CODICE DI DIRITTO CANONICO



CODICE DI DIRITTO CANONICO


Auctoritatae Ioannis Pauli PP. II Promulgatus

Datum Romae, die xxv Ianuarii, anno MCMLXXXIII



LIBRO I: NORME GENERALI

1 I canoni di questo Codice riguardano la sola Chiesa latina.


2 Il Codice il più delle volte non definisce i riti, che sono da osservare nel celebrare le azioni liturgiche; di conseguenza le leggi liturgiche finora vigenti mantengono il loro vigore, a meno che qualcuna di esse non sia contraria ai canoni del Codice.


3 I canoni del Codice non abrogano le convenzioni stipulate dalla Sede Apostolica con nazioni o con le altre società politiche né ad esse derogano; le medesime perciò continuano ad essere in vigore come al presente, non opponendosi in alcun modo le disposizioni contrarie di questo Codice.


4 I diritti acquisiti, e parimenti i privilegi che, concessi dalla Sede Apostolica fino al presente alle persone sia fisiche sia giuridiche, sono in uso e non revocati, permangono integri, a meno che siano espressamente revocati dai canoni di questo Codice.



5 § 1. Le consuetudini sia universali sia particolari vigenti al presente contro le disposizioni di questi canoni, che sono riprovate dagli stessi canoni di questo Codice, sono soppresse del tutto, né siano lasciate rivivere in futuro; anche le rimanenti si ritengano soppresse, a meno che non sia disposto espressamente altro dal Codice oppure siano centenarie o immemorabili; queste appunto, se a giudizio dell'Ordinario non possono essere rimosse a causa di circostanze di luoghi e di persone, possono essere tollerate.

§ 2. Le consuetudini fuori del diritto finora vigenti, sia universali sia particolari, sono conservate.


6 § 1. Entrando in vigore questo Codice, sono abrogati:

1° il Codice di Diritto Canonico promulgato nell'anno 1917;

2° anche le altre leggi, sia universali sia particolari, contrarie alle disposizioni di questo Codice, a meno che non sia disposto espressamente altro circa quelle particolari;

3° qualsiasi legge penale, sia universale sia particolare emanata dalla Sede Apostolica, a meno che non sia ripresa in questo stesso Codice;

4° cosi pure tutte le altre leggi disciplinari universali riguardanti materia, che viene ordinata integralmente da questo Codice;

§ 2. I canoni di questo Codice, nella misura in cui riportano il diritto antico, sono da valutarsi tenuto conto della tradizione canonica.


Titolo I Le leggi ecclesiastiche

7 La legge è istituita quando è promulgata.


8 § 1. Le leggi ecclesiastiche universali sono promulgate con l'edizione nella gazzetta ufficiale degli Acta Apostolicae Sedis, a meno che in casi particolari non sia stato stabilito un modo diverso di promulgare; ed entrano in vigore soltanto compiuti tre mesi dal giorno apposto al numero degli Acta, a meno che non obblighino immediatamente per la natura delle cose oppure nella stessa legge sia stata stabilita in modo speciale ed espressamente una più breve o una più lunga vacanza.

§ 2. Le leggi particolari sono promulgate nel modo determinato dal legislatore e cominciano a obbligare dopo un mese dal giorno della promulgazione, a meno che nella stessa legge non sia stabilito un termine diverso.


9 Le leggi riguardano le cose future, non le cose passate, a meno che non si disponga nominativamente in esse delle cose passate.


10 Sono da ritenersi irritanti o inabilitanti solo quelle leggi, con le quali si stabilisce espressamente che l'atto è nullo o la persona è inabile.


11 Alle leggi puramente ecclesiastiche sono tenuti i battezzati nella Chiesa cattolica o in essa accolti, e che godono di sufficiente uso di ragione e, a meno che non sia disposto espressamente altro dal diritto, hanno compiuto il settimo anno di età.


12 § 1. Alle leggi universali sono tenuti dovunque tutti coloro per i quali sono state date.

§ 2. Dalle leggi universali invece, che non sono in vigore in un determinato territorio, sono esenti tutti quelli che si trovano attualmente in tale territorio.

§ 3. Alle leggi fatte per un territorio peculiare sono sottoposti coloro per i quali sono state date e che in esso hanno il domicilio o il quasi-domicilio e insieme attualmente vi dimorano, fermo restando il disposto del can. 13.


13 § 1. Le leggi particolari non si presumono personali, ma territoriali, se non consta altrimenti.

