CODICE DI DIRITTO CANONICO 555

Capitolo VIII I RETTORI DELLE CHIESE E I CAPPELLANI


Art. 1 I rettori delle chiese


556 In questo contesto col nome di rettore di una chiesa si intende il sacerdote al quale è demandata la cura di una chiesa che non è né parrocchiale, né capitolare, né annessa alla casa di una comunità religiosa o di una società di vita apostolica che vi celebrino le proprie funzioni.


557 § 1 Il rettore di una chiesa viene nominato liberamente dal Vescovo diocesano, a meno che a qualcuno non competa legittimamente il diritto di elezione o di presentazione; in tal caso spetta al Vescovo diocesano confermare o istituire il rettore.

§ 2. Anche se la chiesa appartiene ad un istituto clericale religioso di diritto pontificio, spetta al Vescovo diocesano istituire il rettore presentato dal Superiore.

§ 3. Il rettore di una chiesa che sia unita al seminario o ad un collegio retto da chierici, è il rettore del seminario o del collegio, a meno che il Vescovo diocesano non abbia stabilito altrimenti.


558 Salvo il can.262, non è lecito al rettore compiere nella chiesa affidatagli le funzioni parrocchiali di cui al can. 530, nn. 1-6, a meno che non ci sia il consenso del parroco oppure, se è il caso, la sua delega.


559 Nella chiesa affidatagli il rettore può compiere celebrazioni liturgiche anche solenni, salve le legittime leggi di fondazione e purché, a giudizio dell'Ordinario del luogo, non rechino danno in alcun modo al ministero parrocchiale.


560 Quando lo ritenga opportuno, l'Ordinario del luogo può ingiungere al rettore di celebrare nella sua chiesa determinate funzioni anche parrocchiali per il popolo e inoltre di aprire la chiesa a determinati gruppi di fedeli perché vi celebrino funzioni liturgiche.


561 Senza licenza del rettore o di un altro Superiore legittimo, a nessuno è lecito celebrare nella chiesa l'Eucarestia, amministrare i sacramenti o compiere altre funzioni sacre; licenza che deve essere data o negata a norma del diritto.


562 Il rettore di una chiesa, sotto l'autorità dell'Ordinario del luogo e osservando i legittimi statuti e i diritti acquisiti, è tenuto all'obbligo di vigilare che le funzioni sacre vengano celebrate nella chiesa con decoro, secondo le norme liturgiche e le disposizioni dei canoni, che gli oneri siano fedelmente adempiuti, che i beni siano amministrati diligentemente, che si provveda alla conservazione e al decoro della suppellettile sacra e degli edifici sacri, e che non vi avvenga nulla che sia in qualunque modo sconveniente alla santità del luogo e al rispetto dovuto alla casa di Dio.


563 L'Ordinario del luogo, per giusta causa, può rimuovere dall'ufficio, secondo la sua prudente decisione, il rettore di una chiesa, anche se è stato eletto o presentato da altri, fermo restando il disposto del can. 682, § 2.


Art. 2 I cappellani


564 Il cappellano è il sacerdote cui viene affidata in modo stabile la cura pastorale, almeno in parte, di una comunità o di un gruppo particolare di fedeli, e che deve essere esercitata a norma del diritto universale e particolare.


565 A meno che il diritto non preveda altro o a meno che a qualcuno non spettino legittimamente diritti speciali, il cappellano viene nominato dall'Ordinario del luogo, al quale pure compete istituire chi è stato presentato o confermare chi è stato eletto.


566 § 1. E' opportuno che il cappellano sia fornito di tutte le facoltà che richiede una ordinaria cura pastorale. Oltre a quelle che vengono concesse dal diritto particolare o da una delega speciale, il cappellano, in forza dell'ufficio, ha la facoltà di udire le confessioni dei fedeli affidati alle sue cure, di predicare loro la parola di Dio, di amministrare loro il Viatico e l'unzione degli infermi, nonché di conferire il sacramento della confermazione a chi tra loro versa in pericolo di morte.

§ 2. Negli ospedali, nelle carceri e nei viaggi in mare il cappellano ha inoltre la facoltà, esercitabile solo in tali luoghi, di assolvere dalle censure latae sententiae non riservate né dichiarate, fermo restando tuttavia il disposto del can. 976.


