Dominum et vivificantem





Lettera enciclica sullo Spirito Santo nella vita della Chiesa e del mondo

Titolo: Dominum et Vivificantem


Venerati fratelli, carissimi figli e figlie, salute e Apostolica Benedizione! Introduzione

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1. La Chiesa professa la sua fede nello Spirito Santo come in colui "che è Signore e dà la vita". così essa professa nel Simbolo di Fede, detto niceno-costantinopolitano dal nome dei due Concili - di Nicea (a. 325) e di Costantinopoli (a. 381) -, nei quali fu formulato o promulgato. Ivi si aggiunge anche che lo Spirito Santo "ha parlato per mezzo dei profeti".

Sono parole che la Chiesa riceve dalla fonte stessa della fede, Gesù Cristo. Difatti, secondo il Vangelo di Giovanni, lo Spirito Santo è donato a noi con la nuova vita, come annuncia e promette Gesù il grande giorno della festa dei Tabernacoli: "Chi ha sete venga a me, e beva chi crede in me. Come dice la Scrittura, fiumi di acqua viva sgorgheranno dal suo seno" (Jn 7,37s). E l'evangelista spiega: "Questo egli disse riferendosi allo Spirito, che avrebbero ricevuto i credenti in lui" (
Jn 7,39). E' la stessa similitudine dell'acqua usata da Gesù nel colloquio con la Samaritana, quando parla della "sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna" (Jn 4,14 cfr. LG 4) e nel colloquio con Nicodemo, quando annuncia la necessità di una nuova nascita "dall'acqua e dallo Spirito" per "entrare nel Regno di Dio" (cfr. Jn 3,5).

La Chiesa, pertanto, istruita dalla parola di Cristo, attingendo all'esperienza della Pentecoste ed alla propria storia apostolica, proclama sin dall'inizio la sua fede nello Spirito Santo come in colui che da la vita, colui nel quale l'imperscrutabile Dio uno e trino si comunica agli uomini, costituendo in essi la sorgente della vita eterna.

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2. Questa fede, professata ininterrottamente dalla Chiesa, deve essere sempre ravvivata ed approfondita nella coscienza del Popolo di Dio. Nell'ultimo secolo ciò è avvenuto più volte: da Leone XIII, che pubblico l'Epistola Enciclica "Divinum Illud Munus" (a. 1897), interamente dedicata allo Spirito Santo, a Pio XII, che nella Lettera Enciclica "Mystici Corporis" (a. 1943) si richiamo allo Spirito Santo come a principio vitale della Chiesa, nella quale opera unitamente al capo del Corpo Mistico, Cristo; al Concilio ecumenico Vaticano II, che ha fatto sentire il bisogno di una rinnovata attenzione alla dottrina sullo Spirito Santo, come sottolineava Paolo VI: "Alla cristologia e specialmente all'ecclesiologia del Concilio deve succedere uno studio nuovo ed un culto nuovo sullo Spirito Santo, proprio come complemento immancabile all'insegnamento conciliare".

Nella nostra epoca, dunque, siamo nuovamente chiamati dalla sempre antica e sempre nuova fede della Chiesa ad avvicinarci allo Spirito Santo come a colui che da la vita. Ci viene qui in aiuto e ci è di sprone anche la comune eredità con le Chiese orientali; le quali hanno gelosamente custodito le straordinarie ricchezze dell'insegnamento dei Padri intorno allo Spirito Santo.

Anche per questo possiamo dire che uno dei più importanti eventi ecclesiali degli ultimi anni è stato il XVI centenario del I Concilio di Costantinopoli, celebrato contemporaneamente a Costantinopoli ed a Roma nella solennità della Pentecoste del 1981. Lo Spirito Santo è meglio apparso allora, grazie alla meditazione sul mistero della Chiesa, come colui che indica le vie che portano all'unione dei cristiani, anzi come la fonte suprema di questa unità, che proviene da Dio stesso ed alla quale san Paolo ha dato un'espressione particolare con le parole con cui non di rado inizia la liturgia eucaristica: "La grazia del Signore nostro Gesù Cristo, l'amore di Dio Padre e la comunione dello Spirito Santo sia con tutti voi" (Missale Romanum; cfr.
2Co 13,13).

Da questa esortazione hanno preso, in un certo senso, avvio e ispirazione le precedenti Encicliche "Redemptor Hominis" e "Dives in Misericordia", le quali celebrano l'evento della nostra salvezza compiutosi nel Figlio, mandato dal Padre nel mondo, "perché il mondo si salvi per mezzo di lui" (Jn 3,17) e "ogni lingua confessi che Gesù Cristo è il Signore a gloria di Dio Padre" (Ph 2,11). Da questa stessa esortazione nasce ora la presente Enciclica sullo Spirito Santo, che procede dal Padre e dal Figlio e con il Padre e il Figlio è adorato e glorificato: Persona divina, egli è al cuore stesso della fede cristiana ed è la sorgente e la forza dinamica del rinnovamento della Chiesa (cfr. LG 4). Essa è stata attinta dal profondo dell'eredità del Concilio. I testi conciliari, infatti, grazie al loro insegnamento sulla Chiesa in sé e sulla Chiesa nel mondo, ci stimolano a penetrare sempre più nel mistero trinitario di Dio stesso, seguendo l'itinerario evangelico, patristico e liturgico: al Padre - per Cristo - nello Spirito Santo.