§ 2. I forestieri non sono obbligati:

1° alle leggi particolari del loro territorio fino a quando ne sono assenti, a meno che o la loro trasgressione rechi danno nel proprio territorio, o le leggi siano personali;

2° e neppure alle leggi del territorio in cui si trovano, eccetto quelle che provvedono all'ordine pubblico, o determinano le formalità degli atti, o riguardano gli immobili situati nel territorio.

§ 3. I girovaghi sono obbligati alle leggi, sia universali sia particolari, che sono in vigore nel luogo in cui si trovano.


14 Le leggi, anche irritanti o inabilitanti, nel dubbio di diritto non urgono; nel dubbio di fatto invece gli Ordinari possono dispensare da esse, purché, se si tratta di dispensa riservata, venga solitamente concessa dall'autorità cui è riservata.


15 § 1. L'ignoranza o l'errore circa le leggi irritanti e inabilitanti non impediscono l'effetto delle medesime, a meno che non sia stabilito espressamente altro.

§ 2. L'ignoranza o l'errore circa la legge o la pena oppure su un fatto personale o intorno a un fatto notorio di altri non si presumono; circa un fatto non notorio di altri si presumono, finché non si provi il contrario.


16 § 1. Interpreta autenticamente le leggi il legislatore e colui al quale egli abbia concesso la potestà d'interpretarle autenticamente.

§ 2. l'interpretazione autentica presentata a modo di legge ha la medesima forza della legge e deve essere promulgata; e se soltanto dichiara le parole di per sé certe della legge, ha valore retroattivo; se restringe o estende la legge oppure chiarisce quella dubbia, non è retroattiva.

§ 3. L'interpretazione invece a modo di sentenza giudiziale o di atto amministrativo in cosa peculiare, non ha forza di legge e obbliga soltanto le persone e dispone delle cose per cui è stata data.


17 Le leggi ecclesiastiche sono da intendersi secondo il significato proprio delle parole considerato nel testo e nel contesto; che se rimanessero dubbie e oscure, si deve ricorrere ai luoghi paralleli, se ce ne sono, al fine e alle circostanze della legge e all'intendimento del legislatore.


18 Le leggi che stabiliscono una pena, o che restringono il libero esercizio dei diritti, o che contengono un'eccezione alla legge, sono sottoposte a interpretazione stretta.


19 Se una determinata materia manca una espressa disposizione di legge sia universale sia particolare o una consuetudine, la causa, se non è penale, è da dirimersi tenute presenti le leggi date per casi simili, i principi generali del diritto applicati con equità canonica, la giurisprudenza e la prassi della Curia Romana, il modo di sentire comune e costante dei giuristi.


20 La legge posteriore abroga la precedente o deroga alla medesima, se lo indica espressamente, o è direttamente contraria a quella , oppure riordina integralmente tutta quanta la materia della legge precedente; la legge universale pero non deroga affatto al diritto particolare o speciale, a meno che non sia disposto espressamente altro dal diritto.


21 Nel dubbio la revoca della legge preesistente non si presume, ma le leggi posteriori devono essere ricondotte alle precedenti e con queste conciliate, per quanto è possibile.


22 Le leggi civili alle quali il diritto della Chiesa rimanda, vengono osservate nel diritto canonico con i medesimi effetti, in quanto non siano contrarie al diritto divino e se il diritto canonico non dispone altrimenti.


Titolo II La consuetudine

23 Ha forza di legge soltanto quella consuetudine, introdotta dalla comunità dei fedeli, che sia stata approvata dal legislatore, a norma dei canoni che seguono.


24 § 1. nessuna consuetudine, che sia contraria al diritto divino, può ottenere forza di legge.

§ 2. Né può ottenere forza di legge la consuetudine contro o fuori del diritto canonico, che non sia razionale; ora la consuetudine che è espressamente riprovata nel diritto, non è razionale.


25 Nessuna consuetudine ottiene forza di legge, se non sarà stata osservata da una comunità capace almeno di ricevere una legge, con l'intenzione di introdurre un diritto.


26 A meno che non sia stata approvata in modo speciale dal legislatore competente, una consuetudine contraria al diritto canonico vigente o che è al di fuori della legge canonica, ottiene forza di legge soltanto, se sarà stata osservata legittimamente per trenta anni continui e completi; ma contro una legge canonica che contenga la clausola che proibisce le consuetudini future, può prevalere la sola consuetudine centenaria o immemorabile.


27 La consuetudine è ottima interprete delle leggi.


28 Fermo restando il disposto del can. 5, la consuetudine, sia contro sia al di fuori della legge, è revocata per mezzo di una consuetudine o di una legge contraria; ma, se non se ne fa espressa menzione, la legge non revoca le consuetudini centenarie o immemorabili, né la legge universale revoca le consuetudini particolari.


