CODICE DI DIRITTO CANONICO 640

Capitolo III AMMISSIONE DEI CANDIDATI E FORMAZIONE DEI MEMBRI


Art. 1 Ammissione al noviziato


641 Il diritto di ammettere i candidati al noviziato spetta ai Superiori maggiori a norma del diritto proprio.


642 I Superiori ammettano con la più attenta cura soltanto coloro che, oltre all'età richiesta, abbiano salute, indole adatta e la maturità sufficiente per assumere il genere di vita proprio dell'istituto; la salute, l'indole e la maturità siano anche verificati, all'occorrenza, da esperti, fermo restando il disposto del can. 220.


643 § 1. E' ammesso invalidamente al noviziato:

1° chi non ha ancora compiuto 17 anni di età;

2° chi è sposato, durante il matrimonio;

3° Chi è attualmente legato con un vincolo sacro a qualche istituto di vita consacrata o è stato incorporato in una società di vita apostolica, salvo il disposto del can. 684;

4° chi entra nell'istituto indotto da violenza, da grave timore o da inganno, e chi è accettato da un Superiore costretto allo stesso modo;

5° chi ha nascosto di essere stato incorporato in un istituto di vita consacrata o in una società di vita apostolica.

§ 2. Il diritto proprio può stabilire altri impedimenti o apporre condizioni, anche per la validità dell'ammissione.


644 I Superiori non ammettano al noviziato chierici secolari senza consultare l'Ordinario del luogo, né persone gravate di debiti e incapaci di estinguerli.


645 § 1. I candidati, prima di essere ammessi al noviziato, devono produrre un attestato di battesimo, di confermazione e di stato libero.

§ 2. Se si tratta di ammettere chierici, o persone che furono ammesse in un altro istituto di vita consacrata, o in una società di vita apostolica o in seminario, si richiede inoltre l'attestato rilasciato rispettivamente dall'Ordinario del luogo, o dal Superiore maggiore dell'istituto o della società, oppure dal rettore del seminario.

§ 3. Il diritto proprio può esigere altri documenti circa l'idoneità richiesta per i candidati e l'immunità da impedimenti.

§ 4. I Superiori, se loro pare necessario, possono chiedere altre informazioni, anche sotto segreto.


Art. 2 Il noviziato e la formazione dei novizi


646 Il noviziato, con il quale si inizia la vita nell'istituto, è ordinato a far si che i novizi possano prendere meglio coscienza della vocazione divina, quale è propria dell'istituto, sperimentarne lo stile di vita, formarsi mente e cuore secondo il suo spirito; e al tempo stesso siano verificate le loro intenzioni e la loro idoneità.


647 § 1. L'erezione della casa di noviziato, la sua soppressione o il suo trasferimento della sede siano fatti mediante un decreto scritto del Moderatore supremo con il consenso del suo consiglio.

§ 2. Il noviziato per essere valido deve essere compiuto in una casa regolarmente designata allo scopo. In casi particolari, e a modo di eccezione, su concezione del Moderatore supremo con il consenso del suo consiglio, un candidato può fare il noviziato in un'altra casa dell'istituto sotto la guida di un religioso approvato, che faccia le veci del maestro dei novizi.

§ 3. Il Superiore maggiore può permettere che il gruppo dei novizi, per determinati periodi di tempo, dimori in un'altra casa dell'istituto, da lui stesso designata.


648 § 1. Per essere valido il noviziato deve comprendere dodici mesi, da trascorrere nella stessa comunità del noviziato, fermo restando il disposto del can. 647, § 3.

§ 2. Per integrare la formazione dei novizi le costituzioni possono stabilire, oltre al tempo di cui al § 1, uno o più periodi di esercitazioni apostoliche, da compiersi fuori dalla comunità del noviziato.

§ 3. Il noviziato non sia prolungato oltre i due anni.


649 § 1. Salvo il disposto dei cann. 647, § 3 e 648, § 2, una assenza dalla casa del noviziato che superi i tre mesi, continui o discontinui, rende invalido il noviziato. Una assenza che superi i quindici giorni deve essere ricuperata.

