Dilecti amici IT 13

L'auto-educazione e le minacce


13 Quel che riguarda la scuola come istituzione e ambiente comprende in sé, prima di tutto, la gioventù. Direi, però, che l'eloquenza delle summenzionate parole di Cristo intorno alla verità riguarda ancor più i giovani stessi. Se, infatti, non c'è dubbio che la famiglia educa, che la scuola istruisce ed educa, al tempo stesso sia l'azione della famiglia, come quella della scuola, rimarrà incompleta (e potrà addirittura essere vanificata), se ciascuno e ciascuna di voi, giovani, non intraprenderà da sé l'opera della propria educazione. L'educazione familiare e scolastica potrà fornirvi solo alcuni elementi per l'opera dell'auto-educazione.

E in questo campo le parole di Cristo: «Conoscerete la verità, e la verità vi farà liberi», diventano un programma essenziale. I giovani - se così ci si può esprimere - hanno congenito il «senso della verità». E la verità deve servire per la libertà: i giovani hanno anche spontaneo il «desiderio della libertà». E che cosa significa essere liberi? Significa saper usare la propria libertà nella verità: essere «veramente» liberi. Essere veramente liberi non significa affatto fare tutto ciò che mi piace, o ciò che ho voglia di fare. La libertà contiene in sé il criterio della verità, la disciplina della verità. Essere veramente liberi significa usare la propria libertà per ciò che è un vero bene. Continuando dunque: essere veramente liberi significa essere un uomo di retta coscienza, essere responsabile, essere un uomo «per gli altri».

Tutto questo costituisce il nucleo interiore stesso di ciò che chiamiamo educazione e, innanzitutto, di ciò che chiamiamo auto-educazione. Sì: auto-educazione! Infatti, una tale struttura interiore, dove «la verità ci fa liberi», non può essere costruita solamente «dall'esterno». Ognuno deve costruirla «dal di dentro», edificarla nella fatica, con perseveranza e pazienza (il che non è sempre così facile ai giovani). E proprio questa costruzione si chiama auto-educazione. Il Signore Gesù parla anche di questo, quando sottolinea che solo «con la perseveranza» possiamo «salvare le nostre anime» (cfr. Lc
Lc 21,19). «Salvare la propria anima»: ecco il frutto dell'auto-educazione.

In tutto questo è contenuto un nuovo modo di vedere la giovinezza. Qui non si tratta più del semplice progetto di vita, che deve essere realizzato in futuro. Esso si realizza ormai nella fase della giovinezza, se noi mediante il lavoro, l'istruzione e, specialmente, mediante l'auto-educazione creiamo la vita stessa, costruendo il fondamento del successivo sviluppo della nostra personalità. In questo senso, si può dire che la giovinezza è «la scultrice che scolpisce tutta la vita», e la forma, che essa conferisce alla concreta umanità di ciascuno e di ciascuna di voi, si consolida in tutta la vita.

Se ciò ha un importante significato positivo, purtroppo può anche avere un importante significato negativo. Non potete coprirvi gli occhi davanti alle minacce, che vi insidiano durante il periodo della giovinezza. Anche esse possono imprimere il loro segno su tutta la vita.

Intendo alludere, ad esempio, alla tentazione del criticismo esasperato, che vorrebbe tutto discutere e tutto rivedere; o a quella dello scetticismo nei confronti dei valori tradizionali, da cui facilmente si scivola in una sorta di cinismo spregiudicato, quando si tratta di affrontare i problemi del lavoro, della carriera o dello stesso matrimonio. E come tacere, poi, della tentazione costituita dal diffondersi, soprattutto nei paesi più prosperi, di un mercato del divertimento che distoglie da un serio impegno nella vita ed educa alla passività, all'egoismo ed all'isolamento? Vi minaccia, carissimi giovani, il cattivo uso delle tecniche pubblicitarie, che incentiva la naturale inclinazione ad evitare la fatica, promettendo la soddisfazione immediata di ogni desiderio, mentre il consumismo, ad esso legato, suggerisce che l'uomo cerchi di realizzare se stesso soprattutto nella fruizione dei beni materiali. Quanti giovani, conquistati dal fascino di ingannevoli miraggi, si abbandonano alla forza incontrollata degli istinti o si avventurano su strade apparentemente ricche di promesse, ma prive in realtà di prospettive autenticamente umane! Sento il bisogno di ripetere qui quanto ho scritto nel Messaggio, che proprio a voi ho dedicato per la Giornata Mondiale della Pace: «Alcuni di voi possono essere tentati di rifuggire dalle responsabilità negli illusori mondi dell'alcool e della droga, nelle fugaci relazioni sessuali senza impegno per il matrimonio e la famiglia, nell'indifferenza, nel cinismo e perfino nella violenza. State in guardia contro l'inganno di un mondo che vuole sfruttare o far deviare la vostra energica e potente ricerca della felicità e del senso della vita».

