Christifideles laici 18

Capitolo II

18
18. Riascoltiamo le parole di Gesù: "Io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiolo... Rimanete in me e io in voi" (
Jn 15,1-4).

Con queste semplici parole ci viene rivelata la comunione misteriosa che vincola in unità il Signore e i discepoli, Cristo e i battezzati: una comunione viva e vivificante, per la quale i cristiani non appartengono a se stessi ma sono proprietà di Cristo, come i tralci inseriti nella vite.

La comunione dei cristiani con Gesù ha quale modello, fonte e meta la comunione stessa del Figlio con il Padre nel dono dello Spirito Santo: uniti al Figlio nel vincolo amoroso dello Spirito, i cristiani sono uniti al Padre.

Gesù continua: "Io sono la vite, voi i tralci" (Jn 15,5). Dalla comunione dei cristiani con Cristo scaturisce la comunione dei cristiani tra di loro: tutti sono tralci dell'unica vite, che è Cristo. In questa comunione fraterna il Signore Gesù indica il riflesso meraviglioso e la misteriosa partecipazione all'intima vita d'amore del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Per questa comunione Gesù prega: "Tutti siano una sola cosa. Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch'essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato" (Jn 17,21).

Tale comunione è il mistero stesso della Chiesa come ci ricorda il Concilio Vaticano II, con la celebre parola di san Cipriano: "La Chiesa universale si presenta come "un popolo adunato dall'unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo"" (LG 4). A questo mistero della Chiesa-comunione siamo abitualmente richiamati all'inizio della celebrazione eucaristica, allorquando il sacerdote ci accoglie con il saluto dell'apostolo Paolo: "La grazia del Signore Gesù Cristo, l'amore di Dio e la comunione dello Spirito Santo siano con tutti voi" (2Co 13,13). Dopo aver delineato la "figura" dei fedeli laici nella loro dignità dobbiamo ora riflettere sulla loro missione e responsabilità nella Chiesa e nel mondo: ma queste si possono comprendere adeguatamente solo nel contesto vivo della Chiesa-comunione.

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19. E' questa l'idea centrale che di se stessa la Chiesa ha riproposto nel Concilio Vaticano II, come ci ha ricordato il Sinodo straordinario del 1985, celebratosi a vent'anni dall'evento conciliare: "L'ecclesiologia di comunione è l'idea centrale e fondamentale nei documenti del Concilio. La "koinonia-comunione", fondata sulla Sacra Scrittura, è tenuta in grande onore nella Chiesa antica e nelle Chiese orientali fino ai nostri giorni. perciò molto è stato fatto dal Concilio Vaticano II perché la Chiesa come comunione fosse più chiaramente intesa e concretamente tradotta nella vita. Che cosa significa la complessa parola "comunione"? Si tratta fondamentalmente della comunione con Dio per mezzo di Gesù Cristo, nello Spirito Santo. Questa comunione si ha nella parola di Dio e nei sacramenti. Il Battesimo è la porta ed il fondamento della comunione nella Chiesa. L'Eucaristia è la fonte ed il culmine di tutta la vita cristiana (cfr.
LG 11). La comunione del corpo eucaristico di Cristo significa e produce, cioè edifica l'intima comunione di tutti i fedeli nel corpo di Cristo che è la Chiesa (cfr. 1Co 10,16s)" (Synodi Extr. Episcoporum 1985 "Ecclesia sub Verbo Dei mysteria Christi celebrans pro salute mundi". Relatio finalis, II, C, 1).

All'indomani del Concilio così Paolo VI si rivolgeva ai fedeli: "La Chiesa è una comunione. Che cosa vuol dire in questo caso: comunione? Noi vi rimandiamo al paragrafo del catechismo che parla della "sanctorum communionem", la comunione dei santi. Chiesa vuol dire comunione dei santi. E comunione dei santi vuol dire una duplice partecipazione vitale: l'incorporazione dei cristiani nella vita di Cristo, e la circolazione della medesima carità in tutta la compagine dei fedeli, in questo mondo e nell'altro. Unione a Cristo ed in Cristo; e unione fra i cristiani, nella Chiesa" (Pauli VI "Allocutio", die 8 iun. 1966: Insegnamenti di Paolo VI, IV [1966] 794).

Le immagini bibliche, con cui il Concilio ha voluto introdurci a contemplare il mistero della Chiesa, pongono in luce la realtà della Chiesa-comunione nella sua inscindibile dimensione di comunione dei cristiani con Cristo e di comunione dei cristiani tra loro. Sono le immagini dell'ovile, del gregge, della vite, dell'edificio spirituale, della città santa (cfr. LG 6). Soprattutto è l'immagine del corpo presentata dall'apostolo Paolo, la cui dottrina rifluisce fresca e attraente in numerose pagine del Concilio (cfr. LG 7 et passim). A sua volta il Concilio riprende dall'intera storia della salvezza e ripropone l'immagine della Chiesa come Popolo di Dio: "Piacque a Dio di santificare e salvare gli uomini non individualmente e senza alcun legame tra loro, ma volle costituire di loro un popolo, che lo riconoscesse nella verità e santamente lo servisse" (cfr. LG 9). Già nelle sue primissime righe, la costituzione "Lumen Gentium" compendia in modo mirabile questa dottrina scrivendo: "La Chiesa è in Cristo come sacramento, cioè segno e strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano" (cfr. LG 1).

La realtà della Chiesa-comunione è, allora, parte integrante, anzi rappresenta il contenuto centrale del "mistero", ossia del disegno divino della salvezza dell'umanità. Per questo la comunione ecclesiale non può essere interpretata in modo adeguato se viene intesa come una realtà semplicemente sociologica e psicologica. La Chiesa-comunione è il popolo "nuovo", il popolo "messianico", il popolo che "ha per capo Cristo... per condizione la dignità e la libertà dei figli di Dio... per legge il nuovo precetto di amare come lo stesso Cristo ci ha amati... per fine il Regno di Dio (... ed è) costituito da Cristo in una comunione di vita, di carità e di verità" (cfr. LG 9). I vincoli che uniscono i membri del nuovo popolo tra di loro - e prima ancora con Cristo - non sono quelli della "carne" e del "sangue", bensi quelli dello spirito, più precisamente quelli dello Spirito Santo, che tutti i battezzati ricevono (cfr. Jl 3,1).

Infatti, quello Spirito che dall'eternità vincola l'unica e indivisa Trinità, quello Spirito che "nella pienezza del tempo" (Ga 4,4) unisce indissolubilmente la carne umana al Figlio di Dio, quello stesso e identico Spirito è nel corso delle generazioni cristiane la sorgente ininterotta e inesauribile della comunione nella e della Chiesa.

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20. La comunione ecclesiale si configura, più precisamente, come una comunione "organica", analoga a quella di un corpo vivo e operante: essa, infatti, è caratterizzata dalla compresenza della diversità e della complementarietà delle vocazioni e condizioni di vita, dei ministeri, dei carismi e delle responsabilità.

Grazie a questa diversità e complementarietà ogni fedele laico si trova in relazione con tutto il corpo e ad esso offre il suo proprio contributo.

