, Dio afferma che farà ciò che è contrario alla sua volontà per fare ciò che vuole. Egli non vuole la morte del peccatore, e intanto parla della sua morte proprio per non gettarlo in preda alla morte; anzi Dio, affinché noi possiamo sfuggirla, non solo ne parla ma ne mostra con i fatti la tremenda realtà.

Infatti Dio, affinché nessuno pensasse che le sue fossero soltanto sterili minacce, ma eventi che si sarebbero presto verificati, intese dimostrare chiaramente ciò con i fatti che allora si svolsero.

Forse che il diluvio non ti sembra simbolo della geenna? Oppure che la distruzione universale per mezzo delle acque non conferma il supplizio futuro mediante il fuoco? L'evangelista dice: Come fu ai giornidi Noè... prendevano moglie e marito... così sarà anche ora, Infatti, come all'epoca Dio predisse gli accadimenti molto tempo prima, così anche oggi li anticipa di quattrocento o più anni , ma nessuno gli presta attenzione; anzi, tutti pensano che la realtà futura rientri nel genere favolistico; tutti ridono, nessuno si lascia prendere dalla paura o dalle lacrime; nessuno si batte il petto. Il fiume di fuoco ribolle gorgogliando, la fiamma si alimenta sempre di più, e noi? Noi ridiamo e trascorriamo la vita nei piaceri, peccando senza avere alcun timore.

La realtà umana è effimera, l'anima è eterna e immortale

Nessuno richiama mai alla propria mente quel giorno fatale; nessuno pensa che la realtà presente passa, che le cose umane sono effimere, anche se ogni giorno esse gridano e fanno sentire la loro voce (sulla caducità dell'esistenza). Infatti, le morti premature e i radicali rivolgimenti delle cose che si verificano durante la nostra vita, non c'insegnano proprio nulla; così come non vi riescono né le malattie né le altre numerose infermità. Eppure, è possibile constatare dei mutamenti non soltanto nei nostri corpi ma anche negli stessi elementi. Ciascuna età ogni giorno ci offre la possibilità di meditare sulla morte: in ogni cosa regna sovrana l'instabilità che, del resto, è significata dallo stesso svolgimento dei fatti.

L'inverno, l'estate, la primavera e l'autunno non durano molto tempo, ma tutte queste stagioni svolgono rapidamente il proprio corso, volano e scorrono via. Che cosa dire allora dei fiori, delle cariche onorifiche, dei re che oggi vi sono e domani no, delle ricchezze, dei sontuosi edifici, della notte e del giorno, del sole o della luna? Forse che questa non decresce? Forse che lo stesso sole non si eclissa, non è oscurato o coperto dalle nubi? Forse che qualcosa di visibile rimane eternamente? No; ma resterà tale soltanto la nostra anima, e intanto noi la trascuriamo. Infatti noi, mentre ci preoccupiamo moltissimo delle cose che sono soggette al mutamento, come se fossero destinate a restare per sempre; al contrario, come se fosse un qualcosa di effimero, non facciamo nulla per l'anima che invece ha un destino eterno.

C'è un uomo capace di compiere grandi cose? Sì, ma fino a domani, e poi muore. Ciò è palese se si tien conto di coloro che hanno compiuto grandi imprese ma che ora sono del tutto scomparsi. La vita presente è, per così dire, un palcoscenico e un sonno. Infatti, come su di un palcoscenico, una volta portato via l'intero allestimento, tutti i variopinti drappeggi svaniscono; come il sonno porta via con sé tutti i fantasmi onirici non appena giunge il primo raggio di sole; così, quando verrà il termine di tutto, (e intendo riferirmi) a ciò che possediamo sia in proprio che in comune con gli altri, ogni cosa si dissolverà e svanirà. E intanto l'albero che tu hai piantato resterà insieme alla casa che hai costruito; al contrario, il costruttore e l'agricoltore sono portati via e periscono.

Ebbene, nonostante che le cose stiano così, noi non proviamo alcun timore, anzi, ci affatichiamo ad accumulare tutti questi beni come se fossimo immortali, vivendo e consumando la nostra intera esistenza fra le gioie e i piaceri della carne.