Titolo III Decreti generali e istruzioni

29 I decreti generali, con i quali dal legislatore competente vengono date disposizioni comuni per una comunità capace di ricevere una legge, sono propriamente leggi e sono retti dalle disposizioni dei canoni sulle leggi.


30 Chi gode soltanto della potestà esecutiva non può validamente emanare il decreto generale, di cui al can. 29, a meno che in casi particolari a norma del diritto ciò non gli sia stato espressamente concesso dal legislatore competente, e adempiute le condizioni stabilite nell'atto della concessione


31 § 1. Possono dare i decreti generali esecutivi, con cui sono appunto determinati più precisamente i modi da osservarsi nell'applicare la legge o con cui si urge l'osservanza delle leggi, coloro che godono della potestà esecutiva, entro i limiti della loro competenza.

§ 2. Per ciò che attiene alla promulgazione e alla vacanza dei decreti di cui al § 1, si osservino le disposizioni del can. 8.


32 I decreti generali esecutivi obbligano coloro che sono tenuti alle leggi delle quali i decreti stessi determinano i modi di applicazione o urgono l'osservanza.


33 § 1. I decreti generali esecutivi, anche se sono pubblicati nei direttori o in documenti di altro nome, non derogano alle leggi, e le loro disposizioni che siano contrarie alle leggi, sono prive di ogni vigore.

§ 2. I medesimi decreti cessano d'avere vigore per revoca esplicita fatta dall'autorità competente, e altresì cessando la legge per la cui esecuzione furono dati; non cessano però venuto meno il diritto di colui che li stabilisce, eccetto che non sia disposto espressamente il contrario.


34 § 1. Le istruzioni, che propriamente rendono chiare le disposizioni delle leggi e sviluppano e determinano i procedimenti nell'eseguirle, sono date a uso di quelli il cui compito è curare che le leggi siano mandate ad esecuzione e li obbligano nell'esecuzione stessa delle leggi; le pubblicano legittimamente, entro i limiti della loro competenza, coloro che godono della potestà esecutiva.

§ 2. I dispositivi delle istruzioni non derogano alle leggi, e se qualcuno non può accordarsi con le disposizioni delle leggi, è privo di ogni vigore.

§ 3. Le istruzioni cessano di avere vigore non soltanto con la revoca esplicita o implicita dell'autorità competente, che le pubblico, o del suo superiore, ma anche cessando la legge per chiarire o per mandare ad esecuzione la quale furono date.


Titolo IV: Gli atti amministrativi singolari

Capitolo I NORME COMUNI


35 L'atto amministrativo singolare, si tratti di un decreto o di un precetto oppure si tratti di un rescritto, può essere prodotto, entro i limiti della sua competenza, da colui che gode di potestà esecutiva, fermo restando il disposto del can. 76, § 1.


36 § 1. L'atto amministrativo è da intendersi secondo il significato proprio delle parole e l'uso comune del parlare; nel dubbio, gli atti che si riferiscono alle liti o che riguardano le pene da comminare o da infliggere, oppure restringono i diritti della persona, o che ledono i diritti acquisiti, o che sono contrari a una legge a vantaggio dei privati, sono sottoposti a interpretazione stretta; tutti gli altri a interpretazione larga.

§ 2. Un atto amministrativo non deve essere esteso ad altri casi al di fuori di quelli espressi.


37 L'atto amministrativo, che riguarda il foro esterno, si deve consegnare per iscritto; cosi pure il relativo atto di esecuzione, se viene fatto in forma commissoria.


38 L'atto amministrativo, anche se si tratta di un rescritto dato Motu proprio, è privo di effetto nella misura in cui lede un diritto acquisito oppure è contrario a una legge o a una consuetudine approvata, a meno che l'autorità competente non abbia aggiunto espressamente una clausola derogatoria.


39 Le condizioni nell'atto amministrativo allora soltanto si reputano aggiunte per la validità, quando sono espresse per mezzo delle particelle si, nisi, dummodo.


40 L'esecutore di un atto amministrativo espleta invalidamente il suo incarico, prima di aver ricevuto la lettera e di averne controllato e l'integrità, a meno che non ne sia stata a lui trasmessa previamente la notizia per autorità di colui che ha emesso l'atto.


41 L'esecutore dell'atto amministrativo cui viene affidato il semplice compito dell'esecuzione, non può negare l'esecuzione di tale atto, a meno che non appaia manifestamente che l'atto medesimo è nullo o per altra grave causa non può essere sostenuto, oppure che le condizioni apposte nello stesso atto amministrativo non furono adempiute; se tuttavia l'esecuzione dell'atto amministrativo sembri inopportuna a motivo delle circostanze di persona o di luogo, l'esecutore interrompa l'esecuzione; ma in questi casi ne informi immediatamente l'autorità che ha emesso l'atto.