Sulla comunione organica del Corpo mistico di Cristo insiste in modo tutto particolare l'apostolo Paolo, il cui ricco insegnamento possiamo riascoltare nella sintesi tracciata dal Concilio: Gesù Cristo - leggiamo nella costituzione "Lumen Gentium" - "comunicando il suo Spirito, costituisce misticamente come suo corpo i suoi fratelli, chiamati da tutte le genti. In quel corpo la vita di Cristo si diffonde nei credenti... Come tutte le membra del corpo umano, anche se numerose, formano un solo corpo, così i fedeli in Cristo (cfr.
1Co 12,12). Anche nell'edificazione del corpo di Cristo vige la diversità delle membra e delle funzioni. Uno è lo Spirito, il quale per l'utilità della Chiesa distribuisce i suoi vari doni con magnificenza proporzionata alla sua ricchezza e alle necessità dei servizi (cfr. 1Co 12,1-11). Fra questi doni viene al primo posto la grazia degli apostoli, alla cui autorità lo stesso Spirito sottomette anche i carismatici (cfr. 1Co 14). Ed è ancora lo Spirito stesso che, con la sua forza e mediante l'intima connessione delle membra, produce e stimola la carità tra i fedeli. E quindi se un membro soffre, soffrono con esso tutte le altre membra; se un membro è onorato, ne gioiscono con esso tutte le altre membra (cfr. 1Co 12,26)" (LG 7).

E' sempre l'unico e identico Spinto il principio dinamico della varietà e dell'unità nella e della Chiesa. Leggiamo di nuovo nella costituzione "Lumen Gentium": "Perché poi ci rinnovassimo continuamente in lui (Cristo) (cfr. Ep 4,23), ci ha dato del suo Spirito, il quale, unico e identico nel capo e nelle membra, dà a tutto il corpo la vita, l'unità e il movimento, così che i santi Padri poterono paragonare la sua funzione con quella che esercita il principio vitale, cioè l'anima, nel corpo umano" (LG 7). E in un altro testo, particolarmente denso e prezioso per cogliere l'"organicità" propria della comunione ecclesiale anche nel suo aspetto di crescita incessante verso la perfetta comunione, il Concilio scrive: "Lo Spirito dimora nella Chiesa e nei cuori dei fedeli come in un tempio (cfr. 1Co 3,16;6,19) e in essi prega e rende testimonianza dell'adozione filiale (cfr. Ga 4,6 Rm 8,15-16 Rm 8,26). Egli guida la Chiesa verso tutta intera la verità (cfr. Jn 16,13), la unifica nella comunione e nel servizio, la istruisce e dirige con diversi doni gerarchici e carismatici, la abbellisce dei suoi frutti (cfr. Ep 4,11-12 1Co 12,4 Ga 5,22). Con la forza del Vangelo fa ringiovanire la Chiesa, continuamente la rinnova e la conduce alla perfetta unione con il suo sposo. Poiché lo Spirito e la sposa dicono al Signore Gesù: Vieni! (cfr. Ap 22,17)" (LG 4).

La comunione ecclesiale è, dunque, un dono, un grande dono dello Spirito Santo che i fedeli laici sono chiamati ad accogliere con gratitudine e, nello stesso tempo, a vivere con profondo senso di responsabilità. Ciò si attua concretamente mediante la loro partecipazione alla vita e alla missione della Chiesa, al cui servizio i fedeli laici pongono i loro diversi e complementari ministeri e carismi.

Il fedele laico "non può mai chiudersi in se stesso, isolandosi spiritualmente dalla comunità, ma deve vivere in un continuo scambio con gli altri, con un vivo senso di fraternità, nella gioia di una uguale dignità e nell'impegno di far fruttificare insieme l'immenso tesoro ricevuto in eredità. Lo Spirito del Signore dona a lui, come agli altri, molteplici carismi, lo invita a differenti ministeri e incarichi, gli ricorda, come anche lo ricorda agli altri in rapporto con lui, che tutto ciò che lo distingue non è un di più di dignità ma una speciale e complementare abilitazione al servizio... così, i carismi, i ministeri, gli incarichi ed i servizi del fedele laico esistono nella comunione e per la comunione. Sono ricchezze complementari a favore di tutti, sotto la saggia guida dei pastori" ("Homilia in Petriana Basilica habita, VII expleto ordinario generali coetu Synodi Episcoporum", 6, die 30 oct. 1987: , X, 3 [1987] 959s).

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21. Il Concilio Vaticano II presenta i ministeri e i carismi come doni dello Spirito Santo per l'edificazione del corpo di Cristo e per la sua missione di salvezza nel mondo (cfr.
LG 4). La Chiesa, infatti, è diretta e guidata dallo Spirito che elargisce diversi doni gerarchici e carismatici a tutti i battezzati chiamandoli ad essere, ciascuno a suo modo, attivi e corresponsabili.

Consideriamo ora i ministeri e i carismi in diretto riferimento ai fedeli laici e alla loro partecipazione alla vita della Chiesa-comunione.

I ministeri presenti e operanti nella Chiesa sono tutti, anche se in modalità diverse, una partecipazione al ministero di Gesù Cristo, il buon pastore che dà la vita per le sue pecore (cfr. Jn 10,11), il servo umile e totalmente sacrificato per la salvezza di tutti (cfr. Mc 10,45). Paolo è oltremodo chiaro nel parlare della costituzione ministeriale delle Chiese apostoliche. Nella prima lettera ai Corinzi scrive: "Alcuni Dio li ha posti nella Chiesa in primo luogo come apostoli, in secondo luogo come profeti, in terzo luogo come maestri..." (1Co 12,28). Nella lettera agli Efesini leggiamo: "A ciascuno di noi è stata data la grazia secondo la misura del dono di Cristo... E' lui che ha dato da una parte gli apostoli, d'altra parte i profeti, gli evangelisti, i pastori e i maestri, per rendere idonei i fratelli a compiere il ministero, al fine di edificare il corpo di Cristo, finché arriviamo tutti all'unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, allo stato di un uomo perfetto, nella misura che conviene alla piena maturità di Cristo" (Ep 4,7 Ep 4,11-13 cfr. Rm 12,4-8). Come appare da questi e da altri testi del Nuovo Testamento, i ministeri, come pure i doni e i compiti ecclesiali, sono molteplici e diversi.

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22. Nella Chiesa si trovano in primo luogo, i ministeri ordinati, ossia i ministeri che derivano dal sacramento dell'Ordine. Il Signore Gesù, infatti, ha scelto e costituito gli apostoli, seme del popolo della nuova alleanza e origine della sacra gerarchia (cfr.
AGD 5), affidando loro il mandato di fare discepole tutte le genti (cfr. Mt 28,19), di formare e di reggere il popolo sacerdotale. La missione degli apostoli, che il Signore Gesù continua a trasmettere ai pastori del suo popolo, è un vero servizio, significativamente chiamato nella Sacra Scrittura "diakonia", ossia servizio, ministero. Nella ininterotta successione apostolica i ministri ricevono il carisma dello Spirito Santo dal Cristo risorto mediante il sacramento dell'Ordine: ricevono così l'autorità e il potere sacro di agire "in persona Christi Capitis" (nella persona di Cristo capo) (PO 2; cfr. LG 10) per servire la Chiesa e per radunarla nello Spirito Santo per mezzo del Vangelo e dei sacramenti.