567 § 1. L'Ordinario del luogo non proceda alla nomina del cappellano di una casa di un istituto religioso laicale senza aver consultato il Superiore, il quale ha il diritto, sentita la comunità, di proporre qualche sacerdote.

§ 2. Spetta al cappellano celebrare o dirigere le funzioni liturgiche; non gli è lecito però ingerirsi nel governo interno dell'istituto.


568 Per quanto è possibile, siano costituiti dei cappellani per coloro che non possono usufruire, per la loro situazione di vita, della cura ordinaria dei parroci, come gli emigranti, gli esuli, i profughi, i nomadi i naviganti.


569 I cappellani militari sono retti da leggi speciali.


570 Se alla sede di una comunità o di un gruppo è annessa una chiesa non parrocchiale, il cappellano sia rettore della chiesa stessa, a meno che la cura della comunità o della chiesa non esiga altro.


571 Nell'esercizio del suo incarico pastorale, il cappellano mantenga il debito rapporto con il parroco.


572 Per quanto riguarda la rimozione del cappellano, si osservi il disposto del can. 563.


PARTE III

GLI ISTITUTI DI VITA CONSACRATA E LE SOCIETA' DI VITA APOSTOLICA

SEZIONE I

GLI ISTITUTI DI VITA CONSACRATA


Titolo I Norme comuni a tutti gli istituti di vita consacrata


573 § 1. La vita consacrata mediante la professione dei consigli evangelici è una forma stabile di vita con la quale i fedeli, seguendo Cristo più da vicino per l'azione dello Spirito Santo, si danno totalmente a Dio amato sopra ogni cosa. In tal modo, dedicandosi con nuovo e speciale titolo al suo onore, alla edificazione della Chiesa e alla salvezza del mondo, sono in grado di tendere alla perfezione della carità nel servizio del Regno di Dio e, divenuti nella Chiesa segno luminoso, preannunciano la gloria celeste.

§ 2. Negli istituti di vita consacrata, eretti canonicamente dalla competente autorità della Chiesa, una tale forma di vita viene liberamente assunta dai fedeli che mediante i voti, o altri vincoli sacri a seconda delle leggi proprie degli istituti, professano di volere osservare i consigli evangelici di castità, di povertà e di obbedienza e per mezzo della carità, alla quale i consigli stessi conducono, si congiungono in modo speciale alla Chiesa e al suo mistero.


574 § 1. Lo stato di coloro che professano i consigli evangelici in tali istituti appartiene alla vita e alla santità della Chiesa e deve perciò nella Chiesa essere sostenuto e promosso da tutti.

§ 2. A questo stato alcuni fedeli sono da Dio chiamati con speciale vocazione, per usufruire di un dono peculiare nella vita della Chiesa e, secondo il fine e lo spirito del proprio istituto, giovare alla sua missione di salvezza.


575 I consigli evangelici, fondati sull'insegnamento e sugli esempi di Cristo Maestro, sono un dono divino che la Chiesa ha ricevuto dal Signore e con la sua grazia sempre conserva.


576 Spetta alla competente autorità della Chiesa interpretare i consigli evangelici, regolarne la prassi con leggi, costituirne forme stabili di vita mediante l'approvazione canonica e parimenti, per quanto le compete, curare che gli istituti crescano e si sviluppino secondo lo spirito dei fondatori e le sane tradizioni.


577 Nella Chiesa sono moltissimi gli istituti di vita consacrata, che hanno differenti doni secondo la grazia che è stata loro concessa: essi infatti seguono più da vicino Cristo che prega, che annuncia il Regno di Dio, che fa del bene agli uomini o ne condivide la vita nel mondo, ma sempre compie la volontà del Padre.


578 L'intendimento e i progetti dei fondatori, sanciti dalla competente autorità della Chiesa, relativamente alla natura, al fine, allo spirito e all'indole dell'istituto, cosi come le sane tradizioni, cose che costituiscono il patrimonio dell'istituto, devono essere da tutti fedelmente custoditi.


579 I Vescovi diocesani possono, ciascuno nel proprio territorio, erigere con formale decreto istituti di vita consacrata, purché sia stata consultata la Sede Apostolica.


580 L'aggregazione di un istituto di vita consacrata ad un altro è riservata all'autorità competente dell'istituto aggregante, salva sempre l'autonomia canonica dell'istituto aggregato.