1504 4. Ascolta ciò che dice Salomone, che avevasperimentato il reale valore dei beni di questa terra: Mi sono fabbricato case, mi sono piantato vigneti, ho piantato alberi da frutto, mi sono fatto vasche per irrigare con l'acqua le piantagioni... ho accumulatoanche argento e oro... mi sono procurato cantori e cantatrici e ho posseduto anche armenti e greggi 25.

Nessun uomo è mai vissuto fra tante delizie; nessuno è stato mai così glorioso, così sapiente, così potente; nessuno i cui desideri fossero così esauditi! Cosa, dunque? Questi beni non gli giovarono a nulla, anzi, dopo aver esperito tutti questi benefici, aggiunge: Vanità delle vanità, tutto è vanità 26, non solo vanità ma, credo, ancora di più. Riponiamo la nostra fiducia nella parola della Scrittura e perseguiamo ciò che è esente dalla vanità; al contrario, indaghiamo dove si trova la verità, dove tutto è saldo e solido, dove tutto è costruito sopra la dura roccia, dove nulla invecchia e nulla muta, dove tutto rifiorisce e acquista vigore, dove nulla sfiorisce, dove nulla si distrugge.

Questa è la mia esortazione: amiamo Dio con cuore sincero, non temendo la geenna, ma desiderando ardentemente la realizzazione del suo regno. (Tu osserverai): Cosa dunque potrà mai paragonarsi alla visione di Cristo? Niente, (ti rispondo). E tu: Cosa allora si deve così fortemente desiderare per poter conseguire i beni eterni? Ancora nulla. Infatti la Scrittura così dice: Quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo, queste ha preparato Dio per coloro che lo amano 27.

Preoccupiamoci di conseguire i beni del cielo e disprezziamo questi della terra. Del resto, rifiutando questi ultimi, non abbiamo detto molto spesso che la vita umana è un niente? Perché, allora, ti prendi cura di cose che non valgono niente? Perché ti sottoponi al peso di tante fatiche in cambio di niente? Ma ecco che tu vedi stupendi edifici e ti lasci ingannare dalla loro apparente bellezza. Ebbene, volgi subito i tuoi occhi al cielo; distogli il tuo sguardo dalle pietre ben levigate e dalle colonne e contempla la bellezza celeste: le belle costruzioni degli uomini ti appariranno come opere di formiche e di zanzare.

Di fronte a tale contemplazione, poniti in atteggiamento di profonda riflessione: ascendi alle realtà del cielo e di lì impara a riconoscere gli edifici veramente splendidi: ancora una volta prenderai atto che quelli della terra non sono altro che giochi di bambini. Quanto più sali verso l'alto, non vedi come l'aria diventa più sottile, più leggera, più pura e più luminosa? Ebbene, coloro che fanno l'elemosina, hanno qui la loro abitazione e il loro domicilio. Al contrario, nel giorno della risurrezione, anzi prima d'allora, il tempo avrà già corroso, distrutto e dissolto gli edifici di questo mondo; e spesso, ancor prima del tempo, essi saranno abbattuti da un terremoto, proprio quando si levano alti e maestosi, poggiati su solide e stabili fondamenta; oppure saranno completamente distrutti da un incendio.

Pertanto, una prematura rovina può colpire indistintamente non solo gli uomini ma anche i loro edifici. (A questo aggiungi il fatto che) talora si è verificato che mentre alcuni di questi, pur traballanti per la loro vecchiaia, sono rimasti in piedi sebbene scossi da un terremoto; altri invece, splendidi, saldi e costruiti di recente, sono crollati al solo fragore di un tuono. Personalmente ritengo che tutto questo si verifica per disposizione di Dio, affinché noi non diamo molto valore agli edifici della terra.

