CODICE DI DIRITTO CANONICO 1253


LIBRO V

I BENI TEMPORALI DELLA CHIESA


1254 § 1. La Chiesa cattolica ha il diritto nativo, indipendentemente dal potere civile, di acquistare, possedere, amministrare ed alienare i beni temporali per conseguire i fini che le sono propri.

§ 2. I fini propri sono principalmente: ordinare il culto divino, provvedere ad un onesto sostentamento del clero e degli altri ministri, esercitare opere di apostolato sacro e di carità, specialmente a servizio dei poveri.


1255 La Chiesa universale e la Sede Apostolica, le Chiese particolari e tutte le altre persone giuridiche, sia pubbliche sia private, sono soggetti capaci di acquistare, possedere, amministrare ed alienare beni temporali a norma del diritto.


1256 La priorità dei beni, sotto la suprema autorità del Romano Pontefice, appartiene alla persona giuridica che li ha legittimamente acquistati.


1257 § 1. Tutti i beni temporali appartenenti alla Chiesa universale, alla Sede Apostolica e alle altre persone giuridiche pubbliche nella Chiesa sono beni ecclesiastici e sono retti dai canoni seguenti, nonché dai propri statuti.

§ 2. I beni temporali appartenenti a persone giuridiche private sono retti dai propri statuti e sono da questi canoni, a meno che non si disponga espressamente altro.


1258 Nei canoni seguenti con il nome di Chiesa s'intende non soltanto la Chiesa universale o la Sede Apostolica, ma anche qualsiasi persone giuridica pubblica nella Chiesa, a meno che non risulti diversamente dal contesto o dalla natura delle cose.


Titolo I L'acquisto dei beni


1259 La Chiesa può acquistare beni temporali in tutti i giusti modi di diritto sia naturale sia positivo, alla stessa maniera di chiunque altro.


1260 La Chiesa ha il diritto nativo di richiedere ai fedeli quanto le è necessario per le finalità sue proprie.


1261 § 1. I fedeli hanno diritto di devolvere beni temporali a favore della Chiesa.

§ 2. Il Vescovo diocesano è tenuto ad ammonire i fedeli sull'obbligo di cui al can. 222, § 1, urgendone l'osservanza in maniera opportuna.


1262 I fedeli contribuiscano alle necessità della Chiesa con le sovvenzioni richieste e secondo le norme emanate dalla Conferenza Episcopale.


1263 Il Vescovo diocesano ha il diritto, uditi il consiglio per gli affari economici e il consiglio presbiterale, d'imporre alle persone giuridiche pubbliche soggette al suo governo un contributo non eccessivo e proporzionato ai redditi di ciascuna, per le necessità della diocesi; nei confronti delle altre persone fisiche e giuridiche gli è soltanto consentito, in caso di grave necessità e alle stesse condizioni, d'imporre una tassa straordinaria e moderata; salve le leggi e le consuetudini particolari che gli attribuiscano maggiori diritti.


1264 Salvo che il diritto non abbia altrimenti disposto, spetta all'assemblea dei Vescovi della provincia:

1° stabilire le tasse per gli atti di potestà esecutiva graziosa o per l'esecuzione dei rescritti della Sede Apostolica, da approvarsi dalla medesima Sede Apostolica;

2° determinare le offerte da farsi in occasione dell'amministrazione dei sacramenti e dei sacramentali.


1265 § 1. Salvo il diritto dei religiosi mendicanti, si fa divieto a qualunque persona privata sia fisica sia giuridica di raccogliere offerte per qualunque fine o istituto pio o ecclesiastico, senza la licenza scritta del proprio Ordinario e dell'Ordinario del luogo.

§ 2. La Conferenza Episcopale può stabilire norme sulle questue, che devono essere da tutti osservate, non esclusi coloro che per istituzione sono detti e sono mendicanti.


1266 In tutte le chiese ed oratori, anche se appartenenti ad istituti religiosi, che di fatto siano abitualmente aperti ai fedeli, l'Ordinario del luogo può disporre che si faccia una questua speciale a favore di determinate iniziative parrocchiali, diocesane, nazionali o universali, da inviare poi sollecitamente alla curia diocesana.


1267 § 1. Salvo non consti il contrario, le offerte fatte ai superiori o agli amministratori di qualunque persona giuridica ecclesiastica, anche privata, si presumono fatte alla stessa persona giuridica.

