Christifideles laici 45

Capitolo IV

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45. Secondo la parabola evangelica, il "padrone di casa" chiama gli operai alla sua vigna nelle diverse ore della giornata: alcuni all'alba, altri verso le nove del mattino, altri ancora verso mezzogiorno e le tre, gli ultimi verso le cinque (cfr.
Mt 20,1ss). Nel commento a questa pagina del Vangelo, san Gregorio Magno interpreta le ore diverse della chiamata rapportandole alle età della vita: "E' possibile applicare la diversità delle ore - egli scrive - alle diverse età dell'uomo. Il mattino può certo rappresentare, in questa nostra interpretazione, la fanciullezza. L'ora terza, poi, si può intendere come l'adolescenza: il sole si muove verso l'alto del cielo, cioè cresce l'ardore dell'età. La sesta ora è la giovinezza: il sole sta come nel mezzo del cielo, ossia in quest'età si rafforza la pienezza del vigore. L'anzianità rappresenta l'ora nona, perché come il sole declina dal suo alto asse così quest'età comincia a perdere l'ardore della giovinezza. L'undicesima ora è l'età di quelli molto avanzati negli anni... Gli operai sono, dunque, chiamati alla vigna in diverse ore, come per dire che alla vita santa uno è condotto durante la fanciullezza, un altro nella giovinezza, un altro nell'anzianità e un altro nell'età più avanzata" (S. Gregorii Magni "Hom. in Evang.", I, XIX, 2: PL 76, 1155).

Possiamo riprendere ed estendere il commento di san Gregorio Magno in rapporto alla straordinaria varietà di presenze nella Chiesa, tutte e ciascuna chiamate a lavorare per l'avvento del Regno di Dio secondo la diversità di vocazioni e situazioni, carismi e ministeri. E' una varietà legata non solo all'età, ma anche alla differenza di sesso e alla diversità delle doti come pure alle vocazioni e alle condizioni di vita; è una varietà che rende più viva e concreta la ricchezza della Chiesa.

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46. Il Sinodo ha voluto riservare un'attenzione particolare ai giovani. E giustamente. In tanti paesi del mondo essi rappresentano la metà dell'intera popolazione e, spesso, la metà numerica dello stesso Popolo di Dio che in quei paesi vive. Già sotto questo aspetto i giovani costituiscono una forza eccezionale e sono una grande sfda per l'avvenire della Chiesa. Nei giovani infatti, la Chiesa legge il suo camminare verso il futuro che l'attende e trova l'immagine e il richiamo di quella lieta giovinezza di cui lo Spirito di Cristo costantemente l'arricchisce. In questo senso il Concilio ha definito i giovani "speranza della Chiesa" (
GE 2).

Nella lettera scritta ai giovani e alle giovani del mondo, il 31 marzo 1985, leggiamo: "La Chiesa guarda i giovani; anzi, la Chiesa in modo speciale guarda se stessa nei giovani, in voi tutti ed insieme in ciascuna e in ciascuno di voi. così è stato sin dall'inizio, dai tempi apostolici. Le parole di san Giovanni nella sua prima lettera possono essere una particolare testimonianza: "Scrivo a voi, giovani, perché avete vinto il maligno. Ho scritto a voi, figlioli, perché avete conosciuto il Padre... Ho scritto a voi, giovani, perché siete forti, e la Parola di Dio dimora in voi" (1Jn 2,13-14)... Nella nostra generazione, al termine del secondo millennio dopo Cristo, anche la Chiesa guarda se stessa nei giovani" ("Epistula Apostolica ad iuvenes internationali vertente anno iuventuti dicato", 15, die 31 mar. 1985: , VIII, 1 [1985] 794s).

I giovani non devono essere considerati semplicemente come l'oggetto della sollecitudine pastorale della Chiesa; sono di fatto, e devono venire incoraggiati ad esserlo, soggetti attivi, protagonisti dell'evangelizzazione e artefici del rinnovamento sociale (cfr. "Propositio 52"). La giovinezza è il tempo di una scoperta particolarmente intensa del proprio "io" e del proprio "progetto di vita", è il tempo di una crescita che deve avvenire "in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini" (Lc 2,52).

Come hanno detto i Padri sinodali, "la sensibilità dei giovani percepisce profondamente i valori della giustizia, della non violenza e della pace. Il loro cuore è aperto alla fraternità, all'amicizia e alla solidarietà.

Sono mobilitati al massimo per le cause che riguardano la qualità della vita e la conservazione della natura. Ma essi sono anche carichi di inquietudini, di delusioni, di angosce e paure del mondo, oltre che delle tentazioni proprie del loro stato" ("Propositio 51").

La Chiesa deve rivivere l'amore di predilezione che Gesù ha testimoniato al giovane del Vangelo: "Gesù, fissatolo, lo amo" (Mc 10,21). Per questo la Chiesa non si stanca di annunciare Gesù Cristo, di proclamare il suo Vangelo come l'unica e sovrabbondante risposta alle più radicali aspirazioni dei giovani, come la proposta forte ed esaltante di una sequela personale ("vieni e seguimi" (Mc 10,21), che comporta la condivisione all'amore filiale di Gesù per il Padre e la partecipazione alla sua missione di salvezza per l'umanità.

La Chiesa ha tante cose da dire ai giovani, e i giovani hanno tante cose da dire alla Chiesa. Questo reciproco dialogo, da attuarsi con grande cordialità, chiarezza e coraggio, favorirà l'incontro e lo scambio tra le generazioni, e sarà fonte di ricchezza e di giovinezza per la Chiesa e per la società civile. Nel suo messaggio ai giovani il Concilio dice: "La Chiesa vi guarda con fiducia e con amore... Essa è la vera giovinezza del mondo..., guardatela e troverete in lei il volto di Cristo" (Conc. Oec. Vat. II "Nuntii quibusdam hominum ordinibus dati, "Aux jeunes"", die 8 dec. 1965: AAS 58 [1966] 18).

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47. I bambini sono certamente il termine dell'amore delicato e generoso del Signore Gesù: ad essi riserva la sua benedizione e ancor più assicura il Regno dei cieli (cfr.
Mt 19,13-15 Mc 10,14). In particolare Gesù esalta il ruolo attivo che i piccoli hanno nel Regno di Dio: sono il simbolo eloquente e la splendida immagine di quelle condizioni morali e spirituali che sono essenziali per entrare nel Regno di Dio e per viverne la logica di totale affidamento al Signore: "In verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel Regno dei cieli. Perché chiunque diventerà piccolo come questo bambino sarà il più grande nel Regno dei cieli. E chi accoglie anche uno solo di questi bambini in nome mio accoglie me" (Mt 18,3-5 cfr. Lc 9,48).