581 Spetta all'autorità competente dell'istituto a norma delle costituzioni dividere l'istituto stesso in parti, con qualunque nome designate, erigerne di nuove, fondere quelle già costituite o circoscriverle in modo diverso.


582 Sono riservate unicamente alla Sede Apostolica le fusioni e le unioni di istituti di vita consacrata, come anche il costituire confederazioni e federazioni.


583 Le modifiche negli istituti di vita consacrata, che riguardino elementi già approvati dalla Sede Apostolica, non si possono effettuare senza il suo benestare.


584 Sopprimere un istituto spetta unicamente alla Sede Apostolica, alla quale compete pure disporre dei beni temporali relativi.


585 Spetta invece all'autorità competente dell'istituto la soppressione di parti dell'Istituto stesso.


586 § 1. E' riconosciuta ai singoli istituti una giusta autonomia di vita, specialmente di governo, mediante la quale possano valersi nella Chiesa di una propria disciplina e conservare integro il proprio patrimonio, di cui al can. 578.

§ 2. E' compito degli Ordinari dei luoghi conservare e tutelare tale autonomia.


587 § 1. Per custodire più fedelmente la vocazione e l'identità dei singoli istituti il codice fondamentale, o costituzioni, di ciascuno deve contenere, oltre a ciò che è stabilito da osservarsi nel can. 578, le norme fondamentali relative al governo dell'istituto e alla disciplina dei membri, alla loro incorporazione e formazione, e anche l'oggetto proprio dei sacri vincoli.

§ 2. Tale codice è approvato dalla competente autorità della Chiesa e soltanto con il suo consenso può essere modificato.

§ 3. In tale codice siano adeguatamente armonizzati gli elementi spirituali e quelli giuridici; tuttavia non si moltiplichino le norme senza necessità.

§ 4. Tutte le altre norme, stabilite dall'autorità competente dell'istituto, siano opportunamente raccolte in altri codici e potranno essere rivedute e adattate convenientemente secondo le esigenze dei luoghi e dei tempi.


588 § 1. Lo stato di vita consacrata, per natura sua, non è né clericale né laicale.

§ 2. Si dice istituto clericale quello che, secondo il progetto inteso dal fondatore, oppure in forza di una legittima tradizione, è governato da chierici, assume l'esercizio dell'ordine sacro e come tale viene riconosciuto dall'autorità della Chiesa.

§ 3. Si chiama istituto laicale quello che, riconosciuto come tale dalla Chiesa stessa, in forza della sua natura, dell'indole e del fine, ha un compito specifico, determinato dal fondatore o in base ad una legittima tradizione, che non comporta l'esercizio dell'ordine sacro.


589 Un istituto di vita consacrata si dice di diritto pontificio se è stato eretto oppure approvato con decreto formale dalla Sede Apostolica; di diritto diocesano invece se, eretto dal Vescovo diocesano, non ha ottenuto dalla Sede Apostolica il decreto di approvazione.



590 § 1. Gli istituti di vita consacrata, in quanto dediti in modo speciale al servizio di Dio e di tutta la Chiesa, sono per un titolo peculiare soggetti alla suprema autorità della Chiesa stessa.

§ 2. I singoli membri sono tenuti ad obbedire al Sommo Pontefice, come loro supremo Superiore, anche in forza del vincolo sacro di obbedienza.


591 Per meglio provvedere al bene degli istituti e alle necessità dell'apostolato il Sommo Pontefice, in ragione del suo primato sulla Chiesa universale, può esimere gli istituti di vita consacrata dal governo degli Ordinari del luogo e sottoporli soltanto alla propria autorità, o ad altra autorità ecclesiastica, in vista di un vantaggio comune.


592 § 1. Perché sia più efficacemente favorita la comunione degli istituti con la Sede Apostolica, ogni Moderatore supremo trasmetta alla medesima, nel modo e nel tempo da questa fissati, una breve relazione sullo stato e sulla vita del proprio istituto.

§ 2. I Moderatori di ogni istituto provvedano a far conoscere i documenti della Santa Sede riguardanti i membri loro affidati, e ne curino l'osservanza.


593 Fermo restando il disposto del can. 586, gli istituti di diritto pontificio sono soggetti in modo immediato ed esclusivo alla potestà della Sede Apostolica in quanto al regime interno e alla disciplina.