In tal modo la Chiesa risponde anche a certe istanze profonde, che ritiene di leggere nel cuore degli uomini d'oggi: una nuova scoperta di Dio nella sua trascendente realtà di Spirito infinito, come lo presenta Gesù alla Samaritana; il bisogno di adorarlo "in spirito e verità" (cfr. Jn 4,24), la speranza di trovare in lui il segreto dell'amore e la forza di una "nuova creazione" (cfr. Rm 8,22 Ga 6,15): si, proprio colui che dà la vita.

Ad una tale missione di annunciare lo Spirito la Chiesa si sente chiamata, mentre insieme con la famiglia umana si avvicina al termine del secondo millennio dopo Cristo. Sullo sfondo di un cielo e di una terra che "passano", essa sa bene che acquistano una particolare eloquenza le "parole che non passeranno" (cfr. Mt 24,35). Sono le parole di Cristo sullo Spirito Santo, sorgente inesauribile dell'"acqua che zampilla per la vita eterna" (Jn 4,14), quale verità e grazia salvatrice. Su queste parole essa vuol riflettere, a queste parole vuol richiamare i credenti e tutti gli uomini, mentre si prepara a celebrare - come si dirà più avanti - il grande Giubileo che segnerà il passaggio dal secondo al terzo Millennio cristiano. Naturalmente, le considerazioni che seguono non intendono esplorare compiutamente la ricchissima dottrina sullo Spirito Santo, né privilegiare una qualche soluzione di questioni ancora aperte. Esse hanno lo scopo precipuo di sviluppare nella Chiesa la coscienza che "è spinta dallo Spirito Santo a cooperare, perché sia portato a compimento il disegno di Dio, il quale ha costituito Cristo principio di salvezza per il mondo intero" (LG 17).

Parte I Lo Spirito del Padre e del Figlio, dato alla Chiesa

Promessa e rivelazione di Gesù durante la Cena pasquale

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3. Quando era ormai imminente per Gesù Cristo il tempo di lasciare questo mondo, egli annuncio agli apostoli "un altro consolatore" (
Jn 14,16). L'evangelista Giovanni, che era presente, scrive che, durante la Cena pasquale precedente il giorno della sua passione e morte, Gesù si rivolse a loro con queste parole: "Qualunque cosa chiederete nel nome mio, io la faro, perché il Padre sia glorificato nel Figlio... Io preghero il Padre, ed egli vi darà un altro consolatore, perché rimanga con voi sempre, lo Spirito di verità" (Jn 14,13-16s).

Proprio questo Spirito di verità, Gesù chiama Paraclito - e parakletos vuol dire "consolatore", e anche "intercessore", o "avvocato". E dice che è "un altro" consolatore, il secondo, perché egli stesso, Gesù, è il primo consolatore (cfr. 1Jn 2,1), essendo il primo portatore e donatore della Buona Novella. Lo Spirito Santo viene dopo di lui e grazie a lui, per continuare nel mondo, mediante la Chiesa, l'opera della Buona Novella di salvezza. Di questa continuazione della sua opera da parte dello Spirito Santo Gesù parla più di una volta durante lo stesso discorso di addio, preparando gli apostoli, riuniti nel Cenacolo, alla sua dipartita, cioè alla sua passione e morte in Croce.

Le parole, alle quali faremo qui riferimento, si trovano nel Vangelo di Giovanni. Ognuna di esse aggiunge un certo contenuto nuovo a quell'annuncio e a quella promessa. Al tempo stesso, esse sono intrecciate intimamente tra di loro non solo dalla prospettiva del mistero del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, che forse in nessun passo della Sacra Scrittura trova un'espressione così rilevata come qui.

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4. Poco dopo l'annuncio surriferito Gesù aggiunge: "Ma il consolatore, lo Spirito Santo, che il Padre manderà nel mio nome, egli vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che vi ho detto" (
Jn 14,26). Lo Spirito Santo sarà il consolatore degli apostoli e della Chiesa, sempre presente in mezzo a loro - anche se invisibile - come maestro della medesima Buona Novella che Cristo annuncio.

Quell'"insegnerà" e "ricorderà" significa non solo che egli, nel modo a lui proprio, continuerà ad ispirare la divulgazione del Vangelo di salvezza, ma anche che aiuterà a comprendere il giusto significato del contenuto del messaggio di Cristo; che ne assicurerà la continuità ed identità di comprensione in mezzo alle mutevoli condizioni e circostanze. Lo Spirito Santo, dunque, farà si che nella Chiesa perduri sempre la stessa verità, che gli apostoli hanno udito dal loro Maestro.