I bambini ci ricordano che la fecondità missionaria della Chiesa ha la sua radice vivificante non nei mezzi e nei meriti umani, ma nel dono assolutamente gratuito di Dio. La vita di innocenza e di grazia dei bambini, come pure le sofferenze loro ingiustamente inflitte, ottengono, in virtù della croce di Cristo, uno spirituale arricchimento per loro e per l'intera Chiesa: di questo tutti dobbiamo prendere più viva e grata coscienza.

Si deve riconoscere, inoltre, che anche nell'età dell'infanzia e della fanciullezza sono aperte preziose possibilità operative sia per l'edificazione della Chiesa che per l'umanizzazione della società. Quanto il Concilio dice della presenza benefica e costruttiva dei figli all'interno della famiglia "Chiesa domestica": "I figli, come membra vive della famiglia, contribuiscono pure a loro modo alla santificazione dei genitori" (GS 48), dev'essere ripetuto dei bambini in rapporto alla Chiesa particolare e universale. Lo rilevava già Jean Gerson, teologo ed educatore del XV secolo, per il quale "i fanciulli e gli adolescenti non sono certo una parte trascurabile della Chiesa" (Ioannis Gerson "De parvulis ad Christum trehendis: Oeuvres complètes", Declée, Paris 1973, IX, 669).

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48. Alle persone anziane, spesso ingiustamente ritenute inutili se non addirittura d'insopportabile peso, ricordo che la Chiesa chiede e attende che esse abbiano a continuare la loro missione apostolica e missionaria, non solo possibile e doverosa anche a quest'età, ma da questa stessa età resa in qualche modo specifica e originale.

La Bibbia ama presentare l'anziano come il simbolo della persona ricca di sapienza e di timore di Dio (cfr.
Si 25,4-8). In questo senso il "dono" dell'anziano potrebbe qualificarsi come quello di essere, nella Chiesa e nella società, il testimone della Tradizione di fede (cfr. Ps 44,2 Ex 12,26-27), il maestro di vita (cfr. Si 6,35 Si 8,11-12), l'operatore di carità.

Ora l'aumentato numero di persone anziane in diversi Paesi del mondo e la cessazione anticipata dell'attività professionale e lavorativa aprono uno spazio nuovo al compito apostolico degli anziani: è un compito da assumersi superando con decisione la tentazione di rifugiarsi nostalgicamente in un passato che non ritorna più o di rifuggire da un impegno presente per le difficoltà incontrate in un mondo dalle continue novità; e prendendo sempre più chiara coscienza che il proprio ruolo nella Chiesa e nella società non conosce affatto soste dovute all'età, bensi conosce solo modi nuovi. Come dice il salmista: "Nella vecchiaia daranno ancora frutti, saranno vegeti e rigogliosi, per annunziare quanto è retto il Signore" (Ps 92,15-16). Ripeto quanto ho detto durante la celebrazione del Giubileo degli Anziani: "L'ingresso nella terza età è da considerarsi un privilegio: non solo perché non tutti hanno la fortuna di raggiungere questo traguardo, ma anche e soprattutto perché questo è il periodo delle possibilità concrete di rlconsiderare meglio il passato, di conoscere e di vivere più profondamente il mistero pasquale, di divenire esempio nella Chiesa a tutto il Popolo di Dio... Nonostante la complessità dei vostri problemi da risolvere, le forze che progressivamente si affievoliscono, e malgrado le insufficienze delle organizzazioni sociali, i ritardi della legislazione ufficiale, le incomprensioni di una società egoistica, voi non siete né dovete sentirvi ai margini della vita della Chiesa, elementi passivi di un mondo in eccesso di movimento, ma soggetti attivi di un periodo umanamente e spiritualmente fecondo dell'esistenza umana. Avete ancora una missione da compiere, un contributo da dare. Secondo il progetto divino ogni singolo essere umano è una vita in crescita, dalla prima scintilla dell'esistenza fino all'ultimo respiro" ("Allocutio ad fideles "Tertiae Aetatis" dioecesium italicarum coram admissos", 2 et 3, die 23 mar. 1984: , VII, 1 [1984] 744).

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49. I Padri sinodali hanno riservato una speciale attenzione alla condizione e al ruolo della donna, secondo un duplice intento: riconoscere e invitare a riconoscere, da parte di tutti ed ancora una volta, l'indispensabile contributo della donna all'edificazione della Chiesa e allo sviluppo della società; operare, inoltre, un'analisi più specifica circa la partecipazione della donna alla vita e alla missione della Chiesa.

Riferendosi a Giovanni XXIII, che vide nella coscienza femminile della propria dignità e nell'ingresso delle donne nella vita pubblica un segno dei nostri tempi (cfr. Ioannis XXIII "Pacem in Terris": AAS 55 [1963] 267-268), i Padri del Sinodo hanno affermato ripetutamente e fortemente, di fronte alle forme più varie di discriminazioni e di emarginazioni alle quali soggiace la donna a motivo del suo semplice essere donna, l'urgenza di difendere e di promuovere la dignità personale della donna, e quindi la sua eguaglianza con l'uomo.

Se di tutti nella Chiesa e nella società è questo compito, lo è in particolare delle donne, che si devono sentire impegnate come protagoniste in prima linea. C'è ancora tanto sforzo da compiere, in più parti del mondo e in diversi ambiti, perché sia distrutta quella ingiusta e deleteria mentalità che considera l'essere umano come una cosa, come un oggetto di compra-vendita, come uno strumento dell'interesse egoistico o del solo piacere, tanto più che di tale mentalità la prima vittima è proprio la donna stessa. Al contrario, solo l'aperto riconoscimento della dignità personale della donna costituisce il primo passo da compiere per promuoverne la piena partecipazione sia alla vita ecclesiale che a quella sociale e pubblica. Si deve dare risposta più ampia e decisiva alla richiesta fatta dall'esortazione "Familiaris Consortio" circa le molteplici discriminazioni delle quali le donne sono vittime: "che da parte di tutti si svolga un'azione pastorale specifica più vigorosa e incisiva, affinché esse siano definitivamente vinte, così da giungere alla stima piena dell'immagine di Dio che risplende in tutti gli esseri umani, nessuno escluso" (
FC 24). Nella stessa linea i Padri sinodali hanno affermato: "La Chiesa, come espressione della sua missione, deve opporsi con fermezza contro tutte le forme di discriminazione e di abuso delle donne" ("Propositio 46"). E ancora: "La dignità della donna, gravemente ferita nell'opinione pubblica, dev'essere ricuperata per mezzo dell'effettivo rispetto dei diritti della persona umana e per mezzo della pratica della dottrina della Chiesa" ("Propositio 47").