Vi scrivo tutto ciò per esprimere la viva preoccupazione che ho per voi. Se, infatti, dovete essere «pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi», allora tutto ciò che insidia questa speranza deve destare preoccupazione. Ed a tutti coloro, che con varie tentazioni ed illusioni cercano di distruggere la vostra giovinezza, non posso non ricordare le parole di Cristo, con le quali parla dello scandalo e di coloro che lo provocano: «Guai a colui per cui avvengono gli scandali! E' meglio per lui che gli sia messa al collo una pietra da mulino e venga gettato nel mare, piuttosto che scandalizzare uno di questi piccoli» (Lc 17,1s).

Gravi parole! Specialmente gravi sulla bocca di colui che è venuto a rivelare l'amore. Chi, però, legge attentamente proprio queste parole del Vangelo, deve sentire quanto profonda sia l'antitesi tra il bene e il male, tra la virtù e il peccato. Egli deve ancor più chiaramente notare quale importanza abbia agli occhi di Cristo la giovinezza di ciascuno e di ciascuna di voi. E' stato proprio l'amore per i giovani a dettare queste gravi e severe parole. E' contenuta in esse quasi un'eco lontana del colloquio evangelico di Cristo col giovane, al quale la presente Lettera fa costante riferimento.

La giovinezza come «crescita»


14 Permettetemi di concludere questa parte delle mie considerazioni ricordando le parole, con le quali il Vangelo parla della giovinezza stessa di Gesù di Nazareth. Esse sono brevi, anche se coprono il periodo dei trent'anni da lui trascorsi nella casa di famiglia, a fianco di Maria e di Giuseppe, il carpentiere. L'evangelista Luca scrive: E Gesù cresceva (o progrediva) in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini» (Lc 2,52).

Così dunque la giovinezza è una «crescita». Alla luce di tutto ciò che è stato detto finora su questo tema, tale parola evangelica sembra essere particolarmente sintetica e suggestiva. La crescita «in età» si riferisce al naturale rapporto dell'uomo col tempo: questa crescita è come una tappa «ascendente» nell'insieme del passaggio umano. A questo corrisponde tutto lo sviluppo psico-fisico: è la crescita di tutte le energie, per meno delle quali si costituisce la normale individualità umana. Ma bisogna che a questo processo corrisponda la crescita «in sapienza e in grazia».

A voi tutti, cari giovani amici, auguro proprio una tale «crescita». Si può dire che per mezzo di essa la giovinezza è proprio la giovinezza. In questo modo essa acquista la sua propria, irripetibile caratteristica. In questo modo essa viene data a ciascuno e ciascuna di voi, nell'esperienza personale ed insieme comunitaria, come uno speciale valore. E in modo simile essa si consolida anche nell'esperienza degli uomini adulti, che hanno ormai la giovinezza dietro di sé, e che dalla tappa «ascendente» si spostano verso quella «discendente» facendo il bilancio globale della vita.

Bisogna che la giovinezza sia una «crescita», che porti con sé il graduale accumulo di tutto ciò che è vero, che è buono e che è bello, perfino quando essa sia «dall'esterno» unita alle sofferenze, alla perdita di persone care ed a tutta l'esperienza del male, che incessantemente si fa sentire nel mondo in cui viviamo.

Bisogna che la giovinezza sia una «crescita». A questo fine è di enorme importanza il contatto col mondo visibile, quello con la natura. Questo rapporto ci arricchisce durante la giovinezza in modo diverso da quello della scienza sul mondo «attinta dai libri». Ci arricchisce in modo diretto. Si potrebbe dire che, rimanendo in contatto con la natura, noi assumiamo nella nostra esistenza umana il mistero stesso della creazione, che si scopre davanti a noi con inaudita ricchezza e varietà di esseri visibili e, al tempo stesso, costantemente invita verso ciò che è nascosto, che è invisibile. La sapienza - sia per bocca dei libri ispirati (cfr. Sal 104[103]; Sal 19[18]; Sap Sg 13,1-9 Sg 7,15-20), come del resto con la testimonianza di molte menti geniali - sembra mettere in evidenza in diversi modi «la trasparenza del mondo». E' bene per l'uomo leggere in questo mirabile libro qual è il «libro della natura», spalancato per ognuno di noi. Ciò che una giovane mente e un giovane cuore leggono in esso sembra essere sincronizzato profondamente con l'esortazione alla sapienza: «Acquista la sapienza, acquista l'intelligenza ... Non abbandonarla, ed essa ti custodirà; amala, e veglierà su di te» (Pr 4,5s).

