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«Seguimi»


8 Dall'esame del testo evangelico risulta che questo sguardo fu per così dire, la risposta di Cristo alla testimonianza che il giovane aveva dato della sua vita fino a quel momento ossia di aver agito secondo i comandamenti di Dio: «Tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza».

Al tempo stesso, questo «sguardo d'amore» fu l'introduzione alla fase conclusiva della conversazione. Volendo seguire la redazione di Matteo, fu quel giovane stesso ad aprire questa fase, dato che non solo affermò la propria fedeltà nei confronti dei comandamenti del Decalogo, che caratterizzava tutta la sua precedente condotta, ma contemporaneamente pose una nuova domanda. Difatti chiese: «Che cosa mi manca ancora?» (
Mt 19,20).

Questa domanda è molto importante. Indica che nella coscienza morale dell'uomo, e proprio dell'uomo giovane, che forma il progetto di tutta la sua vita, è nascosta l'aspirazione a un «qualcosa di più». Questa aspirazione si fa sentire in diversi modi, e noi possiamo notarla anche tra gli uomini che sembrano esser lontani dalla nostra religione.

Tra i seguaci delle religioni non cristiane, soprattutto del Buddhismo, dell'Induismo e dell'Islamismo, troviamo già da millenni schiere di uomini «spirituali», i quali spesso fin dalla giovinezza lasciano tutto per mettersi in stato di povertà e di purezza alla ricerca dell'Assoluto che sta oltre l'apparenza delle cose sensibili, si sforzano di acquistare lo stato di liberazione perfetta, si rifugiano in Dio con amore e confidenza, cercano di sottomettersi con tutta l'anima ai decreti nascosti di lui. Essi sono come spinti da una misteriosa voce interiore che risuona nel loro spirito, quasi echeggiando la parola di san Paolo: «Passa la scena di questo mondo» (1Co 7,31) e li guida alla ricerca di cose più grandi e durature: «Cercate le cose di lassù» (Col 3,1). Essi tendono con tutte le forze verso la meta lavorando con serio tirocinio alla purificazione del loro spirito, giungendo talvolta a fare della propria vita una donazione d'amore alla divinità. Così facendo, si levano come un esempio vivente per i loro contemporanei, ai quali additano con la loro stessa condotta il primato dei valori eterni su quelli fuggevoli e talora ambigui offerti dalla società, in cui vivono.

Ma è nel Vangelo che l'aspirazione alla perfezione, a un «qualcosa di più» trova il suo esplicito punto di riferimento. Cristo nel Discorso della montagna conferma tutta la legge morale, al cui centro si trovano le tavole mosaiche dei dieci comandamenti; nello stesso tempo, però, egli conferisce a questi comandamenti un significato nuovo, evangelico. E tutto viene concentrato - come è già stato detto - intorno alla carità, non solo come comandamento, ma anche come dono: «L'amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo, che ci è stato dato» (Rm 5,5).

In questo nuovo contesto diventa anche comprensibile il programma delle otto Beatitudini, con cui si apre il Discorso della montagna nel Vangelo secondo Matteo (cfr. Mt Mt 5,3-12).

In questo stesso contesto l'insieme dei comandamenti, che costituiscono il codice fondamentale della morale cristiana, viene completato dall'insieme dei consigli evangelici, nei quali in modo speciale si esprime e si concretizza la chiamata di Cristo alla perfezione, che è chiamata alla santità.

Quando il giovane chiede intorno al «di più»: «Che cosa mi manca ancora?», Gesù lo fissa con amore, e questo amore trova qui un nuovo significato. L'uomo viene portato interiormente, per mano dello Spirito Santo, da una vita secondo i comandamenti ad una vita nella consapevolezza del dono, e lo sguardo pieno di amore di Cristo esprime questo «passaggio» interiore. E Gesù dice: «Se vuoi essere perfetto, va', vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; poi vieni e seguimi» (Mt 19,21).

Sì, miei amati giovani amici! L'uomo, il cristiano è capace di vivere nella dimensione del dono. Anzi, questa dimensione non solo è «superiore» alla dimensione dei soli obblighi morali noti dai comandamenti, ma è anche «più profonda» di essa e più fondamentale. Essi testimonia una più piena espressione di quel progetto di vita, che costruiamo già nella giovinezza. La dimensione del dono crea anche il profilo maturo di ogni vocazione umana e cristiana, come verrà detto in seguito.