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5. Nel trasmettere la Buona Novella, gli apostoli saranno associati in modo speciale allo Spirito Santo. Ecco come continua a parlare Gesù: "Quando verrà il consolatore, che io vi mandero dal Padre, lo Spirito di verità che procede dal Padre, egli mi renderà testimonianza; e anche voi mi renderete testimonianza, perché siete stati con me fin dal principio" (Jn 15,26s).

Gli apostoli sono stati i testimoni diretti, oculari. Essi "hanno udito" e "hanno veduto con i propri occhi", "hanno guardato" e perfino "toccato con le proprie mani" Cristo, come si esprime in un altro passo lo stesso evangelista Giovanni (cfr.
1Jn 1,1-3 1Jn 4,14). Questa loro umana, oculare e "storica" testimonianza su Cristo si collega alla testimonianza dello Spirito Santo: "Egli mi renderà testimonianza". Nella testimonianza dello Spirito di verità l'umana testimonianza degli apostoli troverà il supremo sostegno. E in seguito vi troverà anche l'interiore fondamento della sua continuazione tra le generazioni dei discepoli e dei confessori di Cristo, che si susseguiranno nei secoli.

Se la suprema e più completa rivelazione di Dio all'umanità è Gesù Cristo stesso, la testimonianza dello Spirito ne ispira, garantisce e convalida la fedele trasmissione nella predicazione e negli scritti apostolici, mentre la testimonianza degli apostoli ne assicura l'espressione umana nella Chiesa e nella storia dell'umanità.

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6. Ciò si rileva anche dalla stretta correlazione di contenuto e di intenzione con l'annuncio e la promessa appena menzionata, che si trova nelle parole successive del testo di Giovanni: "Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. Quando pero verrà lo Spirito di verità, egli vi guiderà alla verità tutta intera; perché non parlerà da sé, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future" (Jn 16,12s).

Nelle precedenti parole Gesù presenta il consolatore, lo Spirito di verità, come colui che "insegnerà" e "ricorderà", come colui che gli "renderà testimonianza"; ora dice: "Egli vi guiderà alla verità tutta intera". Questo "guidare alla verità tutta intera", in riferimento a ciò di cui gli apostoli "per il momento non sono capaci di portare il peso", è in necessario collegamento con lo spogliamento di Cristo per mezzo della passione e morte di Croce, che allora, quando pronunciava queste parole, era ormai imminente.

In seguito, tuttavia, diventa chiaro che quel "guidare alla verità tutta intera" si ricollega, oltre che allo "scandalum Crucis", anche a tutto ciò che Cristo "fece ed insegno" (
Ac 1,1). Infatti, il "mysterium Christi" nella sua globalità esige la fede, poiché è questa che introduce opportunamente l'uomo nella realtà del mistero rivelato. Il "guidare alla verità tutta intera" si realizza, dunque, nella fede e mediante la fede: il che è opera dello Spirito di verità ed è frutto della sua azione nell'uomo. Lo Spirito Santo deve essere in questo la suprema guida dell'uomo, la luce dello spirito umano. Ciò vale per gli apostoli, testimoni oculari, che devono ormai portare a tutti gli uomini l'annuncio di ciò che Cristo "fece ed insegno" e, specialmente, della sua Croce e della sua Risurrezione. In una prospettiva più lontana ciò vale anche per tutte le generazioni dei discepoli e dei confessori del Maestro, poiché dovranno accettare con fede e confessare con franchezza il mistero di Dio operante nella storia dell'uomo, il mistero rivelato che di tale storia spiega il senso definitivo.

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7. Tra lo Spirito Santo e Cristo sussiste, dunque, nell'economia della salvezza, un intimo legame, per il quale lo Spirito opera nella storia dell'uomo come "un altro consolatore", assicurando in maniera duratura la trasmissione e l'irradiazione della Buona Novella, rivelata da Gesù di Nazareth. perciò, nello Spirito Santo Paraclito, che nel mistero e nell'azione della Chiesa continua incessantemente la presenza storica del Redentore sulla terra e la sua opera salvifica, risplende la gloria di Cristo, come attestano le successive parole di Giovanni: "Egli (cioè lo Spirito) mi glorificherà, perché prenderà del mio e ve l'annuncerà" (
Jn 16,14). Con queste parole viene ancora una volta confermato tutto ciò che dicevano gli enunciati precedenti: "Insegnerà..., ricorderà..., renderà testimonianza". La suprema e completa autorivelazione di Dio, compiutasi in Cristo, testimoniata dalla predicazione degli apostoli, continua a manifestarsi nella Chiesa mediante la missione dell'invisibile consolatore, lo Spirito di verità. Quanto intimamente questa missione sia collegata con la missione di Cristo, quanto pienamente essa attinga a questa missione di Cristo, consolidando e sviluppando nella storia i suoi frutti salvifici, è espresso dal verbo "prendere": "Prenderà del mio e ve l'annuncerà". Quasi a spiegare la parola "prenderà", mettendo in chiara evidenza l'unità divina e trinitaria della fonte, Gesù aggiunge: "Tutto quello che il padre possiede è mio; per questo, ho detto che prenderà del mio e ve l'annuncerà" (Jn 16,15). Prendendo del "mio", per ciò stesso egli attingerà a "quello che è del Padre".