42 L'esecutore dell'atto amministrativo deve procedere a norma del mandato; se però non avrà adempiuto le condizioni essenziali apposte nella lettera e non avrà osservato la procedura sostanziale, l'esecuzione è invalida.


43 L'esecutore dell'atto amministrativo può farsi sostituire da un altro a suo prudente arbitrio, a meno che la sostituzione non sia stata proibita, o non sia stata scelta l'abilità specifica della persona, o non sia stata prestabilita la persona del sostituto; in questi casi però è lecito all'esecutore affidare ad un altro gli atti preparatori.


44 L'atto amministrativo può essere mandato ad esecuzione anche dal successore nell'ufficio dell'esecutore, a meno che non sia stata scelta l'abilità specifica della persona.


45 E' lecito all'esecutore, se ha errato in qualche modo nell'esecuzione dell'atto amministrativo, mandarlo di nuovo ad esecuzione.


46 L'atto amministrativo non cessa venuto meno il diritto di colui che lo stabilisce, eccetto che non sia disposto espressamente altro dal diritto.


47 La revoca dell'atto amministrativo per mezzo di un altro atto amministrativo dell'autorità competente ottiene effetto unicamente dal momento in cui viene legittimamente notificato alla persona per la quale è stato dato.

Capitolo II I DECRETI E I PRECETTI SINGOLARI


48 Per decreto singolare s'intende un atto amministrativo emesso dalla competente autorità esecutiva, mediante il quale secondo le norme del diritto è data per un caso particolare una decisione o viene fatta una provvisione, le quali per loro natura non suppongono una petizione fatta da qualcuno.



49 Il precetto singolare è un decreto mediante il quale s'impone direttamente e legittimamente a una persona o a persone determinate qualcosa da fare o da omettere, specialmente per urgere l'osservanza di una legge.


50 Prima di fare un decreto singolare, l'autorità ricerchi le notizie e le prove necessarie, e, per quanto è possibile, ascolti coloro i cui diritti possono essere legge.


51 Il decreto si dia per iscritto esponendo, almeno sommariamente, le motivazioni, se si tratta di una decisione.


52 Il decreto singolare ha forza obbligante soltanto circa le cose sulle quali dispone e per le persone cui è dato; queste però le obbliga dovunque, se non consta altro


53 Se i decreti sono tra di loro contrari, quello peculiare, nelle cose che vengono espresse in modo peculiare, prevale su quello generale; se sono ugualmente peculiari o generali, quello successivo nel tempo abroga il precedente, nella misura in cui gli è contrario.


54 § 1. Il decreto singolare, la cui applicazione viene affidata all'esecutore, ha effetto dal momento dell'esecuzione; in caso contrario dal momento in cui viene intimato alla persona per autorità di colui che emette il decreto.

§2. Il decreto singolare, per poterne urgere l'osservanza, deve essere intimato con un legittimo documento a norma del diritto.


55 Fermo restando il disposto dei cann. 37 e 51, quando una gravissima ragione si frapponga alla consegna del testo scritto del decreto, il decreto si ritiene intimato se viene letto alla persona cui è destinato di fronte a un notaio o a due testimoni, con la redazione degli atti, da sottoscriversi da tutti i presenti.


56 Il decreto si ritiene intimato, se colui al quale è destinato, chiamato nel dovuto modo a ricevere o ad udire il decreto, senza giusta causa non compare o ricuso di sottoscrivere.


57 § 1. Tutte le volte che la legge impone di dare un decreto oppure da parte dell'interessato viene legittimamente proposta una petizione o un ricorso per ottenere il decreto, l'autorità competente provveda entro tre mesi dalla ricezione della petizione o del ricorso, a meno che la legge non disponga un termine diverso.

§ 2. Trascorso questo termine, se il decreto non fu ancora dato, la risposta si presume negativa, per ciò che si riferisce alla proposta di un ulteriore ricorso.

§ 3. La presunta risposta negativa non esime la competente autorità dall'obbligo di dare il decreto, e anzi di riparare il danno eventualmente causato, a norma del can. 128.


58 § 1. Il decreto singolare cessa di avere vigore con la revoca legittima da parte dell'autorità competente e altresì cessando la legge per la cui esecuzione fu dato.

§ 2. Il precetto singolare, non imposto con legittimo documento, cessa venuto meno il diritto di colui che lo ha dato.