594 L'istituto di diritto diocesano, fermo restando il can. 586, rimane sotto la speciale cura del Vescovo diocesano.


595 § 1. Spetta al Vescovo della sede principale approvare le condizioni e confermare le modifiche in esse legittimamente apportate, salvo ciò su cui fosse intervenuta la Sede Apostolica; inoltre è di sua competenza trattare gli affari di maggiore rilievo riguardanti l'intero istituto, quando superano l'ambito di potestà dell'autorità interna non senza però avere consultato gli altri Vescovi diocesani, qualora l'istituto fosse esteso in più diocesi.

§ 2. Il Vescovo diocesano può concedere dispense dalle costituzioni in casi particolari.


596 § 1. I Superiori e i capitoli degli istituti hanno sui membri quella potestà che è definita dal diritto universale e dalle costituzioni.

§ 2. Negli istituti clericali di diritto pontificio essi godono inoltre della potestà ecclesiastica di governo, tanto per il foro esterno quanto per quello interno.

§ 3. Alla potestà di cui al § 1 si applicano le disposizioni dei cann. 131, 133 e 137-144.


597 § 1. In un istituto di vita consacrata può essere ammesso ogni cattolico che abbia retta intenzione, che possegga le qualità richieste dal diritto universale e da proprio, e non sia vincolato da impedimento alcuno.

§ 2. Nessuno può essere ammesso senza adeguata preparazione.


598 § 1. Ogni istituto, attese l'indole e le finalità proprie, deve stabilire nelle costituzioni il modo in cui, secondo il suo programma di vita, sono da osservarsi i consigli evangelici di castità, di povertà e di obbedienza.

§ 2. Tutti i membri devono non solo osservare integralmente e con fedeltà i consigli evangelici, ma anche vivere secondo il diritto proprio dell'istituto, e in tal modo tendere alla perfezione del proprio stato.


599 Il consiglio evangelico di castità assunto per il Regno dei cieli, che è segno della vita futura e fonte di una più ricca fecondità nel cuore indiviso, comporta l'obbligo della perfetta continenza nel celibato.


600 Il consiglio evangelico della povertà, ad imitazione di Cristo che essendo ricco si è fatto povero per noi, oltre ad una vita povera di fatto e di spirito da condursi in operosa sobrietà che non indulga alle ricchezze terrene, comporta la limitazione e la dipendenza nell'usare e nel disporre dei beni, secondo il diritto proprio dei singoli.


601 Il consiglio evangelico dell'obbedienza, accolto con spirito di fede e di amore per seguire Cristo obbediente fino alla morte, obbliga a sottomettere la volontà ai Superiori legittimi, quali rappresentanti di Dio, quando comandano secondo le proprie costituzioni.


602 La vita fraterna propria di ogni istituto, per la quale tutti i membri sono radunati in Cristo come una sola peculiare famiglia, sia definita in modo da riuscire per tutti un aiuto reciproco nel realizzare la vocazione propria di ciascuno. I membri poi, con la comunione fraterna radicata e fondata nella carità, siano esempio di riconciliazione universale in Cristo.


603 § 1. Oltre agli istituti di vita consacrata, la Chiesa riconosce la vita eremitica o anacoretica con la quale i fedeli, in una più rigorosa separazione dal mondo, nel silenzio della solitudine e nella continua preghiera, dedicano la propria vita alla lode di Dio e alla salvezza del mondo.

§ 2. L'eremita è riconosciuto dal diritto come dedicato a Dio nella vita consacrata se con voto, o con altro vincolo sacro, professa pubblicamente i tre consigli evangelici nelle mani del Vescovo diocesano e sotto la sua guida osserva la norma di vita che gli è propria.


604 § 1. A queste diverse forme di vita consacrata è assimilato l'ordine delle vergini le quali, emettono il santo proposito di seguire Cristo più da vicino, dal Vescovo diocesano sono consacrate a Dio secondo il rito liturgico approvato e, unite in mistiche nozze a Cristo Figlio di Dio, si dedicano al servizio della Chiesa.

§ 2. Le vergini possono riunirsi in associazioni per osservare più fedelmente il loro proposito e aiutarsi reciprocamente nello svolgere quel servizio alla Chiesa che è confacente al loro stato.