Alla luce di quel "prenderà", dunque, si possono spiegare ancora le altre parole sullo Spirito Santo, pronunciate da Gesù nel Cenacolo prima della Pasqua, parole significative: "E' bene per voi che io me ne vada, perché, se non me ne vado, non verrà a voi il consolatore; ma quando me ne saro andato, ve lo mandero. E quando sarà venuto, egli convincerà il mondo quanto al peccato, alla giustizia e al giudizio" (Jn 16,7s). Occorrerà ritornare ancora su queste parole con una riflessione a parte.

Padre, Figlio e Spirito Santo

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8. Caratteristica del testo giovanneo è che il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo vengono nominati chiaramente come Persone, la prima distinta dalla seconda e dalla terza, e anche queste tra di loro. Gesù parla dello Spirito consolatore, usando più volte il pronome personale "egli" e, al tempo stesso, in tutto il discorso di addio, svela quei legami che uniscono reciprocamente il Padre, il Figlio e il Paraclito. Pertanto, "lo Spirito... procede dal Padre" (
Jn 15,26), e il Padre "dà" lo Spirito (Jn 14,16). Il Padre "manda" lo Spirito nel nome del Figlio (Jn 14,26), lo Spirito "rende testimonianza" al Figlio (Jn 15,26). Il Figlio chiede al Padre di mandare lo Spirito consolatore (Jn 14,16), ma afferma e promette, altresi, in relazione alla sua "dipartita" mediante la Croce: "Quando me ne saro andato, ve lo mandero" (Jn 16,7). Dunque, il Padre manda lo Spirito Santo nella potenza della sua paternità, come ha mandato il Figlio (cfr. Jn 3,16s; 6,57; 17,3.18.23); ma, al tempo stesso, lo manda nella potenza della redenzione compiuta da Cristo - e in questo senso lo Spirito Santo viene mandato anche dal Figlio: "Ve lo mandero".

Bisogna qui notare che, se tutte le altre promesse fatte nel Cenacolo annunciavano la venuta dello Spirito Santo dopo la partenza di Cristo, quella contenuta nel testo di Giovanni 16,7s include e sottolinea chiaramente anche il rapporto di interdipendenza, che si direbbe causale tra la manifestazione dell'uno e dell'altro: "Quando me ne saro andato, ve lo mandero". Lo Spirito Santo verrà, in quanto Cristo se ne andrà mediante la Croce: verrà non solo in seguito, ma a causa della redenzione compiuta da Cristo, per volontà ed opera del Padre.

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9. così nel discorso pasquale di addio si tocca - possiamo dire - l'apice della rivelazione trinitaria. Al tempo stesso, ci troviamo sulla soglia di eventi definitivi e di parole supreme, che alla fine si tradurranno nel grande mandato missionario, rivolto agli apostoli e, per loro mezzo, alla Chiesa: "Andate, dunque, e ammaestrate tutte le nazioni", mandato che contiene, in certo senso, la formula trinitaria del battesimo: "Battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo" (
Mt 28,19). La formula rispecchia l'intimo mistero di Dio, della vita divina che è il padre, il Figlio e lo Spirito Santo, divina unità della Trinità. Si può leggere il discorso di addio come una speciale preparazione a questa formula trinitaria, nella quale si esprime la potenza vivificante del Sacramento che opera la partecipazione alla vita di Dio uno e trino, perché dà la grazia santificante come dono soprannaturale all'uomo. Per mezzo di essa questi viene chiamato e reso "capace" di partecipare all'imperscrutabile vita di Dio.

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10. Nella sua vita intima Dio "è amore" (cfr.
1Jn 4,8 1Jn 4,16), amore essenziale, comune alle tre divine Persone: amore personale è lo Spirito Santo, come Spirito del Padre e del Figlio. Per questo, egli "scruta le profondità di Dio" (cfr. 1Co 2,10), come amore-dono increato. Si può dire che nello Spirito Santo la vita intima del Dio uno e trino si fa tutta dono, scambio di reciproco amore tra le divine Persone, e che per lo Spirito Santo Dio "esiste" a modo di dono. E' lo Spirito Santo l'espressione personale di un tale donarsi di questo essere-amore.

E' Persona-amore. E' Persona-dono. Abbiamo qui una ricchezza insondabile della realtà e un approfondimento ineffabile del concetto di persona in Dio, che solo la Rivelazione ci fa conoscere.

Al tempo stesso, lo Spirito Santo, in quanto consostanziale al Padre e al Figlio nella divinità, è amore e dono (increato), da cui deriva come da fonte (fons vivus) ogni elargizione nei riguardi delle creature (dono creato): la donazione dell'esistenza a tutte le cose mediante la creazione; la donazione della grazia agli uomini mediante l'intera economia della salvezza. Come scrive l'apostolo Paolo: "L'amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo, che ci è stato dato" (Rm 5,5).