§ 2. Con il permesso del Superiore maggiore competente la prima professione può essere anticipata, non oltre quindici giorni.


650 § 1. Lo scopo del noviziato esige che i novizi siano formati sotto la direzione del maestro, secondo un regolamento di formazione, da determinarsi dal diritto proprio.

§ 2. La direzione dei novizi, sotto l'autorità dei Superiori maggiori, è riservata unicamente al maestro.


651 § 1. Il maestro dei novizi deve essere un membro dell'istituto che abbia emesso i voti perpetui e sia stato legittimamente designato.

§ 2. Al maestro si possono assegnare, quando occorre, degli aiutanti i quali devono a lui sottostare per quanto riguarda la direzione del noviziato e il regolamento della formazione.

§ 3. Alla formazione dei novizi devono essere preposti religiosi accuratamente preparati i quali, senza essere distolti da altri impegni, possano assolvere il loro compito in modo efficace e stabile.


652 § 1. Spetta al maestro e ai suoi aiutanti discernere e verificare la vocazione dei novizi e gradatamente formarli a vivere la vita di perfezione secondo le norme proprie dell'istituto.

§ 2. I novizi devono essere aiutati a coltivare le virtù umane e cristiane; introdotti in un più impegnativo cammino di perfezione mediante l'orazione e il rinnegamento di sé; guidati alla contemplazione del mistero della salvezza e alla lettura e meditazione delle sacre Scritture; preparati a rendere culto a Dio nella sacra liturgia; formati alle esigenze della vita consacrata a Dio e agli uomini in Cristo attraverso la pratica dei consigli evangelici; informati infine sull'indole e lo spirito, le finalità e la disciplina, la storia e la vita dell'istituto, ed educarli all'amore verso la Chiesa e i suoi sacri Pastori.

§ 3. I novizi, consapevoli della propria responsabilità, si impegnino ad una attiva collaborazione con il proprio maestro per poter rispondere fedelmente alla grazia della vocazione divina.

§ 4. I membri dell'istituto si adoperino nel cooperare alla formazione dei novizi, per la parte che loro spetta, con l'esempio della vita e con la preghiera.

§ 5. Il tempo di noviziato, di cui al can. 648, § 1, sia dedicato all'opera di formazione vera e propria; perciò i novizi non siano occupati in studi o incarichi non direttamente finalizzati a tale formazione.


653 § 1. Il novizio può liberamente lasciare l'istituto, e d'altra parte l'autorità competente dell'istituto può dimetterlo.

§ 2. Compiuto il noviziato, se il novizio viene giudicato idoneo, sia ammesso alla professione temporanea, altrimenti sia dimesso; se rimane qualche dubbio sulla sua idoneità il Superiore maggiore può prolungare il periodo di prova a norma del diritto proprio, ma non oltre sei mesi.


Art. 3 La professione religiosa


654 Con la professione religiosa i membri assumono i tre consigli evangelici da osservarsi con voto pubblico, sono consacrati a Dio mediante il ministero della Chiesa e vengono incorporati all'istituto con i diritti e i doveri definiti dal diritto.


655 La professione temporanea venga emessa per un periodo di tempo, determinato dal diritto proprio, che non deve essere inferiore a tre anni, né superiore a sei.


656 Per la validità della professione temporanea si richiede che:

1° chi la vuole emettere abbia compiuto almeno 18 anni di età;

2° il noviziato sia stato portato a termine validamente;

3° ci sia l'ammissione, fatta liberamente da parte del Superiore competente, con il voto del suo consiglio a norma del diritto;

4° la professione sia espressa, e venga emessa senza che ci sia violenza, timore o inganno;

5° sia ricevuta dal legittimo Superiore, personalmente o per mezzo di un altro.


657 § 1. Allo scadere del tempo per il quale fu emessa la professione il religioso che lo richiede spontaneamente ed è ritenuto idoneo sia ammesso alla rinnovazione della professione o alla professione perpetua; altrimenti deve lasciare l'istituto.