Capitolo III I RESCRITTI


59 § 1. Per rescritto s'intende l'atto amministrativo dato per iscritto dalla competente autorità esecutiva, per mezzo del quale di sua stessa natura, su petizione di qualcuno, viene concesso un privilegio, una dispensa o un'altra grazia.

§ 2. Le disposizioni che sono stabilite sui rescritti, valgono anche per la concezione della licenza, come pure per le concezioni di grazie fatte a viva voce, se non consta altrimenti.


60 Qualsiasi rescritto può essere richiesto da tutti coloro ai quali non è proibito espressamente di farlo.


61 Se non costa altrimenti, un rescritto può essere richiesto a favore di altra persona, anche prescindendo dal suo assenso, e ha valore prima dell'accettazione da parte del medesimo , salvo clausole contrarie.


62 Il rescritto in cui non viene assegnato alcun esecutore, ha effetto dal momento in cui è firmata la lettera; gli altri, dal momento dell'esecuzione.


63 § 1. Alla validità del rescritto si oppone la surrezione o reticenza del vero, se nelle richieste non furono espresse quelle cose che secondo la legge, lo stile e la prassi canonica sono da esprimersi per la validità, a meno che non si tratti di un rescritto di grazia che sia stato dato Motu proprio.

§ 2. Parimenti si oppone alla validità del rescritto l'orrezione o esposizione del falso, se neppure una delle cause motivanti proposte è vera.

§ 3. La causa motivante, nei rescritti nei quali non c'è alcun esecutore, è necessario che sia vera al tempo in cui il rescritto fu dato; negli altri al tempo dell'esecuzione.


64 Salvo il diritto della Penitenzieria per il foro interno, una grazia negata da qualsiasi dicastero della Curia Romana, non può essere validamente concessa da un altro dicastero della medesima Curia o da un'altra competente autorità al di sotto del Romano Pontefice, senza l'assenso del dicastero con cui si inizio a trattare.


65 § 1. Salve le disposizioni dei §§ 2 e 3, nessuno richieda a un altro Ordinario una grazia negata dal proprio Ordinario, se non fatta menzione del diniego; fatta però menzione, l'Ordinario non conceda la grazia, senza aver avuto i motivi del diniego dell'Ordinario precedente.

§2. Una grazia negata dal Vicario generale o dal Vicario episcopale, non può essere concessa validamente da un altro Vicario dello stesso Vescovo, anche avuti i motivi del diniego da parte del Vicario che ha negato la grazia.

§ 3. Una grazia negata dal Vicario generale o dal Vicario episcopale e in seguito, senza aver fatto alcuna menzione di tale diniego, richiesta al Vescovo diocesano, è invalida; una grazia negata però dal Vescovo diocesano non può essere validamente richiesta, anche fatta menzione del diniego, al suo Vicario generale o al Vicario episcopale, senza il consenso del vescovo.


66 Un rescritto non diventa invalido a causa di errore nel nome della persona cui viene dato o da cui è emesso, oppure del luogo in cui essa stessa risiede, o della cosa di cui si tratta, purché, a giudizio dell'Ordinario, non ci sia alcun dubbio circa la persona stessa o la cosa.


67 § 1. Se accadesse che su una medesima cosa vengano richiesti due rescritti fra di loro contrari, quello peculiare, nelle cose che sono espresse in modo peculiare, prevale su quello generale.

§ 2. Se fossero ugualmente peculiari o generali, il precedente nel tempo prevale su quello posteriore, a meno che nel secondo non si faccia espressa menzione del precedente, oppure se il primo richiedente non abbia fatto uso del suo rescritto per dolo o per notevole negligenza.

§. 3. Nel dubbio se il rescritto sia invalido o no, si ricorra a colui che ha dato il rescritto.


68 Un rescritto della Sede Apostolica in cui non viene assegnato alcun esecutore, allora soltanto deve essere presentato all'Ordinario del richiedente, quando ciò sia ingiunto nella lettera medesima, oppure si tratti di cose pubbliche, o si renda necessario comprovare le condizioni.


69 Il rescritto, per la cui presentazione non è definito alcun tempo, può essere esibito all'esecutore in qualsiasi momento, purché non ci siano frode e dolo.


70 Se nel rescritto la stessa concessione fosse commessa all'esecutore, spetta a lui secondo il suo prudente arbitrio e la sua coscienza concedere o negare la grazia.


71 Nessuno è tenuto a usare un rescritto concesso solamente in suo favore, a meno che per altro titolo a ciò non sia tenuto da obbligo canonico.


72 I rescritti concessi dalla Sede Apostolica, che sono scaduti, possono essere prorogati una sola volta per giusta causa da parte del Vescovo diocesano, tuttavia non oltre tre mesi.