Il donarsi salvifico di Dio nello Spirito Santo

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11. Il discorso di addio di Cristo durante la Cena pasquale è in particolare riferimento a questo "donare" e "donarsi" dello Spirito Santo. Nel Vangelo di Giovanni si svela quasi la "logica" più profonda del mistero salvifico contenuto nell'eterno disegno di Dio, come espansione dell'ineffabile comunione del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. E' la "logica" divina, che dal mistero della Trinità porta al mistero della redenzione del mondo in Gesù Cristo. La redenzione compiuta dal Figlio nelle dimensioni della storia terrena dell'uomo - compiuta nella sua "dipartita" per mezzo della Croce e della Risurrezione - viene, al tempo stesso, nella sua intera potenza salvifica, trasmessa allo Spirito Santo: colui che "prenderà del mio" (
Jn 16,14). Le parole del testo giovanneo indicano che, secondo il disegno divino, la "dipartita" di Cristo è condizione indispensabile dell'"invio" e della venuta dello Spirito Santo, ma dicono anche che allora comincia fa nuova comunicazione salvifica di Dio nello Spirito Santo.

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12. E' un nuovo inizio in rapporto al primo, originario inizio del donarsi salvifico di Dio, che si identifica con lo stesso mistero della creazione. Ecco che cosa leggiamo già nelle prime parole del Libro della Genesi: "In principio Dio creo il cielo e la terra..., e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque" (Gn 1,1s). Questo concetto biblico di creazione comporta non solo la chiamata all'esistenza dell'essere stesso del cosmo cioè il donare l'esistenza, ma anche la presenza dello Spirito di Dio nella creazione, cioè l'inizio del comunicarsi salvifico di Dio alle cose che crea. Il che vale prima di tutto per l'uomo, il quale è stato creato ad immagine e somiglianza di Dio: "Facciamo l'uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza" (
Gn 1,26). "Facciamo": si può ritenere che il plurale, che il Creatore qui usa parlando di sé, suggerisca già in qualche modo il mistero trinitario, la presenza della Trinità nell'opera della creazione dell'uomo? Il lettore cristiano, che conosce già la rivelazione di questo mistero, può scoprirne il riflesso anche in quelle parole. In ogni caso, il contesto del Libro della Genesi ci permette di vedere nella creazione dell'uomo il primo inizio del donarsi salvifico di Dio a misura dell'"immagine e somiglianza" di sé, da lui concessa all'uomo.

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13. Sembra, dunque, che anche le parole pronunciate da Gesù nel discorso di addio debbano essere rilette in riferimento a quell'"inizio" così lontano, ma fondamentale, che conosciamo dalla Genesi. "Se non me ne vado, non verrà a voi il consolatore; ma, quando me ne saro andato, ve lo mandero". Descrivendo la sua "dipartita" come condizione della "venuta" del consolatore, Cristo collega il nuovo inizio della comunicazione salvifica di Dio nello Spirito Santo al mistero della redenzione. Questo è un nuovo inizio, prima di tutto perché tra il primo inizio e tutta la storia dell'uomo - cominciando dalla caduta originale - si è frapposto il peccato, che è contraddizione alla presenza dello Spirito di Dio nella creazione ed è, soprattutto contraddizione alla comunicazione salvifica di Dio all'uomo. Scrive san Paolo che, proprio a causa del peccato, "la creazione... è stata sottomessa alla caducità..., geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto" e "attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio" (
Rm 8,19-22).

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14. perciò, Gesù Cristo dice nel Cenacolo: "E' bene per voi che io me ne vada"; "Quando me ne saro andato, ve lo mandero" (
Jn 16,7). La "dipartita" di Cristo mediante la Croce ha la potenza della redenzione - e ciò significa anche una nuova presenza dello Spirito di Dio nella creazione: il nuovo inizio del comunicarsi di Dio all'uomo nello Spirito Santo. "E che voi siete figli ne è prova il fatto che Dio ha mandato nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio, che grida: Abbà, Padre!": scrive l'apostolo Paolo nella Lettera ai Galati (Ga 4,6 cfr. Rm 8,15).

Lo Spirito Santo è lo Spirito del Padre, come testimoniano le parole del discorso di addio nel Cenacolo. Egli è, al tempo stesso, lo Spirito del Figlio: è lo Spirito di Gesù Cristo, come testimonieranno gli apostoli e, in particolare, Paolo di Tarso (cfr. Ga 4,6 Ph 1,19 Rm 8,11). Nell'invio di questo Spirito "nei nostri cuori" inizia a compiersi ciò che "la creazione stessa attende con impazienza", come leggiamo nella Lettera ai Romani.

Lo Spirito Santo viene a prezzo della "dipartita" di Cristo. Se tale "dipartita" ha causato la tristezza degli apostoli (cfr. Jn 16,6), e questa doveva raggiungere il suo culmine nella passione e nella morte del Venerdi Santo, a sua volta "questa afflizione si cambierà in gioia" (cfr. Jn 16,20). Cristo, infatti, inserirà nella sua "dipartita" redentrice la gloria della risurrezione e dell'ascensione al Padre. Pertanto, la tristezza, attraverso la quale traspare la gioia, è la parte che tocca agli apostoli nel quadro della dipartita "benefica", perché grazie ad essa un altro "consolatore" sarebbe venuto (cfr. Jn 16,7). A prezzo della Croce, operatrice della redenzione, nella potenza di tutto il mistero pasquale di Gesù Cristo, lo Spirito Santo viene per rimanere sin dal giorno della Pentecoste con gli apostoli, per rimanere con la Chiesa e nella Chiesa e, mediante essa, nel mondo.