§ 2. Se però pare opportuno, il tempo della professione temporanea può essere prolungato dal Superiore competente secondo il diritto proprio, facendo tuttavia in modo che il periodo in cui il religioso è vincolato dai voti temporanei non superi complessivamente la durata di nove anni.

§ 3. La professione perpetua può essere anticipata per giusta causa, ma non oltre un trimestre.


658 Oltre alle condizioni di cui al can. CIC 656, nn. 3, 4, e 5 e alle altre apposte dal diritto proprio, per la validità della professione perpetua si richiedono:

1° almeno 21 anni compiuti;

2° la previa professione temporanea di almeno tre anni, salvo il disposto del can. CIC 657, § 3.


Art. 4 La formazione dei religiosi


659 § 1. In ogni istituto, dopo la prima professione, si continui la formazione di tutti i membri perché possano condurre più integralmente la vita propria dell'istituto e rendersi meglio idonei a realizzarne la missione.

§ 2. Pertanto il diritto proprio deve stabilire il regolamento e la durata di questa formazione, tenendo presenti le necessità della Chiesa e le condizioni delle persone e dei tempi, secondo quanto esigono le finalità e l'indole dell'istituto.

§ 3. La formazione dei membri che si preparano a ricevere gli ordini sacri è regolata dal diritto universale e dal <<piano degli studi>> proprio dell'istituto.


660 § 1. La formazione deve essere sistematica, adeguata alla recettività dei membri, spirituale e apostolica, dottrinale e insieme pratica, e portare anche al conseguimento dei titoli convenienti, sia ecclesiastici sia civili, secondo l'opportunità.

§ 2. Durante il periodo di questa formazione non si affidino ai religiosi compiti e opere che ne ostacolino l'attuazione.


661 Per tutta la vita i religiosi proseguano assiduamente la propria formazione spirituale, dottrinale e pratica; i Superiori ne procurino loro i mezzi e il tempo.

Capitolo IV OBBLIGHI E DIRITTI DEGLI ISTITUTI E DEI LORO MEMBRI


662 I religiosi abbiano come suprema regola di vita la sequela di Cristo proposta dal Vangelo ed espressa nelle costituzioni del proprio istituto.


663 § 1. Primo e particolare dovere di tutti i religiosi deve essere la contemplazione delle verità divine e la costante unione con Dio nell'orazione.

§ 2. I religiosi facciano tutto il possibile per partecipare ogni giorno al sacrificio eucaristico, ricevano il Corpo santissimo di Cristo e adorino lo stesso Signore presente nel Sacramento.

§ 3. Attendano alla lettura della sacra Scrittura e all'orazione mentale, alla dignitosa celebrazione della liturgia delle ore secondo le disposizioni del diritto proprio, e compiano gli altri esercizi di pietà, fermo restando per i chierici l'obbligo di cui al can. 276, § 2, n. 3.

§ 4. Onorino con culto speciale, anche con la pratica del rosario mariano, la Vergine Madre di Dio, modello e patrona di ogni vita consacrata.

§ 5. Osservino fedelmente i tempi annuali di sacro ritiro.


664 I religiosi siano perseveranti nella conversione dell'animo a Dio, attendano anche all'esame quotidiano di coscienza e si accostino con frequenza al sacramento della penitenza.


665 § 1. I religiosi devono abitare nella propria casa religiosa osservando la vita comune e non possono assentarsene senza licenza del Superiore. Se poi si tratta di una assenza prolungata, il Superiore maggiore, col consenso del suo consiglio e per giusta causa, può concedere a un religioso di vivere fuori della casa dell'istituto, ma per non più di un anno, a meno che ciò non sia per motivi di salute, di studio o di apostolato da svolgere a nome dell'istituto.

§ 2. Il religioso che si allontana illegittimamente dalla casa religiosa, con l'intenzione di sottrarsi alla potestà dei Superiori, deve essere da questi sollecitamente ricercato e aiutato, perché ritorni a perseveri nella propria vocazione.


666 Nel fare uso degli strumenti di comunicazione si osservi la necessaria discrezione e si eviti tutto quanto può nuocere alla propria vocazione e mettere in pericolo la castità di una persona consacrata.