I ministeri ordinati, prima ancora che per le persone che li ricevono, sono una grazia per l'intera Chiesa. Essi esprimono e attuano una partecipazione al sacerdozio di Gesù Cristo che è diversa, non solo per grado ma per essenza, dalla partecipazione donata con il Battesimo e con la Confermazione a tutti i fedeli. D'altra parte il sacerdozio ministeriale, come ha ricordato il Concilio Vaticano II, è essenzialmente finalizzato al sacerdozio regale di tutti i fedeli e ad esso ordinato (cfr. LG 10).

Per questo, per assicurare e per far crescere la comunione nella Chiesa, in particolare nell'ambito dei diversi e complementari ministeri, i pastori devono riconoscere che il loro ministero è radicalmente ordinato al servizio di tutto il Popolo di Dio (cfr. He 5,1), e, a loro volta, i fedeli laici devono riconoscere che il sacerdozio ministeriale è del tutto necessario per la loro vita e per la loro partecipazione alla missione nella Chiesa (cfr. "Epistula ad universos Ecclesiae sacerdotes, adveniente feria V in Cena Domini anno MCMLXXIX", 3-4, die 9 apr. 1979: , II [1979] 844ss).

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23. La missione salvifica della Chiesa nel mondo è attuata non solo dai ministri in virtù del sacramento dell'Ordine ma anche da tutti i fedeli laici: questi, infatti, in virtù della loro condizione battesimale e della loro specifica vocazione, nella misura a ciascuno propria, partecipano all'ufficio sacerdotale, profetico e regale di Cristo.

I pastori, pertanto, devono riconoscere e promuovere i ministeri, gli uffici e le funzioni dei fedeli laici, che hanno il loro fondamento sacramentale nel Battesimo e nella Confermazione, nonché, per molti di loro, nel Matrimonio.

Quando poi la necessità o l'utilità della Chiesa lo esige, i pastori possono affidare ai fedeli laici, secondo le norme stabilite dal diritto universale, alcuni compiti che sono connessi con il loro proprio ministero di pastori ma che non esigono il carattere dell'Ordine. Il Codice di Diritto Canonico scrive: "Ove le necessità della Chiesa lo suggeriscano, in mancanza di ministri, anche i laici, pur senza essere lettori o accoliti, possono supplire alcuni dei loro uffici, cioè esercitare il ministero della parola, presiedere alle preghiere liturgiche, amministrare il Battesimo e distribuire la sacra Comunione, secondo le disposizioni del diritto" (
CIC 230 § 3). L'esercizio pero di questi compiti non fa del fedele laico un pastore: in realtà non è il compito a costituire il ministero, bensi l'ordinazione sacramentale. Solo il sacramento dell'Ordine attribuisce al ministero ordinato una peculiare partecipazione all'ufficio di Cristo capo e pastore e al suo sacerdozio eterno (cfr. PO 2 PO 5). Il compito esercitato in veste di supplente deriva la sua legittimazione immediatamente e formalmente dalla deputazione ufficiale data dai pastori, e nella sua concreta attuazione è diretto dall'autorità ecclesiastica (cfr. AA 24).

La recente assemblea del Sinodo ha presentato un ampio e significativo panorama della situazione ecclesiale circa i ministeri, gli uffici e le funzioni dei battezzati. I Padri hanno vivamente apprezzato l'apporto apostolico dei fedeli laici, uomini e donne, in favore dell'evangelizzazione, della santificazione e dell'animazione cristiana delle realtà temporali, come pure la loro generosa disponibilità alla supplenza in situazioni di emergenza e di croniche necessità (Il Codice di Diritto Canonico elenca una serie di funzioni o compiti propri dei sacri ministri, che tuttavia per speciali e gravi circostanze, e concretamente per mancanza di presbiteri o diaconi, vengono temporaneamente esercitati da fedeli laici, previa facoltà giuridica e mandato dell'autorità ecclesiastica competente: cfr. CIC 230 §3; CIC 517 § 2; CIC 776 CIC 861 § 2; CIC 910 § 2; CIC 943 CIC 1112; ecc.".

In seguito al rinnovamento liturgico promosso dal Concilio, gli stessi fedeli laici hanno acquisito più viva coscienza dei loro compiti nell'assemblea liturgica e nella sua preparazione, e si sono resi ampiamente disponibili a svolgerli: la celebrazione liturgica, infatti, è un'azione sacra non soltanto del clero, ma di tutta l'assemblea. E' naturale, pertanto, che i compiti non propri dei ministri ordinati siano svolti dai fedeli laici (cfr. SC 28; CIC 230 § 2, che recita: "I laici possono assolvere per incarico temporaneo la funzione di lettore nelle azioni liturgiche; così pure tutti i laici godono della facoltà di esercitare le funzioni di commentatore, cantore o altre ancora a norma del diritto"). Il passaggio poi da un effettivo coinvolgimento dei fedeli laici nell'azione liturgica a quello nell'annuncio della Parola di Dio e nella cura pastorale è stato spontaneo (Il "Codex Iuris Canonici", presenta diverse funzioni o compiti che i fedeli laici possono svolgere nelle strutture organizzative della Chiesa: cfr. CIC 228 CIC 229 § 3; CIC 317 § 3; CIC 463 § 1 numero 5 e § 3; CIC 483 CIC 494 CIC 537 CIC 759 CIC 776 CIC 784 CIC 785 CIC 1282 CIC 1421 § 2; CIC 1424 CIC 1428 § 2; CIC 1435; ecc.).

Nella stessa assemblea sinodale non sono mancati pero, insieme a quelli positivi, giudizi critici circa l'uso troppo indiscriminato del termine "ministero", la confusione e talvolta il livellamento tra il sacerdozio comune e il sacerdozio ministeriale, la scarsa osservanza di certe leggi e norme ecclesiastiche, l'interpretazione arbitraria del concetto di "supplenza", la tendenza alla "clericalizzazione" dei fedeli laici e il rischio di creare di fatto una struttura ecclesiale di servizio parallela a quella fondata sul sacramento dell'Ordine.

Proprio per superare questi pericoli i Padri sinodali hanno insistito sulla necessità che siano espresse con chiarezza, anche servendosi di una terminologia piu precisa (cfr. "Propositio 18"), l'unità di missione della Chiesa, alla quale partecipano tutti i battezzati, ed insieme l'essenziale diversità di ministero dei pastori, radicato nel sacramento dell'Ordine, rispetto agli altri ministeri, uffici e funzioni ecclesiali, che sono radicati nei sacramenti del Battesimo e della Confermazione.

E' necessario allora, in primo luogo, che i pastori, nel riconoscere e nel conferire ai fedeli laici i vari ministeri, uffici e funzioni, abbiano la massima cura di istruirli sulla radice battesimale di questi compiti. E' necessario poi che i pastori siano vigilanti perché si eviti un facile ed abusivo ricorso a presunte "situazioni di emergenza" o di "necessaria supplenza", là dove obiettivamente non esistono o là dove è possibile ovviarvi con una programmazione pastorale più razionale.

