Crisostomo - PRIMA TIMOTEO 17

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OMELIA 17



QUESTO DEVI INSEGNARE E RACCOMANDARE. SE QUALCUNO INSEGNA DIVERSAMENTE E NON SEGUE LE SANE PAROLE DEL SIGNORE NOSTRO GESÙ CRISTO E LA DOTTRINA SECONDO LA PIETÀ, COSTUI È ACCECATO DALL'ORGOGLIO, NON COMPRENDE NULLA ED È PRESO DALLA FEBBRE DI CAVILLI E DI QUESTIONI OZIOSE. DA CIÒ NASCONO LE INVIDIE, I LITIGI, LE MALDICENZE, I SOSPETTI CATTIVI, I CONFLITTI DI UOMINI CORROTTI NELLA MENTE E PRIVI DELLA VERITÀ, CHE CONSIDERANO LA PIETÀ COME FONTE DI GUADAGNO. CERTO, LA PIETÀ È UN GRANDE GUADAGNO, CONGIUNTA PERÒ A MODERAZIONE! INFATTI NON ABBIAMO PORTATO NULLA IN QUESTO MONDO E NULLA POSSIAMO PORTARNE VIA

(1Tm 6,2-7)

Prima Timoteo 6,2-7

Bisogna insegnare secondo l'ortodossia della vera fede

1. Il maestro ha bisogno non solo di insegnare conautorità, ma di avere anche una grande bontà d'animo, giacché la mansuetudine non dev'essere disgiunta dall'autorità. Questo è appunto l'insegnamento del beato Paolo, sia quando dice: Questo tu devi proclamare e insegnare 1; che quando afferma: Questo devi insegnare e raccomandare (1 Tim. 6, 2). Infatti, se i medici esortano i malati, non per guarire se stessi, ma per liberare dalla loro malattia quelli affidati alle loro cure e far sì che coloro i quali stanno a letto possano alzarsi, tanto più noi dobbiamo spronare ed esortare i nostri discepoli. Del resto il beato Paolo non rifiuta di farsi loro servo, quando appunto dice: Noi infatti non predichiamo noi stessi, ma Cristo Gesù; quanto a noi, siamo i vostri servitori per amoredi Gesù 2; e ancora: Tutto è vostro: Paolo, Apollo 3. L'Apostolo si sottomette molto volentieri a questa servitù dal momento che, (come già ho avuto modo di dire), questa servitù è preferibile alla stessa libertà. Anche l'evangelista afferma: Chiunque commette ilpeccato è schiavo del peccato 4. E Paolo a sua volta ha detto: Se qualcuno insegna diversamente e non segue le sane parole del Signore nostro Gesù Cristo e ladottrina secondo la pietà, costui è accecato dall'orgoglio, non comprende nulla... (1 Tim. 6, 3-4).

A rendere superbi, dunque, non è la conoscenza bensì l'ignoranza. Infatti colui che conosce il linguaggio della pietà, sa anche comportarsi con grande modestia, allo stesso modo che colui il quale parla in modo conforme alla sana dottrina, non rischia di rendere malato il suo insegnamento. In altri termini, quello che per i corpi si definisce tumore, per le anime è detto orgoglio: perciò, come chiamiamo malati coloro che presentano un gonfiore fisico, altrettanto dobbiamo ritenere quelli che si inorgogliscono.

Del resto, può capitare che un uomo istruito non sappia nulla, perché colui che ignora le cose necessarie, non sa veramente niente. Che la superbia, poi, nasca dall'ignoranza, è evidente da ciò che afferma lo stesso Apostolo: Cristo umiliò se stesso 5. Ora, colui che sa questo mai si inorgoglirà, perché l'uomo non possiede nulla che non abbia ricevuto da Dio. Il motivo di fondo, quindi, per cui non monterà in superbia, è questo: Che cosa mai possiedi che tu non abbia ricevuto? 6 Cristo ha lavato i piedi ai discepoli 7: chi conosce questo, come potrà inorgoglirsi? Anzi è per questo motivo che egli ha detto: Così anche voi quando avrete fatto tutto (quello che vi è stato ordinato), dite: Siamo servi inutili 8. D'altronde, mentre il pubblicano fu salvato a causa della sua umiltà, il fariseo invece perì a causa del suo orgoglio 9. Dunque, colui che s'insuperbisce, ignora tuttequeste cose. È stato ancora Cristo a dire: Se ho parlatomale, dimostrami dov'è il male; ma se ho parlato bene perché mi percuoti?