667 § 1. In ogni casa si osservi la clausura adeguata all'indole e alla missione dell'istituto, secondo le determinazioni del diritto proprio, facendo in modo che ci sia sempre una parte della casa riservata esclusivamente ai religiosi.

§ 2. Nei monasteri di vita contemplativa si dovrà osservare una più rigorosa disciplina di clausura.

§ 3. I monasteri di monache interamente dedite alla vita contemplativa devono osservare la clausura papale, cioè conforme alle norme date dalla Sede Apostolica. Tutti gli altri monasteri di monache osservino la clausura adatta all'indole propria e definita dalle costituzioni.

§ 4. Il Vescovo diocesano ha la facoltà di entrare, per giusta causa, nella clausura dei monasteri di monache situati nella sua diocesi e può anche permettere, per causa grave e col consenso della Superiora, che altri siano ammessi nella clausura e che le monache stese ne escano per un tempo strettamente necessario.


668 § 1. Avanti la prima professione i membri cedano l'amministrazione dei propri beni a chi preferiscono e, se le costituzioni non stabiliscano altrimenti, liberamente dispongano del loro uso e usufrutto. Essi devono inoltre, almeno prima della loro professione perpetua, redigere il testamento, che risulti valido anche secondo il diritto civile.

§ 2. Per modificare queste disposizioni per giusta causa, come anche per porre qualunque atto relativo ai beni temporali, devono avere la licenza del Superiore competente a norma del diritto proprio.

§ 3. Tutto ciò che un religioso acquista con la propria industria o a motivo dell'istituto, rimane acquisito per l'istituto stesso. Ciò che riceve come pensione, sussidio, assicurazione, a qualunque titolo, rimane acquisito dall'istituto, a meno che il diritto proprio non disponga diversamente.

§ 4. Chi per la natura dell'istituto deve compiere la rinuncia radicale ai suoi beni la rediga, possibilmente in forma valida anche secondo il diritto civile, prima della professione perpetua, con valore decorrente dal giorno della professione stessa. Ugualmente proceda il professo di voti perpetui che a norma del diritto proprio volesse rinunciare a tutti i suoi beni o parte di essi, con licenza del Moderatore supremo.

§ 5. Il professo che per la natura ha compiuto la rinuncia radicale ai suoi beni perde la capacità di acquistare e di possedere, di conseguenza pone invalidamente ogni atto contrario al voto di povertà. I beni che ricevesse dopo tale rinuncia toccheranno all'istituto, a norma del diritto proprio.


669 § 1. I religiosi portino l'abito dell'istituto, fatto a norma del diritto proprio, quale segno della loro consacrazione e testimonianza di povertà.

§ 2. I religiosi chierici di un istituto che non ha abito proprio adotteranno l'abito clericale a norma del can. 284.


670 L'istituto ha il dovere di procurare ai suoi membri quanto, a norma delle costituzioni, è necessario per realizzare il fine della propria vocazione.


671 Il religioso non si assuma incarichi o uffici fuori del proprio istituto senza la licenza del legittimo Superiore.


672 I religiosi sono obbligati dalle disposizioni dei cann. 277, 285, 286, 287 e 289, e i religiosi chierici inoltre dalle disposizioni del can. 279, § 2; negli istituti laicali di diritto pontificio, la licenza di cui al can. 285, § 4, può essere concessa dal proprio Superiore maggiore.

Capitolo V L'APOSTOLATO DEGLI ISTITUTI


673 L'apostolato di tutti i religiosi consiste in primo luogo nella testimonianza della loro vita consacrata, che essi sono tenuti ad alimentare con l'orazione e con la penitenza.


674 Gli istituti interamente dediti alla contemplazione occupano sempre un posto eminente nel Corpo mistico di Cristo: essi infatti offrono a Dio un eccelso sacrificio di lode, arrichiscono il popolo di Dio con frutti preziosi della santità, mentre con il proprio esempio lo stimolano e con una misteriosa fecondità apostolica lo estendono. Percio, per quanto urgente sia la necessità dell'apostolato attivo, i membri di tali istituti non possono essere chiamati a prestare l'aiuto della loro opera nei diversi ministeri pastorali.