I vari ministeri, uffici e funzioni che i fedeli laici possono legittimamente svolgere nella liturgia, nella trasmissione della fede e nelle strutture pastorali della Chiesa, dovranno essere esercitati in conformità alla loro specifca vocazione laicale, diversa da quella dei sacri ministri. In tal senso, l'esortazione "Evangelii Nuntiandi", che tanta e benefica parte ha avuto nello stimolare la diversificata collaborazione dei fedeli laici alla vita e alla missione evangelizzatrice della Chiesa, ricorda che "il campo proprio della loro attività evangelizzatrice è il mondo vasto e complicato della politica, della realtà sociale, dell'economia; così pure della cultura, delle scienze e delle arti, della vita internazionale, degli strumenti della comunicazione sociale; ed anche di altre realtà particolarmente aperte all'evangelizzazione, quali l'amore, la famiglia, l'educazione di bambini e degli adolescenti, il lavoro professionale, la sofferenza. Più ci saranno laici penetrati di spirito evangelico, responsabili di queste realtà ed esplicitamente impegnati in esse, competenti nel promuoverle e consapevoli di dover sviluppare tutta la loro capacità cristiana spesso tenuta nascosta e soffocata, tanto più queste realtà, senza nulla perdere né sacrificare del loro coefficiente umano, ma manifestando una dimensione trascendente spesso sconosciuta, si troveranno al servizio dell'edificazione del Regno di Dio, e quindi della salvezza in Gesù Cristo" (Pauli VI EN 70).

Durante i lavori del Sinodo i Padri hanno dedicato non poca attenzione al lettorato e all'accolitato. Mentre in passato esistevano nella Chiesa latina soltanto come tappe spirituali dell'itinerario verso i ministeri ordinati, con il ""motu proprio" di Paolo VI "Ministeria Quaedam" (15 agosto 1972) essi hanno ricevuto una loro autonomia e stabilità, come pure una loro possibile destinazione agli stessi fedeli laici, sia pure soltanto uomini. Nello stesso senso si è espresso il nuovo Codice di Diritto Canonico (cfr. CIC 230 § 1). Ora i Padri sinodali hanno espresso il desiderio che il "motu proprio "Ministeria Quaedam"" sia rivisto, tenendo conto dell'uso delle Chiese locali e soprattutto indicando i criteri secondo cui debbano essere scelti i destinatari di ciascun ministero" ("Propositio 18").

In tal senso è stata costituita un'apposita commissione non solo per rispondere a questo desiderio espresso dai Padri sinodali, ma anche e ancor più per studiare in modo approfondito i diversi problemi teologici, liturgici, giuridici e pastorali sollevati dall'attuale grande fioritura di ministeri affidati ai fedeli laici.

In attesa che la commissione concluda il suo studio, perché la prassi ecclesiale dei ministeri affidati ai fedeli laici risulti ordinata e fruttuosa, dovranno essere fedelmente rispettati da tutte le Chiese particolari i principi teologici sopra ricordati, in particolare la diversità essenziale tra il sacerdozio ministeriale e il sacerdozio comune e, conseguentemente, la diversità tra i ministeri derivanti dal sacramento dell'Ordine e i ministeri derivanti dai sacramenti del Battesimo e della Confermazione.

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24. Lo Spirito Santo, mentre affida alla Chiesa-comunione i diversi ministeri, l'arricchisce di altri particolari doni e impulsi, chiamati carismi. Possono assumere le forme più diverse, sia come espressione dell'assoluta libertà dello Spirito che li elargisce, sia come risposta alle esigenze molteplici della storia della Chiesa. La descrizione e la classificazione che di questi doni fanno i testi del Nuovo Testamento sono un segno della loro grande varietà: "E a ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per l'utilità comune: a uno viene concesso dallo Spirito il linguaggio della sapienza; a un altro invece, per mezzo dello stesso Spirito, il linguaggio di scienza; a uno la fede per mezzo dello stesso Spirito; a un altro il dono di far guarigioni per mezzo dell'unico Spirito; a uno il potere dei miracoli, a un altro il dono della profezia; a un altro il dono di distinguere gli spiriti; a un altro le varietà delle lingue; a un altro infine l'interpretazione delle lingue" (
1Co 12,7-10 cfr. 1Co 12,4-6 1Co 12,28-31 Rm 12,6-8 1P 4,10-11). Straordinari o semplici e umili, i carismi sono grazie dello Spirito Santo che hanno, direttamente o indirettamente, un'utilità ecclesiale, ordinati come sono all'edificazione della Chiesa, al bene degli uomini e alle necessità del mondo.

Anche ai nostri tempi non manca la fioritura di diversi carismi tra i fedeli laici, uomini e donne. Sono dati alla persona singola, ma possono anche essere condivisi da altri e in tal modo vengono continuati nel tempo come una preziosa e viva eredità, che genera una particolare affinità spirituale tra le persone. Proprio in riferimento all'apostolato dei laici il Concilio Vaticano II scrive: "Per l'esercizio di tale apostolato lo Spirito Santo, che opera la santificazione del Popolo di Dio per mezzo del ministero e dei sacramenti, elargisce ai fedeli anche dei doni particolari (cfr. 1Co 12,7), "distribuendoli a ciascuno come vuole" (cfr. 1Co 12,11), affinché, "mettendo ciascuno a servizio degli altri la grazia ricevuta", contribuiscano anch'essi, "come buoni dispensatori delle diverse grazie ricevute da Dio" (1P 4,10), alla edificazione di tutto il corpo nella carità (cfr. Ep 4,16)" (AA 3).

Nella logica dell'ordinaria donazione da cui sono scaturiti, i doni dello Spirito esigono che quanti li hanno ricevuti li esercitino per la crescita di tutta la Chiesa, come ci ricorda il Concilio (AA 3: "Dall'aver ricevuto questi carismi, anche i più semplici, sorge per ogni credente il diritto e il dovere di esercitarli per il bene degli uomini e per l'edificazione della Chiesa, sia nella Chiesa stessa che nel mondo, con la libertà dello Spirito Santo, il quale "spira dove vuole" [Jn 3,8], e al tempo stesso nella comunione con i fratelli in Cristo, soprattutto con i propri pastori").

I carismi vanno accolti con gratitudine: da parte di chi li riceve, ma anche da parte di tutti nella Chiesa. Sono, infatti, una singolare ricchezza di grazia per la vitalità apostolica e per la santità dell'intero corpo di Cristo; purché siano doni che derivino veramente dallo Spirito e vengano esercitati in piena conformità agli impulsi autentici dello Spirito. In tal senso si rende sempre necessario il discernimento dei carismi. In realtà, come hanno detto i Padri sinodali, "l'azione dello Spirito Santo, che soffia dove vuole, non è sempre facile da riconoscere e da accogliere. Sappiamo che Dio agisce in tutti i fedeli cristiani e siamo coscienti dei benefici che vengono dai carismi sia per i singoli sia per tutta la comunità cristiana. Tuttavia, siamo anche coscienti della potenza del peccato e dei suoi sforzi per turbare e per confondere la vita dei fedeli e della comunità" ("Propositio 9").