In questo modo si realizza definitivamente quel nuovo inizio della comunicazione del Dio uno e trino nello Spirito Santo per opera di Gesù Cristo, Redentore dell'uomo e del mondo.

Il Messia, unto con lo Spirito Santo

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15. Si realizza anche fino in fondo la missione del Messia, cioè di colui che ha ricevuto la pienezza dello Spirito Santo per il Popolo eletto di Dio e per l'umanità intera. Letteralmente "Messia" significa "Cristo", cioè "unto" e, nella storia della salvezza, significa "unto con lo Spirito Santo". Tale era la tradizione profetica dell'Antico Testamento. Seguendola, Simon Pietro dirà nella casa di Cornelio: "Voi conoscete ciò che è accaduto in tutta la Giudea... dopo il battesimo predicato da Giovanni; cioè, come Dio consacro in Spirito Santo e potenza Gesù di Nazareth" (Ac 10,37s).

Da queste parole di Pietro e da molte altre simili (cfr.
Lc 4,16-21 Lc 3,16 Lc 4,14 Mc 1,10) occorre risalire prima di tutto alla profezia di Isaia, chiamata a volte "il quinto Vangelo" oppure "il Vangelo dell'Antico Testamento".

Alludendo alla venuta di un personaggio misterioso, che la rivelazione neotestamentaria identificherà con Gesù, Isaia ne collega la persona e la missione con una speciale azione dello Spirito di Dio - Spirito del Signore. Ecco le parole del Profeta: "Un germoglio spunterà dal tronco di Iesse, un virgulto germoglierà dalle sue radici.

Su di lui si poserà lo Spirito del Signore, spirito di sapienza e di intelligenza, spirito di consiglio e di fortezza, spirito di conoscenza e di timore del Signore.

Si compiacerà del timore del Signore" (Is 11,1-3).

Questo testo è importante per l'intera pneumatologia dell'Antico Testamento, perché costituisce quasi un ponte tra l'antico concetto biblico dello "spirito", inteso prima di tutto come "soffio carismatico", e lo "Spirito" come persona e come dono, dono per la persona. Il Messia della stirpe di Davide ("dal tronco di Iesse") è proprio quella persona, sulla quale "si poserà" lo Spirito del Signore. E' ovvio che in questo caso non si può ancora parlare della rivelazione del Paraclito: tuttavia, con quell'accenno velato alla figura del futuro Messia si apre, per così dire, la via sulla quale vien preparata la piena rivelazione dello Spirito Santo nell'unità del mistero trinitario, che si manifesterà infine nella Nuova Alleanza.

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16. Proprio il Messia stesso è questa via. Nell'Antica Alleanza l'unzione era divenuta il simbolo esterno del dono dello Spirito. Il Messia, ben più di ogni altro personaggio unto nell'Antica Alleanza, è quell'unico grande Unto da Dio stesso. E' l'Unto nel senso che possiede la pienezza dello Spirito di Dio. Egli stesso sarà anche il mediatore nel concedere questo Spirito all'intero Popolo.

Ecco, infatti, altre parole del Profeta: "Lo spirito del Signore Dio è su di me, perché il Signore mi ha consacrato con l'unzione; mi ha mandato a portare il lieto annuncio ai poveri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare la libertà agli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri, a promulgare l'anno di misericordia del Signore" (Is 61,1s).

L'Unto è anche mandato "con lo Spirito del Signore": "Ora il Signore Dio ha mandato me insieme col suo spirito" (
Is 48,16). Secondo il Libro di Isaia l'Unto e l'Inviato insieme con lo Spirito del Signore è anche l'eletto Servo del Signore, sul quale si posa lo Spirito di Dio: "Ecco il mio servo che io sostengo, il mio eletto in cui mi compiaccio; ho posto il mio spirito su di lui" (Is 42,1).

Si sa che il Servo del Signore è rivelato nel Libro di Isaia come il vero uomo dei dolori: il Messia sofferente per i peccati del mondo (cfr. Is 53,5-6 Is 53,8). Ed insieme egli è proprio colui la cui missione porterà per l'intera umanità veri frutti di salvezza: "Egli porterà il diritto alle nazioni..." (Is 42,1); e diventerà "l'alleanza del popolo e luce delle nazioni..." (Is 42,6); "perché porti la mia salvezza fino all'estremità della terra" (Is 49,6).

Poiché: "Il mio spirito, che è sopra di te, e le parole, che ti ho messo in bocca, non si allontaneranno dalla tua bocca né dalla bocca della tua discendenza né dalla bocca dei discendenti dei discendenti, dice il Signore, ora e sempre" (Is 59,21).