675 § 1. Negli istituti dediti all'apostolato l'azione apostolica appartiene alla loro stessa natura. Perciò l'intera vita dei membri sia permeata di spirito apostolico, e d'altra parte tutta l'azione apostolica sia animata dallo spirito religioso.

§ 2. L'azione apostolica deve sempre sgorgare dall'intima unione con Dio, e al tempo stesso consolidarla e favorirla.

§ 3. L'azione apostolica, da esercitarsi a nome della Chiesa e per suo mandato, sia condotta nella comunione con la Chiesa.


676 Gli istituti laicali maschili e femminili attraverso le opere di misericordia spirituale e corporale partecipano della funzione pastorale della Chiesa e prestano agli uomini i più svariati servizi; essi perciò perseverino fedelmente nella grazia della propria vocazione.


677 § 1. I Superiori e i membri mantengano con fedeltà ma missione e le opere proprie dell'istituto; tuttavia procedano con prudenza agli adattamenti richiesti dalle necessità dei tempi e dei luoghi, adottando anche mezzi nuovi e convenienti.

§ 2. Gli istituti poi ai quali sono unite associazioni di fedeli si adoperino con particolare sollecitudine perché queste siano permeate del genuino spirito della famiglia religiosa.


678 § 1. I religiosi sono soggetti alla potestà del Vescovo, ai quali devono rispetto devoto e riverenza in ciò che riguarda la cura delle anime, l'esercizio pubblico del culto divino e le altre opere di apostolato.

§ 2. Nell'esercizio dell'apostolato esterno i religiosi sono soggetti anche ai proprio Superiori e devono mentenersi fedeli alla disciplina dell'istituto; i Vescovi stessi non tralascino di urgere, quando occorre, un tale obbligo.

§ 3. Nell'organizzare le attività apostoliche dei religiosi è necessario che i Vescovi diocesani e i Superiori religiosi procedano su un piano di reciproca intesa.


679 Il Vescovo diocesano, per una causa molto grave e urgente, può proibire ad un membro di un istituto religioso di dimorare nella sua diocesi qualora il Superiore maggiore, avvisato, trascurasse di provvedere in merito; in tal caso la questione deve essere subito deferita alla Santa Sede.


680 Tra i diversi istituti, e anche tra questi e il clero secolare, si favorisca una ordinata collaborazione, nonché il coordinamento di tutte le opere e attività apostoliche sotto la guida del Vescovo diocesano, avuto riguardo all'indole e alle finalità dei singoli istituti, come pure alle leggi di fondazione.


681 § 1. Le opere che dal Vescovo diocesano vengono affidate ai religiosi sono soggette all'autorità e alla direzione del Vescovo stesso, fermo restando il diritto dei Superiori religiosi a norma del can. 678, § 2 e 3.

§ 2. In tali casi si stipuli una convenzione scritta tra il Vescovo diocesano e il Superiore competente dell'istituto, nella quale fra l'altro sia definito espressamente e con esattezza ogni particolare relativo all'opera da svolgere, ai religiosi che vi si devono impegnare e all'aspetto economico.


682 § 1. Se si tratta di conferire un ufficio ecclesiastico in diocesi a un religioso, la nomina viene fatta dal Vescovo diocesano su presentazione, o almeno con il consenso, del Superiore competente.

§ 2. Il religioso può essere rimosso dall'ufficio conferito, sia a discrezione dell'autorità che glielo ha affidato, informatone il Superiore religioso, sia da parte del Superiore stesso, informatane l'autorità committente; nell'uno e nell'altro caso non si richiede il consenso dell'altra autorità.


683 § 1. In occasione della visita pastorale, ed anche in caso di necessità, il Vescovo diocesano può visitare , personalmente o per mezzo di altri, le chiese e gli oratori cui accedono abitualmente i fedeli, le scuole e le altre opere di religione o di carità spirituale o temporale affidate ai religiosi; non però le scuole aperte esclusivamente agli alunni propri dell'istituto.