§ 2. Le offerte di cui al § 1 non possono essere rifiutate, se non vi sia una giusta causa, e, se si tratti di persona giuridica pubblica in affari di maggior importanza, con la licenza dell'Ordinario; si richiede la licenza dello stesso Ordinario per accettare offerte gravate da modalità di adempimento o da condizione, fermo restando il disposto del can. 1295.

§ 3. Le offerte fatte dai fedeli per un determinato fine non possono essere impiegate che per quel fine.


1268 La Chiesa recepisce per i beni temporali la prescrizione, come modo di acquisto o per liberarsi da un onere, a norma dei cann. 197-199.



1269 Gli oggetti sacri se in proprietà di privati, possono essere acquistati con la prescrizione da persone private, ma non è lecito adibirli ad usi profani, a meno che non abbiano perso la dedicazione o la benedizione; se invece appartengono ad una persona giuridica ecclesiastica pubblica, possono essere acquistati soltanto da un'altra persona giuridica ecclesiastica pubblica.


1270 Le cose immobili, quelle mobili preziose, i diritti e le azioni sia personali sia reali, che appartengono alla Sede Apostolica si prescrivono nello spazio di cento anni; quelli che appartengono ad un'altra persona giuridica ecclesiastica pubblica nello spazio di trent'anni.


1271 I Vescovi, in ragione del vincolo di unità e di carità, secondo le disponibilità della propria diocesi, contribuiscano a procurare i mezzi di cui la Sede Apostolica secondo le condizioni dei tempi necessita, per essere in grado di prestare in modo appropriato il suo servizio alla Chiesa universale.


1272 Nelle regioni dove ancora esistono benefici propriamente detti, spetta alla Conferenza Episcopale regolarne il governo con norme opportune concordate con la Sede Apostolica e dalla medesima approvate, cosi che i redditi e anzi per quanto è possibile la stessa dote dei benefici siano poco a poco trasferiti all'istituto di cui al can. 1274, § 1.


Titolo II L'amministrazione dei beni


1273 Il Romano Pontefice, in forza del primato di governo è il supremo amministratore ed economo di tutti i beni ecclesiastici.


1274 § 1. Nelle singole diocesi ci sia un istituto speciale che raccolga i beni o le offerte, al preciso scopo che si provveda al sostentamento dei chierici che prestano servizio a favore della diocesi, a norma del can. 281, a meno che non si sia provveduto ai medesimi diversamente.

§ 2. Dove non sia ancora stata organizzata convenientemente la previdenza sociale in favore del clero, la Conferenza Episcopale disponga la costituzione di un istituto che provveda sufficientemente alla sicurezza sociale dei chierici.

§ 3. Nelle singole diocesi si costituisca, nella misura in cui è necessario, un fondo comune, con il quale i Vescovi posano soddisfare agli obblighi verso le altre persone che servono la Chiesa e andare incontro alle varie necessità della diocesi, e con il quale le diocesi più ricche possano anche aiutare le più povere.

§ 4. A seconda delle diverse circostanze dei luoghi, le finalità di cui ai §§ 2 e 3 si possono più convenientemente ottenere con istituti diocesani tra loro federati, o con la cooperazione o l'opportuna consociazione tra le varie diocesi, anzi anche organizzata per tutto il territorio della Conferenza Episcopale.

§ 5. Questi istituti, se possibile, siano costituiti in modo che ottengano anche il riconoscimento da parte del diritto civile.


1275 Il fondo dei beni che provengono da diverse diocesi è amministrato secondo norme opportunamente concordate dai Vescovi interessati.


1276 § 1. Spetta all'Ordinario di vigilare con cura sulla amministrazione di tutti i beni appartenenti alle persone giuridiche pubbliche a lui soggette, salvo titoli legittimi per i quali gli si riconoscano più ampi diritti.

§ 2. Gli Ordinari, tenuto conto dei diritti, delle legittime consuetudini e delle circostanze, abbiano cura di ordinare l'intero complesso dell'amministrazione dei beni, dando speciali istruzioni entro i limiti del diritto universale e particolare.


1277 Il Vescovo diocesano per porre atti di amministrazione, che, attesa la situazione economica della diocesi, sono di maggior importanza, deve udire il consiglio per gli affari economici e il collegio dei consultori; ha tuttavia bisogno del consenso del medesimo consiglio ed anche del collegio dei consultori, oltre che nei casi specificamente espressi nel diritto universale o nelle tavole di fondazione, per porre atti di amministrazione straordinaria. Spetta poi alla Conferenza Episcopale stabilire quali atti debbano ritenersi di amministrazione straordinaria.