In particolare, circa la partecipazione attiva e responsabile alla vita e alla missione della Chiesa, è da rilevarsi come già il Concilio Vaticano II sia stato oltre modo esplicito nel sollecitarla: "Poiché ai nostri giorni le donne prendono sempre più parte attiva in tutta la vita della società, è di grande importanza una loro più larga partecipazione anche nei vari campi dell'apostolato della Chiesa" (AA 9).

La coscienza che la donna, con i doni e i compiti propri, ha una sua specifica vocazione è andata crescendo e approfondendosi nel periodo post-conciliare, ritrovando la sua ispirazione più originale nel Vangelo e nella storia della Chiesa. Per il credente, infatti, il Vangelo, ossia la parola e l'esempio di Gesù Cristo, rimane il punto di riferimento necessario e decisivo: ed è quanto mai fecondo ed innovativo anche per l'attuale momento storico.

Pur non chiamate all'apostolato proprio dei Dodici, e quindi al sacerdozio ministeriale, molte donne accompagnano Gesù nel suo ministero e assistono il gruppo degli apostoli (cfr. Lc 8,2-3); sono presenti sotto la croce (cfr. Lc 23,49); assistono alla sepoltura di Gesù (cfr. Lc 23,55) e il mattino di Pasqua ricevono e trasmettono l'annuncio della risurrezione (cfr. Lc 24,1-10); pregano con gli apostoli nel cenacolo nell'attesa della Pentecoste (cfr. Ac 1,14).

Nella scia del Vangelo, la Chiesa delle origini si distacca dalla cultura del tempo e chiama la donna a compiti connessi con l'evangelizzazione.

Nelle sue lettere l'apostolo Paolo ricorda, anche per nome, numerose donne per le loro varie funzioni all'interno e al servizio delle prime comunità ecclesiali (cfr. Rm 16,1-15 Ph 4,2-3 Col 4,15 et 1Co 11,5 1Tm 5,16). "Se la testimonianza degli apostoli fonda la Chiesa - ha detto Paolo VI -,quella delle donne contribuisce grandemente a nutrire la fede delle comunità cristiane" (Pauli VI "Allocutio Membris Commissionis a studiis de muneribus mulieris in Societate et in Ecclesia itemque Membris Consilii Praepositi anno internationali "de muliere" celebrando", die 18 apr. 1975: Insegnamenti di Paolo VI, XIII [1975] 312).

E come alle origini, così nello sviluppo successivo la Chiesa ha sempre conosciuto, anche se in differenti modi e con accentuazioni diverse, donne che hanno esercitato un ruolo talvolta decisivo e svolto compiti di valore considerevole per la Chiesa stessa. E' una storia d'immensa operosità, il più delle volte umile e nascosta ma non per questo meno decisiva per la crescita e per la santità della Chiesa. E' necessario che questa storia sia continuata, anzi che si allarghi e si intensifichi di fronte all'accresciuta e universalizzata consapevolezza della dignità personale della donna e della sua vocazione, nonché di fronte all'urgenza di una "nuova evangelizzazione" e di una maggiore "umanizzazione" delle relazioni sociali.

Raccogliendo la consegna del Concilio Vaticano II, nella quale si specchia il messaggio del Vangelo e della storia della Chiesa, i Padri del Sinodo hanno formulato, tra le altre, questa precisa "raccomandazione": "E' necessario che la Chiesa, per la sua vita e la sua missione, riconosca tutti i doni delle donne e degli uomini e li traduca in pratica" ("Propositio 46"). E ancora: "Questo Sinodo proclama che la Chiesa esige il riconoscimento e l'utilizzazione di tutti questi doni, esperienze e attitudini degli uomini e delle donne perché la sua missione risulti più efficace (cfr. Congr. Pro Doctr. Fidei "Instructio de libertate christiana et liberatione Libertatis coscientia", 72)" ("Propositio 47").

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50. La condizione per assicurare la giusta presenza della donna nella Chiesa e nella società è una considerazione più penetrante e accurata dei fondamenti antropologici della condizione maschile e femminile, destinata a precisare l'identità personale propria della donna nel suo rapporto di diversità e di reciproca complementarietà con l'uomo, non solo per quanto riguarda i ruoli da tenere e le funzioni da svolgere, ma anche e più profondamente per quanto riguarda la sua struttura e il suo significato personale. I Padri sinodali hanno sentito vivamente questa esigenza affermando che "i fondamenti antropologici e teologici hanno bisogno di studi approfonditi per la risoluzione dei problemi relativi al vero significato e alla dignità di ambedue i sessi" "Propositio").

Impegnandosi nella riflessione sui fondamenti antropologici e teologici della condizione femminile, la Chiesa si rende presente nel processo storico dei vari movimenti di promozione della donna e, scendendo alle radici stesse dell'essere personale della donna, vi apporta il suo contributo più prezioso. Ma prima e più ancora la Chiesa intende, in tal modo, obbedire a Dio che, creando l'uomo "a sua immagine", "maschio e femmina li creo" (
Gn 1,27); così come intende accogliere la chiamata di Dio a conoscere, ad ammirare e a vivere il suo disegno.

E' un disegno che "al principio" è stato indelebilmente impresso nello stesso essere della persona umana - uomo e donna - e, pertanto, nelle sue strutture significative e nei suoi profondi dinamismi. Proprio questo disegno, sapientissimo e amoroso, chiede di essere esplorato in tutta la ricchezza del suo contenuto: è la ricchezza che dal "principio" si è venuta poi progressivamente manifestando e attuando lungo l'intera storia della salvezza, ed è culminata nella "pienezza del tempo", allorquando "Dio mando il suo Figlio, nato da donna" (Ga 4,4). Quella "pienezza" continua nella storia: la lettura del disegno di Dio sulla donna è incessantemente operata e da operarsi nella fede della Chiesa, anche grazie alla vita vissuta di tante donne cristiane. Senza dimenticare l'aiuto che può venire dalle diverse scienze umane e dalle varie culture: queste, grazie ad un illuminato discernimento, potranno aiutare a cogliere e a precisare i valori e le esigenze che appartengono all'essenza perenne della donna e quelli legati all'evolversi storico delle culture stesse. Come ci ricorda il Concilio Vaticano II, "la Chiesa afferma che al di sotto di tutti i mutamenti ci sono molte cose che non cambiano; esse trovano il loro ultimo fondamento in Cristo, che è sempre lo stesso: ieri, oggi e nei secoli (cfr. He 13,8)" (GS 10).