In questo momento desidero, tuttavia, parlarvi del particolare significato delle parole, che Cristo disse a quel giovane. E ciò faccio nella convinzione che Cristo le rivolga nella Chiesa ad alcuni suoi giovani interlocutori di ogni generazione. Anche della nostra. Quelle sue parole significano allora una particolare vocazione nella comunità del Popolo di Dio. La Chiesa trova il «seguimi» di Cristo (cfr. Mc 10,21 Gv Jn 1,43 Jn 21,23) all'inizio di ogni chiamata al servizio nel sacerdozio ministeriale, il che simultaneamente nella Chiesa cattolica latina è unito alla consapevole e libera scelta del celibato. La Chiesa trova lo stesso «seguimi» di Cristo all'inizio della vocazione religiosa, nella quale mediante la professione dei consigli evangelici (castità, povertà e obbedienza) un uomo o una donna riconoscono come proprio il programma di vita che Cristo stesso realizzò sulla terra, per il Regno di Dio (cfr. Mt Mt 19,12). Emettendo i voti religiosi, tali persone si impegnano a dare una particolare testimonianza dell'amore di Dio sopra ogni cosa ed insieme di quella chiamata all'unione con Dio nell'eternità, che è rivolta a tutti. C'è, tuttavia, bisogno che alcuni ne diano una testimonianza eccezionale davanti agli altri.

Mi limito solo a menzionare questi argomenti nella presente Lettera, perché essi sono stati già presentati ampiamente altrove ed anche più volte (Redemptionis Donum). Io li ricordo, perché nel contesto del colloquio di Cristo col giovane essi acquistano una particolare chiarezza, specialmente l'argomento della povertà evangelica. Li ricordo anche perché la chiamata «seguimi» di Cristo, proprio in questo senso eccezionale e carismatico, si fa sentire il più delle volte già nel periodo della giovinezza; a volte si avverte addirittura nel periodo dell'infanzia.

E' per questo che desidero dire a tutti voi, giovani, in questa importante fase dello sviluppo della vostra personalità femminile o maschile: se una tale chiamata giunge al tuo cuore, non farla tacere! Lascia che si sviluppi fino alla maturità di una vocazione! Collabora con essa mediante la preghiera e la fedeltà ai comandamenti! «La messe, infatti, è molta» (Mt 9,37). C'è un enorme bisogno di molti che siano raggiunti dalla chiamata di Cristo: «Seguimi». C'è un enorme bisogno di sacerdoti secondo il cuore di Dio, e la Chiesa e il mondo d'oggi hanno un enorme bisogno di una testimonianza di vita donata senza riserva a Dio: della testimonianza di un tale amore sponsale di Cristo stesso, che in modo particolare renda presente tra gli uomini il Regno di Dio e lo avvicini al mondo.

Permettetemi, dunque, di completare ancora le parole di Cristo Signore sulla messe che è molta. Sì, è molta questa messe del Vangelo, questa messe della salvezza!... «Ma gli operai sono pochi!». Forse oggi ciò si risente più che in passato, specialmente in alcuni paesi, come anche in alcuni istituti di vita consacrata e simili.

«Pregate dunque il padrone della messe che mandi operai nella sua messe» (Mt 9,37), continua Cristo. E queste parole, specialmente ai nostri tempi, diventano un programma di preghiera e di azione in favore delle vocazioni sacerdotali e religiose. Con questo programma la Chiesa si rivolge a voi, ai giovani. Anche voi: chiedete! E se il frutto di questa preghiera della Chiesa nascerà nel profondo del vostro cuore, ascoltate il Maestro che dice: «Seguimi».

Il progetto di vita e la vocazione cristiana


9 Queste parole nel Vangelo certamente riguardano la vocazione sacerdotale o religiosa; al tempo stesso, però, esse ci permettono di comprendere più profondamente la questione della vocazione in un senso ancor più ampio e fondamentale.