1278 Oltre ai compiti di cui al can. CIC 494,3-4, all'economo possono essere affidati dal Vescovo diocesano i compiti di cui ai cann. CIC 1276,1 e CIC 1279,2.


1279 § 1. L'amministrazione dei beni ecclesiastici spetta a chi regge immediatamente la persona cui gli stessi beni appartengono, a meno che non dispongano altro il diritto particolare, gli statuti o la legittima consuetudine, e salvo il diritto dell'Ordinario d'intervenire in caso di negligenza dell'amministratore.

§ 2. Per l'amministrazione dei beni di una persona giuridica pubblica che dal diritto o dalle tavole di fondazione o dai suoi statuti non abbia amministratori propri, l'Ordinario cui la medesima è soggetta assuma per un triennio persone idonee; le medesime possono essere dall'Ordinario riconfermate nell'incarico.


1280 Ogni persona giuridica abbia il proprio consiglio per gli affari economici o almeno due consiglieri, che coadiuvano l'amministratore nell'adempimento del suo compito, a norma degli statuti.


1281 § 1. Ferme restando le disposizioni degli statuti, gli amministratori pongono invalidamente atti che oltrepassano i limiti e le modalità dell'amministrazione ordinaria, a meno che non abbiano ottenuto prima permesso scritto dall'Ordinario.

§ 2. Negli statuti si stabiliscano gli atti eccedenti i limiti e le modalità dell'amministrazione ordinaria; se poi gli statuti tacciono in merito, spetta al Vescovo diocesano, udito il consiglio per gli affari economici, determinare tali atti per le persone a lui soggette.

§ 3. La persona giuridica non è tenuta a rispondere degli atti posti invalidamente dagli amministratori, se non quando e nella misura in cui ne ebbe beneficio; la persona giuridica stessa risponderà invece degli atti posti validamente ma illegittimamente dagli amministratori, salva l'azione o il ricorso da parte sua contro gli amministratori che le abbiano arrecato danni.


1282 Tutti coloro, sia chierici sia laici, che a titolo legittimo hanno parte nell'amministrazione dei beni ecclesiastici, sono tenuti ad adempiere i loro compiti in nome della Chiesa, a norma del diritto.


1283 Prima che gli amministratori inizino il loro incarico:

1° gli stessi devono garantire con giuramento avanti all'Ordinario o a un suo delegato di svolgere onestamente e fedelmente le funzioni amministrative;

2° sia accuratamente redatto un dettagliato inventario, che essi devono sottoscrivere, dei beni immobili, dei beni mobili sia preziosi sia comunque riguardanti i beni culturali, e delle altre cose, con la loro descrizione e la stima, e sia rivisto dopo la redazione;

3° una copia dell'inventario sia conservata nell'archivio dell'amministrazione, un'altra nell'archivio della curia; qualunque modifica eventualmente subita dal patrimonio dovrà essere annotata in entrambe le copie.


1284 § 1. Tutti gli amministratori sono tenuti ad attendere alle loro funzioni con la diligenza di un buon padre di famiglia.

§ 2. Devono pertanto:

1° vigilare affinché i beni affidati alla loro cura in qualsiasi modo non vadano distrutti o subiscano danneggiamenti, stipulando allo scopo, se necessario, contratti di assicurazione;

2° curare che sia messa al sicuro la proprietà dei beni ecclesiastici in modi validi civilmente;

3° osservare le disposizioni canoniche e civili o quelle imposte dal fondatore o dal donatore o dalla legittima autorità e badare soprattutto che dall'inosservanza delle leggi civili non derivi danno alla Chiesa.

4° esigere accuratamente e a tempo debito i redditi dei beni e i proventi, conservandoli poi in modo sicuro dopo la riscossione ed impiegandoli secondo le intenzioni del fondatore o le norme legittime;

5° pagare nel tempo stabilito gli interessi dovuti a causa di un mutuo o d'ipoteca e curare opportunamente la restituzione dello stesso capitale.

6° impiegare, con il consenso dell'Ordinario, il denaro eccedente le spese e che si possa essere collocato utilmente, per le finalità della Chiesa o dell'istituto;

7° tenere bene in ordine i libri delle entrate e delle uscite;

8° redigere il rendiconto amministrativo al termine di ogni anno;

9° catalogare adeguatamente documenti e strumenti, sui quali si fondano i diritti della Chiesa o dell'istituto circa i beni, conservandoli in un archivio conveniente ed idoneo; depositare poi gli originali, ove si possa fare comodamente, nell'archivio delle curia.