L'uomo d'oggi, specialmente nell'ambito della civiltà tecnica ed industriale altamente sviluppata, è divenuto su grande scala l'esploratore della natura, trattandola non di rado in modo utilitario, distruggendo così molte delle ricchezze e delle sue attrattive ed inquinando l'ambiente naturale della sua esistenza terrena. La natura, invece, è data all'uomo anche come oggetto di ammirazione e di contemplazione, come un grande specchio del mondo. Si riflette in essa l'alleanza del Creatore con la sua creatura, il cui centro sin dall'inizio si trova nell'uomo, creato direttamente «ad immagine» del suo Creatore.

E perciò auguro anche a voi, giovani, che la vostra crescita «in età e in sapienza» avvenga mediante il contatto con la natura. Abbiate tempo per questo! Non lo risparmiate! Accettate anche la fatica e lo sforzo che questo contatto a volte comporta, specialmente quando desideriamo raggiungere obiettivi particolarmente rilevanti. Questa fatica è creativa, costituisce insieme l'elemento di un sano riposo, che è necessario al pari dello studio e del lavoro.

Questa fatica e questo sforzo possiedono anche una loro classificazione biblica, specialmente in san Paolo, il quale paragona tutta la vita cristiana ad una gara nello stadio sportivo (1Co 9,24-27).

A ciascuna e a ciascuno di voi sono necessari questa fatica e questo sforzo, in cui non solo si tempra il corpo, ma tutto l'uomo prova la gioia di dominarsi e di superare gli ostacoli e le resistenze. Certamente, è questo uno degli elementi della «crescita», che caratterizza la giovinezza.

Vi auguro, altresì, che questa «crescita» avvenga mediante il contatto con le opere dell'uomo e, ancor più, con gli uomini viventi. Quante sono le opere che gli uomini hanno compiuto nella storia! Quanto grande è la loro ricchezza e varietà! La giovinezza sembra essere particolarmente sensibile alla verità, al bene e alla bellezza, che sono contenute nelle opere dell'uomo. Rimanendo in contatto con loro sul terreno di tante culture diverse, di tante arti e di tante scienze, noi impariamo la verità sull'uomo (espressa così suggestivamente anche nel Ps 8), la verità che è in grado di formare e di approfondire l'umanità di ciascuno di noi.

In maniera particolare, però, noi studiamo l'uomo, avendo rapporti con gli uomini. Bisogna che la giovinezza vi permetta di crescere «in sapienza» mediante questo contatto. E' questo, infatti, il tempo in cui si instaurano nuovi contatti, compagnie ed amicizie, in un ambito più vasto della sola famiglia. Si schiude il grande campo dell'esperienza, che possiede non solo un'importanza conoscitiva, ma al tempo stesso anche educativa ed etica. Tutta questa esperienza della giovinezza sarà utile, allorché produrrà in ciascuno e in ciascuna di voi anche il senso critico e, innanzitutto, la capacità del discernimento nel campo di tutto ciò che è umano. Benedetta sarà questa esperienza della giovinezza, se da essa imparerete gradualmente quell'essenziale verità sull'uomo - su ogni uomo e su se stessi -, la verità che viene così sintetizzata nell'insigne testo della Costituzione pastorale «Gaudium et Spes»: «L'uomo, il quale sulla terra è la sola creatura che Dio ha voluto per se stessa, non può ritrovarsi pienamente se non mediante un dono sincero di sé» (Gaudium et Spes GS 24).

Così dunque impariamo a conoscere gli uomini, per essere più pienamente uomini mediante la capacità di «donarsi»; essere uomo «per gli altri». Una tale verità sull'uomo - una tale antropologia - trova il suo apice irraggiungibile in Gesù di Nazareth. E perciò è così importante anche la sua adolescenza, mentre «cresceva in sapienza ... e grazia davanti a Dio e agli uomini».