I testi profetici, qui riportati, devono esser letti da noi alla luce del Vangelo - come, a sua volta, il Nuovo Testamento acquista una particolare chiarificazione dalla mirabile luce contenuta in questi testi veterotestamentari.

Il profeta presenta il Messia come colui che viene nello Spirito Santo, come colui che possiede la pienezza di questo Spirito in sé e, al tempo stesso, per gli altri, per Israele, per tutte le nazioni, per tutta l'umanità. La pienezza dello Spirito di Dio viene accompagnata da molteplici doni, i beni della salvezza, destinati in modo particolare ai poveri e ai sofferenti, a tutti coloro che a questi doni aprono i loro cuori - a volte mediante le dolorose esperienze della propria esistenza, ma, prima di tutto, con quella disponibilità interiore che viene dalla fede. Ciò intuiva il vecchio Simeone, "uomo giusto e pio", sul quale "era lo Spirito Santo", al momento della presentazione di Gesù al Tempio, quando scorgeva in lui la "salvezza preparata dinanzi a tutti i popoli" a prezzo della grande sofferenza - la Croce -, che avrebbe dovuto abbracciare insieme con sua Madre (cfr. Lc 2,25-35). Ciò intuiva ancor meglio la Vergine Maria, che "aveva concepito di Spirito Santo" (cfr. Lc 1,35) quando meditava in cuor suo sopra i "misteri" del Messia, a cui era associata (cfr. Lc 2,19 Lc 2,51).

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17. Occorre qui sottolineare che chiaramente lo "spirito del Signore", che "si posa" sul futuro Messia, è, anzitutto, un dono di Dio per la persona di quel Servo del Signore. Ma costui non è una persona isolata a sé stante, perché opera per volontà del Signore, in forza della sua decisione o scelta. Anche se alla luce dei testi di Isaia l'operare salvifico del Messia, Servo del Signore, include l'azione dello Spirito che si svolge mediante lui stesso, tuttavia nel contesto veterotestamentario non è suggerita la distinzione dei soggetti, o delle Persone divine, quali sussistono nel mistero trinitario e sono poi rivelate nel Nuovo Testamento. Sia in Isaia sia in tutto l'Antico Testamento la personalità dello Spirito Santo è completamente nascosta: nascosta nella rivelazione dell'unico Dio, come anche nell'annuncio del futuro Messia.

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18. Gesù Cristo si richiamerà a questo annuncio, contenuto nelle parole di Isaia, all'inizio della sua attività messianica. Ciò avverrà nella stessa Nazareth, nella quale aveva trascorso trent'anni di vita nella casa di Giuseppe, il carpentiere, accanto a Maria, sua Madre vergine. Quando ebbe occasione di prendere la parola nella Sinagoga, aperto il Libro di Isaia, egli trovo il passo in cui era scritto: "Lo spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l'unzione" e, dopo aver letto questo brano, disse ai presenti: "Oggi si è adempiuta questa Scrittura, che voi avete udito" (cfr.
Lc 4,16-21 Is 61,1s). In questo modo confesso e proclamo di esser colui che "è stato unto" dal Padre, di essere il Messia, cioè colui nel quale dimora lo Spirito Santo come dono di Dio stesso, colui che possiede la pienezza di questo Spirito, colui che segna il "nuovo inizio" del dono che Dio fa all'umanità nello Spirito.

Gesù di Nazareth, "elevato" nello Spirito Santo

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19. Anche se nella sua patria di Nazareth Gesù non è accolto come Messia, tuttavia, all'inizio dell'attività pubblica, la sua missione messianica nello Spirito Santo viene rivelata al popolo da Giovanni Battista. Questi, figlio di Zaccaria e di Elisabetta, annuncia presso il Giordano la venuta del Messia ed amministra il battesimo di penitenza. Egli dice: "Io vi battezzo con acqua, ma viene uno che è più forte di me, al quale io non son degno di sciogliere neppure il legaccio dei sandali: costui vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco" (
Lc 3,16 cfr. Mt 3,11 Mc 1,7s; Jn 1,33).

Giovanni Battista annuncia il Messia-Cristo non solo come colui che "viene" nello Spirito Santo, ma anche come colui che "porta" lo Spirito Santo, come rivelerà meglio Gesù nel Cenacolo. Giovanni è qui l'eco fedele delle parole di Isaia, le quali nell'antico Profeta riguardavano il futuro, mentre nel suo proprio insegnamento lungo le rive del Giordano costituiscono l'introduzione immediata alla nuova realtà messianica. Giovanni è non solo un profeta, ma anche un messaggero: è il precursore di Cristo. Ciò che egli annuncia si realizza davanti agli occhi di tutti. Gesù di Nazareth viene al Giordano per ricevere anch'egli il battesimo di penitenza. Alla vista di colui che arriva, Giovanni proclama: "Ecco l'agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato dal mondo" (Jn 1,29). Ciò dice per ispirazione dello Spirito Santo (cfr. Jn 1,33s), rendendo testimonianza al compimento della profezia di Isaia. Al tempo stesso, egli confessa la fede nella missione redentrice di Gesù di Nazareth. Sulle labbra di Giovanni Battista "Agnello di Dio" è un'affermazione della verità intorno al Redentore, non meno significativa di quella usata da Isaia: "Servo del Signore".