§ 3. Si raccomanda vivamente agli amministratori di redigere ogni anno il preventivo delle entrate e delle uscite; si lascia poi al diritto particolare imporlo e determinarne le modalità di presentazione.


1285 E' permesso agli amministratori, entro i limiti soltanto dell'amministrazione ordinaria, di fare donazioni a fini di pietà o di carità cristiana dei beni mobili non appartenenti al patrimonio stabile.


1286 Gli amministratori dei beni:

1° osservino accuratamente, nell'affidare i lavori, anche le leggi civili relative al lavoro e alla vita sociale, secondo i principi dati dalla Chiesa;

2° retribuiscano con giustizia e onestà i lavoratori dipendenti, cosi che essi siano in grado di provvedere convenientemente alle necessità proprie e dei loro familiari.


1287 § 1. Riprovata la consuetudine contraria, gli amministratori sia chierici sia laici di beni ecclesiastici qualsiasi, che non siano legittimamente sottratti alla potestà di governo del Vescovo diocesano, hanno il dovere di presentare ogni anno il rendiconto all'Ordinario del luogo, che lo farà esaminare dal consiglio per gli affari economici.

§ 2. Gli amministratori rendano conto ai fedeli dei beni da questi stessi offerti alla Chiesa, secondo norme da stabilirsi dal diritto particolare.


1288 Gli amministratori non introducano né contestino una lite davanti al tribunale civile in nome di una persona giuridica pubblica, senza aver ottenuto la licenza scritta del proprio Ordinario.


1289 Benché non siano tenuti all'amministrazione a titolo dell'ufficio ecclesiastico, gli amministratori non possono di loro iniziativa dimettere l'incarico assunto; che se dalla loro arbitraria dimissione derivi danno alla Chiesa, sono tenuti al risarcimento.


Titolo III I contratti e specialmente l'alienazione


1290 Le norme di diritto civile vigenti nel territorio sui contratti sia in genere sia in specie, siano parimenti osservate per diritto canonico in materia soggetta alla potestà di governo della Chiesa e con gli stessi effetti, a meno che non siano contrarie al diritto divino o per diritto canonico si preveda altro, e fermo restando il disposto del can. 1547.


1291 Per alienare validamente i beni che costituiscono per legittima assegnazione il patrimonio stabile di una persona giuridica pubblica, e il cui valore ecceda la somma fissata dal diritto, si richiede la licenza dell'autorità competente a norma del diritto.


1292 § 1. Salvo il disposto del can. 638, § 3, quando il valore dei beni che s'intendono alienare, sta tra la somma minima e quella massima da stabilirsi dalla Conferenza Episcopale per la propria regione, l'autorità competente, nel caso di persone giuridiche non soggette all'autorità del Vescovo diocesano, è determinata dai propri statuti; altrimenti l'autorità competente è lo stesso Vescovo diocesano, con il consenso del consiglio per gli affari economici e del collegio dei consultori nonché degli interessati. Il Vescovo diocesano stesso ha anche bisogno del consenso dei medesimi organismi per alienare i beni della diocesi.

§ 2. Trattandosi tuttavia di beni il cui valore eccede la somma massima stabilita, oppure di ex-voto donati alla Chiesa o di oggetti preziosi di valore artistico o storico, per la valida alienazione si richiede inoltre la licenza della Santa Sede.

§ 3. Se la cosa che s'intende alienare è divisibile, nel chiedere la licenza si devono indicare le parti già alienate in precedenza; altrimenti la licenza è nulla.

§ 4. Coloro che sono tenuti a prendere parte alla alienazione dei beni con il consiglio o il consenso, non diano il consiglio o il consenso senza essersi prima esattamente informati, sia sulle condizioni finanziarie della persona giuridica i cui beni si vogliono alienare sia sulle alienazioni già fatte.


1293 § 1. Per l'alienazione dei beni si richiede inoltre:

1° una giusta causa, quale la necessità urgente, l'utilità palese, la pietà, la carità o altra grave ragione pastorale;

2° la stima della cosa da alienare fatta da periti per iscritto.

§ 2. Si osservino inoltre le altre cautele prescritte dall'autorità legittima per evitare danni alla Chiesa.


1294 § 1. La cosa non deve essere ordinariamente alienata a prezzo minore di quello indicato nella stima.

§ 2. Il denaro ricavato dall'alienazione venga cautamente investito in favore della Chiesa, oppure sia prudentemente impiegato secondo le finalità dell'alienazione.