605 L'approvazione di nuove forme di vita consacrata è riservata unicamente alla Sede Apostolica. I Vescovi diocesani però si adoperino per discernere i nuovi doni di vita consacrata che lo Spirito Santo affida alla Chiesa e aiutino coloro che li promuovono, perché ne esprimano le finalità nel modo migliore e le tutelino con statuti adatti, utilizzando soprattutto le norme generali contenute in questa parte.


606 Quanto si stabilisce per gli istituti di vita consacrata e per i loro membri è ugualmente valido per l'uno e per l'altro sesso, a meno che non risulti altrimenti dal contesto o dalla natura delle cose.


Titolo II Gli istituti religiosi


607 § 1. La vita religiosa, in quanto consacrazione di tutta la persona, manifesta nella Chiesa il mirabile connubio istituito da Dio, segno della vita futura. In tal modo il religioso porta a compimento la sua totale donazione come sacrificio offerto a Dio, e con questo l'intera sua esistenza diviene un ininterrotto culto a Dio nella carità.

§ 2. L'istituto religioso è una società i cui membri, secondo il diritto proprio, emettono i voti pubblici, perpetui oppure temporanei da rinnovarsi alla scadenza, e conducono vita fraterna in comunità.

§ 3. La testimonianza pubblica che i religiosi sono tenuti a rendere a Cristo e alla Chiesa comporta quella separazione dal mondo che è propria dell'indole e delle finalità di ciascun istituto.

Capitolo I CASE RELIGIOSE: EREZIONE E SOPPRESSIONE


608 La comunità religiosa deve abitare in una casa legittimamente costituita, sotto l'autorità di un Superiore designato a norma del diritto. Le singole case devono avere almeno un oratorio, in cui si celebri e si conservi l'Eucarestia, in modo che sia veramente il centro della comunità.


609 § 1. Le case di un istituto religioso vengono erette dall'autorità competente secondo le costituzioni, previo consenso scritto del Vescovo diocesano.

§ 2. Per l'erezione di un monastero di monache si richiede inoltre il benestare della Sede Apostolica.


610 § 1. L'erezione di case si compie tenuta presente l'utilità della Chiesa e dell'istituto e assicurate le condizioni necessarie per garantire ai membri la possibilità di condurre regolarmente la vita religiosa secondo le finalità e lo spirito proprio dell'istituto.

§ 2. Non si proceda all'erezione di una casa se prudentemente non si ritiene possibile provvedere in modo adeguato alle necessità dei membri.


611 Il consenso del Vescovo diocesano per l'erezione di una casa religiosa implica il diritto:

1° di condurre una vita conforme all'indole propria dell'istituto e alle specifiche finalità;

2° di esercitare le opere proprie dell'istituto, a norma del diritto, salve restando le condizioni apposte nell'atto del consenso;

3° per gli istituti clericali, di avere una chiesa, salvo il disposto del can. 1215, § 1, e di esercitarvi il ministero sacro, osservate le disposizioni del diritto.


612 Per destinare una casa religiosa ad opere apostoliche differenti da quelle per cui fu costruita si richiede il consenso del Vescovo diocesano; questo non è necessario se si tratta di un cambiamento che, salve sempre le leggi di fondazione, si riferisce solamente al regime interno e alla disciplina.


613 § 1. Una casa religiosa di canonici regolari o di monaci, sotto il governo e la cura del proprio Moderatore, è di per sé una casa sui iuris, a meno che le costruzioni non dicano altrimenti.

§ 2. Il Moderatore di una casa sui iuris è, per diritto, Superiore maggiore.


614 I monasteri di monache associati a un istituto maschile mantengono il proprio ordinamento e il proprio governo, secondo le costituzioni. I reciproci diritti ed obblighi siano determinati in modo che l'associazione possa giovare al bene spirituale.



615 Quando un monastero sui iuris non ha, oltre al proprio Moderatore, un altro Superiore maggiore e non è associato a un istituto di religiosi in modo che il Superiore di questo abbia su quel monastero una vera potestà definita dalle costituzioni, tale monastero è affidato alla peculiare vigilanza del Vescovo diocesano a norma del diritto.