Sui fondamenti antropologici e teologici della dignità personale della donna si sofferma la lettera apostolica sulla dignità e sulla vocazione della donna. Il documento, che riprende, prosegue e specifica le riflessioni della catechesi del mercoledi dedicata per lungo tempo alla "teologia del corpo" vuole essere insieme l'adempimento di una promessa fatta nell'enciclica "Redemptoris Mater" (L'enciclica "Redmptoris Mater", dopo aver ricordato che la "dimensione mariana della vita cristiana assume un'accentuazione peculiare in rapporto alla donna ed alla sua condizione", scrive: "In effetti, la femminilità si trova in una relazione singolare con la Madre del Redentore, argomento che potrà essere approfondito in altra sede. Qui desidero solo rilevare che la figura di Maria di Nazaret proietta luce sulla donna in quanto tale per il fatto stesso che Dio, nel sublime evento dell'incarnazione del Figlio, si è affidato al ministero, libero e attivo, di una donna. Si può, pertanto, affermare che la donna, guardando a Maria, trova in lei il segreto per vivere degnamente la sua femminilità ed attuare la sua vera promozione. Alla luce di Maria, la Chiesa legge sul volto della donna i riflessi di una bellezza, che è specchio dei più alti sentimenti, di cui è capace il cuore umano: la totalità oblativa dell'amore; la forza che sa resistere ai più grandi dolori; la fedeltà illimitata e l'operosità infaticabile; la capacità di coniugare l'intuizione penetrante con la parola di sostegno e di incoraggiamento" [RMA 46"]) e la risposta alla richiesta dei Padri sinodali.

La lettura della lettera "Mulieris Dignitatem" anche per il suo carattere di meditazione biblicoteologica, potrà stimolare tutti, uomini e donne, e in particolare i cultori delle scienze umane e delle discipline teologiche, a proseguire nello studio critico così da approfondire sempre meglio, sulla base della dignità personale dell'uomo e della donna e della loro reciproca relazione, i valori ed i doni specifici della femminilità e della mascolinità, non solo nell'ambito del vivere sociale ma anche e soprattutto in quello dell'esistenza cristiana ed ecclesiale.

La meditazione sui fondamenti antropologici e teologici della donna deve illuminare e guidare la risposta cristiana alla domanda così frequente, e talvolta così acuta, circa lo "spazio" che la donna può e deve avere nella Chiesa e nella società.

Dalla parola e dall'atteggiamento di Cristo, che sono normativi per la Chiesa, risulta con grande chiarezza che nessuna discriminazione esiste sul piano del rapporto con Cristo, nel quale "non c'è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù" (Ga 3,28) e sul piano della partecipazione alla vita e alla santità della Chiesa, come splendidamente attesta la profezia di Gioele realizzatasi con la Pentecoste: "Io effondero il mio spirito sopra ogni uomo e diverranno profeti i vostri figli e le vostre figlie" (Jl 3,1; cfr. Ac 2,17ss).

Come si legge nella lettera apostolica sulla dignità e sulla vocazione della donna, "tutt'e due - la donna come l'uomo -... sono suscettibili in eguale misura dell'elargizione della verità divina e dell'amore nello Spirito Santo. Ambedue accolgono le sue "visite" salvifiche e santificanti" (MD 16).

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51. Circa poi la partecipazione alla missione apostolica della Chiesa, non c'è dubbio che, in forza del Battesimo e della Cresima, la donna - come l'uomo - è resa partecipe del triplice ufficio di Gesù Cristo sacerdote, profeta, re, e quindi è abilitata e impegnata all'apostolato fondamentale della Chiesa: l'evangelizzazione. D'altra parte, proprio nel compimento di questo apostolato, la donna è chiamata a mettere in opera i suoi "doni" propri: anzitutto, il dono che è la sua stessa dignità personale, mediante la parola e la testimonianza di vita; i doni, poi, connessi con la sua vocazione femminile.

Nella partecipazione alla vita e alla missione della Chiesa la donna non può ricevere il sacramento dell'Ordine e, pertanto, non può compiere le funzioni proprie del sacerdozio ministeriale. E' questa una disposizione che la Chiesa ha sempre ritrovato nella precisa volontà, totalmente libera e sovrana, di Gesù Cristo che ha chiamato solo uomini come suoi apostoli (cfr. Congr. Pro Doctr. Fidei "Declaratio circa quaestionem admissionis mulierum ad sacerdotium ministeriale "Inter Insigniores"", die 15 oct. 1976: AAS 69 [1977] 98-116); una disposizione che può trovare luce nel rapporto tra Cristo sposo e la Chiesa sposa (cfr. "Mulieres Dignitatem", 26). Siamo nell'ambito della funzione, non della dignità e della santità. Si deve, in realtà, affermare: "Anche se la Chiesa possiede una struttura "gerarchica", tuttavia tale struttura è totalmente ordinata alla santità delle membra di Cristo" (cfr. "Mulieres Dignitatem", 27; "La Chiesa è un corpo differenziato, nel quale ciascuno ha la sua funzione; i compiti sono distinti e non devono essere confusi. Essi non danno adito alla superiorità degli uni sugli altri; non forniscono alcun pretesto alla gelosia. Il solo carisma superiore, che può e dev'essere desiderato, è la carità (cfr.
1Co 12-13). I più grandi nel Regno dei cieli non sono i ministri, ma i santi" (Congr. Pro Doctr. Fidei "Inter Insigniores", die 15 oct. 1976: AAS 69 [1977] 115).

Ma, come già diceva Paolo VI, se "noi non possiamo cambiare il comportamento di nostro Signore né la chiamata da lui rivolta alle donne, pero dobbiamo riconoscere e promuovere il ruolo delle donne nella missione evangelizzatrice e nella vita della comunità cristiana" (Pauli VI "Allocutio Membris Commissionis a studiis de muneribus mulieris in Societate et in Ecclesia intemque Membris Consilii praepositi anno internationali "de muliere" celebrando", die 18 apr. 1975: Insegnamenti di Poalo VI, XIII [1975] 312).