Per questo nessun carisma dispensa dal riferimento e dalla sottomissione ai pastori della Chiesa. Con chiare parole il Concilio scrive: "Il giudizio sulla loro (dei carismi) genuinità e sul loro esercizio ordinato appartiene a quelli che presiedono nella Chiesa, ai quali spetta specialmente, non di estinguere lo Spirito, ma di esaminare tutto e ritenere ciò che è buono (cfr. 1Th 5,12 et 19-21)" (LG 12), affinché tutti i carismi cooperino, nella loro diversità e complementarietà, al bene comune (cfr. LG 30).

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25. I fedeli laici partecipano alla vita della Chiesa non solo mettendo in opera i loro compiti e carismi, ma anche in molti altri modi.

Tale partecipazione trova la sua prima e necessaria espressione nella vita e missione delle Chiese particolari, delle diocesi, nelle quali "è veramente presente e agisce la Chiesa di Cristo, una, santa, cattolica e apostolica" (
CD 11).

Per un'adeguata partecipazione alla vita ecclesiale è del tutto urgente che i fedeli laici abbiano una visione chiara e precisa della Chiesa particolare nel suo originale legame con la Chiesa universale.

La Chiesa particolare non nasce da una specie di frammentazione della Chiesa universale, né la Chiesa universale viene costituita dalla semplice somma delle Chiese particolari; ma un vivo, essenziale e costante vincolo le unisce tra loro, in quanto la Chiesa universale esiste e si manifesta nelle Chiese particolari.

Per questo il Concilio dice che le Chiese particolari sono "formate a immagine della Chiesa universale, nelle quali e a partire dalle quali esiste la sola e unica Chiesa cattolica" (LG 23).

Lo stesso Concilio stimola con forza i fedeli laici a vivere operosamente la loro appartenenza alla Chiesa particolare, assumendo nello stesso tempo un respiro sempre più "cattolico": "Coltivino costantemente - leggiamo nel decreto sull'apostolato dei laici - il senso della diocesi, di cui la parrocchia è come una cellula, sempre pronti, all'invito del loro pastore, ad unire anche le proprie forze alle iniziative diocesane. Anzi, per venire incontro alle necessità delle città e delle zone rurali, non limitino la loro propria cooperazione entro i confini della parrocchia o della diocesi, ma procurino di allargarla all'ambito interparrocchiale, interdiocesano, nazionale o internazionale, tanto più che il crescente spostamento delle popolazioni, lo sviluppo delle mutue relazioni e la facilità delle comunicazioni non consentono più ad alcuna parte della società di rimanere chiusa in se stessa. così abbiano a cuore le necessità del Popolo di Dio sparso su tutta la terra" (AA 10).

Il recente Sinodo ha chiesto, in tal senso, che si favorisca la creazione dei consigli pastorali diocesani, ai quali ricorrere secondo le opportunità. Si tratta, in realtà, della principale forma di collaborazione e di dialogo, come pure di discernimento, a livello diocesano. La partecipazione dei fedeli laici a questi consigli potrà ampliare il ricorso alla consultazione e il principio della collaborazione - che in certi casi è anche di decisione - verrà applicato in un modo più esteso e forte (cfr. "Propositio 10".

La partecipazione dei fedeli laici nei Sinodi diocesani e nei Concili particolari, provinciali o plenari, è prevista dal Codice di Diritto Canonico (cfr. CIC 443 § 4; CIC 463 § 1 et 2); essa potrà contribuire alla comunione e alla missione ecclesiale della Chiesa particolare, sia nel suo proprio ambito sia in relazione con le altre Chiese particolari della provincia ecclesiastica o della conferenza episcopale.

Le conferenze episcopali sono chiamate a valutare il modo più opportuno di sviluppare, a livello nazionale o regionale, la consultazione e la collaborazione dei fedeli laici, uomini e donne: si potranno così soppesare bene i problemi comuni e meglio si manifesterà la comunione ecclesiale di tutti (cfr. "Propositio 10").

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26. La comunione ecclesiale, pur avendo sempre una dimensione universale, trova la sua espressione più immediata e visibile nella parrocchia: essa è l'ultima localizzazione della Chiesa, è in un certo senso la Chiesa stessa che vive in mezzo alle case dei suoi figli e delle sue figlie (Leggiamo nel Concilio: "Poiché nella sua Chiesa il Vescovo non può presiedere personalmente e sempre e ovunque l'intero suo gregge, deve necessariamente costituire delle assemblee di fedeli, tra cui hanno un posto preminente le parrocchie costituite localmente sotto la guida di un pastore che fa le veci del Vescovo: esse infatti rappresentano in certo modo la Chiesa visibile stabilita su tutta la terra" [
SC 42]).

E' necessario che tutti riscopriamo, nella fede, il vero volto della parrocchia, ossia il "mistero" stesso della Chiesa presente e operante in essa: anche se a volte povera di persone e di mezzi, anche se altre volte dispersa su territori quanto mai vasti o quasi introvabile all'interno di popolosi e caotici quartieri moderni, la parrocchia non è principalmente una struttura, un territorio, un edificio; è piuttosto "la famiglia di Dio, come una fraternità animata dallo spirito d'unità" (cfr. LG 28), è "una casa di famiglia, fraterna ed accogliente" (CTR 67), è la "comunità di fedeli" (CIC 515 § 1). In definitiva, la parrocchia è fondata su di una realtà teologica, perché essa è una comunità eucaristica (cfr. "Propositio 10"). Ciò significa che essa è una comunità idonea a celebrare l'Eucaristia, nella quale stanno la radice viva del suo edificarsi e il vincolo sacramentale del suo essere in piena comunione con tutta la Chiesa. Tale idoneità si radica nel fatto che la parrocchia è una comunità di fede e una comunità organica, ossia costituita dai ministri ordinati e dagli altri cristiani, nella quale il parroco - che rappresenta il Vescovo diocesano (cfr. SC 42) - è il vincolo gerarchico con tutta la Chiesa particolare.

E' certamente immane il compito della Chiesa ai nostri giorni e ad assolverlo non può certo bastare la parrocchia da sola. Per questo il Codice di Diritto Canonico prevede forme di collaborazione tra parrocchie nell'ambito del territorio (cfr. CIC 555 § 1,1) e raccomanda al Vescovo la cura di tutte le categorie di fedeli, anche di quelle che non sono raggiunte dalla cura pastorale ordinaria (cfr. CIC 383 § 1).