Se Paolo afferma che: Costui è preso dalla febbre di questioni oziose (1 Tim. 6, 4), vuol dire che cercare questioni oziose non è altro che essere presi come da una febbre. E parla ancora rettamente, quando dice: Costui è preso dalla febbre di cavilli (1 Tim. 6, 4). Infatti l'anima si pone alla ricerca di queste cose, sia quando arde per la febbre di siffatti inutili pensieri che quando è agitata da una tempesta interiore; invece quando è sana, non si pone a indagare, ma accoglie l'insegnamento della fede. In fondo, dalle questioni oziose e dai cavilli non si giunge a nessuna positiva conclusione. In verità è solo la fede ad essere in grado di promettere, mentre intraprendere una questione oziosa non serve né a dimostrare né a comprenderealcunché. È lo stesso problema di chi pretende di trovare a occhi chiusi un oggetto da lui cercato, senza chiaramente riuscirvi; oppure di chi, pur avendo gli occhi aperti, si pone tuttavia sotto terra; in questo modo egli, allontanando da sé la luce del sole, non potrà trovare l'oggetto cercato. Senza la fede, quindi, non si approda a nulla, per cui è fatale che da questa mancanza necessariamente prendano piede le controversie.



L'Apostolo infatti dice: Da ciò nascono le maldicenze, i sospetti cattivi (1 Tim. 6, 4). In altre parole le diverse opinioni e le malsane dottrine prendono origine proprio da queste inutili ricerche. Ora, il fatto è che quando ci lasciamo imbrigliare in questioni oziose, finiamo per gettare dei sospetti anche su Dio, e ciò è veramente disdicevole. L'Apostolo parla di litigi, cioè di una vera e propria perdita di tempo o quanto meno di discussioni inutili. Ciò può ancora significare che gli uomini cattivi sono come delle pecore scabbiose che quando si uniscono alle altre, infettano del loro stesso male anche quelle sane.

(Da ciò nascono)... i conflitti di uomini privi della verità, che considerano la pietà come fonte di guadagno (1 Tim. 6, 5). Vedi allora, come dice l'Apostolo, quali sono le cose cattive che nascono dalle dispute: un vile guadagno, l'ignoranza e la superbia, giacché è l'ignoranza che genera l'orgoglio.

Ecco perché Paolo ha detto: Allontanati da questi uomini, e non già: Vieni a contesa con essi, ma, ti ripeto: Allontanati, cioè arrossisci al loro contatto. (A tal proposito Tito afferma): Dopo una o due ammonizionista' lontano da chi è fazioso 11. In tal modo egli mostra che il loro errore non proviene tanto dall'ignoranza quanto dall'indolenza e dall'incuria. Infatti, in che modo potrai persuadere degli uomini che si combattono a causa del denaro? Non potrai convincerli in maniera diversa se non facendo loro ancora dei doni, senza comunque credere che questo tuo intervento potrà saziare pienamente la loro irrefrenabile brama di ricchezze. La Scrittura così dice: L'occhio dell'avaro non si accontenta di una parte 12.

Bisogna, dunque, tenerli lontani da noi, proprio perché sono incorreggibili. Ebbene, se a colui che deve necessariamente combattere, l'Apostolo consiglia di non attaccare il nemico, quanto più a ragione egli esorta noi che siamo suoi discepoli. Dopo aver detto che (questi uomini) privi della verità considerano la pietà come fonte di guadagno (1 Tim. 6, 5), ha aggiunto: Certo, la pietà è un grande guadagno, congiunta però a moderazione! (1 Tim. 6, 6). Chiaramente ciò risponde al vero non quando si possiedono le ricchezze, ma quando non vi sono. Paolo, infatti, temendo che Timoteo si rattristi a motivo della povertà, lo incoraggia e lo risolleva nell'animo, dicendo che: Essi considerano la pietà come fonte diguadagno. Certamente è così, ma non come lo intendono essi, bensì in una maniera più eccellente.

Così dunque, mentre precedentemente egli aveva mostrato di non tenerla in gran conto, ora tesse l'elogio di questa pietà. Inoltre, che qui sulla terra noi non traiamo nessun profitto, è manifesto dal fatto che ogni nostro guadagno resta quaggiù e non emigra insieme a noi. Tu obietterai: Ma dov'è la prova di ciò? Questa prova, ti rispondo, è data dal fatto che noi veniamo in questo mondo senza possedere nulla e ci allontaniamo da esso nello stesso modo: nudi siamo venuti e nudi ce ne andremo! Sicché noi non abbiamo bisogno di cose superflue: Infatti - dice l'Apostolo - non abbiamo portato nulla in questo mondo e nulla possiamo portarne via. Quando dunque abbiamo di che mangiare e di che coprirci, contentiamoci di questo (1 Tim. 6, 7-8).

Dobbiamo quindi mangiare tanti e tali cibi, che possano veramente nutrirci; dobbiamo indossare quelle vesti che ci servono soltanto per coprirci e nascondere la nostra nudità; in una parola, non vi sia nulla di superfluo: ci basti un semplice vestito.

2. Paolo dice: Al contrario coloro che vogliono arricchire... (1 Tim. 6, 9). Non ha detto semplicemente: Coloro che sono ricchi, ma: coloro che vogliono arricchire. Infatti, vi può essere chi, avendo delle ricchezze, le sa ben distribuire, ne partecipa ai poveri, in una parola non le tiene in gran conto. Egli dunque non rimprovera questi uomini, ma coloro che sono bramosi di ricchezze.