616 § 1. Una casa religiosa eretta legittimamente può essere soppressa dal Moderatore supremo a norma delle costituzioni, dopo avere consultato il Vescovo diocesano. Per i beni della casa soppressa deve provvedere il diritto proprio dell'istituto, nel rispetto della volontà dei fondatori o donatori e dei diritti legittimamente acquisiti.

§ 2. La soppressione dell'unica casa di un istituto è di competenza della Santa Sede, alla quale è pure riservato di disporre dei beni relativi.

§ 3. La soppressione di una casa sui iuris, di cui al can. 613, spetta al capitolo generale, a meno che le costituzioni non stabiliscano altrimenti.

§ 4. La soppressione di un monastero sui iuris di monache spetta alla Sede Apostolica, osservato, per quanto riguarda i beni materiali, il disposto delle costituzioni.

Capitolo II IL GOVERNO DEGLI ISTITUTI


Art. 1 Superiori e consiglieri


617 I Superiori adempiano il proprio incarico ed esercitino la propria potestà a norma del diritto universale e di quello proprio.


618 I Superiori esercitino in spirito di servizio quella potestà che hanno ricevuto da Dio mediante il ministero della Chiesa. Docili perciò alla volontà di Dio nell'adempimento del proprio incarico, reggano i sudditi quali figli di Dio, e suscitando la loro volontaria obbedienza nel rispetto della persona umana, li ascoltino volentieri e promuovano altresì la loro concorde collaborazione per il bene dell'istituto e della Chiesa, ferma restando l'autorità loro propria di decidere e di comandare ciò che va fatto.


619 I Superiori attendano sollecitamente al proprio ufficio e insieme con i religiosi loro affidati si adoperino per costruire in Cristo una comunità fraterna nella quale si ricerchi Dio e lo si ami sopra ogni cosa. Diano perciò essi stessi con frequenza ai religiosi il nutrimento della parola di Dio e li indirizzino alla celebrazione della sacra liturgia. Siano loro di esempio nel coltivare le virtù e nell'osservare le leggi e le tradizioni del proprio istituto; provvedano in modo conveniente a quanto loro personalmente occorre; visitino gli ammalati procurando loro con sollecitudine le cure necessarie, riprendano gli irrequieti, confortino i timidi, con tutti siano pazienti.


620 Sono Superiori maggiori quelli che governano l'intero istituto, o una sua provincia, o una parte dell'istituto ad essa equiparata, o una casa sui iuris , e parimenti i loro rispettivi vicari. A questi si aggiungano l'Abate Primate e il Superiore di una congregazione monastica, i quali tuttavia non hanno tutta la potestà che il diritto universale attribuisce ai Superiori maggiori.


621 Col nome di provincia si designa l'unione di più case, che costituisce una parte immediata dell'istituto sotto il medesimo Superiore, ed è canonicamente eretta dalla legittima autorità.


622 Il Moderatore supremo ha potestà, da esercitare secondo il diritto proprio, su tutte le province dell'istituto, su tutte le case e su tutti i membri; gli altri Superiori godono di quella potestà nell'àmbito del proprio incarico.


623 Per essere validamente nominati o eletti all'ufficio di Superiore si richiede un periodo adeguato di tempo dopo la professione perpetua o definitiva, da determinarsi dal diritto proprio o, trattandosi di Superiori maggiori, dalle costituzioni.


624 § 1. I Superiori devono essere costituiti per un periodo di tempo determinato e conveniente secondo la natura e le esigenze dell'istituto, a meno che le costituzioni non dispongano diversamente per il Moderatore supremo e per i Superiori delle case sui iuris.

§ 2. Il diritto proprio provveda con norme opportune che i Superiori costituiti a tempo determinato non rimangano troppo a lungo in uffici di governo senza interruzione.

§ 3. Tuttavia durante il loro incarico possono essere rimossi dal loro ufficio o trasferiti ad un altro, per ragioni stabilite dal diritto proprio.


625 § 1. Il Moderatore supremo dell'istituto sia designato mediante elezione canonica a norma delle costituzioni.

§ 2. Alle elezioni del Superiore di un monastero sui iuris , di cui al can. 615, e del Moderatore supremo di un istituto di diritto diocesano presiede il Vescovo della sede principale.

§ 3. Gli altri Superiori siano costituiti a norma delle costituzioni, in modo però che se vengono eletti necessitino della conferma del Superiore maggiore competente; se poi vengono nominati dal Superiore, si premetta una opportuna consultazione.