(Non ti basta levare lo sguardo verso l'alto?) Hai bisogno di altri esempi per non perderti d'animo? Osserva allora gli edifici pubblici simili alla tua casa. Ebbene, non vi è nessuna casa, proprio nessuna che, quand'anche bellissima, possa essere più splendida di questi. Inoltre, per quanto tempo tu possa restarci, essi sono proprietà comune e non privata. Tu allora replicherai: Ciò non mi sta bene. (E io ti rispondo): Questo dipende anzitutto dalle tue abitudini e poi dalla tua avidità di possesso. Dunque, ciò che ti aggrada non è la bellezza, ma l'avidità, per cui il piacere per te consiste solo nello sfrenato desiderio di possedere tutto.

Fino a quando resteremo attaccati a queste cose? Fino a quando terremo lo sguardo fisso ai beni della terra? Fino a quando continueremo a rivoltarci come vermi nel fango? Dio ci ha dato un corpo traendolo dalla terra, affinché potessimo destinarlo al cielo e non perché potesse servirci a far precipitare la nostra anima nella terra: il corpo proviene, sì, dalla terra ma, se vogliamo, possiamo renderlo celeste.

Osserva, quindi, di quanto onore Dio ci ha giudicati degni, accordandoci una tale libertà d'azione. Egli dice: Io ho fatto la terra e il cielo; anche a te io do il potere di creare: rendi cielo la terra, tu lo puoi. L'espressione della Scrittura: Colui che ha fatto tutto e tutto trasforma 28, è riferita a Dio, è vero, ma egli ha dato agli uomini lo stesso potere: (Dio agisce) come un padre che ama il proprio figlio; (si comporta) come un pittore che non vuole conservare soltanto per sé i segreti della sua arte, ma desidera che anche il figlio li apprenda.

Dio dice: Io ho plasmato la bellezza dei corpi; a te do il potere di creare di meglio: rendi bella la tua anima. Dio ha detto: La terra produca germogli e ogni albero da frutto 29. Di' allora anche tu: La terra produca il suo frutto; e tutto ciò che deciderai di fare darà i suoi frutti. Dio dice: Sono io a rendere il cielo sereno e nuvoloso; sono io che do forza al tuono; sono io che creo lo spirito e il serpente, cioè il diavolo, perché lo tragga in inganno. Ma neppure a te ho negato tale potere: se vuoi, ingannalo anche tu, giacché puoi catturarlo come un passero. Al mio comando il sole sorge sopra i cattivi e i buoni: anche tu imitami, distribuisci i tuoi beni ai buoni e ai cattivi. Io sopporto l'oltraggio subìto e ciò nonostante benefico coloro che mi offendono; imitami anche tu, lo puoi. Io distribuisco





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OMELIA 16


TI SCONGIURO DAVANTI A DIO, A GESÙ CRISTO E AGLI ANGELI ELETTI, DI OSSERVARE QUESTE NORME CON IMPARZIALITÀ E DI NON FAR NULLA PER FAVORITISMO. NON AVER FRETTA DI IMPORRE LE MANI AD ALCUNO, PER NON FARTI COMPLICE DEI PECCATI ALTRUI. CONSERVATI PURO! SMETTI DI BERE SOLTANTO ACQUA, MA FA' USO DI UN PO' DI VINO A CAUSA DELLO STOMACO E DELLE TUE FREQUENTI INDISPOSIZIONI

(1Tm 5,21-25)

Il vescovo eserciti il suo ufficio con saggezza e ponderazione

1. Dopo aver parlato dei vescovi, dei diaconi, degliuomini e delle donne, delle vedove, dei presbiteri e di tutti gli altri; dopo aver indicato le persone sulle quali il vescovo esercita il suo potere giurisdizionale, quando appunto discute sul ponderato giudizio che egli deve emettere, l'Apostolo aggiunge: Ti scongiuro davanti aDio, a Gesù Cristo e agli angeli eletti, di osservare queste norme con imparzialità e di non far nulla per favoritismo.