E' del tutto necessario passare dal riconoscimento teorico della presenza attiva e responsabile della donna nella Chiesa alla realizzazione pratica. E in questo preciso senso deve leggersi la presente esortazione che si rivolge ai fedeli laici, con la deliberata e ripetuta specificazione "uomini e donne". Inoltre il nuovo Codice di Diritto Canonico contiene molteplici disposizioni sulla partecipazione della donna alla vita e alla missione della Chiesa: sono disposizioni che esigono d'essere più comunemente conosciute e, sia pure secondo le diverse sensibilità culturali e opportunità pastorali, attuate con maggiore tempestività e risoluzione.

Si pensi, ad esempio, alla partecipazione delle donne ai consigli pastorali diocesani e parrocchiali, come pure ai Sinodi diocesani e ai Concili particolari. In questo senso i Padri sinodali hanno scritto: "Le donne partecipino alla vita della Chiesa senza alcuna discriminazione, anche nelle consultazioni e nell'elaborazione di decisioni" ("Propositio", 47). E ancora: "Le donne, le quali hanno già una grande importanza nella trasmissione della fede e nel prestare servizi di ogni genere nella vita della Chiesa, devono essere associate alla preparazione dei documenti pastorali e delle iniziative missionarie e devono essere riconosciute come cooperatrici della missione della Chiesa nella famiglia, nella professione e nella comunità civile" ("Propositio", 47).

Nell'ambito più specifico dell'evangelizzazione e della catechesi è da promuovere con più forza il compito particolare che la donna ha nella trasmissione della fede, non solo nella famiglia ma anche nei più diversi luoghi educativi e, in termini più ampi, in tutto ciò che riguarda l'accoglienza della Parola di Dio, la sua comprensione e la sua comunicazione, anche mediante lo studio, la ricerca e la docenza teologica.

Mentre adempirà il suo impegno di evangelizzazione, la donna sentirà più vivo il bisogno di essere evangelizzata. così, con gli occhi illuminati dalla fede (cfr. Ep 1,18), la donna potrà distinguere ciò che veramente risponde alla sua dignità personale e alla sua vocazione da tutto ciò che, magari sotto il pretesto di questa "dignità" e nel nome della "libertà" e del "progresso", fa si che la donna non serva al consolidamento dei veri valori ma, al contrario, diventi responsabile del degrado morale delle persone, degli ambienti e della società.

Operare un simile "discernimento" è un'urgenza storica indilazionabile e, nello stesso tempo, è una possibilità e un'esigenza che derivano dalla partecipazione all'ufficio profetico di Cristo e della sua Chiesa da parte della donna cristiana.

Il "discernimento", di cui parla più volte l'apostolo Paolo, non è solo valutazione delle realtà e degli avvenimenti alla luce della fede: è anche decisione concreta e impegno operativo, non solo nell'ambito della Chiesa ma anche in quello della società umana.

Si può dire che tutti i problemi del mondo contemporaneo, di cui già parlava la seconda parte della costituzione conciliare "Gaudium et Spes" e che il tempo non ha affatto né risolto né attutito, devono vedere le donne presenti e impegnate, e precisamente con il loro contributo tipico e insostituibile.

In particolare, due grandi compiti affidati alla donna meritano di essere riproposti all'attenzione di tutti.

Il compito, anzitutto, di dare piena dignità alla vita matrimoniale e alla maternità. Nuove possibilità si aprono oggi alla donna per una comprensione più profonda e per una realizzazione più ricca dei valori umani e cristiani implicati nella vita coniugale e nell'esperienza della maternità: l'uomo stesso - il marito e il padre - può superare forme di assenteismo o di presenza episodica e parziale, anzi può coinvolgersi in nuove e slgnificative relazioni di comunione interpersonale, proprio grazie all'intervento intelligente, amorevole e decisivo della donna.

Il compito, poi, di assicurare la dimensione morale della cultura, la dimensione cioè di una cultura degna dell'uomo, della sua vita personale e sociale. Il Concilio Vaticano II sembra collegare la dimensione morale della cultura con la partecipazione dei laici alla missione regale di Cristo: "I laici, anche mettendo in comune la loro forza, risanino le istituzioni e le condizioni di vita del mondo, se ve ne sono che spingono i costumi al peccato, così che tutte siano rese conformi alle norme della giustizia e, anzlché ostacolare, favoriscano l'esercizio delle virtù. così agendo impregneranno di valore morale la cultura e i lavori dell'uomo" (LG 36).

Man mano che la donna partecipa attivamente e responsabilmente alla funzione delle istituzioni, dalle quali dipende la salvaguardia del primato dovuto ai valori umani nella vita delle comunità politiche, le parole del Concilio ora citate indicano un importante campo d'apostolato della donna: in tutte le dimensioni della vita di queste comunità, dalla dimensione socio-economica a quella socio-politica, devono essere rispettate e promosse la dignità personale della donna e la sua specifica vocazione: nell'ambito non solo individuale ma anche comunitario, non solo in forme lasciate alla libertà responsabile delle persone ma anche in forme garantite da leggi civili giuste.

"Non è bene che l'uomo sia solo: gli voglio fare un aiuto a lui simile" (Gn 2,18). Alla donna Dio creatore ha affidato l'uomo. Certo, l'uomo è stato affidato ad ogni uomo, ma in modo particolare alla donna, perchè proprio la donna sembra avere una specifica sensibilità, grazie alla speciale esperienza della sua maternità, per l'uomo e per tutto ciò che costituisce il suo vero bene, a cominciare dal fondamentale valore della vita. Quanto grandi sono le possibilità e le responsabilità della donna in questo campo, in un tempo nel quale lo sviluppo della scienza e della tecnica non è sempre ispirato e misurato dalla vera sapienza, con l'inevitabile rischio di "disumanizzare" la vita umana, soprattutto quando essa esigerebbe amore più intenso e più generosa accoglienza.

La partecipazione della donna alla vita della Chiesa e della società, mediante i suoi doni, costituisce insieme la strada necessaria per la sua realizzazione personale - sulla quale oggi giustamente tanto si insiste - e il contributo originale della donna all'arricchimento della comunione ecclesiale e al dinamismo apostolico del Popolo di Dio.

In questa prospettiva si deve considerare la presenza anche dell'uomo, insieme alla donna.