Si potrebbe parlare qui della vocazione «di vita», la quale in qualche modo si identifica con quel progetto di vita, che ognuno di voi elabora nel periodo della sua giovinezza. Tuttavia, «la vocazione» dice ancora qualcosa di più del «progetto». In questo secondo caso sono io stesso il soggetto che elabora, e ciò corrisponde meglio alla realtà della persona, qual è ognuna e ognuno di voi. Questo «progetto» è la «vocazione», in quanto in essa si fanno sentire i vari fattori che chiamano. Questi fattori compongono di solito un determinato ordine di valori (detto anche «gerarchia di valori»), dai quali emerge un ideale da realizzare, che è attraente per un cuore giovane. In questo processo la «vocazione» diventa «progetto», e il progetto comincia a essere anche vocazione.

Dato però che ci troviamo davanti a Cristo e basiamo le nostre riflessioni intorno alla giovinezza sul suo colloquio col giovane, occorre precisare ancor meglio quel rapporto del «progetto di vita» nei riguardi della «vocazione di vita». L'uomo è una creatura ed è insieme un figlio adottivo di Dio in Cristo: è figlio di Dio. Allora, l'interrogativo: «Che cosa devo fare?» l'uomo lo pone durante la sua giovinezza non solo a sé e agli altri uomini, dai quali può attendere una risposta, specialmente ai genitori e agli educatori, ma lo pone anche a Dio, come suo creatore e padre. Egli lo pone nell'ambito di quel particolare spazio interiore, nel quale ha imparato ad essere in stretta relazione con Dio, prima di tutto nella preghiera. Egli chiede dunque a Dio: «Che cosa devo fare?», qual è il tuo piano riguardo alla mia vita? Il tuo piano creativo e paterno? Qual'è la tua volontà? lo desidero compierla.

In un tale contesto il «progetto» acquista il significato di «vocazione di vita», come qualcosa che viene all'uomo affidato da Dio come compito. Una persona giovane, rientrando dentro di sé ed insieme intraprendendo il colloquio con Cristo nella preghiera, desidera quasi leggere quel pensiero eterno, che Dio, creatore e padre, ha nei suoi riguardi. Si convince allora che il compito, a lei assegnato da Dio, è lasciato completamente alla sua libertà e, al tempo stesso, è determinato da diverse circostanze di natura interna ed esterna. Esaminandole la persona giovane, ragazzo o ragazza, costruisce il suo progetto di vita ed insieme riconosce questo progetto come la vocazione alla quale Dio la chiama.

Desidero, dunque, affidare a voi tutti, giovani destinatari della presente Lettera, questo lavoro meraviglioso, che si collega alla scoperta, davanti a Dio, della rispettiva vocazione di vita. E' questo un lavoro appassionante. E' un affascinante impegno interiore. In questo impegno si sviluppa e cresce la vostra umanità, mentre la vostra giovane personalità va acquistando la maturità interiore. Vi radicate in ciò che ognuno e ognuna di voi è, per diventare ciò che deve diventare: per sé - per gli uomini - per Dio.

Di pari passo col processo di scoprire la propria «vocazione di vita» dovrebbe svilupparsi il rendersi conto in qual modo questa vocazione di vita sia, al tempo stesso, una «vocazione cristiana».

Occorre qui osservare che, nel periodo anteriore al Concilio Vaticano II, il concetto di «vocazione» veniva applicato prima di tutto in relazione al sacerdozio e alla vita religiosa, come se Cristo avesse rivolto al giovane il suo «seguimi» evangelico solo per questi casi. Il Concilio ha allargato questa visuale. La vocazione sacerdotale e religiosa ha conservato il suo carattere particolare e la sua sacramentale e carismatica importanza nella vita del Popolo di Dio. Al tempo stesso, però, la consapevolezza, rinnovata dal Vaticano II, dell'universale partecipazione di tutti i battezzati alla triplice missione di Cristo (tria munera) profetica, sacerdotale e regale, come anche la consapevolezza dell'universale vocazione alla santità (Lumen Gentium
LG 39-42), fanno sì che ogni vocazione di vita dell'uomo come la vocazione cristiana corrisponda alla chiamata evangelica. Il «seguimi» di Cristo si fa sentire su diverse strade, lungo le quali camminano i discepoli ed i confessori del divin Redentore, In diversi modi si può diventare imitatori di Cristo, cioè non solamente dando una testimonianza del Regno escatologico di verità e di amore, ma anche adoperandosi per la trasformazione secondo lo spirito del Vangelo di tutta la realtà temporale (cfr. Gaudium et Spes GS 43-44). E' a questo punto che prende anche inizio l'apostolato dei laici, che è inseparabile dall'essenza stessa della vocazione cristiana.