1295 I requisiti a norma dei cann. 1291-1294, ai quali devono conformarsi anche gli statuti delle persone giuridiche, devono essere osservati non soltanto per l'alienazione, ma in qualunque altro negozio che possa peggiorare la situazione patrimoniale della persona giuridica.


1296 Qualora i beni ecclesiastici fossero stati alienati senza le debite formalità canoniche, ma l'alienazione sia civilmente valida, spetta all'autorità competente stabilire, dopo aver soppesato attentamente la situazione, se si debba intentare una azione e di che tipo, se cioè personale o reale, chi lo debba fare e contro chi, per rivendicare i diritti della Chiesa.


1297 Spetta alla Conferenza Episcopale, attese le circostanze dei luoghi, stabilire norme per la locazione dei beni della Chiesa, soprattutto circa la licenza da ottenersi dalla autorità ecclesiastica.


1298 Salvo non si tratti di un affare di infima importanza, i beni ecclesiastici non devono essere venduti o locati ai propri amministratori o ai parenti fino al quarto grado di consanguineità o di affinità senza una speciale licenza data per iscritto dall'autorità competente.


Titolo IV Pie volontà in genere e pie fondazioni

1299 § 1. Chi è in grado di disporre liberamente dei propri beni per diritto naturale e canonico, può lasciarli per cause pie sia con atto tra vivi sia con atto valevole in caso di morte.

§ 2. Nelle disposizioni valevoli in caso di morte a favore della Chiesa si osservino, se possibile, le formalità del diritto civile; se queste furono omesse, gli eredi devono essere ammoniti circa il loro obbligo di adempiere la volontà del testatore.


1300 Le volontà dei fedeli che donano o lasciano i propri averi per cause pie sia con atto tra vivi sia con atto valevole in caso di morte, una volta legittimamente accettate devono essere scrupolosamente adempiute, anche circa il modo dell'amministrazione e dell'erogazione dei beni, fermo restando il disposto del can. 1301, § 3.


1301 § 1. L'Ordinario è l'esecutore di tutte le pie volontà, sia valevoli in caso di morte sia tra vivi.

§ 2. In forza di questo diritto l'Ordinario può e deve vigilare, anche con la visita, perché le pie volontà siano adempiute, e gli altri esecutori, terminato il loro compito, devono rendergliene conto.

§ 3. Le clausole contrarie a questo diritto dell'Ordinario, annesse alle ultime volontà, si considerino come non apposte.


1302 § 1. Chi riceve fiduciariamente dei beni per cause pie sia con atto tra vivi sia con testamento, deve informarne l'Ordinario, indicandogli tutti i beni anzidetti sia mobili sia immobili con gli oneri annessi; che se il donatore glielo avesse espressamente ed assolutamente proibito, non accetti la fiducia.

§ 2. L'Ordinario deve esigere che i beni fiduciari siano collocati al sicuro e vigilare sull'esecuzione della pia volontà a norma del can. 1301.

§ 3. Per i beni fiduciari affidati ad un membro di un istituto religioso o di una società di vita apostolica, se i beni furono devoluti al luogo o alla diocesi o ai loro abitanti oppure a favore di cause pie, l'Ordinario di cui nel §§ 1 e 2 è l'Ordinario del luogo; altrimenti è il Superiore maggiore nell'istituto clericale di diritto pontificio e nelle società clericali di vita apostolica di diritto pontificio; negli altri istituti religiosi è l'Ordinario proprio del religioso fiduciario.


1303 § 1. In diritto vanno sotto il nome di fondazioni pie:

1° le pie fondazioni autonome , cioè la massa dei beni destinati ai fini di cui al can. 114, § 2, ed eretti in persona giuridica dall'autorità ecclesiastica competente;

2° le pie fondazioni non autonome , cioè i beni temporali comunque devoluti ad una persona giuridica pubblica, con l'onere per un ampio spazio di tempo da determinarsi dal diritto particolare, della celebrazione di Messe o di altre specifiche funzioni ecclesiastiche o altrimenti per conseguire le finalità di cui al can. 114, § 2, in ragione dei redditi annui.

§ 2. I beni della pia fondazione non autonoma, se furono affidati ad una persona giuridica soggetta al Vescovo diocesano, trascorso il tempo, devono essere destinati all'istituto di cui al can. 1274, § 1, a meno che il fondatore non abbia espressamente manifestato una volontà diversa; altrimenti passano alla stessa persona giuridica.