73 Nessun rescritto è revocato a causa di una legge contraria, a meno che la legge stessa non disponga altrimenti.


74 Benché una persona possa usare in foro interno di una grazia concessale oralmente, è tenuta a provarla per foro esterno, ogniqualvolta ciò le sia legittimamente richiesto.


75 Se il rescritto contiene un privilegio o una dispensa, si osservino inoltre le disposizioni dei canoni che seguono.

Capitolo IV - I PRIVILEGI


76 § 1. Il privilegio, ossia una grazia in favore di determinate persone, sia fisiche sia giuridiche, accordata per mezzo di un atto peculiare, può essere concesso dal legislatore come pure dall'autorità esecutiva cui il legislatore abbia conferito tale potestà.

§. 2. Il possesso centenerio o immemorabile induce la presunzione che il privilegio sia stato concesso.


77 Il privilegio è da interpretarsi a norma del can. 36, § 1; ma ci si deve sempre servire di una interpretazione tale per cui i dotati di privilegio abbiano a conseguire davvero una qualche grazia.


78 § 1. Il privilegio si presume perpetuo, se non si prova il contrario.

§ 2. Il privilegio personale, cioè quello che segue la persona, si estingue con essa.

§ 3. Il privilegio reale cessa con la distruzione totale della cosa o del luogo; il privilegio locale però rivive, se il luogo viene ricostituito entro cinquanta anni.


79 Il privilegio cessa per revoca da parte dell'autorità competente a norma del can. 47, fermo restando il disposto del can. 46.


80 § 1. Nessun privilegio cessa per rinuncia, a meno che questa non sia stata accettata dall'autorità competente.

§ 2. Qualsiasi persona fisica può rinunciare al privilegio concesso solamente in proprio favore.

§ 3. Le persone singole non possono rinunciare al privilegio concesso a una persona giuridica, o in ragione della dignità del luogo o della cosa; né alla stessa persona giuridica è lecito rinunciare a un privilegio a lei concesso, se la rinuncia torni a pregiudizio della Chiesa o di altri.


81 Venuto meno il diritto del concedente, il privilegio non si estingue, a meno che non sia stato dato con la clausola ad beneplacitum nostrum o con altra equipollente.


82 Per non uso o per uso contrario un privilegio non oneroso ad altri non cessa; quello invece che ritorna a gravame di altri, si perde, se si aggiunge la legittima prescrizione.


83 § 1. Il privilegio cessa passato il tempo o esaurito il numero dei casi per i quali fu concesso, fermo restando il disposto del can. 142, § 2.

§ 2. Cessa pure, se con il progredire del tempo le circostanze, a giudizio dell'autorità competente, sono talmente cambiate, che sia risultato nocivo o il suo uso divenga illecito.


84 Chi abusa della potestà datagli per privilegio, merita essere privato del privilegio stesso; di conseguenza, l'Ordinario, ammonito invano il privilegiato, privi chi gravemente ne abusa, del privilegio che egli stesso ha concesso; che se il privilegio fu concesso dalla Sede Apostolica, l'Ordinario è tenuto a informarla.

Capitolo V LE DISPENSE


85 La dispensa, ossia l'esonero dell'osservanza di una legge puramente ecclesiastica in un caso particolare, può essere concessa da quelli che godono di potestà esecutiva, entro i limiti della loro competenza, e altresì da quelli cui compete la potestà di dispensare esplicitamente o implicitamente sia per lo stesso diritto sia in forza di una legittima delega.


86 Non sono suscettibili di dispensa le leggi in quanto definiscono quelle cose, che sono essenzialmente costitutive degli istituti o degli atti giuridici.


87 § 1. Il Vescovo diocesano può dispensare validamente i fedeli, ogniqualvolta egli giudichi che ciò giovi al loro bene spirituale, dalle leggi disciplinari sia universali sia particolari date dalla suprema autorità della Chiesa per il suo territorio o per i suoi sudditi, tuttavia non dalle leggi processuali o penali, né da quelle la cui dispensa è riservata in modo speciale alla Sede Apostolica o ad un'altra autorità.

§ 2. Quando sia difficile il ricorso alla santa Sede e insieme nell'attesa vi sia pericolo di grave danno, qualunque Ordinario può dispensare validamente dalle medesime leggi, anche se la dispensa è riservata alla Santa Sede, purché si tratti di una dispensa che la stessa Santa Sede nelle medesime circostanze solitamente concede, fermo restando il disposto del can. 291.


88 L'Ordinario del luogo può dispensare validamente dalle leggi diocesane, e, tutte le volte egli giudichi che ciò giovi al bene dei fedeli, dalle leggi date dal Concilio plenario o provinciale oppure dalla Conferenza Episcopale.