Sono queste le premesse estremamente importanti per il progetto di vita, che corrisponde all'essenziale dinamismo della vostra giovinezza. Bisogna che voi esaminiate questo progetto - indipendentemente dal concreto contenuto «di vita», di cui esso si riempirà - alla luce delle parole rivolte da Cristo a quel giovane.

Bisogna anche che ripensiate - e molto profondamente - al significato del battesimo e della cresima. In questi due sacramenti, infatti, è contenuto il deposito fondamentale della vita e della vocazione cristiana. Da essi parte la strada verso l'Eucaristia, che contiene la pienezza della sacramentale elargizione concessa al cristiano: tutta la ricchezza della Chiesa si concentra in questo sacramento di amore. A sua volta - e sempre in rapporto all'Eucaristia - bisogna riflettere sull'argomento del sacramento della penitenza, il quale ha un'importanza insostituibile per la formazione della personalità cristiana, specialmente se ad esso viene unita la direzione spirituale, cioè una scuola sistematica di vita interiore.

Su tutto questo mi pronuncio brevemente, anche se ciascuno dei sacramenti della Chiesa ha il suo definito e specifico riferimento alla giovinezza ed ai giovani. Confido che questo tema venga trattato in maniera particolareggiata da altri, specialmente dagli operatori pastorali appositamente inviati a collaborare con la gioventù.

La Chiesa stessa - come insegna il Concilio Vaticano II - è «come un sacramento, o segno e strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano» (Lumen Gentium LG 1). Ogni vocazione di vita, come vocazione «cristiana», è radicata nella sacramentalità della Chiesa: essa si forma, dunque, mediante i sacramenti della nostra fede. Sono essi a permetterci sin dalla giovinezza di aprire il nostro «io» umano all'azione salvifica di Dio, cioè della santissima Trinità. Essi ci permettono di partecipare alla vita di Dio, vivendo al massimo un'autentica vita umana. In tal modo questa vita umana acquista una nuova dimensione ed insieme la sua originalità cristiana: la consapevolezza delle esigenze poste all'uomo dal Vangelo viene completata dalla consapevolezza del dono, che supera ogni cosa. «Se tu conoscessi il dono di Dio» (Jn 4,10), disse Cristo parlando con la Samaritana.

«Grande Sacramento sponsale»


10 Su questo vasto sfondo, che il vostro progetto giovanile di vita acquista in confronto con l'idea della vocazione cristiana, io desidero rivolgere l'attenzione insieme con voi, giovani destinatari della presente Lettera, verso il problema che, in un certo senso, si trova al centro della giovinezza di voi tutti. Questo è uno dei problemi centrali della vita umana ed è insieme uno dei temi centrali di riflessione, di creatività e di cultura. Questo è anche uno dei principali temi biblici, al quale personalmente ho dedicato molte riflessioni e molte analisi. Dio ha creato l'essere umano uomo e donna, introducendo con ciò nella storia dell'umanità quella particolare «duplicità» con una completa parità, se si tratta della dignità umana, e con una meravigliosa complementarietà, se si tratta della divisione degli attributi, delle proprietà e dei compiti, uniti alla mascolinità ed alla femminilità dell'essere umano.

Pertanto, questo è un tema di per sé inscritto nello stesso «io» personale di ciascuno e di ciascuna di voi. La giovinezza è quel periodo, in cui questo grande tema attraversa in modo sperimentale e creativo l'anima e il corpo di ogni ragazza e di ogni ragazzo, e si manifesta all'interno della coscienza giovanile insieme con la scoperta fondamentale del proprio «io» in tutta la sua molteplice potenzialità. Allora anche, sull'orizzonte di un giovane cuore, si delinea un'esperienza nuova: questa è l'esperienza dell'amore, che sin dall'inizio richiede di essere inscritta in quel progetto di vita, che la giovinezza crea e forma spontaneamente.

Tutto questo possiede ogni volta la sua irripetibile espressione soggettiva, la sua ricchezza affettiva, la sua bellezza addirittura metafisica. Al tempo stesso, in tutto questo è contenuta una possente esortazione a non falsare questa espressione, a non distruggere tale ricchezza e a non deturpare tale bellezza. Siate convinti che questo appello viene da Dio stesso, che ha creato l'uomo «a sua immagine e somiglianza» proprio «come uomo e donna». Questo appello scaturisce dal Vangelo e si fa sentire nella voce delle giovani coscienze, se esse hanno conservato la loro semplicità e limpidezza: «Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio» (
Mt 5,8). Sì! Per mezzo di quell'amore che nasce in voi - e vuol essere inscritto nel progetto di tutta la vita - dovete vedere Dio che è amore (cfr. 1Jn 4,8 1Jn 4,16).