La sua ammonizione finale è espressa in termini veramente severi, senza troppi riguardi nei confronti di Timoteo, benché sia il suo diletto figlio 1. Del resto, chi di se stesso non ha arrossito di dire: (Tratto duramente il mio corpo e lo trascino in schiavitù) perché nonsucceda che dopo aver predicato agli altri, venga io stesso squalificato 2, molto meno ha temuto o si è vergognato di dirlo a Timoteo. Ebbene, (tu osserverai), se egli accoglie giustamente la testimonianza del Padre e del Figlio, perché poi si appella anche a quella degli angeli eletti? Paolo lo fa per un senso di grande modestia, giacché anche Mosè dice: Io chiamo oggi in testimonio contro di voi il cielo e la terra 3; anch'egli, quindi, si esprime così in virtù della grande mitezza di Dio; (il profeta dice ancora): Ascoltate, o monti, (il processo del Signore e porgete l'orecchio), o perenni fondamenta della terra 4. L'Apostolo chiama dunque a testimoni delle sue parole il Padre e il Figlio per giustificarsi dinanzi ad essi nel giorno del giudizio, se mai avrà potuto commettere un'azione eccedente il suo mandato giurisdizionale, spogliandosi così della responsabilità di tutto il suo operato.

Paolo dice: (Ti scongiuro davanti a Dio, a Gesù Cristo e agli angeli eletti), di osservare queste normecon imparzialità e di non far nulla per favoritismo. Ciò significa che devi mostrarti imparziale ed equo con coloro che devono essere giudicati, affinché nessuno riceva da te un'attenzione particolare, né si guadagni il tuo favore. Ma, dirai, chi sono gli angeli eletti, dal momento che alcuni non sono stati tali? Ebbene, come Giacobbe chiama a suoi testimoni Dio e i colli 5, così anche noi accogliamo la testimonianza sia di persone importanti che meno importanti, giacché in questa maniera la testimonianza assume un grande valore.

È come se l'Apostolo dicesse: Per quanto ti ordinerò di fare chiamo a testimoni Dio, suo Figlio e i suoi servi, giacché davanti ad essi ti impartirò i miei ordini. In questo modo egli incute paura a Timoteo. Inoltre, dopo aver detto ciò che era oltremodo opportuno prescrivere, aggiunge ciò che in primo luogo riguarda la Chiesa, cioè affronta il problema delle ordinazioni presbiterali. Dice: Non aver fretta di imporre le mani ad alcuno, per non farti complice dei peccati altrui. Che significa: Non aver fretta? Significa che (dovrai imporre le mani) non dopo il primo, né dopo il secondo e neppure dopo il terzo esame, ma dopo aver indagato più volte con oculatezza e ponderazione, dal momento che si tratta di una questione di grande responsabilità. Infatti, anche tu sarai colpevole dei peccati, sia passati che futuri, commessi da coloro che hai reso degni dell'esercizio del ministero. D'altronde, se ad uno condoni inopportunamente le prime colpe, ti assumerai la responsabilità anche di quelle successive, come se tu avessi abbracciato la sua causa, conferendogli la dignità presbiterale. Ti farai carico anche dei suoi peccati passati, dal momento che non gli hai permesso di piangerli e di sentirne contrizione. Sicché, come a buon diritto tu gioisci dei frutti della sua lodevole attività pastorale, allo stesso modo ti assumerai la colpa dei suoi peccati.

Conservati puro! Qui l'Apostolo affronta il problema della continenza. Smetti di bere soltanto acqua, ma fa'uso di un po' di vino a causa dello stomaco e delle tue frequenti indisposizioni. Se, quindi, Paolo comanda di essere casto a uno che come Timoteo, oltre ad accettare l'esortazione, di fatto digiuna ed è avvezzo a bere soltanto acqua, al punto tale da ammalarsi e da essere frequentemente indisposto, a maggior ragione noi dobbiamo accettare volentieri l'ammonimento che ci viene rivolto.