Infatti, molti luoghi e forme di presenza e di azione sono necessari per recare la parola e la grazia del Vangelo nelle svariate condizioni di vita degli uomini d'oggi, e molte altre funzioni di irradiazione religiosa e d'apostolato d'ambiente, nel campo culturale, sociale, educativo, professionale, ecc., non possono avere come centro o punto di partenza la parrocchia. Eppure anche oggi la parrocchia vive una nuova e promettente stagione. Come diceva Paolo VI, all'inizio del suo Pontificato, rivolgendosi al clero romano: "Crediamo semplicemente che questa antica e venerata struttura della parrocchia ha una missione indispensabile e di grande attualità; ad essa spetta creare la prima comunità del popolo cristiano; ad essa iniziare e raccogliere il popolo nella normale espressione della vita liturgica; ad essa conservare e ravvivare la fede nella gente d'oggi; ad essa fornirle la scuola della dottrina salvatrice di Cristo; ad essa praticare nel sentimento e nell'opera l'umile carità delle opere buone e fraterne" (Pauli VI "Allocutio ad Emum P. Card. vicaria potestate Urbis Antistitem", die 24 iun. 1963: Insegnamenti di Paolo VI, I [1963] 13ss).

I Padri sinodali, dal canto loro, hanno attentamente considerato l'attuale situazione di molte parrocchie, sollecitando un loro più deciso rinnovamento: "Molte parrocchie, sia in regioni urbanizzate sia in territorio missionario, non possono funzionare con pienezza effettiva per la mancanza di mezzi materiali o di uomini ordinati, o anche per l'eccessiva estensione geografica e per la speciale condizione di alcuni cristiani (come, per esempio, gli esuli e gli emigranti). Perché tutte queste parrocchie siano veramente comunità cristiane, le autorità locali devono favorire: a) l'adattamento delle strutture parrocchiali con la flessibilità ampia concessa dal Diritto Canonico, soprattutto promuovendo la partecipazione dei laici alle responsabilità pastorali; b) le piccole comunità ecclesiali di base, dette anche comunità vive, dove i fedeli possono comunicarsi a vicenda la Parola di Dio ed esprimersi nel servizio e nell'amore; queste comunità sono vere espressioni della comunione ecclesiale e centri di evangelizzazione, in comunione con i loro pastori" ("Propositio 11").

Per il rinnovamento delle parrocchie e per meglio assicurare la loro efficacia operativa si devono favorire forme anche istituzionali di cooperazione tra le diverse parrocchie di un medesimo territorio.

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27. E' necessario ora considerare più da vicino la comunione e la partecipazione dei fedeli laici alla vita della parrocchia. In tal senso è da richiamarsi l'attenzione di tutti i fedeli laici, uomini e donne, su di una parola tanto vera, significativa e stimolante del Concilio: "All'interno delle comunità della Chiesa - leggiamo nel decreto sull'apostolato dei laici - la loro azione è talmente necessaria che senza di essa lo stesso apostolato dei pastori non può per lo più raggiungere la sua piena efficacia" (
AA 10). E', questa, un'affermazione radicale, che dev'essere evidentemente intesa nella luce della "ecclesiologia di comunione": essendo diversi e complementari, i ministeri e i carismi sono tutti necessari alla crescita della Chiesa, ciascuno secondo la propria modalità.

I fedeli laici devono essere sempre più convinti del particolare significato che assume l'impegno apostolico nella loro parrocchia. E' ancora il Concilio a rilevarlo autorevolmente: "La parrocchia offre un luminoso esempio di apostolato comunitario, fondendo insieme tutte le differenze umane che vi si trovano e inserendole nell'universalità della Chiesa. Si abituino i laici a lavorare nella parrocchia intimamente uniti ai loro sacerdoti, ad esporre alla comunità della Chiesa i propri problemi e quelli del mondo e le questioni che riguardano la salvezza degli uomini, perché siano esaminati e risolti con il concorso di tutti; a dare, secondo le proprie possibilità, il loro contributo ad ogni iniziativa apostolica e missionaria della propria famiglia ecclesiastica" (AA 10).

L'accenno conciliare all'esame e alla risoluzione dei problemi pastorali "con il concorso di tutti" deve trovare il suo adeguato e strutturato sviluppo nella valorizzazione più convinta, ampia e decisa dei Consigli pastorali parrocchiali, sui quali hanno giustamente insistito i padri sinodali (cfr. "Propositio 10").

Nelle circostanze attuali i fedeli laici possono e devono fare moltissimo per la crescita di un'autentica comunione ecclesiale all'interno delle loro parrocchie e per ridestare lo slancio missionario verso i non credenti e verso gli stessi credenti che hanno abbandonato o affievolito la pratica della vita cristiana.

Se la parrocchia è la Chiesa posta in mezzo alle case degli uomini, essa vive e opera profondamente inserita nella società umana e intimamente solidale con le sue aspirazioni e i suoi drammi. Spesso il contesto sociale, soprattutto in certi paesi e ambienti, è violentemente scosso da forze di disgregazione e di disumanizzazione: l'uomo è smarrito e disorientato, ma nel cuore gli rimane sempre più il desiderio di poter sperimentare e coltivare rapporti più fraterni e più umani. La risposta a tale desiderio può venire dalla parrocchia, quando questa, con la viva partecipazione dei fedeli laici, rimane coerente alla sua originaria vocazione e missione: essere nel mondo "luogo" della comunione dei credenti e insieme "segno" e "strumento" della vocazione di tutti alla comunione; in una parola, essere la casa aperta a tutti e al servizio di tutti o, come amava dire il Papa Giovanni XXIII, la fontana del villaggio alla quale tutti ricorrono per la loro sete.

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28. I fedeli laici, unitamente ai sacerdoti, ai religiosi e alle religiose, formano l'unico Popolo di Dio e corpo di Cristo.

L'essere "membri" della Chiesa nulla toglie al fatto che ciascun cristiano sia un essere "unico e irripetibile", bensi garantisce e promuove il senso più profondo della sua unicità e irripetibilità, in quanto fonte di varietà e di ricchezza per l'intera Chiesa. In tal senso Dio in Gesù Cristo chiama ciascuno col proprio inconfondibile nome. L'appello del Signore: "Andate anche voi nella mia vigna" si rivolge a ciascuno personalmente e suona: "Vieni anche tu nella mia vigna!".

Così ciascuno nella sua unicità e irripetibilità, con il suo essere e con il suo agire, si pone al servizio della crescita della comunione ecclesiale, come peraltro singolarmente riceve e fa sua la comune ricchezza di tutta la Chiesa. E' questa la "comunione dei santi", da noi professata nel Credo: il bene di tutti diventa il bene di ciascuno e il bene di ciascuno diventa il bene di tutti. "Nella santa Chiesa - scrive san Gregorio Magno - ognuno è sostegno degli altri e gli altri sono suo sostegno" (S. Gregorii Magni "Hom. in Ez.", II, I, 5: CCL 142, 211). E' del tutto necessario che ciascun fedele laico abbia sempre viva coscienza di essere un "membro della Chiesa", al quale è affidato un compito originale insostituibile e indelegabile, da svolgere per il bene di tutti. In una simile prospettiva assume tutto il suo significato l'affermazione conciliare circa l'assoluta necessità dell'apostolato della singola persona: "L'apostolato che i singoli devono svolgere, sgorgando abbondantemente dalla fonte di una vita veramente cristiana (cfr.
Jn 4,14), è la prima forma e la condizione di ogni apostolato dei laici, anche di quello associato, ed è insostituibile. A tale apostolato, sempre e dovunque proficuo, ma in certe circostanze l'unico adatto e possibile, sono chiamati e obbligati tutti i laici, di qualsiasi condizione, anche se manca loro l'occasione o la possibilità di collaborare nelle associazioni" (AA 16).