E perciò vi chiedo di non interrompere il colloquio con Cristo in questa fase estremamente importante della vostra giovinezza; vi chiedo, anzi, di impegnarvi ancora di più. Quando Cristo dice «seguimi», la sua chiamata può significare: «Ti chiamo ad un altro amore ancora»; però, molto spesso significa: «Seguimi», segui me che sono lo sposo della Chiesa, della mia sposa ...; vieni, diventa anche tu lo sposo della tua sposa ..., diventa anche tu la sposa del tuo sposo. Diventate ambedue i partecipanti a quel mistero, a quel sacramento, del quale nella Lettera agli Efesini si dice che è grande: grande «in riferimento a Cristo e alla Chiesa» (cfr. Ef Ep 5,32).

Molto dipende dal fatto che voi, anche su questa via, seguiate il Cristo; che non fuggiate da lui mentre avete questo problema che giustamente ritenete il grande evento del vostro cuore, un problema che esiste solo in voi e tra voi. Desidero che crediate e vi convinciate che questo grande problema ha la sua dimensione definitiva in Dio, che è amore, in Dio, che nell'assoluta unità della sua divinità è insieme una comunione di persone: Padre, Figlio e Spirito Santo. Desidero che voi crediate e vi convinciate che questo vostro umano «grande mistero» ha il suo principio in Dio che è il Creatore, che esso è radicato in Cristo Redentore, il quale come lo sposo «ha dato se stesso», ed a tutti gli sposi e a tutte le spose insegna a «donarsi» secondo la piena misura della dignità personale di ciascuno e di ciascuna. Cristo ci insegna l'amore sponsale.

Imboccare la via della vocazione matrimoniale significa imparare l'amore sponsale giorno per giorno, anno per anno: l'amore secondo l'anima e il corpo, l'amore che «è paziente, è benigno, che non cerca il suo ... e non tiene conto del male»; l'amore, che sa «compiacersi della verità», l'amore che «tutto sopporta» (cfr. 1Co 13,4 1Co 13,5 1Co 13,6 1Co 13,7).

Proprio di questo amore voi, giovani, avete bisogno, se il vostro futuro matrimonio deve «superare» la prova di tutta la vita. E proprio questa prova fa parte dell'essenza stessa della vocazione che, mediante il matrimonio, intendete inscrivere nel progetto della vostra vita.

E perciò io non smetto di pregare il Cristo e la Madre del bell'Amore per l'amore che nasce nei giovani cuori. Molte volte nella mia vita mi è stato dato di accompagnare, in un certo senso, più da vicino questo amore dei giovani. Grazie a questa esperienza ho capito quanto sia essenziale il problema, di cui si tratta qui, quanto esso sia importante e quanto grande. Penso che il futuro dell'uomo si decida in misura importante sulle vie di questo amore, inizialmente giovanile, che tu e lei... che tu e lui scoprite sulle strade della vostra giovinezza. Questa è - si può dire - una grande avventura, ma è anche un grande compito.

Oggi i principi della morale cristiana matrimoniale in molti ambienti vengono presentati secondo un'immagine distorta. Si cerca di imporre ad ambienti, e perfino a intere società un modello che si autoproclama «progressista» e «moderno». Non si nota all'occasione che in questo modello l'uomo e, forse, soprattutto la donna da soggetto è trasformato in oggetto (oggetto di una specifica manipolazione), e tutto il grande contenuto dell'amore viene ridotto a «godimento», il quale, anche se fosse da ambedue le parti, non cesserebbe di essere egoistico nella sua essenza. Infine il bambino, che è il frutto e la nuova incarnazione dell'amore dei due, diventa sempre più «un'aggiunta fastidiosa». La civiltà materialistica e consumistica penetra in tutto questo meraviglioso insieme dell'amore coniugale e paterno e materno, e lo spoglia di quel contenuto profondamente umano, che sin dall'inizio fu pervaso anche da un contrassegno e riflesso divino.