Ma perché, osserverai, egli non si è curato di rendere sano lo stomaco del suo discepolo? Chiaramente, ti rispondo, non perché ne fosse incapace, ma perché prevedeva di compiere in lui qualcosa di più grande. Del resto, è chiaro che colui le cui vesti avevano il potere di risuscitare i morti, avrebbe potuto anche fare questo. Perché allora non l'ha fatto? Si è comportato così affinché non restiamo scandalizzati, se oggi ci capita di vedere infermi uomini grandi e muniti di virtù. (Ciò detto), notiamo come questo comportamento dell'Apostolo non sia senza utilità. Infatti, se allo stesso Paolo è stato dato il messo di satana, affinché non si esaltasse 6, a maggior ragione ciò si verifica per Timoteo, dal momento che i segni (del suo apostolato) possono renderlo orgoglioso. Egli, dunque, lascia che Timoteo ricorra all'arte medica sia perché si comporti con moderazione e sia perché gli altri non ricevano scandalo; al contrario, apprendano che gli apostoli hanno agito rettamente e compiuto grandi cose, pur avendo una natura in tutto simile alla nostra. Inoltre, a me sembra chiaro che Timoteo sia stato soggetto a delle malattie: è lo stesso Paolo a indicarlo, quando ricorda le sue frequenti indisposizioni, riferendosi allo stomaco e ad altri disturbi fisici. Ma ciò nonostante, non consente al suo discepolo di bere vino a suo piacimento, ma di prenderne soltanto quanto giova alla sua salute.

Di alcuni uomini i peccati si manifestano prima del giudizio e di altri dopo (1 Tim. 5, 24). Ora, poiché a proposito delle ordinazioni egli ha affermato: Non farti complice di peccati altrui; cosa dice se invece uno li ignora? Risponde: Di alcuni uomini i peccati si manifestano prima del giudizio e di altri dopo. Cioè: mentre i peccati di alcuni uomini, afferma, sono manifesti perché precedono il giudizio; quelli di altri invece non lo sono, perché lo seguono. Così anche le opere buone vengono alla luce e quelle stesse che non sono tali non possono rimanere nascoste (1 Tim. 5, 25).



Rapporto padrone-servo

Quelli che si trovano sotto il giogo della schiavitù, trattino con ogni rispetto i loro padroni, perché non vengano bestemmiati il nome di Dio e la dottrina (1 Tim. 6, 1). Dunque Paolo dice: trattino con ogni rispetto... Cioè: Non credere di essere libero semplicemente perché sei un uomo di fede, giacché la libertà non è altro che servire di più. Infatti, colui che non crede, se vede un fedele inorgoglirsi in virtù della sua fede, molto spesso gli si rivolgerà in maniera irriverente, rinfacciandogli di fondare sul dogma il suo altezzoso atteggiamento. Al contrario, se nei cristiani scorge delle persone sottomesse, si accosterà più presto alla fede e presterà maggiore ascolto alla dottrina. C'è di più: quando i fedeli non vivono sottomessi, accade che saranno bestemmiati sia Dio che la predicazione della sua parola.

Tu allora osserverai: Ma se i padroni non sono credenti, come bisogna comportarsi? Anche in questo caso bisogna essere loro sottomessi in nome di Dio. L'Apostolo infatti dice: Quelli poi che hanno padroni credenti, non manchino loro di riguardo perché sonofratelli, ma li servano ancora meglio, proprio perché sono credenti e (fratelli) amati quelli che ricevono i loro servizi (1 Tim. 6, 2).

2. È come se l'Apostolo dicesse: Se tratterete ipadroni con ogni rispetto perché li considerate come vostri fratelli, a maggior ragione dovete essere loro sottomessi. Precedentemente ha detto: (Di alcuni uomini i peccati) si manifestano prima del giudizio (1 Tim. 5, 24). Ciò significa che, quando si tratta di cattive azioni, alcune possono restare nascoste, altre invece no. E allora cosa precisamente intende dire con l'espressione: (Di alcuni uomini i peccati) si manifestano prima del giudizio? Paolo si riferisce a quegli uomini che hanno commesso dei peccati che di per sé li condannano già prima del giudizio divino; a quelli che rifiutano di correggersi e a quelli che, quand'anche sperano di potersi ravvedere, di fatto non si comportano in maniera conseguenziale. Ma per quale motivo e con quale intento l'Apostolo si esprimecosì? È perché, mentre qui sulla terra alcuni possono anche nascondere le loro cattive azioni, invece lì nel cielo tutto è palese e manifesto.