Vi auguro anche questa «crescita» mediante il contatto con Dio. Può servire per esso - in senso indiretto - anche il contatto con la natura e con gli uomini; ma in modo diretto serve per esso specialmente la preghiera. Pregate ed imparate a pregare! Aprite i vostri cuori e le vostre coscienze davanti a colui che vi conosce meglio di voi stessi. Parlate con lui! Approfondite la Parola del Dio vivo, leggendo e meditando la Sacra Scrittura.

Sono questi i metodi e i mezzi per avvicinarsi a Dio ed aver contatto con lui. Ricordate che si tratta di un rapporto reciproco. Dio risponde anche col più «gratuito dono di sé», dono che nel linguaggio biblico si chiama «grazia». Cercate di vivere in grazia di Dio!

Questo per quanto riguarda il tema della «crescita», di cui scrivo segnalando solamente i principali problemi. Ognuno di essi, infatti, è suscettibile di una più ampia discussione. Spero che ciò stia avvenendo nei diversi ambienti giovanili e gruppi, nei movimenti e nelle organizzazioni, che sono così numerosi nei diversi paesi e nei singoli continenti, mentre ognuno viene guidato dal suo proprio metodo di lavoro spirituale e di apostolato. Questi organismi, con la partecipazione dei Pastori della Chiesa, desiderano indicare ai giovani la via di quella «crescita», che costituisce, in un certo senso, la definizione evangelica della giovinezza.

La grande sfida del futuro


15 La Chiesa guarda i giovani; anzi, la Chiesa in modo speciale guarda se stessa nei giovani, in voi tutti ed insieme in ciascuna e in ciascuno di voi. Così è stato sin dall'inizio, dai tempi apostolici. Le parole di san Giovanni nella sua Prima Lettera possono essere una particolare testimonianza: «Scrivo a voi, giovani, perché avete vinto il maligno. Ho scritto a voi, figlioli, perché avete conosciuto il Padre... Ho scritto a voi, giovani, perché siete forti, e la parola di Dio dimora in voi» (1Gv 2,13s).

Le parole dell'apostolo si aggiungono alla conversazione evangelica di Cristo col giovane, e risuonano con un'eco potente di generazione in generazione.

Nella nostra generazione, al termine del secondo Millennio dopo Cristo, anche la Chiesa guarda se stessa nei giovani. E come la Chiesa guarda se stessa? Ne sia una particolare testimonianza l'insegnamento del Concilio Vaticano II. La Chiesa vede se stessa come «un sacramento, o segno e strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano» (Lumen Gentium
LG 1). E dunque vede se stessa in relazione a tutta la grande famiglia umana costantemente in crescita. Vede se stessa nelle dimensioni universali. Vede se stessa sulle vie dell'ecumenismo, cioè dell'unità di tutti i cristiani, per la quale Cristo stesso ha pregato e che è di indiscutibile urgenza nel nostro tempo. Vede se stessa anche nel dialogo con i seguaci delle religioni non cristiane e con tutti gli uomini di buona volontà. Un tale dialogo è un dialogo di salvezza il quale deve servire anche alla pace nel mondo e alla giustizia tra gli uomini.

Voi, giovani, siete la speranza della Chiesa che proprio in questo modo vede se stessa e la sua missione nel mondo. Essa vi parla di questa missione. Di ciò è stato espressione il recente Messaggio del 1° gennaio 1985, per la celebrazione della Giornata Mondiale della Pace. Esso è stato indirizzato proprio a voi sulla base della convinzione che «la via della pace è insieme la via dei giovani» (La pace e i giovani camminano insieme). Questa convinzione è un appello ed insieme un impegno: ancora una volta si tratta di essere «pronti a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi», della speranza che a voi è collegata. Come vedete, questa speranza riguarda istanze fondamentali ed insieme universali.

Tutti vivete ogni giorno in mezzo ai vostri cari. Questa cerchia, tuttavia, si allarga gradualmente. Un numero sempre maggiore di persone partecipa alla vostra vita, e voi stessi scorgete l'abbozzo di una comunione che vi unisce a loro. Quasi sempre questa è una comunità, in qualche modo, differenziata. E' differenziata così come intravvedeva e dichiarava il Concilio Vaticano II nella Costituzione dogmatica sulla Chiesa e in quella pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo. La vostra giovinezza si forma a volte in ambienti uniformi dal punto di vista delle confessioni, a volte differenziati religiosamente o, addirittura, sul confine tra la fede e la miscredenza, sia questa sotto la forma dell'agnosticismo o dell'ateismo dipinto in diversi modi.