Al contrario coloro che vogliono arricchire - afferma - cadono nella tentazione, nel laccio e in molte bramosie insensate e funeste, che fanno affogare gli uomini in rovina e perdizione (1 Tim. 6, 9). E giustamente ha detto: fanno affogare, dal momento che esse non consentono agli uomini di riemergere. L'Apostolo continua dicendo: L'attaccamento al denaro infatti è la radice di tutti i mali; per lo sfrenato desiderio alcuni hanno deviato dalla fede e si sono da se stessi tormentati con molti dolori (1 Tim. 6, 10). Egli, quindi, mette in risalto due effetti rovinosi (derivanti dalla volontà d'arricchirsi), ma ha posto per secondo quello che comportava conseguenze più dannose: l'essere cioè tormentati con molti dolori. La veridicità di ciò può attestarla soltanto colui che vive accanto agli uomini ricchi, giacché li vede dolersi e deplorare la loro condizione.

Poi aggiunge: Ma tu, uomo di Dio... (1 Tim. 6, 11). Osserva la grandezza della dignità umana! Tutti gli uomini sono di Dio; particolarmente i giusti, giacché lo sono non soltanto in ragione della creazione, ma anche della familiarità acquisita con Dio. Se, quindi, sei uomo di Dio, afferma Paolo, non andare alla ricerca delle cose superflue e di quelle che non conducono a Dio; ma fuggi queste cose e tendi alla giustizia (1 Tim. 6, 11). Del resto, l'Apostolo espone queste sue idee con un preciso intento. Infatti, non dice semplicemente: Allontanati da queste cose e avvicinati ad altre; ma fuggi queste cose e tendi alla giustizia, affinché tu possa non cadere nei lacci della cupidigia.

Dice ancora: Tendi alla pietà, in riferimento al dogma; alla fede, in quanto questa è contraria a ogni vana ricerca; e aggiunge: tendi alla carità, alla pazienza, alla mitezza. Combatti la buona battaglia della fede, cerca di raggiungere la vita eterna - ecco la ricompensa! - alla quale sei stato chiamato e per la quale hai fatto la tua bella professione di fede davanti a molti testimoni (1 Tim. 6, 11-12).

Il buon combattimento della fede

È come se Paolo, rivolto a Timoteo, gli dicesse: Non vergognarti di ciò che ti sto dicendo in maniera così confidenziale e non tormentarti inutilmente (nell'esercizio del tuo ministero). Ebbene, Paolo in quale tentazione e laccio dice che cadono coloro che vogliono arricchire? Il diavolo li fa deviare dalla fede, li espone a gravi pericoli d'errore e li rende più timidi (soggiogandoli). Inoltre dice: (Essi cadono) in molte bramosie insensate (1 Tim. 6, 9). Infatti, come potrebbe una bramosia non essere insensata quando si vedono dei ricchi circondarsi di uomini deficienti e di nani, non per un senso di umanità, ma solo per il proprio divertimento; quando trattengono dei pesci nelle vasche delle loro case; quando nutrono delle bestie feroci; quando si affezionano ai loro cani e quando adornano i loro cavalli come se fossero i propri figli? Tutte queste preoccupazioni sono stolte e superflue, in esse non vi è nulla di necessario e nulla di utile.

Dice ancora: (Essi cadono) in molte bramosie insensate e funeste (1 Tim. 6, 9). Perché funeste? Lo sono perché essi si dedicano ad amori disordinati, bramano le cose del prossimo, consacrano ai piaceri la loro esistenza, si ubriacano e desiderano la morte e la rovina degli altri. Eppure molti uomini sono morti, spinti da tali sfrenati desideri. E in verità tali uomini si affaticano per cose inutili, anzi dannose. Perciò l'Apostolo ha giustamente affemato: Alcuni hanno deviato dalla fede (1 Tim. 6, 10). Infatti, l'avidità di ricchezze impedisce ad essi di vedere la retta via, convogliando prepotentemente su di sé la loro attenzione ed esercitando su di essi un graduale ma inesorabile potere di soggiogamento. In altre parole, è come quando una persona, pur camminando sulla giusta via, senza accorgersene oltrepassa la città verso la quale era diretta, procedendo così imprudentemente e inutilmente. Ebbene, l'avidità di ricchezze non è altro che questo.

E ancora Paolo dice: Essi si sono da se stessi tormentati con molti dolori (1 Tim. 6, 10). Comprendi ciò che egli vuole significare con le parole: Si sono da se stessi tormentati? L'Apostolo con tale espressione vuol far capire che questi desideri non sono che spine. Ora, come quando uno toccando le spine s'insanguina la mano e si fa una ferita, alla stessa maniera colui che si dedica ai piaceri, restando intrappolato in essi, procura dolore alla sua anima. Ebbene, a stento si possono descrivere i tanti affanni e i tanti dolori di coloro che si sono tormentati da se stessi! Per questa ragione Paolo ha detto: Fuggi queste cose; tendi alla giustizia, allapietà, alla fede, alla carità, alla pazienza e alla mitezza (1 Tim. 6, 11). La mitezza, infatti, nasce dalla carità.