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52. Non è mancata nell'aula sinodale la voce di quanti hanno espresso il timore che un'eccessiva insistenza portata sulla condizione e sul ruolo delle donne potesse sfociare in un'inaccettabile dimenticanza: quella, appunto, riguardante gli uomini. In realtà diverse situazioni ecclesiali devono lamentare l'assenza o la troppo scarsa presenza degli uomini, una parte dei quali abdica alle proprie responsabilità ecclesiali, lasciando che siano assolte soltanto dalle donne: così, ad esempio, la partecipazione alla preghiera liturgica in Chiesa, l'educazione e in particolare la catechesi ai propri figli e ad altri fanciulli, la presenza ad incontri religiosi e culturali, la collaborazione ad iniziative caritative e missionarie.

E' allora da urgere pastoralmente la presenza coordinata degli uomini e delle donne perchè sia resa più completa, armonica e ricca la partecipazione dei fedeli laici alla missione salvifica della Chiesa.

La ragione fondamentale che esige e spiega la compresenza e la collaborazione degli uomini e delle donne non è solo, come ora si è rilevato, la maggiore significatività ed efficacia dell'azione pastorale della Chiesa; né, tanto meno, il semplice dato sociologico di una convivenza umana che è naturalmente fatta di uomini e di donne. E', piuttosto, il disegno originario del Creatore che dal "principio" ha voluto l'essere umano come "unità dei due", ha voluto l'uomo e la donna come prima comunità di persone, radice di ogni altra comunità, e, nello stesso tempo, come "segno" di quella comunione interpersonale d'amore che costituisce la misteriosa vita intima di Dio uno e trino.

Proprio per questo il modo più comune e capillare, e nello stesso tempo fondamentale, per assicurare questa presenza coordinata e armonica di uomini e di donne nella vita e nella missione della Chiesa, è l'esercizio dei compiti e delle responsabilità della coppia e della famiglia cristiana, nel quale traspare e si comunica la varietà delle diverse forme di amore e di vita: la forma coniugale, paterna e materna, filiale e fraterna. Leggiamo nell'esortazione "Familiaris Consortio": "Se la famiglia cristiana è comunità, i cui vincoli sono rinnovati da Cristo mediante la fede e i sacramenti, la sua partecipazione alla missione della Chiesa deve avvenire secondo una modalità comunitaria. Insieme, dunque, i coniugi in quanto coppia, i genitori e i figli in quanto famiglia, devono vivere il loro servizio alla Chiesa e al mondo... La famiglia cristiana, poi, edifica il Regno di Dio nella storia mediante quelle stesse realtà quotidiane che riguardano e contraddistinguono la sua condizione di vita: è allora nell'amore coniugale e familiare - vissuto nella sua straordinaria ricchezza di valori ed esigenze di totalità, unicità, fedeltà e fecondità - che si esprime e si realizza la partecipazione della famiglia cristiana alla missione profetica, sacerdotale e regale di Gesù Cristo e della sua Chiesa" (
FC 50).

Situandosi in questa prospettiva, i Padri sinodali hanno ricordato il significato che il sacramento del Matrimonio deve assumere nella Chiesa e nella società per illuminare e ispirare tutte le relazioni tra l'uomo e la donna. In tal senso hanno ribadito "l'urgente necessità che ciascun cristiano viva e annunci il messaggio di speranza contenuto nella relazione tra l'uomo e la donna. Il sacramento del Matrimonio, che consacra questa relazione nella sua forma coniugale e la rivela come segno della relazione di Cristo con la sua Chiesa, contiene un insegnamento di grande importanza per la vita della Chiesa; questo insegnamento deve arrivare per mezzo della Chiesa al mondo di oggi; tutte le relazioni tra l'uomo e la donna debbono ispirarsi a questo spirito. La Chiesa deve utilizzare queste ricchezze ancora più pienamente" ("Propositio 46"). Gli stessi Padri hanno giustamente rilevato che "la stima della verginità e il rispetto della maternità debbono ambedue essere ricuperate" ("Propositio 47"): ancora una volta per lo sviluppo di vocazioni diverse e complementari nel contesto vivo della comunione ecclesiale e al servizio della sua continua crescita.

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53. L'uomo è chiamato alla gioia ma fa quotidiana esperienza di tantissime forme di sofferenza e di dolore. Agli uomini e alle donne colpiti dalle più varie forme di sofferenza e di dolore i Padri sinodali si sono rivolti nel loro finale messaggio con queste parole: "Voi abbandonati ed emarginati dalla nostra società consumistica; voi malati, handicappati, poveri, affamati, emigranti, profughi, prigionieri, disoccupati, anziani, bambini abbandonati e persone sole; voi, vittime della guerra e di ogni violenza emananti dalla nostra società permissiva.

La Chiesa partecipa alla vostra sofferenza conducente al Signore, che vi associa alla sua passione redentrice e vi fa vivere alla luce della sua redenzione.

Contiamo su di voi per insegnare al mondo intero che cosa è l'amore. Faremo tutto il possibile perché troviate il posto di cui avete diritto nella società e nella Chiesa" (Synodi Episc. 1987 "Ad Populum Dei Nuntius", 12).

Nel contesto di un mondo sconfinato come quello della sofferenza umana, rivolgiamo ora l'attenzione a quanti sono colpiti dalla malattia nelle sue diverse forme: i malati, infatti, sono l'espressione più frequente e più comune del soffrire umano.

A tutti e a ciascuno è rivolto l'appello del Signore: anche i malati sono mandati come operai nella sua vigna. Il peso, che affatica le membra del corpo e scuote la serenità dell'anima, lungi dal distoglierli dal lavorare nella vigna, li chiama a vivere la loro vocazione umana e cristiana ed a partecipare alla crescita del Regno di Dio in modalità nuove, anche più preziose. Le parole dell'apostolo Paolo devono divenire il loro programma e, prima ancora, sono luce che fa splendere ai loro occhi il significato di grazia della loro stessa situazione: "Completo quello che manca ai patimenti di Cristo nella mia carne, in favore del suo corpo, che è la Chiesa" (
Col 1,24). Proprio facendo questa scoperta, l'Apostolo è approdato alla gioia: "perciò sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi" (Col 1,24). Similmente molti malati possono diventare portatori della "gioia dello Spirito Santo in molte tribolazioni" (1Th 1,6) ed essere testimoni della risurrezione di Gesù. Come ha espresso un handicappato nel suo intervento in aula sinodale, "è di grande importanza porre in luce il fatto che i cristiani che vivono in situazioni di malattia, di dolore e di vecchiaia, non sono invitati da Dio soltanto ad unire il proprio dolore con la passione di Cristo, ma anche ad accogliere già ora in se stessi e a trasmettere agli altri la forza del rinnovamento e la gioia di Cristo risuscitato (cfr. 2Co 4,10-11 1P 4,13 Rm 8,18ss)" ("Propositio 53").