§ 2. Che se eventualmente il Vescovo scoprisse abusi, dopo avere richiamato inutilmente il Superiore religioso, può di sua autorità prendere egli stesso i provvedimenti del caso.

Capitolo VI SEPARAZIONE DEI MEMBRI DALL'ISTITUTO


Art. 1 Passaggio ad un altro istituto


684 § 1. Un professo di voti perpetui non può passare dal proprio istituto religioso ad un altro se non per concessione del Moderatore supremo dell'uno e dell'altro istituto, previo consenso dei rispettivi consigli.

§ 2. Il religioso dopo avere trascorso un periodo di prova, che deve durare almeno tre anni, può essere ammesso alla professione perpetua nel nuovo istituto. Se però non vuole emettere tale professione o non vi è ammesso dai Superiori competenti, ritorni all'istituto di provenienza, a meno che non abbia ottenuto l'indulto di secolarizzazione.

§ 3. Perché un religioso possa passare da un monastero sui iuris ad un altro dello stesso istituto o della federazione oppure della confederazione, si richiede ed è sufficiente il consenso del Superiore maggiore dell'uno e dell'altro monastero, oltre che del capitolo del monastero che lo accoglie, salvi altri requisiti determinati dal diritto proprio; non si richiede una nuova professione.

§ 4. Il diritto proprio determini la durata e le modalità del periodo di prova che il religioso deve compiere nel nuovo istituto prima della professione.

§ 5. Per passare ad un istituto secolare o ad una società di vita apostolica, oppure da questi ad un istituto religioso, è necessaria la licenza della Santa Sede, alle cui disposizioni ci si deve attenere.


685 § 1. Fino al momento della professione nel nuovo istituto, mentre rimangono vincolanti i voti, sono sospesi i diritti e gli obblighi che il religioso aveva nel precedente istituto; tuttavia fin dall'inizio del periodo di prova il religioso è tenuto all'osservanza del diritto proprio del nuovo istituto.

§ 2. Con la professione nel nuovo istituto il religioso viene ad esso incorporato, mentre cessano i voti, i diritti e gli obblighi precedenti.


Art. 2 Uscita dall'istituto


686 § 1. Il Moderatore supremo, col consenso del suo consiglio, per grave causa può concedere ad un professo perpetuo l'indulto di esclaustrazione, tuttavia per non più di tre anni, previo consenso dell'Ordinario del luogo in cui dovrà dimorare se si tratta di un chierico. Una proroga dell'indulto, o una concessione superiore a tre anni, è riservata unicamente alla Santa Sede, oppure al Vescovo diocesano se si tratta di istituti di diritto diocesano.

§ 2. Spetta unicamente alla Sede Apostolica concedere l'indulto di esclaustrazione per le monache.

§ 3. Su richiesta del Moderatore supremo con il consenso del suo consiglio, l'esclaustrazione può essere imposta, dalla Santa Sede per un membro di un istituto di diritto pontificio, oppure dal Vescovo diocesano per un membro di un istituto di diritto diocesano: ciò per cause gravi e salva sempre l'equità e la carità.


687 Il religioso esclaustrato è ritenuto esonerato dagli obblighi non compatibili con la sua nuova situazione di vita, tuttavia rimane sotto la dipendenza e la cura dei suoi Superiori ed anche dell'Ordinario del luogo, soprattutto se si tratta di un chierico. può portare l'abito dell'istituto, a meno che non sia stabilito altrimenti nell'indulto. Egli però manca di voce attiva e passiva.


688 § 1. Colui che, scaduto il tempo della professione, vuole uscire dall'istituto, lo può abbandonare.

§ 2. Chi durante la professione temporanea per grave causa chiede di lasciare l'istituto può ottenere il relativo indulto dal Moderatore supremo col consenso del suo consiglio se si tratta di istituto di diritto pontificio; negli istituti di diritto diocesano e nei monasteri di cui al can. 615 l'indulto, per essere valido, deve essere confermato dal Vescovo della casa di assegnazione.