Nell'apostolato personale ci sono grandi ricchezze che chiedono di essere scoperte per un'intensificazione del dinamismo missionario di ciascun fedele laico. Con tale forma di apostolato, l'irradiazione del Vangelo può farsi quanto mai capillare, giungendo a tanti luoghi e ambienti quanti sono quelli legati alla vita quotidiana e concreta dei laici. Si tratta, inoltre, di un'irradiazione costante, essendo legata alla continua coerenza della vita personale con la fede; come pure di un'irradiazione particolarmente incisiva, perché, nella piena condivisione delle condizioni di vita, del lavoro, delle difficoltà e speranze dei fratelli, i fedeli laici possono giungere al cuore dei loro vicini o amici o colleghi, aprendolo all'orizzonte totale, al senso pieno dell'esistenza: la comunione con Dio e tra gli uomini.

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29. La comunione ecclesiale, già presente e operante nell'azione della singola persona, trova una sua specifica espressione nell'operare associato dei fedeli laici, ossia nell'azione solidale da essi svolta nel partecipare responsabilmente alla vita e alla missione della Chiesa.

In questi ultimi tempi il fenomeno dell'aggregarsi dei laici tra loro è venuto ad assumere caratteri di particolare varietà e vivacità. Se sempre nella storia della Chiesa l'aggregarsi dei fedeli ha rappresentato in qualche modo una linea costante, come testimoniano sino ad oggi le varie confraternite, i terzi ordini e i diversi sodalizi, esso ha pero ricevuto uno speciale impulso nei tempi moderni, che hanno visto il nascere e il diffondersi di molteplici forme aggregative: associazioni, gruppi, comunità, movimenti. Possiamo parlare di una nuova stagione aggregativa dei fedeli laici. Infatti, "accanto all'associazionismo tradizionale, e talvolta alle sue stesse radici, sono germogliati movimenti e sodalizi nuovi, con fisionomia e finalità specifiche: tanta è la ricchezza e la versatilità delle risorse che lo Spirito alimenta nel tessuto ecclesiale, e tanta è pure la capacità d'iniziativa e la generosità del nostro laicato" ("Allocutio ad precationem "Angelus"", 2, die 23 aug. 1987: , X, 3 [1987] 240).

Queste aggregazioni di laici si presentano spesso assai diverse le une dalle altre in vari aspetti, come la configurazione esteriore, i cammini e metodi educativi, e i campi operativi. Trovano pero le linee di un'ampia e profonda convergenza nella finalità che le anima: quella di partecipare responsabilmente alla missione della Chiesa di portare il Vangelo di Cristo come fonte di speranza per l'uomo e di rinnovamento per la società.

L'aggregarsi dei fedeli laici per motivi spirituali e apostolici scaturisce da più fonti e corrisponde ad esigenze diverse: esprime, infatti, la natura sociale della persona e obbedisce all'istanza di una più vasta ed incisiva efficacia operativa. In realtà, l'incidenza "culturale", sorgente e stimolo ma anche frutto e segno di ogni altra trasformazione dell'ambiente e della società, può realizzarsi solo con l'opera non tanto dei singoli quanto di un "soggetto sociale", ossia di un gruppo, di una comunità, di un'associazione, di un movimento. Ciò è particolarmente vero nel contesto della società pluralistica e frantumata - com'è quella attuale in tante parti del mondo - e di fronte a problemi divenuti enormemente complessi e difficili. D'altra parte, soprattutto in un mondo secolarizzato, le varie forme aggregative possono rappresentare per tanti un aiuto prezioso per una vita cristiana coerente alle esigenze del Vangelo e per un impegno missionario e apostolico.

Al di là di questi motivi, la ragione profonda che giustifica ed esige l'aggregarsi dei fedeli laici è di ordine teologico: è una ragione ecclesiologica, come apertamente riconosce il Concilio Vaticano II che indica nell'apostolato associato un "segno della comunione e dell'unità della Chiesa in Cristo" (
AA 18).

E' un "segno" che deve manifestarsi nei rapporti di "comunione" sia all'interno che all'esterno delle varie forme aggregative nel più ampio contesto della comunità cristiana. Proprio la ragione ecclesiologica indicata spiega da un lato il "diritto" di aggregazione proprio dei fedeli laici, dall'altro lato la necessità di "criteri" di discernimento circa l'autenticità ecclesiale delle loro forme aggregative.

E' anzitutto da riconoscersi la libertà associativa dei fedeli laici nella Chiesa. Tale libertà è un vero e proprio diritto che non deriva da una specie di "concessione" dell'autorità, ma che scaturisce dal Battesimo, quale sacramento che chiama i fedeli laici a partecipare attivamente alla comunione e alla missione della Chiesa. Al riguardo è del tutto chiaro il Concilio: "Salva la dovuta relazione con l'autorità ecclesiastica, i laici hanno il diritto di creare e guidare associazioni e dare nome a quelle fondate" (AA 19; cfr. etiam AA 15 LG 37). E il recente Codice testualmente afferma: "I fedeli hanno il diritto di fondare e di dirigere liberamente associazioni che si propongano un fine di carità o di pietà, oppure associazioni che si propongano l'incremento della vocazione cristiana nel mondo; hanno anche il diritto di tenere riunioni per il raggiungimento comune di tali finalità" (CIC 215).

Si tratta di una libertà riconosciuta e garantita dall'autorità ecclesiastica e che dev'essere esercitata sempre e solo nella comunione della Chiesa: in tal senso il diritto dei fedeli laici ad aggregarsi è essenzialmente relativo alla vita di comunione e alla missione della Chiesa stessa.

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30. E' sempre nella prospettiva della comunione e della missione della Chiesa, e dunque non in contrasto con la libertà associativa, che si comprende la necessità di criteri chiari e precisi di discernimento e di riconoscimento delle aggregazioni laicali, detti anche "criteri di ecclesialità".

Come criteri fondamentali per il discernimento di ogni e qualsiasi aggregazione dei fedeli laici nella Chiesa si possono considerare, in modo unitario, i seguenti: - Il primato dato alla vocazione di ogni cristiano alla santità, manifestata "nei frutti della grazia che lo Spirito produce nei fedeli" (
LG 39) come crescita verso la pienezza della vita cristiana e la perfezione della carità (cfr. LG 40).

In tal senso ogni e qualsiasi aggregazione di fedeli laici è chiamata ad essere sempre più strumento di santità nella Chiesa, favorendo e incoraggiando "una più intima unità tra la vita pratica dei membri e la loro fede" (AA 19).

- La responsabilità di confessare la fede cattolica, accogliendo e proclamando la verità su Cristo, sulla Chiesa e sull'uomo in obbedienza al Magistero della Chiesa, che autenticamente la interpreta. Per questo ogni aggregazione di fedeli laici dev'essere luogo di annuncio e di proposta della fede e di educazione ad essa nel suo integrale contenuto.