626 I Superiori nel conferire uffici e i membri nelle elezioni osservino le norme del diritto universale e del diritto proprio, si astengano da qualunque abuso o preferenza di persone e, null'altro avendo di mira che Dio e il bene dell'istituto, nominino o eleggano le persone che nel Signore riconoscono veramente degne e adatte. Inoltre nelle elezioni rifuggano dal procurare in qualunque modo voti per sé o per altri, direttamente o indirettamente.


627 § 1. I Superiori abbiano il proprio consiglio a norma delle costituzioni e nell'esercizio del proprio ufficio sono tenuti a valersi della sua opera.

§ 2. Oltre ai casi stabiliti dal diritto universale, il diritto proprio determini i casi in cui per procedere validamente è richiesto il consenso oppure il parere, a norma del can. 127.


628 § 1. I Superiori designati a tale incarico dal diritto proprio dell'istituto visitino con la frequenza stabilita le case e i religiosi loro affidati, attenendosi alle norme dello stesso diritto proprio.

§ 2. E' diritto e dovere del Vescovo diocesano visitare, anche per quanto riguarda la disciplina religiosa:

1° i monasteri sui iuris , di cui al can. 615;

2° le singole case di un istituto di diritto diocesano che sono nel suo territorio.

§ 3. I religiosi si comportino con fiducia nei confronti del visitatore e rispondano secondo verità nella carità alle domande da lui legittimamente poste; a nessuno poi è lecito distogliere in alcun modo i religiosi da un tale obbligo, né impedire altrimenti lo scopo della visita.


629 I Superiori risiedano ciascuno nella propria casa, e non se ne allontanino se non a norma del diritto proprio.


630 § 1. I Superiori riconoscano ai religiosi la dovuta libertà per quanto riguarda il sacramento della penitenza e la direzione della coscienza, salva naturalmente la disciplina dell'istituto.

§ 2. I Superiori provvedano con premura, a norma del diritto proprio, che i religiosi abbiano disponibilità di confessori idonei, ai quali possano confessarsi con frequenza.

§ 3. Nei monasteri di monache, nelle case di formazione e nelle comunità più numerose degli istituti laicali vi siano confessori ordinari approvati dall'Ordinario del luogo d'intesa con la comunità interessata, senza tuttavia alcun obbligo di presentarsi a loro.

§ 4. I Superiori non ascoltino le confessioni dei propri sudditi, a meno che questi non lo richiedano spontaneamente.

§ 5. I religiosi si rivolgano con fiducia ai Superiori, ai quali possano palesare l'animo proprio con spontanea libertà. E' però vietato ai Superiori indurli in qualunque modo a manifestare loro la propria coscienza.


Art. 2 I capitoli


631 § 1. Il capitolo generale, che ha nell'istituto la suprema autorità a norma delle costituzioni, deve essere cmposto in modo da rapprensentare l'intero istituto, per risultare vero segno della sua unità nella carità. Al capitolo compete soprattutto: tutelare il patrimonio dell'istituto di cui al can. 578 e promuovere un adeguato rinnovamento che ad esso si armonizzi; eleggere il Moderatore supremo, trattare gli affari di maggiore importanza e inoltre emanare norme, che tutti sono tenuti ad osservare.

§ 2. La composizione e l'àmbito di potestà del capitolo siano definiti dalle costituzioni; il diritto proprio deve inoltre determinare l'ordinamento da osservarsi nella celebrezione del capitolo, specialmente per quanto riguarda le elezioni e la procedura dei lavori.

§ 3. Secondo le norme stabilite dal diritto proprio, non solo le province e le comunità locali, ma anche qualunque religioso può liberamente far pervenire al capitolo generale i propri desideri e proposte.


632 Il diritto proprio determini con esattezza quanto riguarda gli altri capitoli dell'istituto e altre assemblee simili, cioè la loro natura e autorità, la composizione, il modo di procedere e il tempo della celebrazione.


633 § 1. Gli organismi di partecipazione o di consultazione adempiano fedelmente la funzione loro affidata a norma del diritto universale e proprio, ed esprimano nel modo loro proprio la sollecitudine e la partecipazione di tutti i membri in vita del bene dell'itero istituto o della comunità.