Combatti la buona battaglia della fede. Con queste parole l'Apostolo loda la fedeltà e la forza spirituale di Timoteo, perché il suo discepolo, afferma, ha fatto in ogni circostanza la sua bella professione di fede. Inoltre, quando dice: Cerca di raggiungere la vita eterna (1 Tim. 6, 12), gli ricorda anche l'impegno di catechesi. Dunque, non c'è bisogno soltanto della testimonianza di fede, ma anche della pazienza per perseverare nella testimonianza, benché sia necessario affrontare una grande battaglia e molti sudori per non essere travolti: innumerevoli sono gli scandali e gli ostacoli da affrontare e superare. Questa è dunque la ragione per cui la via da percorrere è stretta e ardua. Bisogna, quindi, essere pronti alla difesa: da ogni parte incombe il pericolo del combattimento, giacché da ogni parte si vedono innumerevoli seduzioni, che attraggono irresistibilmente gli occhi dell'anima: i piaceri carnali, le ricchezze, le gioie sfrenate, l'oziosità, la gloria, l'ira, il potere e l'ambizione. Tutte queste cose mostrano, in verità, un aspetto così amabile e seducente da poter ingannare coloro che le ammirano, che, in una parola, non amano la verità, perché questa è troppo severa e non concede nulla al piacere. Perché? Perché mentre essa promette la pienezza dei piaceri nella vita futura, invece le seduzioni della terra offrono onori, gioie e una tranquillità che, in verità, non è autentica ma falsa.

Sicché, a queste cose effimere potrà aderire soltanto un uomo che, accantonato ogni sforzo per raggiungere la virtù, si è reso schiavo, imbelle e ignavo. Questo è il comportamento di coloro che, impegnati in lotte fisiche, poiché non aspirano alla palma della vittoria, possono dedicarsi ai piaceri della tavola e dell'ebbrezza; questo è il tenore di vita dei pugili ignavi e timorosi. Invece, coloro che cercano di ottenere la corona della vittoria, sopportano innumerevoli colpi, sempre nutriti e incoraggiati dalla speranza della ricompensa futura.





Il rovinoso potere della ricchezza



3. Fuggiamo dunque la radice dei mali ed eviteremo tutte queste cose. L'attaccamento al denaro infatti è la radice di tutti i mali (1 Tim. 6, 10), l'ha detto Paolo; anzi, Cristo per bocca di Paolo, e vediamo in che modo. Anzitutto diciamo che ad attestarcelo è la stessa esperienza. Infatti, di quali mali non sono causa le ricchezze; anzi, mi correggo, non le ricchezze, bensì lacattiva volontà di coloro che non sanno servirsene? È lecito, infatti, farne un buon uso; è lecito possederle per ottenere il regno dei cieli. Eppure, in verità, ciò che ci è stato dato per soccorrere i poveri, per espiare i peccati, per lodare e glorificare Dio, noi lo usiamo contro gli stessi poveri; anzi, per meglio dire, contro la nostra anima e per offendere Dio.

Qualcuno ha osato sottrarre la ricchezza a un suo simile e ridurlo in povertà? Ebbene, non ha fatto altro che dare la morte a se stesso; dal momento che se su questa terra ha potuto mandare in rovina il suo prossimo, ha preparato per se stesso l'eterna condanna. Fare il male agli altri, dunque, è la stessa cosa che farlo a se stessi. Infatti, quali mali non causano le ricchezze? Forse che da esse non deriva lo sfrenato desiderio del possesso, delle rapine, dei gemiti, delle inimicizie, delle lotte e delle contese? Forse che esse non stendono le loro mani fino a uccidere i genitori e i fratelli? Forse che, spinti da tale passione, gli uomini non sovvertono le leggi della natura, i precetti di Dio, in una parola, tutto? Forse che i tribunali non sono stati istituiti a causa delle ricchezze?

Perciò, elimina l'amore che nutri verso di esse: cesserà la guerra, avranno fine le lotte, le inimicizie, le liti e i processi. Bisognerebbe allora che gli avari fossero espulsi dal mondo come lupi rapaci e pericolosi. Infatti, come quando dei venti forti e contrari, abbattendosi su di un mare tranquillo, lo sconvolgono tanto, fin dalle sue profondità, che la sabbia abissale si mescola con i flutti della superficie; alla stessa maniera coloro che bramano l'oro sovvertono ogni cosa.

Gli uomini avidi di ricchezze, poi, non conoscono amici; ma perché dico amici? Essi ignorano persino Dio, giacché rubano in preda a questa terribile passione: l'attaccamento al denaro. Non ti sembra di vederli avanzare come dei Titani armati di spada? Quale follia! Essi non sono Titani, ma uomini folli e furiosi. Infatti, se tu provi a mettere a nudo la loro anima, la vedrai così armata da tenere non una né due, ma innumerevoli spade; la vedrai disprezzare e ringhiare contro tutti, uccidere non cani ma anime umane, e infine lanciare grandi bestemmie contro il cielo. Questi uomini hanno sovvertito ogni cosa; tutto è andato in rovina per questa loro folle brama di ricchezze!