Così, con la testimonianza di Giovanni al Giordano, Gesù di Nazareth, rifiutato dai propri concittadini, viene elevato agli occhi di Israele come Messia, cioè "Unto" con lo Spirito Santo. E tale testimonianza viene corroborata da un'altra testimonianza di ordine superiore, menzionata dai tre Sinottici.

Infatti, quando tutto il popolo fu battezzato e mentre Gesù, ricevuto il battesimo, stava in preghiera, "il cielo si apri e scese su di lui lo Spirito Santo in apparenza corporea, come una colomba" (Lc 3,21s; cfr. Mt 3,16 Mc 1,10) e contemporaneamente, "vi fu una voce dal cielo, che disse: Questi è il Figlio mio diletto, nel quale mi sono compiaciuto" (Mt 3,17).

E' una teofania trinitaria, che rende testimonianza all'esaltazione di Cristo in occasione del battesimo al Giordano. Essa non solo conferma la testimonianza di Giovanni Battista, ma svela una dimensione ancora più profonda della verità su Gesù di Nazareth come Messia. Ecco: il Messia è il figlio prediletto del Padre. La sua solenne esaltazione non si riduce alla missione messianica del "Servo del Signore". Alla luce della teofania del Giordano, questa esaltazione raggiunge il mistero della stessa persona del Messia. Egli è esaltato, perché è il Figlio del divino compiacimento. La voce dall'alto dice: "Il Figlio mio".

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20. La teofania del Giordano rischiara solo fugacemente il mistero di Gesù di Nazareth, la cui intera attività si svolgerà sotto la presenza attiva dello Spirito Santo. Tale mistero sarebbe stato da Gesù stesso svelato e confermato gradualmente mediante tutto ciò che "fece e insegno" (
Ac 1,1). Sulla linea di questo insegnamento e dei segni messianici che Gesù compi prima di giungere al discorso di addio nel Cenacolo, troviamo eventi e parole che costituiscono momenti particolarmente importanti di questa progressiva rivelazione. così l'evangelista Luca, che ha già presentato Gesù "pieno di Spirito Santo" e "condotto dallo Spirito nel deserto" (cfr. Lc 4,1), ci fa sapere che, dopo il ritorno dei settantadue discepoli dalla missione affidata loro dal Maestro (cfr. Lc 10,17-20), mentre pieni di gioia gli raccontavano i frutti del loro lavoro, "in quello stesso istante Gesù esulto nello Spirito Santo e disse: - io ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, che hai nascosto queste cose ai dotti e ai sapienti e le hai rivelate ai piccoli, Si, Padre, perché così ti è piaciuto" (Lc 10,21 cfr. Mt 11,25s). Gesù esulta per la paternità divina; esulta, perché gli è dato di rivelare questa paternità; esulta, infine, quasi per una speciale irradiazione di questa paternità divina sui "piccoli". E l'evangelista qualifica tutto questo come "esultanza nello Spirito Santo".

Una tale esultanza, in un certo senso, sollecita Gesù a dire ancora di più. Ascoltiamo: "Ogni cosa mi è stata affidata dal Padre mio, e nessuno sa chi è il Figlio se non il Padre, né chi è il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare" (Lc 10,22 cfr. Mt 11,27).

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21. Ciò che durante la teofania del Giordano è venuto, per così dire, "dall'esterno", dall'Alto, qui proviene "dall'interno", cioè dal profondo di ciò che è Gesù. E' un'altra rivelazione del Padre e del Figlio, uniti nello Spirito Santo. Gesù parla solo della paternità di Dio e della propria figliolanza - non parla direttamente dello Spirito che è amore e, per questo, unione del Padre e del Figlio. Nondimeno, quello che dice del Padre e di sé-Figlio scaturisce da quella pienezza dello Spirito, che è in lui e si riversa nel suo cuore, pervade il suo stesso "io", ispira e vivifica dal profondo la sua azione. Di qui quell'"esultare nello Spirito Santo". L'unione di Cristo con lo Spirito Santo, di cui egli ha perfetta coscienza, si esprime in quell'"esultanza", che in certo modo rende percepibile la sua arcana sorgente. Si ha così una speciale manifestazione ed esaltazione, che è propria del Figlio dell'uomo, di Cristo-Messia, la cui umanità appartiene alla Persona del Figlio di Dio, sostanzialmente uno con lo Spirito Santo nella divinità. Nella magnifica confessione della paternità di Dio Gesù di Nazareth manifesta anche se stesso, il suo "io" divino: egli, infatti, è il Figlio "della stessa sostanza" e, perciò, "nessuno sa chi è il Figlio se non il Padre, né chi è il Padre se non il Figlio", quel Figlio che "per noi uomini e per la nostra salvezza" si è fatto uomo per opera dello Spirito Santo ed è nato da una vergine, il cui nome era Maria.



Dominum et vivificantem