689 § 1. Allo scadere della professione temporanea, se sussistono giuste cause, un religioso può essere escluso dalla successiva professione, da parte del competente Superiore maggiore, udito il suo consiglio.

§ 2. Una infermità fisica o psichica, anche contratta dopo la professione, quando a giudizio degli esperti rende non idoneo alla vita nell'istituto il religioso di cui al § 1, costituisce motivo per non ammetterlo alla rinnovazione della professione o alla professione perpetua, salvo il caso che l'infermità sia dovuta a negligenza da parte dell'istituto, oppure a lavori sostenuti nell'istituto stesso.

§ 3. Se però il religioso, durante i voti temporanei, diventa demente, anche se non è in grado di emettere la nuova professione, non può tuttavia essere dimesso dall'istituto.


690 § 1. Chi al termine del noviziato, oppure dopo la professione, è uscito legittimamente dall'istituto può esservi riammesso dal Moderatore supremo col consenso del suo consiglio, senza l'onere di ripetere il noviziato; spetterà tuttavia al Moderatore stesso stabilire un conveniente periodo di prova prima della professione temporanea e la durata dei voti temporanei prima della professione perpetua, a norma dei cann. CIC 655 e CIC 657.

§ 2. Della stessa facoltà gode il Superiore di un monastero sui iuris, con il consenso del suo consiglio.


691 § 1. Un professo di voti perpetui non chieda l'indulto di lasciare l'istituto se non per cause molto gravi ponderate davanti a Dio; presenti la sua domanda al Moderatore supremo dell'istituto, il quale la inoltrerà all'autorità competente insieme con il voto suo e del suo consiglio.

§ 2. Tale indulto per gli istituti di diritto pontificio è riservato alla Sede Apostolica; per gli istituti di diritto diocesano lo può concedere anche il Vescovo della diocesi in cui è situata la casa di assegnazione.


692 L'indulto di lasciare l'istituto, una volta legittimamente concesso e notificato al religioso, se da lui non fu rifiutato all'atto della notificazione, comporta per il diritto stesso la dispensa dai voti, come pure da tutti gli obblighi derivanti dalla professione.


693 Se il religioso è chierico l'indulto non viene concesso finché egli non abbia trovato un Vescovo che lo incardini nella diocesi o almeno lo riceva in prova. In quest'ultimo caso, trascorsi cinque anni, il religioso viene incardinato nella diocesi, per il diritto stesso, a meno che il Vescovo non lo abbia respinto.


Art. 3 Dimissione dei religiosi


694 § 1. Si deve ritenere dimesso dall'istituto, per il fatto stesso, il religioso che:

1° abbia in modo notorio abbandonato la fede cattolica;

2° abbia contratto matrimonio o lo abbia attentato, anche solo civilmente.

§ 2. In tali casi il Superiore maggiore col suo consiglio deve senza indugio, raccolte le prove, emettere la dichiarazione del fatto perché la dimissione consti giuridicamente.


695 § 1. Un religioso deve essere dimesso dall'istituto per i delitti di cui ai cann. 1397, 1398 e 1395 a meno che, per i delitti di cui al can. 1395, § 2, i Superiore non ritenga che la dimissione non sia affatto necessaria e che si possa sufficientemente provvedere in altro modo alla correzione del religioso come pure alla reintegrazione della giustizia e alla riparazione dello scandalo.

§ 2. In tali casi il Superiore, raccolte le prove relative ai fatti e alla imputabilità, renda note al religioso e l'accusa e le prove, dandogli facoltà di difendersi. Tutti gli atti, sottoscritti dal Superiore maggiore e dal notaio, insieme con le risposte del religioso, verbalizzate e dal religioso stesso controfirmate, siano trasmessi al Moderatore supremo.


696 § 1. Un religioso può essere dimesso anche per altre cause purché siano gravi, esterne, imputabili e comprovate giuridicamente, come ad esempio: la negligenza abituale degli obblighi della vita consacrata; le ripetute violazioni dei vincoli sacri; la disobbedienza grave; un grave scandalo derivato dal comportamento colpevole del religioso; l'ostinato appoggio o la propaganda di dottrine condannate dal magistero della Chiesa; l'adesione pubblica a ideologie inficiate di materialismo o di ateismo; l'assenza illegittima, di cui al can. 665, § 2, protratta per sei mesi; altre cause di simile gravità eventualmente determinate dal diritto proprio.