Ma chi dovrei accusare, non lo so: la peste dell'attaccamento al denaro ha invaso tutti, chi più e chi meno, ma in ogni caso tutti. E come un violento incendio che abbattendosi su di una selva lascia dovunque rovine e desolazione, così anche questa passione sconvolge il mondo: re, principi, cittadini privati, poveri, donne, uomini e bambini sono ugualmente soggetti allo stesso male, avvolti come da una nube caliginosa che sovrasta il mondo intero. Ciò nonostante, nessuno rinsavisce: sia in pubblico che in privato si vedono compiere innumerevoli atti criminosi, mentre da nessuna parte si scorge una seria volontà di emendazione.

Cosa, allora, si potrebbe fare? Come estinguere quest'incendio? Ebbene, anche se le sue fiamme toccano il cielo, lo si può spegnere: basta volere una sola cosa e riusciremo a domare le fiamme. Infatti, come l'attaccamento al denaro è andato sempre più crescendo in virtù della nostra volontà, soltanto questa avrà il potere di eliminarlo. Non siamo stati noi stessi ad alimentarlo intenzionalmente? A spegnerlo sarà la nostra ferma intenzione; in altri termini, basta soltanto volerlo. Ma come lo si potrà volere?

A provare la debolezza e la superficialità della nostra volontà sono sufficienti le seguenti considerazioni. Sta di fatto che non possiamo portare con noi le ricchezze nell'altra vita; che talora anche qui sulla terra le perdiamo; che certamente esse restano quaggiù; anzi, a passare con noi nell'altra vita saranno le ferite inflitte da esse. Ora, se nel cielo scorgiamo molte ricchezze e se confrontiamo queste della terra con quelle, ecco che i nostri beni ci appariranno più vili del fango. Riflettiamo sulle ricchezze di questo mondo: non solo sono soggette a mille pericoli, ma procurano anche piaceri effimeri, frammisti a dolori, per cui, se confrontate con quelle eterne del cielo, sono degne del nostro disprezzo. D'altronde constatiamo che in realtà i beni della terra non arrecano nessun giovamento né alla nostra buona reputazione né alla nostra salute fisica; insomma, non ci procurano nessun vantaggio, ma servono soltanto a farci precipitare nella rovina.

Impariamo, dunque, cosa significhi essere ricchi qui su questa terra; cosa voglia dire essere padroni di numerosi servi, poiché, quando passeremo nell'altra vita, saremo soli e privi di tutto.

Conclusione

Se noi andiamo ripetendo spesso le stesse cose, o se le ascoltiamo dagli altri, forse riceveremo un grande beneficio e ci saremo liberati dalla tremenda condanna. Vedi una bella perla? Ebbene, pensa che non è altro che acqua di mare, che fino a poco fa si





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OMELIA 18



AL COSPETTO DI DIO CHE DÀ VITA A TUTTE LE COSE E DI GESÙ CRISTO CHE HA DATO LA SUA BELLA TESTIMONIANZA DAVANTI A PONZIO PILATO, TI SCONGIURO DI CONSERVARE SENZA MACCHIA E IRREPRENSIBILE IL COMANDAMENTO, FINO ALLA MANIFESTAZIONE DEL SIGNORE NOSTRO GESÙ CRISTO CHE AL TEMPO STABILITO SARÀ A NOI RIVELATA DAL BEATO E UNICO SOVRANO, IL RE DEI REGNANTI E IL SIGNORE DEI SIGNORI, IL SOLO CHE POSSIEDE L'IMMORTALITÀ, CHE ABITA UNA LUCE INACCESSIBILE; CHE NESSUNO FRA GLI UOMINI HA MAI VISTO NÉ PUÒ VEDERE. A LUI ONORE E POTENZA PER SEMPRE. AMEN



(
1Tm 6,13-16)

Paolo rivolge il suo comando a Timoteo alla presenza di testimoni celesti: Dio e Cristo

1. Paolo, come ha fatto poc'anzi, ancora una voltachiama Dio a testimone per aumentare il senso di timore del suo discepolo, per renderlo più forte e mostrargli che i suoi non sono precetti umani, affinché possa stimolare il suo animo, sapendo di averli ricevuti da Dio stesso e ricordando sempre il testimone da cui li ha uditi. Dice: Ti scongiuro al cospetto di Dio che dà vita a tutte le cose. Con queste parole l'Apostolo allude sia al conforto contro i pericoli da affrontare, sia al ricordo della risurrezione, quando appunto afferma: e di Gesù Cristo che ha dato la sua bella testimonianza davanti a Ponzio Pilato. L'esortazione comincia ancora dal Maestro. Ciò significa: Bisogna che anche voi facciate come ha fatto lui. Cristo, infatti, ha dato la sua bella testimonianza, affinché noi potessimo calcare le sue orme nella buona confessione di fede. Questo è quanto Paolo afferma nell'Epistola agli Ebrei: Tenendo fisso lo sguardo su Gesù, autore e perfezionatore della fede. Egli in cambio della gioia che gli si era posta innanzi, si sottopose alla croce, disprezzando l'ignominia, e si è assiso alla destra del trono di Dio. Pensate attentamente a colui che ha sopportato contro di sé una così grande ostilità dei peccatori, perché non vi stanchiate perdendovi d'animo 1.