Cari giovani amici! Non permettete che vi sia tolta questa ricchezza! Non inscrivete nel progetto della vostra vita un contenuto deformato, impoverito e falsato: l'amore «si compiace della verità». Cercatela questa verità là dove essa si trova realmente! Se c'è bisogno, siate decisi ad andare contro la corrente delle opinioni che circolano e degli slogans propagandati! Non abbiate paura dell'amore, che pone precise esigenze all'uomo. Queste esigenze - così come le trovate nel costante insegnamento della Chiesa - sono appunto capaci di rendere il vostro amore un vero amore.

E se dovessi farlo in qualche luogo, qui specialmente io desidero ripetere l'augurio formulato all'inizio, che cioè siate «pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi»! La Chiesa e l'umanità vi affidano il grande problema di quell'amore, sul quale si basa il matrimonio, la famiglia: il futuro. Esse confidano che saprete farlo rinascere; confidano che saprete renderlo bello: umanamente e cristianamente bello. Umanamente e cristianamente grande, maturo e responsabile.

Eredità


11 Nel vasto ambito nel quale il progetto di vita, elaborato nella giovinezza, s'incontra con «gli altri», abbiamo toccato il punto più nevralgico. Consideriamo ancora che questo punto centrale, nel quale il nostro «io» personale si apre verso la vita «con gli altri» e «per gli altri» nell'alleanza matrimoniale, trova nella Sacra Scrittura una parola molto significativa: «L'uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie» (Gn 2,24 cfr. Mt Mt 19,5).

Quell'«abbandonerà» merita una particolare attenzione. La storia dell'umanità passa sin dall'inizio - e passerà sino alla fine - attraverso la famiglia. L'uomo entra in essa mediante la nascita che deve ai genitori: al padre e alla madre, per abbandonare poi al momento opportuno questo primo ambiente di vita e di amore e passare al nuovo. «Abbandonando il padre e la madre», ognuno e ognuna di voi contemporaneamente, in un certo senso li porta dentro con sé, assume la molteplice eredità, che in loro e nella loro famiglia ha il suo diretto inizio e la sua fonte. In questo modo, anche abbandonando, ognuno di voi rimane: l'eredità che assume lo lega stabilmente con coloro che l'hanno trasmessa a lui ed ai quali tanto deve. E egli stesso - lei e lui - continuerà a trasmettere la stessa eredità. Perciò, anche il quarto comandamento del Decalogo possiede una così grande importanza: «Onora tuo padre e tua madre» (Ex 20,12 Dt Dt 5,16 Mt Mt 15,4).

Si tratta qui, prima di tutto, del retaggio di essere uomo e, successivamente, di essere uomo in una più definita situazione personale e sociale. In questo ha la sua parte persino la somiglianza fisica nei riguardi dei genitori. Ancor più importante di questo è l'intero retaggio della cultura, al centro del quale si trova quasi quotidianamente la lingua. I genitori hanno insegnato a ciascuno di voi a parlare quella lingua, che costituisce l'espressione essenziale del legame sociale con altri uomini. Esso è determinato da confini più ampi della famiglia stessa oppure di un certo ambiente. Questi sono i confini almeno di una tribù e il più delle volte i confini di un popolo o di una nazione, nella quale siete nati.

In questo modo l'eredità familiare si estende. Attraverso l'educazione familiare partecipate ad una determinata cultura, partecipate anche alla storia del vostro popolo o nazione. Il legame familiare significa insieme l'appartenenza ad una comunità più grande della famiglia, e ancora un'altra base di identità della persona. Se la famiglia è la prima educatrice di ognuno di voi, al tempo stesso - mediante la famiglia - educatrice è la tribù, il popolo o la nazione, con cui siamo legati per l'unità della cultura, della lingua e della storia.