1304 § 1. Perché una fondazione possa essere validamente accettata da una persona giuridica, si richiede la licenza scritta dell'Ordinario; questi però non la rilasci prima di essersi reso legittimamente conto che la persone giuridica possa soddisfare sia al nuovo onere sia a quelli precedentemente assunti; e soprattutto badi che i redditi corrispondano appieno agli oneri aggiunti, secondo l'usanza del luogo o della regione.

§ 2. Ulteriori condizioni per quanto concerne la costituzione e l'accettazione delle fondazioni siano stabilite per diritto particolare.


1305 Il denaro e i beni mobili assegnati a titolo di dote siano immediatamente posti in luogo sicuro da approvarsi dall'Ordinario, allo scopo di custodire il denaro stesso o il ricavato dai beni mobili, ed al più presto siano cautamente ed utilmente investiti secondo il prudente giudizio dello stesso Ordinario, uditi gli interessati e il proprio consiglio per gli affari economici, a vantaggio della stessa fondazione facendo espressa e distinta menzione dell'onere.


1306 § 1. Le fondazioni, anche quelle fatte verbalmente, siano messe per iscritto.

§ 2. Si conservi al sicuro una copia delle tavole di fondazione nell'archivio della curia ed un'altra copia nell'archivio della persona giuridica cui è annessa la fondazione.


1307 § 1. Osservate le disposizioni dei cann. 1300-1302 e 1287, si rediga una tabella degli oneri derivanti dalle pie fondazioni e la si esponga in luogo ben visibile affinché gli obblighi da adempiere non siano dimenticati.

§ 2. Oltre al registro di cui al can. 958, § 1, ci sia un secondo registro che il parroco o il rettore conservino presso di sé, dove si annotino i singoli oneri, il loro adempimento e le elemosine.


1308 § 1. La riduzione degli oneri delle Messe, da farsi soltanto per causa giusta e necessaria, è riservata alla Sede Apostolica, salvo le disposizioni che seguono.

§ 2. Se ciò sia espressamente stabilito nelle tavole di fondazione, l'Ordinario a causa della diminuzione dei redditi può ridurre gli oneri delle Messe.

§ 3. Al Vescovo diocesano compete la potestà di ridurre a causa della diminuzione dei redditi e fintantoché tale causa perduri, le Messe dei legati o in qualsiasi modo fondate, che siano autonomi, secondo l'elemosina legittimamente vigente in diocesi, purché non vi sia persona obbligata e che possa essere efficacemente coatta a provvedere all'aumento dell'elemosina.

§ 4. Al medesimo compete la potestà di ridurre gli oneri o legati di Messe che gravano su istituti ecclesiastici, se i redditi siano diventati insufficienti a conseguire convenientemente le finalità proprie dell'istituto stesso.

§ 5. Ha la stessa potestà di cui nei §§ 3 e 4 il Moderatore supremo di un istituto religioso clericale di diritto pontificio.


1309 Alle stesse autorità di cui nel can. 1308 compete inoltre la potestà di trasferire per causa proporzionata gli oneri delle Messe in giorni, chiese o altari diversi da quelli stabiliti nelle fondazioni stesse.


1310 § 1. La riduzione, il contenimento e la permuta delle volontà dei fedeli a favore di cause pie possono essere attuate soltanto per causa giusta e necessaria dall'Ordinario, se il fondatore gli abbia espressamente concesso questa facoltà.

§ 2. Se l'esecuzione degli oneri imposti sia diventata impossibile per la diminuzione dei redditi o per altra causa, senza che gli amministratori ne abbiano colpa alcuna, l'Ordinario, uditi gli interessati e il proprio consiglio per gli affari economici e rispettata nel miglior modo possibile la volontà del fondatore, potrà equamente diminuire gli stessi oneri, ad eccezione della riduzione delle Messe che è regolata dalle disposizioni del can. 1308.

§ 3. Nei rimanenti casi si deve ricorrere alla Sede Apostolica.



LIBRO VI

LE SANZIONI NELLA CHIESA

PARTE I

DELITTI E PENE IN GENERE


Titolo I La punizione dei delitti in generale


1311 La chiesa ha il diritto nativo e proprio di costringere con sanzioni penali i fedeli che hanno commesso delitti.


1312 § 1. Le sanzioni penali nella Chiesa sono:

1° le pene medicinali o censure, elencate nei cann. 1331-1333;

2° le pene espiatorie di cui al can. 1336.