Anche ora egli si comporta così verso il suo discepolo; in altre parole, è come se gli dicesse: Non temere la morte, giacché tu sei servo di Dio che può dar vita a tutte le cose. Ma, quale confessione di fede Paolo chiama buona? Quella stessa che Gesù diede a Pilato. Infatti, a costui che gli chiedeva: Dunque tu sei re?, Gesù rispose: Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità 2. Ecco, dunque, gli uomini che hanno ascoltato Cristo: quelli che sono dalla verità3.

Ora Paolo, (per meglio chiarire il concetto di buona testimonianza), o intende riferirsi a quest'espressione del vangelo, oppure all'altra in cui Cristo, interrogato se fosse il Figlio di Dio, rispose: Lo dite voi stessi: io lo sono 4. Del resto, Gesù ha reso molte altre testimonianze e confessioni di fede.

Ti scongiuro - afferma Paolo - di conservare senza macchia e irreprensibile il comandamento, fino alla manifestazione del Signore nostro Gesù Cristo (1 Tim. 6, 14), cioè fino alla morte, fino alla dipartita da questo mondo. In verità, non si è espresso così a caso, ma dicendo: fino alla manifestazione del Signore, ha inteso stimolare sempre di più lo zelo del suo discepolo. Che significa: affinché conservi senza macchia il comandamento? Significa che non bisogna macchiarlo né nell'insegnamento del dogma e neppure nella retta condotta della propria vita.

(L'Apostolo continua dicendo:) che al tempo stabilito sarà a noi rivelata dal beato e unico sovrano, il re dei regnanti e il signore dei signori, il solo che possiede l'immortalità, che abita una luce inaccessibile (1 Tim. 6, 15-16).

A chi sono riferite queste parole? Al Padre? Al Figlio? Certamente, al Figlio: che al tempo stabilito sarà a noi rivelata dal beato e unico sovrano. Ancora una volta queste sono parole di conforto rivolte a Timoteo, affinché eviti sia l'ammirazione che il timore dei re della terra. Dice: al tempo stabilito, cioè al tempo conveniente e opportuno, affinché il suo discepolo non soffra per un evento che non si è ancora realizzato 5.

Ma qual è la prova che Dio rivelerà il suo Figlio? Essa è testimoniata dalla sua potenza, perché Dio è il solo potente. Cristo sarà rivelato da colui che è sommamente beato, anzi che è la stessa beatitudine. L'Apostolo ha parlato così volendo significare che (nel suo apostolato) non vi è nulla di triste, nulla che non sia espressione di gioia. Ha detto: unico, sia perché Cristo differisce dagli uomini e sia perché è ingenerato. D'altro canto, anche noi spesso adoperiamo il termine unico in riferimento a persone che vogliamo esaltare.

Dice: il solo che possiede l'immortalità (1Tm 6,16). Cosa vuol dire? Forse che il Figlio non la possiede? Forse che egli non è l'immortalità stessa? E come potrebbe non esserlo, dal momento che egli è della stessa sostanza del Padre? Dice: che abita una luce inaccessibile (1 Tim. 6, 16). È dunque lui stesso una luce differente da quella che illumina il luogo doveabita? È forse circoscritto in un ambito spaziale? No. Paolo non ha parlato così affinché noi pensassimo in questo modo, ma per significare l'incomprensibilità della natura divina: egli, dunque, ha detto: che abita una luce inaccessibile, nel tentativo di parlare delle realtà divine nella maniera più consona possibile. Vedi quanto è insufficiente il nostro linguaggio, quando vuole esprimere qualcosa di grande?

Dice: che nessuno fra gli uomini ha mai visto né può vedere. A lui onore e potenza per sempre. Amen (1 Tim. 6, 16).

L'Apostolo qui ha parlato di Dio in maniera conveniente e necessaria. Infatti, poiché lo ha preso come testimone, egli ne parla lungamente per spronare sempre di più il suo discepolo. Ciò significa dare gloria a Dio: noi possiamo dire e fare soltanto questo e non impegnarci a indagare chi egli sia. Se, dunque, il suo regno è eterno, non temere, o Timoteo; anche se ora non si è ancora rivelato, a Dio sia sempre l'onore e la potenza.

Il comportamento del cristiano ricco

Ai ricchi in questo mondo raccomanda di non essere orgogliosi (1 Tim. 6, 17). Bene si è espresso, dicendo: in questo mondo, giacché vi sono dei ricchi anche nell'altro mondo. Paolo, dunque, dà questo consiglio perché sa che nulla più della ricchezza è capace di generare il fasto, l'arroganza e l'orgoglio. Ma ecco che subito abbatte questo potere con le parole: non riporre la speranza sull'incertezza delle ricchezze. Da qui nasce l'arroganza. Al contrario, colui che ripone le sue speranze in Dio, non s'inorgoglisce. Perché allora speri in ciò che subito è destinato a passare? E tali sono appunto i beni della terra! Perché riponi la tua speranza in quelle cose di cui non puoi fidarti? E tu osserverai: Ma in che modo le ricchezze non faranno inorgoglire l'uomo? Ebbene, lo potranno se tu consideri che esse sono instabili e insicure; se riconosci che la solida speranza riposta in Dio le supera tutte; se, infine, comprendi che le ha fatte Dio stesso.