89 Il parroco e gli altri presbiteri o diaconi non possono dispensare validamente da una legge universale e da una particolare, a meno che tale potestà non sia stata loro espressamente concessa.


90 § 1. Non si dispensi dalla legge ecclesiastica senza giusta e ragionevole causa, tenuto conto delle circostanze del caso e della gravità della legge dalla quale si dispensa; altrimenti la dispensa è illecita e, se non fu data dal legislatore stesso o dal suo superiore, è anche invalida.

§ 2. Nel dubbio sulla sufficienza della causa la dispensa è concessa validamente e lecitamente.


91 Chi gode della potestà di dispensare la può esercitare validamente anche stando fuori del territorio, verso i sudditi, benché assenti dal territorio, e, se non è stabilito espressamente il contrario, anche verso i forestieri che si trovano attualmente nel territorio, e altresì verso se stesso.


92 E' sottoposta a interpretazione stretta non solo la dispensa a norma del can. 36, § 1, ma la stessa potestà di dispensare concessa per un caso determinato.


93 La dispensa che ha tratti successivi cessa nei medesimi modi del privilegio, e inoltre per la sicura e totale cessazione della causa motivante.


Titolo V Gli statuti e gli ordinamenti


94 § 1. Gli statuti , in senso proprio, sono regolamenti che vengono composti a norma del diritto negli insiemi sia di persone sia di cose, e per mezzo dei quali sono definiti il fine dei medesimi, la loro costituzione, il governo e i modi di agire.

§ 2. Agli statuti di un insieme di persone sono obbligate le sole persone che ne sono legittimamente membri; agli statuti di un insieme di cose, quelli che ne curano la conduzione.

§ 3. Le disposizioni degli statuti, fatte e promulgate in forza della potestà legislativa, sono rette dalle disposizioni dei canoni sulle leggi.


95 § 1. Gli ordinamenti sono regole o norme che devono essere osservate nei convegni di persone, sia indetti dall'autorità ecclesiastica sia liberamente convocati dai fedeli, come pure in altre celebrazioni, e per mezzo dei quali viene definito ciò che si riferisce alla costituzione, alla conduzione e ai modi di agire.

§ 2. Nei convegni o nelle celebrazioni, sono tenuti alle regole dell'ordinamento quelli che vi partecipano.


Titolo VI Le persone fisiche e giuridiche

Capitolo I LA CONDIZIONE CANONICA DELLE PERSONE FISICHE


96 Mediante il battesimo l'uomo è incorporato alla Chiesa di Cristo e in essa è costituito persona, con i doveri e i diritti che ai cristiani, tenuta presente la loro condizione, sono propri, in quanto sono nella comunione ecclesiale e purché non si frapponga una sanzione legittimamente inflitta.


97 § 1. La persona che ha compiuto diciotto anni, è maggiorenne; sotto tale età, è minorenne.

§ 2. Il minorenne, prima dei sette anni compiuti, viene detto bambino e lo si considera non responsabile dei suoi atti, compiuti però i sette anni, si presume che abbia l'uso di ragione.


98 § 1. La persona maggiorenne ha il pieno esercizio dei suoi diritti.

§ 2. La persona minorenne nell'esercizio dei suoi diritti rimane sottoposta alla potestà dei genitori o dei tutori, eccetto per quelle cose nelle quali i minorenni sono esenti dalla loro potestà per legge divina o per diritto canonico; per ciò che attiene alla costituzione dei tutori e alla loro potestà, si osservino le disposizioni del diritto civile, a meno che non si disponga altro dal diritto canonico, o il Vescovo diocesano in casi determinati abbia per giusta causa stimato doversi provvedere con la nomina di un altro tutore.


99 Chiunque manca abitualmente dell'uso di ragione, lo si considera non responsabile dei suoi atti ed è assimilato ai bambini.


100 La persona viene detta: abitante , nel luogo in cui è il suo domicilio; dimorante, nel luogo in cui ha il quasi-domicilio; forestiero, se si trova fuori del domicilio e del quasi-domicilio che ancora ritiene; girovago, se non ha in alcun luogo il domicilio o il quasi-domicilio.


101 § 1. Il luogo di origine del figlio, anche neofita, è quello in cui, quando il figlio è nato, i genitori avevano il domicilio o, mancando questo, il quasi-domicilio, oppure, se i genitori non avevano il medesimo domicilio o quasi-domicilio, l'aveva la madre.

§ 2. Se si tratta di un figlio di girovaghi, il luogo di origine è il luogo stesso della nascita; se di un esposto, è il luogo in cui fu trovato.