§ 2. Per la dimissione di un religioso di voti temporanei sono sufficienti anche cause di minore gravità, stabilite dal diritto proprio.


697 Nei casi di cui al can. 696, se il Superiore maggiore, udito il suo consiglio, giudica che si debba avviare il processo di dimissione:

1° raccolga o integri le prove;

2° ammonisca il religioso, per iscritto o davanti a due testimoni con la esplicita comminazione della conseguente dimissione in caso di mancato ravvedimento, notificandogli chiaramente la causa della dimissione e accordandogli piena facoltà di rispondere in propria difesa; qualora poi l'ammonizione risulti inutile, il Superiore proceda a una seconda, dopo un intervallo di almeno quindici giorni;

3° se anche questa seconda ammonizione risultasse inutile, e se il Superiore maggiore col suo consiglio giudicasse sufficientemente provata l'incorreggibilità, e insufficienti le difese del religioso, trascorsi senza risultato altri quindici giorni dall'ultima ammonizione, trasmetta al Moderatore supremo tutti gli atti, sottoscritti da lui stesso e dal notaio, unitamente alle risposte date dal religioso e da lui firmate.


698 In tutti i casi di cui ai cann. 695 e 696 rimane sempre fermo il diritto del religioso di comunicare con il Moderatore supremo e di esporre a lui direttamente gli argomenti a propria difesa.


699 § 1. Il Moderatore supremo col suo consiglio, che per la validità deve constare di almeno quattro membri, proceda collegialmente ad una accurata valutazione delle prove, degli argomenti e delle difese e, se ciò risulta per votazione segreta, emetterà il decreto di dimissione; questo, per essere valido, esprima almeno sommariamente i motivi, in diritto e in fatto.

§ 2. Nei monasteri sui iuris , di cui al can. 615, la decisione circa la dimissione compete al Vescovo diocesano, al quale il Superiore deve sottoporre gli atti revisionati dal suo consiglio.


700 Il decreto di dimissione non ha vigore se non fu confermato dalla Santa Sede, alla quale vanno trasmessi il decreto stesso e tutti gli atti; per gli istituti di diritto diocesano la conferma spetta al Vescovo della diocesi in cui sorge la casa alla quale il religioso è ascritto. Il decreto tuttavia, per avere valore, deve indicare il diritto, i cui gode il religioso dimesso, di ricorrere all'autorità competente entro dieci giorni dalla ricezione della notifica. Il ricorso ha effetto sospensivo.


701 Con la legittima dimissione cessano, per il fatto stesso, i voti e insieme gli obblighi derivanti dalla professione. Se però il religioso è chierico, non potrà esercitare gli ordini sacri fino a quando non abbia trovato un Vescovo il quale, dopo un conveniente periodo di prova nella diocesi a norma del can. 693, lo accolga o almeno gli consenta l'esercizio degli ordini sacri.


702 § 1. Coloro che legittimamente escono dall'istituto religioso o ne sono legittimamente dimessi non possono esigere nulla dall'istituto stesso qualunque attività in esso compiuta.

§ 2. L'istituto deve però osservare l'equità e la carità evangelica verso il religioso che se ne separa.


703 In caso di grave scandalo esterno o nel pericolo imminente di un gravissimo danno per l'istituto il religioso può essere espulso dalla casa religiosa immediatamente, da parte del Superiore maggiore oppure, qualora il ritardo risultasse pericoloso, dal Superiore locale col consenso del suo consiglio. Se è necessario, il Superiore maggiore curi che i istruisca il processo di dimissione a norma del diritto, oppure deferisca la cosa alla Sede Apostolica.


704 Dei religiosi che a qualunque titolo sono separati dall'istituto si faccia menzione nella relazione, di cui al can. 592, § 1, da inviare alla Sede Apostolica.


CODICE DI DIRITTO CANONICO 640