Da parte sua - come si legge nella lettera apostolica "Salvifici Doloris" - "la Chiesa, che nasce dal mistero della redenzione nella croce di Cristo, è tenuta a cercare l'incontro con l'uomo in modo particolare sulla via della sofferenza. In un tale incontro l'uomo "diventa la via della Chiesa", ed è, questa, una delle vie più importanti" ("Salvifici Doloris", 3). Ora l'uomo sofferente è via della Chiesa perché egli è, anzitutto, via di Cristo stesso, il buon samaritano che "non passa oltre", ma "ne ha compassione, si fa vicino... gli fascia le ferite ... si prende cura di lui" (Lc 10,32-34).

La comunità cristiana ha ritrascritto di secolo in secolo nell'immensa moltitudine delle persone malate e sofferenti, la parabola evangelica del buon samaritano, rlvelando e comunicando l'amore di guarigione e di consolazione di Gesù Cristo. Ciò è avvenuto mediante la testimonianza della vita religiosa consacrata al servizio degli ammalati e mediante l'infaticabile impegno di tutti gli operatori sanitari. Oggi, anche negli stessi ospedali e case di cura cattolici si fa sempre più numerosa, e talvolta anche totale ed esclusiva, la presenza dei fedeli laici, uomini e donne: proprio loro, medici, infermieri, altri operatori della salute, volontari, sono chiamati ad essere l'immagine viva di Cristo e della sua Chiesa nell'amore verso i malati i sofferenti.

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54. E' necessario che questa preziosissima eredità, che la Chiesa ha ricevuto da Gesù Cristo "medico di carne e di spirito" (S. Ignatii Antiocheni "Ad Ephesiois", VII, 2: S. Ch. 10,64), non solo non venga mai meno, ma sia sempre più valorizzata e arricchita attraverso una ripresa e un rilanclo declso di un'azione pastorale per e con i malati e i sofferenti. Dev'essere un'azione capace di sostenere e di promuovere attenzione, vicinanza, presenza, ascolto, dialogo, condivisione e aiuto concreto verso l'uomo nei momenti nei quali, a causa della malattia e della sofferenza, sono messe a dura prova non solo la sua fiducia nella vita ma anche la sua stessa fede in Dio e nel suo amore di Padre. Questo rilancio pastorale ha la sua espressione più significativa nella celebrazione sacramentale con e per gli ammalati, come fortezza nel dolore e nella debolezza, come speranza nella disperazione, come luogo d'incontro e di festa.

Uno dei fondamentali obiettivi di questa rinnovata e intensificata azione pastorale, che non può non coinvolgere e in modo coordinato tutte le componentl della comunità ecclesiale, è di considerare il malato, il portatore dl handicap, il sofferente non semplicemente come termine dell'amore e del servizio della Chiesa, bensi come soggetto attivo e responsabile dell'opera di evangeltzzazione e di salvezza. In questa prospettiva la Chiesa ha una buona novella da far risuonare all'interno di società e di culture che, avendo smarrito il senso del soffrire umano, "censurano" ogni discorso su tale dura realtà della vlta. E la buona novella sta nell'annuncio che il soffrire può avere anche un significato positivo per l'uomo e per la stessa società, chiamato com'è a divenire una forma di partecipazione alla sofferenza salvifica di Cristo e alla sua gioia di risorto, e pertanto una forza di santificazione e di edificazione della Chiesa.

L'annuncio di questa buona novella diventa credibile allorquando non risuona semplicemente sulle labbra, ma passa attraverso la testimonianza della vita, sia di tutti coloro che curano con amore i malati, gli handicappati e i sofferenti, sia di questi stessi, resi sempre più coscienti e responsabili del loro posto e del loro compito nella Chiesa e per la Chiesa.

Di grande utilità perché "la civiltà dell'amore" possa fiorire e fruttificare nell'immenso mondo del dolore umano, potrà essere la rinnovata meditazione della lettera apostolica "Salvifici Doloris" di cui ricordiamo ora le righe conclusive: "Occorre pertanto, che sotto la croce del Calvario idealmente convengano tutti i sofferenti che credono in Cristo e, particolarmente, coloro che soffrono a causa della loro fede in lui crocifisso e risorto, affinché l'offerta delle loro sofferenze affretti il compimento della preghiera dello stesso Salvatore per l'unità di tutti (cfr.
Jn 17,11 Jn 17,21-22). Là pure convengano gli uomini di buona volontà, perché sulla croce sta il "redentore dell'uomo", l'uomo dei dolori, che in sé ha assunto le sofferenze fisiche e morali degli uomini di tutti i tempi, affinché nell'amore possano trovare il senso salvifico del loro dolore e risposte valide a tutti i loro interrogativi. Insieme con Maria, madre di Cristo, che stava sotto la croce (cfr. Jn 19,25), ci fermiamo accanto a tutte le croci dell'uomo d'oggi... E chiediamo a tutti voi, che soffrite di sostenerci.

Proprio a voi, che siete deboli, chiediamo che diventiate una sorgente di forza per la Chiesa e per l'umanità. Nel terribile combattimento tra le forze del bene e del male, di cui ci offre spettacolo il nostro mondo contemporaneo, vinca la vostra sofferenza in unione con la croce di Cristo!" ("Salvifici Doloris", 31).

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55. Operai della vigna sono tutti i membri del Popolo di Dio: i sacerdoti, i religiosi e le religiose, i fedeli laici, tutti ad un tempo oggetto e soggetto della comunione della Chiesa e della pertecipazione alla sua missione di salvezza.

Tutti e ciascuno lavoriamo nell'unica e comune vigna del Signore con carismi e con ministeri diversi e complementari. Già sul piano dell'essere, prima ancora che su quello dell'agire, i cristiani sono tralci dell'unica feconda vite che è Cristo, sono membra vive dell'unico corpo del Signore edificato nella forza dello Spirito.

Sul piano dell'essere: non significa solo mediante la vita di grazia e di santità, che è la prima e più rigogliosa sorgente della fecondità apostolica e missionaria della santa madre Chiesa: ma significa anche mediante lo stato di vita che caratterizza i sacerdoti e i diaconi, i religiosi e le religiose, i membri degli istituti secolari, i fedeli laici.