L'Apostolo dice: (Raccomando di riporre la speranza) in Dio, che tutto ci dà con abbondanza perché ne possiamo godere (1 Tim. 6, 17). Ben si è espresso Paolo dicendo: tutto ci dà con abbondanza, volendo alludere alle variazioni annuali dell'aria, della luce, dell'acqua e di tutti gli altri elementi. Non vedi, d'altronde, con quanta abbondanza e con quanta generosità egli ci elargisce questi doni? Comunque, se proprio desideri la ricchezza, cerca almeno quella durevole e stabile, cioè quella che proviene dalle opere buone. Ed è proprio questo che l'Apostolo vuol significare, quando raccomanda: di fare del bene, di arricchirsi di opere buone, di essere pronti a dare, di essere generosi (1 Tim. 6, 18) sia nel donare le proprie ricchezze che nel partecipare agli altri il proprio affetto. Insomma, quando si dà, bisogna essere affabili e miti.

Poi aggiunge: Mettendosi così da parte un buon capitale per il futuro (1 Tim. 6, 19), dove non vi è nulla di incerto; dove le fondamenta sono solide, dove non vi è nulla di instabile, anzi, dove tutto è stabile, immobile, sicuro ed eterno. Perché? Per acquistarsi - afferma - la vita vera (1 Tim. 6, 19). Ebbene, le opere buone non sono altro che un esercizio efficace per poterla conseguire.



Epilogo: spetta a Timoteo di custodire gelosamente il deposito della fede

2. O Timoteo, custodisci il deposito (1 Tim. 6, 20) 6. Non diminuirlo, perché ciò che ti è stato affidato non ti appartiene; no, non devi diminuirlo. Evita le chiacchiere profane e le obiezioni della cosiddettascienza (1 Tim. 6, 20). È con ragione che l'Apostolo si esprime così. Infatti dove manca la fede, non vi può essere scienza: non confondiamo i nostri pensieri con la vera scienza. Probabilmente Paolo parla così volendo riferirsi ad alcuni chiamati gnostici, che pretendevano di conoscere più degli altri. Ecco perché ha affermato (di evitare... le obiezioni della cosiddetta scienza), professando la quale taluni hanno deviato dalla fede (1 Tim. 6, 21) 7. Vedi come ancora una volta egli avverte Timoteo di non avere nulla a che fare con costoro?

Evita - dice - le obiezioni della cosiddetta scienza. Ciò significa che vi sono delle obiezioni a cui non bisogna affatto rispondere. Perché? Perché allontanano dalla fede e non consentono di restare fermi e saldi in essa. Pertanto, non attacchiamoci a questa cosiddetta scienza, bensì alla fede, che è come una roccia salda e resistente. Straripano i fiumi? Soffiano i venti? Non ci faranno alcun male, perché noi siamo sicuri, appoggiati su di una salda roccia 8. Sicché, anche in questa vita, se scegliamo i saldi fondamenti della fede, resteremo immuni da ogni male.



Le cose della terra sono instabili e mutevoli

Il cristiano che sceglie simili ricchezze, non soffrirà nulla di grave; chi preferirà quella luce, gloria, onore e gioia, resterà sempre saldo. Infatti, tutte queste cose sono durevoli e non ammettono nessun mutamento; mentre le cose della terra sono tutte soggette a variazioni e cambiamenti. Cosa vuoi? La gloria? La Scrittura dice: (Quando muore, con sé non porta nulla), né scende con lui la sua gloria 9, perché questa spesso abbandona gli uomini mentre sono ancora in vita. Al contrario, tutto ciò che mira alla virtù dura per sempre. Del resto, qui sulla terra, l'uomo che si vanta del suo alto incarico, viene completamente dimenticato non appena un altro subentra al suo posto, anzi, diventa uno dei tanti sudditi; la stessa cosa si verifica per un uomo ricco: diventa improvvisamente povero, se è assalito da ladroni o se è vittima di persone che l'adulano e l'insidiano. Completamente diversa, invece, è la condizione di noi cristiani: se un santo è sempre vigile, nessuno potrà mai ledere la sua virtù; nessun uomo potrà mai far discendere dal suo rango e rendere suo suddito colui che sa pienamente dominare se stesso.