§ 2. La legge può stabilire pene espiatorie, che privino il fedele di qualche bene spirituale o temporale e siano congruenti con il fine soprannaturale della Chiesa.

§ 3. Sono inoltre impiegati rimedi penali e penitenze, quelli soprattutto per prevenire i delitti, queste piuttosto per sostituire la pena o in aggiunta ad essa.


Titolo II Legge penale e precetto penale


1313 § 1. Se dopo che il delitto è stato commesso la legge subisce mutamenti, all'imputato si deve applicare la legge più favorevole.

§ 2. Che se una legge posteriore elimina la legge, o almeno la pena, questa cessa immediatamente.


1314 La pena per lo più è ferendae sententiae , di modo che non costringe il reo se non dopo essere stata inflitta; è poi late sententiae , cosi che vi s'incorra per il fatto stesso d'aver commesso il delitto, sempre che la legge o il precetto espressamente lo stabilisca.


1315 § 1. Chi ha potestà legislativa può anche emanare leggi penali; può inoltre munire, con leggi proprie, di una congrua pena, la legge divina o la legge ecclesiastica emanata dalla autorità superiore, osservati i limiti della propria competenza in ragione del territorio o delle persone.

§ 2. La legge può essa stessa determinare la pena, oppure lasciare la determinazione alla prudente valutazione del giudice.

§ 3. La legge particolare può aggiungere altre pene a quelle stabilite dalla legge universale per qualche delitto; ciò tuttavia non si faccia se non vi sia una gravissima necessità. Se la legge universale prevede una pena indeterminata o facoltativa, la legge particolare può anche stabilire al suo posto una pena determinata od obbligatoria.


1316 I Vescovi diocesani facciano in modo che nella stessa città o regione, qualora si debbano emanare leggi penali, lo si faccia nei limiti del possibile con uniformità.


1317 Le pene siano costituite nella misura in cui si rendono veramente necessarie a provvedere più convenientemente alla disciplina ecclesiastica. La dimissione dallo stato clericale non può essere stabilita per legge particolare.


1318 Il legislatore non commini pene latae sententiae se non eventualmente contro qualche singolo delitto doloso, che o risulti arrecare gravissimo scandalo o non possa essere efficacemente punito con pene ferendae sententiae ; non costituisca poi censure, soprattutto la scomunica, se non con la massima moderazione e soltanto contro i delitti più gravi.


1319 § 1. Nella misura in cui qualcuno può imporre precetti in foro esterno in forza della potestà di governo, il medesimo può anche comminare con un precetto pene determinate, ad eccezione delle pene espiatorie perpetue.

§ 2. Non si emani un precetto penale, se non dopo aver profondamente soppesato la cosa ed osservato quanto è stabilito per le leggi particolari nei cann. 1317-1318.


1320 In tutto ciò in cui sono soggetti all'Ordinario del luogo i religiosi possono essere dal medesimo costretti con pene.


Titolo III Il soggetto passivo delle sanzioni penali


1321 § 1. Nessuno è punito, se la violazione esterna della legge o del precetto da lui commessa non sia gravemente imputabile per dolo o per colpa.

§ 2. E' tenuto alla pena stabilita da una legge o da un precetto, chi deliberatamente violo la legge o il precetto; chi poi lo fece per omissione della debita diligenza non è punito, salvo che la legge o il precetto non dispongano altrimenti.

§ 3. Posta la violazione esterna l'imputabilità si presume, salvo che non risulti altrimenti.


1322 Coloro che non hanno abitualmente l'uso della ragione, anche se hanno violato la legge o il precetto mentre apparivano sani di mente, sono ritenuti incapaci di delitto.


1323 Non è passibile di alcuna pena chi, quando violo la legge o il precetto:

1° non aveva ancora compiuto i 16 anni di età;

2° senza sua colpa ignorava di violare una legge o un precetto; all'ignoranza sono equiparati l'inavvertenza e l'errore;

3° agi per violenza fisica o per un caso fortuito che non poté prevedere o previstolo non vi poté rimediare;

4° agi costretto da timore grave, anche se solo relativamente tale, o per necessità o per grave incomodo, a meno che tuttavia l'atto non fosse intrinsecamente cattivo o tornasse a danno delle anime;

5° agi per legittima difesa contro un ingiusto aggressore suo o di terzi, con la debita moderazione

6° era privo dell'uso di ragione, ferme restando le disposizioni dei cann. 1324,§ 1, n. 2 e 1325;

7° senza sua colpa credette esserci alcuna delle circostanze di cui al n. 4 o 5.