Nella Chiesa-comunione gli stati di vita sono tra loro così collegati da essere ordinati l'uno all'altro. Certamente comune, anzi unico è il loro significato profondo: quello di essere modalità secondo cui vivere l'eguale dignità cristiana e l'universale vocazione alla santità nella perfezione dell'amore. Sono modalità insieme diverse e complementari, sicché ciascuna di esse ha una sua originale e inconfondibile fisionomia e nello stesso tempo ciascuna di esse si pone in relazione alle altre e al loro servizio.

Così lo stato di vita laicale ha nell'indole secolare la sua specificità e realizza un servizio ecclesiale nel testimoniare e nel richiamare, a suo modo, ai sacerdoti, ai religiosi e alle religiose il significato che le realtà terrene e temporali hanno nel disegno salvifico di Dio. A sua volta il sacerdozio ministeriale rappresenta la permanente garanzia della presenza sacramentale, nei diversi tempi e luoghi, di Cristo redentore. Lo stato religioso testimonia l'indole escatologica della Chiesa, ossia la sua tensione verso il Regno di Dio, che viene prefigurato e in qualche modo anticipato e pregustato dai voti dl castità, povertà e obbedienza.

Tutti gli stati di vita, sia nel loro insieme sia ciascuno di essi in rapporto agli altri, sono al servizio della crescita della Chiesa, con modalità diverse che si unificano profondamente nel "mistero di comunione" della Chiesa e che si coordinano dinamicamente nella sua unica missione.

In tal modo, l'unico e identico mistero della Chiesa rivela e rivive, nella diversltà degli stati di vita e nella varietà delle vocazioni, l'infinita ricchezza del mistero di Gesù Cristo. Come amano ripetere i Padri, la Chiesa è come un campo dall'affascinante e meravigliosa varietà di erbe, piante, fiori e frutti. Sant'Ambrogio scrive: "Un campo produce molti frutti, ma migliore è quello che abbonda di frutti e di fiori. Orbene, il campo della santa Chiesa è fecondo degli uni e degli altri. Qui puoi vedere le gemme della verginità metter fiori, là la vedovanza dominare austera come le foreste nella pianura; altrove la ricca mietitura delle nozze benedette dalla Chiesa riempire i grandi granai del mondo di messe abbondante, e i torchi del Signore Gesù ridondare come di frutti di vite rigogliosa, frutti dei quali sono ricche le nozze cristiane" (S. Ambrosii "De Virginitate", VI, 34: PL 16, 288: cfr. S. Augustini "Sermo CCCIV", III, 2: PL 38, 1396).

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56. La ricca varietà della Chiesa trova una sua ulteriore manifestazione all'interno di ciascun stato di vita. così entro lo stato di vita laicale si danno diverse "vocazioni", ossia diversi cammini spirituali e apostolici che riguardano i singoli fedeli laici. Nell'alveo d'una vocazione laicale "comune" fioriscono vocazioni laicali "particolari". In questo ambito possiamo ricordare anche l'esperienza spirituale che è maturata recentemente nella Chiesa con il fiorire di diverse forme di istituti secolari: ai fedeli laici, ma anche agli stessi sacerdoti, è aperta la possibilità di professare i consigli evangelici di povertà, castità e obbedienza per mezzo dei voti o delle promesse, conservando pienamente la propria condizione laicale o clericale (cfr. Pii XII "Provida Mater", die 2 febr. 1947: AAS 39 [1947] 114-124;
CIC 573). Come hanno rilevato i Padri sinodali, "lo Spirito Santo suscita anche aitre forme di offerta di se stessi cui si dedicano persone che rimangono pienamente nella vita laicale" ("Propositio 6").

Possiamo concludere rileggendo una bella pagina di san Francesco di Sales, che tanto ha promosso la spiritualità dei laici (cfr. Pauli VI "Sabaudiae Gemma", die 29 iun. 1967: AAS 59 [1967] 113-123). Parlando della "devozione", ossia della perfezione cristiana o "vita secondo lo Spirito", egli presenta in una maniera semplice e splendida la vocazione di tutti i cristiani alla santità e nello stesso tempo la forma specifica con cui i singoli cristiani la realizzano: "Nella creazione Dio comando alle piante di produrre i loro frutti, ognuna "secondo la propria specie" (Gn 1,11). Lo stesso comando rivolge ai cristiani, che sono le piante vive della sua Chiesa, perché producano frutti di devozione, ognuno secondo il suo stato e la sua condizione. La devozione deve essere praticata in modo diverso dal gentiluomo, dall'artigiano, dal domestico, dal principe, dalla vedova, dalla donna non sposata e da quella coniugata. Ciò non basta, bisogna anche accordare la pratica della devozione alle forze, agli impegni e ai doveri di ogni persona .... E' un errore, anzi un'eresia, voler escludere l'esercizio della devozione dall'ambiente militare, dalla bottega degli artigiani, dalla corte dei principi, dalle case dei coniugati. E' vero, Filotea, che la devozione puramente contemplativa, monastica e religiosa può essere vissuta solo in questi stati, ma, oltre a questi tre tipi di devozione, ve ne sono molti altri capaci di rendere perfetti coloro che vivono in condizioni secolari. perciò, dovunque ci troviamo, possiamo e dobbiamo aspirare alla vita perfetta" (S.Francisci Salesii "Introduction à la vie dévote", I, III: Oeuvres complètes, Monastère de la Visitation, Annecy 1893, III, 19-21).

Ponendosi nella stessa linea il Concilio Vaticano II scrive: "Questo comportamento spirituale dei laici deve assumere una peculiare caratteristica dallo stato di matrimonio e di famiglia, di celibato o di vedovanza, dalla condizione di infermità, dall'attività professionale e sociale. Non tralascino dunque, di coltivare costantemente le qualità e le doti ad essi conferite corrispondenti a tali condizioni, e di servirsi dei propri doni ricevuti dallo Spirito Santo" (AA 4).

Ciò che vale delle vocazioni spirituali vale anche, e in un certo senso a maggior ragione, delle infinite varie modalità secondo cui tutti e singoli e membri della Chiesa sono operai che lavorano nella vigna del Signore, edificando il Corpo mistico di Cristo. Veramente ciascuno è chiamato per nome, nell'unicità e irripetibilità della sua storia personale, a portare il suo proprio contributo per l'avvento del Regno di Dio. Nessun talento, neppure il plù piccolo, può essere nascosto e lasciato inutilizzato (cfr. Mt 25,24-27).

L'apostolo Pietro ci ammonisce: "Ciascuno viva secondo la grazia ricevuta, mettendola a servizio degli altri, come buoni amministratori di una multiforme grazia di Dio" (1P 4,10).


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