Questo retaggio costituisce, altresì, una chiamata in senso etico. Ricevendo la fede ed ereditando i valori e contenuti che costituiscono l'insieme della cultura della sua società, della storia della sua nazione, ciascuno e ciascuna di voi viene dotato spiritualmente nella sua individuale umanità. Ritorna qui la parabola dei talenti, che riceviamo dal Creatore per il tramite dei nostri genitori e delle nostre famiglie, ed anche della comunità nazionale, alla quale apparteniamo. Nei riguardi di questa eredità noi non possiamo mantenere un atteggiamento passivo, o addirittura rinunciatario, come fece l'ultimo di quei servi che sono nominati nella parabola dei talenti (cfr. Mt Mt 25,14-30 Lc Lc 19,12-26). Noi dobbiamo fare tutto ciò di cui siamo capaci, per assumere questo retaggio spirituale, per confermarlo, mantenerlo e incrementarlo. Questo è un compito importante per tutte le società, specialmente forse per quelle che si trovano all'inizio della loro esistenza autonoma, oppure per quelle che devono difendere dal pericolo di distruzione dall'esterno o di decomposizione dall'interno questa stessa esistenza e l'essenziale identità della propria nazione.

Scrivendo a voi, giovani, io cerco di avere davanti agli occhi dell'anima la complessa e distinta situazione delle tribù, dei popoli e delle nazioni sul nostro globo terrestre. La vostra giovinezza ed il progetto di vita, che durante la giovinezza ciascuno e ciascuna di voi elabora, sono sin dall'inizio inseriti nella storia di queste diverse società, e ciò avviene non «dall'esterno», ma eminentemente «dall'interno». Questo diventa per voi una questione di consapevolezza familiare e, conseguentemente, nazionale: una questione di cuore, una questione di coscienza. Il concetto di «patria» si sviluppa in immediata contiguità col concetto di «famiglia» e, in un certo senso, l'uno nell'ambito dell'altro. E voi gradualmente, sperimentando questo legame sociale, che è più ampio del legame familiare, iniziate anche a partecipare alla responsabilità per il bene comune di quella più grande famiglia, che è la «patria» terrena di ciascuno e di ciascuna di voi. Le eminenti figure della storia, antica o contemporanea, di una nazione guidano anche la vostra giovinezza, e favoriscono lo sviluppo di quell'amore sociale, che più spesso viene chiamato «amor patrio».

Talenti e compiti


12 Ecco, in questo contesto della famiglia e della società, che è la vostra patria, si inserisce gradualmente un tema connesso molto da vicino con la parabola dei talenti. Gradualmente, infatti, voi riconoscete quel «talento» o quei «talenti», che sono propri di ciascuno e di ciascuna di voi, e cominciate a servirvene in modo creativo, cominciate a moltiplicarli. E ciò avviene per mezzo del lavoro.

Quale scala enorme di possibili direzioni, capacità, interessi esiste in questo campo! lo non mi impegno ad enumerarli qui neanche a titolo di esempio, perché c'è pericolo di ometterne più di quanti possa prenderne in considerazione. Presuppongo, dunque, tutta quella varietà e molteplicità di direzioni. Essa dimostra anche la molteplice ricchezza delle scoperte che la giovinezza porta con sé. Facendo riferimento al Vangelo, si può dire che la giovinezza sia il tempo del discernimento dei talenti. Ed insieme essa è il tempo in cui si entra nei molteplici itinerari, lungo i quali si sono sviluppate e ancora continuano a svilupparsi tutta l'attività umana, il lavoro e la creatività.

Auguro a ciascuna e a ciascuno di scoprire se stesso lungo questi itinerari. Auguro di entrarvi con interesse, con diligenza, con entusiasmo. Il lavoro - ogni lavoro - è unito alla fatica: «Col sudore del tuo volto mangerai il pane» (
Gn 3,19) e questa esperienza di fatica viene partecipata da ciascuno e da ciascuna di voi sin dai primissimi anni. Al tempo stesso, tuttavia, il lavoro in modo specifico forma l'uomo e, in un certo senso, lo crea. Dunque, si tratta sempre di una fatica creativa.

Ciò si riferisce non solo al lavoro di ricerca o, in genere, al lavoro intellettuale conoscitivo, ma anche agli ordinari lavori fisici, i quali apparentemente non hanno in sé niente di «creativo».

Il lavoro, che è caratteristico del periodo della giovinezza, costituisce, prima di tutto, una preparazione al lavoro dell'età matura, ed è perciò legato alla scuola. Penso, dunque, mentre scrivo queste parole a voi, giovani, a tutte le scuole esistenti in tutto quanto il mondo, alle quali la vostra giovane esistenza è collegata per vari anni, successivamente a diversi livelli, a seconda del grado dello sviluppo mentale e l'indirizzo delle inclinazioni: dalle scuole elementari fino alle università. Penso anche a tutte le persone adulte, miei fratelli e sorelle, che sono i vostri insegnanti, educatori, guide delle giovani menti e dei giovani caratteri. Quanto è grande il loro compito! Quale particolare responsabilità è la loro! Ma quanto grande è anche il loro merito!