Questa, in verità, è una grandissima consolazione per coloro che vivono rettamente. Inoltre, poiché a Timoteo ha detto di non far nulla per favoritismo (1 Tim. 5, 21), affinché questo concetto potesse essere ben interpretato, ha necessariamente aggiunto: quelli che si trovano sotto il giogo della schiavitù (1 Tim. 6, 1). A questo punto tu osserverai: Ma tutto questo che riferimento ha con un vescovo? Ebbene, ti rispondo, ciò lo riguarda moltissimo, in quanto spetta a lui il compitod'insegnare e ammonire i suoi fedeli. È dunque con ragione che egli prescrive anche queste cose. Infatti, noi lo vediamo mostrarsi in qualsiasi circostanza severo più con i servi che non con i padroni ed esporre con oculate motivazioni le ragioni della loro perfetta obbedienza.

L'Apostolo, dunque, se da una parte ammonisce i servi a essere sottoposti con grande mansuetudine, dall'altra invece esorta i padroni a moderare il senso di paura che possono loro incutere, quando appunto afferma: (Anche voi, padroni, comportatevi allo stesso modo verso di loro), mettendo da parte le minacce 7. Ma perché impartisce questi ordini? Paolo l'avrebbe fatto a giusta ragione, se il problema avesse riguardato i non credenti, dal momento che sarebbe stato del tutto irragionevole rivolgersi a persone che non tenevano in alcun conto le sue parole. Ma, poiché in questione sono i credenti, perché prescrive queste cose? Il suo comando è motivato dal fatto che i servi ricevono più dai loro padroni che non i padroni dai servi. In fondo sono i padroni a dare ad essi il denaro, a provvedere alle loro necessità, a comprare i loro vestiti; in una parola, a preoccuparsi di tutto ciò che abbisognano. Perciò, come ho già detto, i padroni finiscono per essere più sottomessi dei loro stessi servi. Ed è proprio questo il concetto che l'Apostolo ha voluto esprimere, affermando: proprio perché sono credenti e (fratelli) amati quelli che ricevono i loro servizi (1 Tim. 6, 2).

I padroni, (o servi), poiché si adoperano molto per la vostra tranquillità, non devono forse per questo motivo essere trattati con ogni rispetto? Se, dunque, Paolo esige da voi un così grande rispetto, pensate con quanta disposizione d'animo dobbiamo sottometterci a Dio, che ci ha fatti dal nulla, ci ha nutriti e vestiti. Comunque, se non siamo in grado di servire Dio in altro modo, almeno comportiamoci con lui come i servi con noi. Questi, infatti, non trascorrono l'intera vita per la tranquillità dei padroni? Non è forse questo il loro compito? La loro vita non consiste forse nel prendersi cura dei loro bisogni? I servi, infatti, sono impegnati per l'intera giornata a sbrigare le faccende dei padroni, mentre per le proprie riservano soltanto un breve spazio serotino.

Noi, invece, attendiamo sempre alle nostre cose, riservando poco tempo a quelle di Dio, pur sapendo sia che egli non ha bisogno del nostro rispetto, come invece i padroni di quello dei servi, e sia che il servizio prestato a Dio torna a nostro vantaggio. Infatti, se nel primo caso l'ufficio del servo è utile al padrone, nel secondo invece Dio non ha bisogno di tale servizio, perché a trarne profitto è proprio il servo. Il salmista dice: Tu non hai bisogno dei miei beni 8. Tu osserverai: Ma quale vantaggio potrà mai trarre Dio se io sono un uomo giusto? Quale danno, se sono ingiusto? La sua natura non è forse immortale e, come tale, immune da ogni danno? Non è forse al di sopra di ogni passione umana? I servi, anche quando riescono ad acquisire in proprio, non posseggono proprio nulla perché tutto è del padrone 9. Noi tutti, invece, possiamo vantare di fatto la proprietà di un bene inestimabile; e non senza ragione il Re dell'universo ci ha giudicati degni di un così grande onore! C'è forse mai stato un padrone che ha dato il suo figlio in cambio della salvezza di un servo? No, nessuno; anzi, tutti i padroni preferiscono dare un servo per la vita di un figlio. Dio invece ha operato in maniera completamente opposta: ha donato il suo proprio Figlio per tutti noi, per i suoi nemici e persino per coloro che lo odiavano. Inoltre, mentre i servi, soprattutto se sono riconoscenti, eseguono con generosità d'animo gli ordini anche quando richiedono grandi sacrifici; noi invece sopportiamo malvolentieri moltissime cose.