102 § 1. Il domicilio si acquista con la dimora nel territorio di qualche parrocchia o almeno di una diocesi, tale che o sia congiunta con l'intenzione di rimanervi in perpetuo se nulla lo allontani da quel luogo, o sia protratta per cinque anni completi.

§ 2. Il quasi-domicilio si acquista con la dimora nel territorio di qualche parrocchia o almeno di una diocesi, tale che o sia congiunta con l'intenzione di rimanervi almeno per tre mesi se nulla lo allontani da quel luogo, o sia protratta effettivamente per tre mesi.

§ 3. Il domicilio o il quasi-domicilio nel territorio di una parrocchia è detto parrocchiale; nel territorio di una diocesi, anche se non in una parrocchia, diocesano.


103 I membri degli istituti religiosi e delle società di vita apostolica acquistano il domicilio nel luogo dove è situata la casa cui sono ascritti; il quasi-domicilio, nella casa in cui, a norma del can. 102, § 2. dimorano.


104 I coniugi abbiano in comune il domicilio o il quasi-domicilio; a motivo di legittima separazione o per altra giusta causa, entrambi possono avere un proprio domicilio o quasi-domicilio.


105 § 1. Il minorenne ritiene necessariamente il domicilio e il quasi-domicilio di colui, alla cui potestà è soggetto. Uscito dall'infanzia può acquistare anche un proprio quasi-domicilio; e legittimamente emancipato a norma del diritto civile, anche un domicilio proprio.

§ 2. Chiunque per una ragione diversa dalla minore età è stato affidato legittimamente in tutela o in curatela di un altro, ha il domicilio e il quasi-domicilio del tutore o del curatore.


106 Il domicilio e il quasi-domicilio si perdono con la partenza dal luogo con intenzione di non tornare, salvo il disposto del can. 105.


107 § 1. A ciascuno sia per il domicilio sia per il quasi-domicilio tocca il parroco e l'Ordinario proprio.

§ 2. Il parroco o l'Ordinario proprio del girovago è il parroco o l'Ordinario del luogo in cui il girovago dimora attualmente.

§ 3. Il parroco proprio di colui che non ha se non il domicilio o il quasi-domicilio diocesano, è il parroco del luogo in cui attualmente dimora.


108 § 1. La consanguineità si computa per linee e per gradi.

§ 2. Nella linea retta tanti sono i gradi quante le generazioni, ossia quante le persone, tolto il capostipite.

§ 3. Nella linea obliqua tanti sono i gradi quante le persone in tutte e due le linee insieme, tolto il capostipite.


109 § 1. L'affinità sorge dal matrimonio valido, anche se non consumato, e sussiste tra il marito e i consanguinei della moglie, e parimenti tra la moglie e i consanguinei del marito.

§ 2. Si computa in maniera tale che coloro che sono consanguinei del marito, siano affini della moglie nella medesima linea e grado, e viceversa.


110 I figli, che sono stati adottati a norma della legge civile, sono ritenuti figli di colui o di coloro che li hanno adottati.


111 § 1. Con la ricezione del battesimo è ascritto alla Chiesa latina il figlio dei genitori, che ad essa appartengono o, se uno dei due non appartiene ad essa, ambedue i genitori di comune accordo abbiano optato che la prole fosse battezzata nella Chiesa latina; che se manca il comune accordo, è ascritto alla Chiesa rituale, cui appartiene il padre.

§ 2. Qualsiasi battezzato che abbia compiuto quattordici anni di età, può liberamente scegliere di essere battezzato nella Chiesa latina o in un'altra Chiesa rituale di diritto proprio; nel qual caso, egli appartiene a quella Chiesa che avrà scelto.


112 § 1. Dopo aver ricevuto il battesimo, sono ascritti a un'altra Chiesa rituale di diritto proprio:

1° chi ne abbia ottenuto la licenza da parte della Sede Apostolica;

2° il coniuge che, nel celebrare il matrimonio o durante il medesimo, abbia dichiarato di voler passare alla Chiesa rituale di diritto proprio dell'altro coniuge; sciolto però il matrimonio, può ritornare liberamente alla Chiesa latina;

3° i figli di quelli, di cui ai nn. 1 e 2, prima del compimento dei quattordici anni di età e parimenti, nel matrimonio misto, i figli di parte cattolica, che sia passata legittimamente a un'altra Chiesa rituale; raggiunta però questa età, i medesimi possano ritornare alla Chiesa latina.

§ 2. L'usanza, anche se a lungo protratta, di ricevere i sacramenti secondo il rito di una Chiesa rituale di diritto proprio, non comporta l'ascrizione alla medesima Chiesa.


CODICE DI DIRITTO CANONICO