- La testimonianza di una comunione salda e convinta, in relazione filiale con il Papa, perpetuo e visibile centro dell'unità della Chiesa universale (LG 23), e con il Vescovo "principio visibile e fondamento dell'unità" (LG 23) della Chiesa particolare, e nella "stima vicendevole fra tutte le forme di apostolato nella Chiesa" (AA 23).

La comunione con il Papa e con il Vescovo è chiamata ad esprimersi nella leale disponibilità ad accogliere i loro insegnamenti dottrinali e orientamenti pastorali. La comunione ecclesiale esige, inoltre, il riconoscimento della legittima pluralità delle forme aggregative dei fedeli laici nella Chiesa e, nello stesso tempo, la disponibilità alla loro reciproca collaborazione.

- La conformità e la partecipazione al fine apostolico della Chiesa, ossia "l'evangelizzazione e la santificazione degli uomini e la formazione cristiana della loro coscienza, in modo che riescano a permeare di spirito evangelico le varie comunità e i vari ambienti" (AA 20).

In questa prospettiva, da tutte le forme aggregative di fedeli laici, e da ciascuna di esse, è richiesto uno slancio missionario che le renda sempre più soggetti di una nuova evangelizzazione.

- L'impegno di una presenza nella società umana che, alla luce della dottrina sociale della Chiesa, si ponga a servizio della dignità integrale dell'uomo.

In tal senso le aggregazioni dei fedeli laici devono diventare correnti vive di partecipazione e di solidarietà per costruire condizioni più giuste e fraterne all'interno della società.

I criteri fondamentali ora esposti trovano la loro verifica nei frutti concreti che accompagnano la vita e le opere delle diverse forme associative quali: il gusto rinnovato per la preghiera, la contemplazione, la vita liturgica e sacramentale; l'animazione per il fiorire di vocazioni al matrimonio cristiano, al sacerdozio ministeriale, alla vita consacrata; la disponibilità a partecipare ai programmi e alle attività della Chiesa a livello sia locale sia nazionale o internazionale; l'impegno catechetico e la capacità pedagogica nel formare i cristiani; l'impulso a una presenza cristiana nei diversi ambienti della vita sociale e la creazione e animazione di opere caritative, culturali e spirituali; lo spirito di distacco e di povertà evangelica per una più generosa carità verso tutti; la conversione alla vita cristiana o il ritorno alla comunione di battezzati "lontani".

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31. I pastori della Chiesa, sia pure di fronte a possibili e comprensibili difficoltà di alcune forme aggregative e all'imporsi di nuove forme, non possono rinunciare al servizio della loro autorità, non solo per il bene della Chiesa, ma anche per il bene delle stesse aggregazioni laicali. In tal senso devono accompagnare l'opera di discernimento con la guida e soprattutto con l'incoraggiamento per una crescita delle aggregazioni dei fedeli laici nella comunione e nella missione della Chiesa.

E' oltremodo opportuno che alcune nuove associazioni e alcuni nuovi movimenti, per la loro diffusione spesso nazionale o anche internazionale, abbiano a ricevere un riconoscimento ufficiale, un'approvazione esplicita della competente autorità ecclesiastica. In questo senso già il Concilio affermava: "L'apostolato dei laici ammette certo vari tipi di rapporti con la gerarchia secondo le diverse forme e oggetti dell'apostolato stesso... Alcune forme di apostolato dei laici vengono in vari modi esplicitamente riconosciute dalla gerarchia. L'autorità ecclesiastica, per le esigenze del bene comune della Chiesa, fra le associazioni e iniziative apostoliche aventi un fine immediatamente spirituale, può inoltre sceglierne in modo particolare e promuoverne alcune per le quali assume una speciale responsabilità" (
AA 24).

Tra le diverse forme apostoliche dei laici che hanno un particolare rapporto con la gerarchia i Padri sinodali hanno esplicitamente ricordato vari movimenti e associazioni di Azione Cattolica, in cui "i laici si associano liberamente in forma organica e stabile, sotto la spinta dello Spirito Santo, nella comunione con il Vescovo e con i sacerdoti, per poter servire, nel modo proprio della loro vocazione, con un particolare metodo, all'incremento di tutta la comunità cristiana, ai progetti pastorali e all'animazione evangelica di tutti gli ambiti della vita, con fedeltà e operosità" ("Propositio 13").

Il Pontificio Consiglio per i Laici è incaricato di preparare un elenco delle associazioni che ricevono l'approvazione ufficiale della Santa Sede e di definire, insieme al Segretariato per l'Unione dei Cristiani, le condizioni in base alle quali può essere approvata un'associazione ecumenica in cui la maggioranza sia cattolica e una minoranza non cattolica, stabilendo anche in quali casi non si può dare un giudizio positivo (cfr. "Propositio 15").

Tutti, pastori e fedeli, siamo obbligati a favorire e ad alimentare di continuo vincoli e rapporti fraterni di stima, di cordialità, di collaborazione tra le varie forme aggregative di laici. Solo così la ricchezza dei doni e dei carismi che il Signore ci offre può portare il suo fecondo e ordinato contributo all'edificazione della casa comune: "Per la solidale edificazione della casa comune è necessario, inoltre, che sia deposto ogni spirito di antagonismo e di contesa, e che si gareggi piuttosto nello stimarsi a vicenda (cfr. Rm 12,10), nel prevenirsi reciprocamente nell'affetto e nella volontà di collaborazione, con la pazienza, la lungimiranza, la disponibilità al sacrificio che ciò potrà talvolta comportare" ("Allocutio Laureti in Piceno, ad Italiae espiscopos, quosdamque presbyteros et laicos simul congregatos habita", die 11 apr. 1985: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, VIII, 1 [1985] 998).

Ritorniamo ancora una volta alle parole di Gesù: "Io sono la vite, voi tralci" (Jn 15,5), per rendere grazie a Dio del grande dono della comunione ecclesiale, riflesso nel tempo dell'eterna e ineffabile comunione d'amore di Dio uno e trino. La coscienza del dono si deve accompagnare ad un forte senso di responsabilità: è, infatti, un dono che, come il talento evangelico, esige d'essere trafficato in una vita di crescente comunione.

Essere responsabili del dono della comunione significa, anzitutto, essere impegnati a vincere ogni tentazione di divisione e di contrapposizione, che insidia la vita e l'impegno apostolico dei cristiani. Il grido di dolore e di sconcerto dell'apostolo Paolo: "Mi riferisco al fatto che ciascuno di voi dice: "Io sono di Paolo", "Io invece sono di Apollo", "E io di Cefa", "E io di Cristo!".

Cristo è stato forse diviso?" (1Co 1,12-13) continua a suonare come rimprovero per le "lacerazioni del corpo di Cristo". Risuonino, invece, come appello persuasivo queste altre parole dell'Apostolo: "Vi esorto, fratelli, per il nome del Signore nostro Gesù Cristo, ad essere unanimi nel parlare, perché non vi siano divisioni tra voi, ma siate in perfetta unione di pensiero e d'intenti" (1Co 1,10).

Così la vita di comunione ecclesiale diventa un segno per il mondo e una forza attrattiva che conduce a credere in Cristo: "Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch'essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato" (Jn 17,21). In tal modo la comunione si apre alla missione, si fa essa stessa missione.


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