Un padrone non promette al suo servo nulla di quanto Dio ha promesso a noi. Ma un padrone cosa può promettere se non la libertà presente, che spesso, in verità, si sopporta meno facilmente della stessa servitù? Ad esempio, se ci assalgono i crampi della fame, l'essere liberi certamente non ci avvantaggia più dell'essere schiavi; e questo è un grandissimo dono. Presso Dio, invece, non vi è nulla di temporaneo, nulla soggetto alla corruzione. Tu allora chiedi: Ma cos'è? Vuoi proprio saperlo? Ascolta ciò che dice l'evangelista: Non vi chiamo più servi... ma vi ho chiamati amici 10.

Carissimi, arrossiamo e temiamo: poniamoci al servizio del Signore almeno come i servi fanno con i loro padroni. Anzi, (oserei dire) che nei riguardi del Signore non mostriamo neppure la minima parte di questa disponibilità di servizio. Inoltre, mentre i servi si comportano bene per necessità, avendo solo di che vestire e di che mangiare; noi invece, o avendo o anche sperando di entrare in possesso d'innumerevoli beni, preferiamo dedicarci ai piaceri ingiuriando così il nostro Benefattore. Se noi, pertanto, non vogliamo apprendere da altri le norme della nostra retta condotta di vita, almeno seguiamo il loro esempio. D'altronde, la stessa Scrittura suole additare agli uomini come modello di vita non quello dei servi, ma quello degli animali, quando appunto li esorta a imitare l'ape e la formica.

Personalmente vi chiedo di imitare almeno il comportamento dei servi: ciò che essi fanno per il timore che hanno nei nostri riguardi, noi facciamolo invece per il timore di Dio. Ebbene, io constato che voi non lo fate neppure in nome di ciò. (C'è di più): i nostri servi, poiché ci temono, sopportano mille e mille offese e più di ogni filosofo riescono a subire il rimprovero restando immobili e in silenzio; essi inoltre, quando sono oltraggiati giustamente o ingiustamente, non solo non osano contraddire, ma supplicano perfino (il perdono), anche quando non hanno fatto nulla di male. Essi non ricevono che il necessario, spesso meno, e ciò nonostante sono contenti; quando sono a riposo nel loro letto, non avendo mangiato che del pane e non avendo ricevuto che dei miseri avanzi, non osano rivolgere accuse e sopportano tutto con dignità, costretti a fare ciò sempre perché ci temono; se affidiamo loro del denaro, essi ce lo restituiscono interamente. Non parlarmi, quindi, di servi cattivi, ma soltanto di uomini che hanno sempre agito bene. Infatti, se li minacciamo, essi sono subito capaci di darsi un freno.

Ora, questa non è vera saggezza? E non dirmi che il loro comportamento è imposto dalla necessità, poiché anche su di te incombe l'inevitabile minaccia della geenna. Eppure, neanche in questo modo tu rinsavisci, dal momento che a Dio non dai tanto onore quanto invece ne ricevi dai tuoi servi. Il servo, chiunque egli sia, ha una dimora fissa, non invade quella del suo vicino e non si lascia sedurre dal desiderio di possedere di più. Ebbene, ognuno può rendersi conto che i servi si comportano così per timore del padrone. Inoltre, raramente vedrai un servo sottrarre o mandare in rovina ciò che appartiene a un altro come lui. Invece, presso di noi, uomini liberi, tu potresti constatare esattamente il contrario: ci mordiamo l'un l'altro, siamo pronti a divorarci, non abbiamo alcun timore di Dio, rapiniamo i beni dei nostri simili, rubiamo, percuotiamo, benché Dio ci guardi. Un servo certamente non si comporterebbe in questo modo. Infatti, se percuote, non lo fa sotto lo sguardo del padrone e se offende, lo fa ritenendo di non essere udito da lui. Noi, invece, osiamo compiere di tutto, pur




Crisostomo - PRIMA TIMOTEO 1502