1324 § 1. L'autore della violazione non è esentato dalla pena stabilita dalla legge o dal precetto, ma la pena deve essere mitigata o sostituita con una penitenza, se il delitto fu commesso:

1° da una persona che aveva l'uso di ragione soltanto in maniera imperfetta;

2° da una persona che mancava dell'uso di ragione a causa di ubriachezza o di altra simile perturbazione della mente, di cui fosse colpevole;

3° per grave impeto passionale, che tuttavia non abbia preceduto ed impedito ogni deliberazione della mente e consenso della volontà, e purché la passione stessa non sia stata volontariamente eccitata o favorita;

4° da un minore che avesse compiuto i 16 anni di età;

5° da una persona costretta da grave incomodo, se il delitto commesso sia intrinsecamente cattivo o torni a danno delle anime;

6° da chi agi per legittima difesa contro un ingiusto aggressore suo o di terzi, ma senza la debita moderazione;

7° contro qualcuno che l'abbia gravemente e ingiustamente provocato;

8° da chi per un errore, di cui sia colpevole, credette esservi alcuna delle circostanze di cui al can. 1323, n. 4 o 5;

9° da chi senza colpa ignorava che alla legge o al precetto fosse annessa una pena;

10° da chi agi senza piena imputabilità, purché questa fosse ancora grave.

§ 2. Il giudice può agire allo stesso modo quando vi sia qualche altra circostanza di cui al § 1, il reo non tenuto dalle pene latae sententiae.


1325 L'ignoranza crassa o supina o affettata non può mai essere presa in considerazione nell'applicare le disposizioni dei cann. 1323 e 1324; parimenti non si considerano l'ubriachezza o altre perturbazioni della mente se ricercate ad arte per mettere in atto il delitto o scusarsene, e la passione volontaria eccitata o favorita.


1326 § 1. Il giudice può punire più gravemente di quanto la legge o il precetto stabiliscono:

1° chi dopo la condanna o la dichiarazione della pena persiste ancora nel delinquere, a tal punto da lasciar prudentemente presumere dalle circostanze la sua pertinacia nella cattiva volontà;

2° chi è costituito in dignità o chi ha abusato dell'autorità o dell'ufficio per commettere il delitto;

3° il reo che, essendo stabilita una pena per il delitto colposo, previde l'evento e ciononostante omise le precauzioni per evitarlo, come qualsiasi persona diligente avrebbe fatto.

§ 2. Nei casi di cui al § 1, se la pena stabilita sia latae sententiae , vi si può aggiungere un'altra pena o una penitenza.


1327 La legge particolare può stabilire altre circostanze esimenti, attenuanti o aggravanti, oltre ai cann. 1323-1326, sia con una norma generale, sia per i singoli delitti. Parimenti si possono stabilire nel precetto circostanze che esimano dalla pena costituita con il precetto o l'attenuino o l'aggravino.


1328 § 1. Chi fece od omise alcunché per il compimento di un delitto, che tuttavia, nonostante la sua volontà, effettivamente non commise, non è tenuto alla pena stabilita per il delitto effettivamente compiuto, a meno che la legge o il precetto non dispongano altrimenti.

§ 2. Che se quegli atti od omissioni per loro natura conducono all'esecuzione del delitto, l'autore può essere sottoposto ad una penitenza o ad un rimedio penale, a meno che non abbia spontaneamente desistito dall'esecuzione già intrapresa del delitto. Se poi ne sia derivato scandalo o altro grave danno o pericolo, l'autore, anche se abbia spontaneamente desistito, può essere punito con una giusta pena, tuttavia più lieve di quella stabilita per il delitto effettivamente compiuto.


1329 § 1. Coloro che di comune accordo concorrono nel delitto, e non vengono espressamente nominati dalla legge o dal precetto, se sono stabilite pene ferendae sententiae contro l'autore principale, sono soggetti alle stesse pene o ad altre di pari o minore gravità.

§ 2. Incorrono nella pena latae sententiae annessa al delitto i complici non nominati dalla legge o dal precetto, se senza la loro opera il delitto non sarebbe stato commesso e la pena sia di tal natura che possa essere loro applicata, altrimenti possono essere puniti con pene ferendae sententiae.


1330 Il delitto che consiste in una dichiarazione o in altra manifestazione di volontà, di dottrina o di scienza, non deve considerarsi effettivamente compiuto, se nessuno raccolga quella dichiarazione o manifestazione.



CODICE DI DIRITTO CANONICO 1253