Perciò, se esamini oculatamente le cose, ti renderai conto che il potere dello spirito è di gran lunga superiore a quello proveniente dai beni temporali. Infatti a che giova regnare su tutti i popoli, se poi si è schiavi delle proprie passioni? Al contrario, quale danno potrà mai ricevere un uomo che, pur non essendo un potente della terra, è tuttavia completamente libero dalla tirannide delle passioni? Ecco cosa sono la libertà, il regno, il dominio e la potenza! Comportarsi diversamente è schiavitù, quand'anche un uomo possa cingersi di mille diademi. Infatti, a cosa gli serve il diadema, quando all'interno di sé è dominato da una moltitudine di padroni, come l'avidità, i piaceri smodati, l'ira e altre passioni? La tirannia esercitata da questi sentimenti è più difficile da debellare, dal momento che neppure la corona regale è capace di liberarlo da tale schiavitù.

Pensa, ad esempio, a uno che è stato elevato alla dignità di re, ma che è caduto nelle mani dei barbari; costoro, per far maggiormente pesare su di lui il loro potere, gli lasciano la porpora e la corona, ma gli comandano di portare l'acqua, di fare il cuoco o di svolgere altri uffici ugualmente degradanti. Infamandolo in questo modo, i barbari credono di aumentare il proprio prestigio. Ebbene, nel nostro caso, la tirannia dei sentimenti interiori ci opprime più duramente di qualsiasi barbaro. Ma colui che la disprezzerà, finirà per deriderla come fanno i barbari; mentre colui che se ne rende schiavo è destinato a soffrire pene maggiori di quelle inflitte dagli stessi barbari.

(C'è inoltre da considerare che mentre) il barbaro, quando prende il sopravvento, tortura il corpo; le passioni, invece, tormentano l'anima e la dilaniano in tutte le sue parti; mentre il barbaro, quando ha il sopravvento, uccide il suo prigioniero, le passioni invece condannano a una morte eterna. Dunque, è veramente libero colui che è libero interiormente; al contrario, è senz'altro schiavo chi è schiavo delle sue irrazionali passioni. Non vi è, infatti, nessun padrone che dia ordini così mostruosi, dicendo: Disonora la tua anima, anche se non ne hai motivo o ragione; offendi Dio; dimentica la tua natura di uomo; ha poca importanza che si tratti di tuo padre o di tua madre: deponi ogni senso di rispetto e scagliati contro di essi. Ebbene, sono questi i comandi che impartisce l'aviditàdelle ricchezze. È come se essa ti dicesse: Non sacrificarmi vitelli, ma uomini. Anche il profeta ha detto: Sacrificate uomini, giacché i vitelli sono venuti a mancare 10.



Conclusione: i precetti di Dio e quelli del diavolo

L'avidità di ricchezze, invece, non si esprime così; ma dice: Anche se vi sono dei vitelli, sacrifica gli uomini, sacrifica coloro che non ti hanno mosso nessuna ingiuria; e anche se sei stato beneficato, uccidili. Essa inoltre ti prescrive anche questo: Sii ostile, sii ugualmente nemico di tutti: e della natura e di Dio; ammassa oro, non per servirtene, ma per custodirlo gelosamente e per tormentarti per un dolore ancora più grande. Infatti, è impossibile che colui che ama le ricchezze possa ben goderle, giacché teme che l'oro diminuisca e che i tesori vengano meno.

(L'avidità delle ricchezze ti dice:) Vigila attentamente; sospetta di tutti, servi o amici che siano; guardati dagli estranei. Se vedi un povero morire di fame, non dargli nulla, anzi, se puoi, sottraigli anche la pelle. Sii spergiuro, mentisci, prometti, accusa e calunnia; anche se la condanna è il fuoco, non tirarti indietro; anche se bisogna affrontare mille morti, soccombere per la fame e combattere contro la malattia.

Ora, a porre queste leggi non è forse l'avidità delle ricchezze? Sii petulante, impudente, sfrontato e audace, scellerato, ignobile, ingrato, insensibile, incapace di avere un amico e di riappacificarsi con gli altri, senza affetto, parricida, insomma una bestia più che un uomo. Supera in crudeltà il serpente più velenoso e il lupo più vorace; supera la ferinità di simili nature: non tirarti indietro se è necessario giungere a essere crudele come il diavolo; dimentica i benefici ricevuti. Forse che l'avidità delle ricchezze non ti dice e non ti fa ascoltare queste cose? Completamente diversi sono invece i precetti di Dio. Infatti egli ti dice: Sii amico di tutti, mite, amato da tutti; non offendere nessuno temerariamente; onora tuo padre e tua madre; godi di una buona reputazione; non essere uomo, ma angelo; non dire nulla né di offensivo né di falso, anzi non pensarlo neppure; dona il tuo aiuto a quanti ne hanno bisogno; non impegolarti in affari che comportano indebite sottrazioni di beni altrui; non essere né oltraggioso né audace.

Eppure nessuno ascolta questi precetti divini! E allora? Non è giusto che si parli di geenna, di fuoco eterno e di vermi che non moriranno mai? Fino a quando noi ci spingeremo verso i profondi precipizi infernali? Fino a quando continueremo a camminare tra le spine? Fino a quando sopporteremo la tortura di simili chiodi e, nel contempo, ce ne mostreremo irrazionalmente grati? Noi siamo schiavi di feroci tiranni e respingiamo Dio che è benevolo con noi, che non ci




Crisostomo - PRIMA TIMOTEO 17