§ 2. Nell'istituire e nel servirsi di questi mezzi di partecipazione e di consultazione si proceda con saggia discrezione e il loro modo di agire sia conforme all'indole e alle finalità dell'istituto.


Art.3 I beni temporali e la loro amministrazione


634 § 1. Gli istituti, le province e le case, in quanto persone giuridiche per il diritto stesso, hanno la capacità di acquisire, di possedere, di amministrare e alienare beni temporali, a meno che tale capacità non venga esclusa o ridotta dalle costituzioni.

§ 2. Evitino tuttavia ogni apparenza di lusso, di eccessivo guadagno e di accumulazione di beni.


635 § 1. I beni temporali degli istituti religiosi, in quanto beni ecclesiastici, sono retti dalle disposizioni del Libro V, I beni temporali della Chiesa, a meno che non sia espressamente disposto altro.

§ 2. Tuttavia ogni istituto stabilisca opportune norme circa l'uso e l'amministrazione dei beni, perché sia in tal modo favorita, tutelata e manifestata la povertà che gli è propria.



636 § 1. In ogni istituto, e parimenti in ogni provincia retta da un Superiore maggiore, ci sia l'economo, costituito a norma del diritto proprio e distinto dal Superiore maggiore, per amministrare i beni sotto la direzione del rispettivo Superiore. Anche nelle comunità locali si istituisca, per quanto è possibile, un economo distinto dal Superiore locale.

§ 2. Nel tempo e nel modo stabilito dal diritto proprio gli economi e gli amministratori presentino all'autorità competente il rendiconto dell'amministrazione da loro condotta.


637 I monasteri sui iuris , di cui al can. 615, devono presentare una volta all'anno il rendiconto della loro amministrazione all'Ordinario del luogo; questi ha inoltre il diritto di prendere visione della conduzione degli affari economici della casa religiosa di diritto diocesano.


638 § 1. Spetta al diritto proprio determinare, entro l'ambito del diritto universale, quali sono gli atti che eccedono il limite e le modalità dell'amministrazione ordinaria, e stabilire ciò che è necessario per porre validamente gli atti di amministrazione straordinaria.

§ 2. Le spese e gli atti giuridici di amministrazione ordinaria sono posti validamente, altre che dai Superiori, anche dagli officiali a ciò designati dal diritto proprio, nei limiti del loro ufficio.

§ 3. Per la validità dell'alienazione, e di qualunque negozio da cui la situazione patrimoniale della persona giuridica potrebbe subire detrimento, si richiede la licenza scritta rilasciata dal Superiore competente con il consenso del suo consiglio. Se però si tratta di negozio che supera la somma fissata dalla Santa Sede per le singole regioni, come pure di donazioni votive fatte alla Chiesa, o di cose preziose per valore artistico o storico, si richiede inoltre la licenza della Santa Sede stessa.

§ 4. Per i monasteri sui iuris , di cui al can. 615, e per gli istituti di diritto diocesano, è necessario anche il consenso scritto dell'Ordinario del luogo.


639 § 1. Se una persona giuridica ha contratto debiti e oneri, anche con licenza dei Superiori, è tenuta a risponderne in proprio.

§ 2. Se un religioso con licenza del Superiore ha contratto debiti e oneri sui beni propri, ne deve rispondere personalmente; se invece per mandato del Superiore ha concluso affari dell'istituto, è l'istituto che ne deve rispondere.

§ 3. Se un religioso li ha contratti senza alcuna licenza del Superiore, è lui stesso, e non la persona giuridica, a doverne rispondere.

§ 4. Rimanga fermo tuttavia che si può sempre intentare un'azione contro colui il cui patrimonio si è in qualche misura avvantaggiato in seguito a quel contratto.

§ 5. I Superiori religiosi si astengano dall'autorizzare a contrarre debiti, a meno che non consti con certezza che l'interesse del debito si potrà coprire con le rendite ordinarie, e che l'intero capitale si potrà restituire entro un tempo non troppo lungo con una legittima ammortizzazione.


640 Gli istituti, tenuto conto dei singoli luoghi, si adoperino per dare una testimonianza in certo modo collettiva di carità e di povertà e, nella misura delle proprie disponibilità, destinino qualcosa dei propri beni per le necessità della Chiesa e per contribuire a sostenere i bisognosi.


CODICE DI DIRITTO CANONICO 555