Penso, infine, a quei settori della gioventù, dei vostri coetanei e coetanee, i quali - specialmente in alcune società e in alcuni ambienti - sono privi della possibilità dell'istruzione, spesso perfino dell'istruzione elementare. Questo fatto costituisce una sfida permanente per tutte le istituzioni responsabili su scala nazionale ed internazionale, affinché un tale stato di cose venga sottoposto ai necessari miglioramenti. L'istruzione, infatti, è uno dei beni fondamentali della civiltà umana. Essa ha un'importanza particolare per i giovani. Da essa dipende anche in larga misura il futuro dell'intera società.

Quando però poniamo il problema dell'istruzione, dello studio, della scienza e delle scuole, emerge un problema di importanza fondamentale per l'uomo e, in modo speciale, per il giovane. Questo è il problema della verità. La verità è la luce dell'intelletto umano. Se, fin dalla giovinezza, esso cerca di conoscere la realtà nelle sue diverse dimensioni, ciò fa allo scopo di possedere la verità: per vivere di verità. Tale è la struttura dello spirito umano. La fame di verità costituisce la sua fondamentale aspirazione ed espressione.

Ora Cristo dice: «Conoscerete la verità, e la verità vi farà liberi» (Jn 8,32). Delle parole contenute nel Vangelo queste certamente sono tra le più importanti. Esse, infatti, si riferiscono all'uomo nella sua totalità. Esse spiegano su che cosa si edificano dal di dentro, nelle dimensioni dello spirito umano, la dignità e la grandezza proprie dell'uomo. La conoscenza che libera l'uomo non dipende solamente dall'istruzione, anche se universitaria: può appartenere anche ad un analfabeta; pur tuttavia l'istruzione, quale conoscenza sistematica della realtà, dovrebbe servire tale dignità e grandezza. Essa dovrebbe, dunque, servire la verità.

Il servizio alla verità si compie anche nel lavoro, che sarete chiamati a svolgere dopo aver completato il programma della vostra istruzione. A scuola dovete acquistare le capacità intellettuali, tecniche e pratiche, che vi permetteranno di prendere utilmente il vostro posto presso il grande banco del lavoro umano. Ma se è vero che la scuola deve preparare al lavoro, anche a quello manuale, è pure vero che il lavoro in se stesso è una scuola di grandi ed importanti valori: esso possiede una sua eloquenza, che apporta un valido contributo alla cultura dell'uomo.

Nel rapporto, però, tra istruzione e lavoro, che caratterizza l'odierna società, emergono gravissimi problemi di ordine pratico. Mi riferisco, in particolare, al problema della disoccupazione e, più in generale, della mancanza di posti di lavoro, che travaglia in forme diverse le giovani generazioni di tutto il mondo. Esso - voi lo sapete bene - porta con sé altri interrogativi, che fin dagli anni della scuola proiettano un'ombra di insicurezza circa il vostro futuro. Voi vi domandate: «Ha bisogno di me la società? Potrò anch'io trovare un lavoro adeguato, che mi consenta di rendermi indipendente? Di formare una mia famiglia in dignitose condizioni di vita e, prima fra tutte, in una cosa propria? Insomma, è proprio vero che la società aspetta il mio contributo?».

La gravità di questi interrogativi mi sollecita a ricordare anche in questa occasione ai governanti ed a tutti coloro che hanno responsabilità per l'economia e lo sviluppo delle nazione che il lavoro è un diritto dell'uomo e, perciò, va garantito, rivolgendo ad esso le cure più assidue e mettendo al centro della politica economica la preoccupazione di creare occasioni adeguate di lavoro per tutti e, soprattutto, per i giovani, che tanto spesso oggi soffrono per la piaga della disoccupazione. Siamo tutti convinti che «il lavoro è un bene dell'uomo, è un bene della sua umanità, perché mediante il lavoro l'uomo non solo trasforma la natura adattandola alle proprie necessità, ma anche realizza se stesso come uomo ed anzi, in un certo senso, diventa più uomo» (Laborem Exercens LE 9).


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