Sembra, tuttavia, che di fronte ad alcuni problemi queste molteplici e differenziate comunità di giovani sentano, pensino, reagiscano in maniera molto simile. Sembra, ad esempio, che tutti li unisca un atteggiamento simile verso il fatto che centinaia di migliaia di uomini vivono in estrema miseria e muoiono addirittura di fame, mentre contemporaneamente cifre vertiginose sono impiegate per la produzione delle armi nucleari, i cui arsenali già al momento presente sono in grado di portare all'autodistruzione dell'umanità. Ci sono altre simili tensioni e minacce, su scala finora non mai conosciuta nella storia dell'umanità. Di questo si parla nel menzionato Messaggio per il Capodanno; perciò, non ripeto questi problemi. Tutti siamo consapevoli che all'orizzonte dell'esistenza di miliardi di persone, che formano la famiglia umana al termine del secondo millennio dopo Cristo, sembra profilarsi la possibilità di calamità e di catastrofi in misura davvero apocalittica.

In tale situazione voi, giovani, potete domandare giustamente alle precedenti generazioni: Perché si è arrivati a questo? Perché è stato raggiunto un tale grado di minaccia all'umanità sul globo terrestre? Quali sono le cause dell'ingiustizia che ferisce gli occhi? Perché tanti che muoiono di fame? Tanti milioni di profughi alle diverse frontiere? Tanti casi in cui vengono calpestati i diritti elementari dell'uomo? Tante prigioni e campi di concentramento, tanta sistematica violenza e uccisioni di persone innocenti, tanti maltrattamenti dell'uomo e torture, tanti tormenti inflitti ai corpi umani e alle coscienze umane? E in mezzo a tutto questo c'è anche il fatto di uomini in giovane età, che hanno sulla coscienza tante vittime innocenti, perché è stata loro inculcata la convinzione che solo per questa via - del terrorismo programmato - si può migliorare il mondo. Voi, dunque, ancora una volta chiedete: perché?

Voi, giovani, potete domandare tutto questo, anzi voi lo dovete! Si tratta, infatti, del mondo nel quale vivete oggi, e nel quale dovrete vivere domani, allorché la generazione di età più matura sarà passata. A ragione, dunque, voi chiedete: Perché un così grande progresso dell'umanità - che non si può paragonare a nessuna epoca precedente della storia - nel campo della scienza e della tecnica; perché il progresso nel dominio della materia da parte dell'uomo si rivolge per tanti aspetti contro l'uomo? Giustamente voi chiedete anche, pur con un senso di interiore tremore: Questo stato di cose è forse irreversibile? Può essere mutato? Riusciremo noi a cambiarlo?

Questo voi giustamente chiedete. Sì, è questa la domanda fondamentale nell'ambito della vostra generazione.

In questa forma continua il vostro colloquio con Cristo, iniziato un giorno nel Vangelo. Quel giovane domandava: «Che cosa devo fare per avere la vita eterna?». E voi ponete la domanda a seconda dei tempi, nei quali vi trovate ad essere giovani: Che cosa dobbiamo fare affinché la vita - la vita fiorente dell'umanità - non si trasformi nel cimitero della morte nucleare? Che cosa dobbiamo fare affinché non domini su di noi il peccato dell'universale ingiustizia? Il peccato del disprezzo dell'uomo e il vilipendio della sua dignità, pur con tante dichiarazioni che confermano tutti i suoi diritti? Che cosa dobbiamo fare? E ancora: Sapremo noi farlo?

Il Cristo risponde come già rispondeva ai giovani della prima generazione della Chiesa con le parole dell'Apostolo: «Scrivo a voi giovani perché avete vinto il maligno. Ho scritto a voi, figlioli, perché avete conosciuto il Padre... Ho scritto a voi, giovani, perché siete forti e la parola di Dio dimora in voi» (1Gv 2,13s). Le parole dell'Apostolo, risalenti a quasi duemila anni fa, sono anche una risposta per oggi. Esse usano il semplice e forte linguaggio della fede, che implica la vittoria contro il male che è nel mondo: «E' questa la vittoria che ha sconfitto il mondo: la nostra fede» (1Jn 5,4). Queste parole sono forti dell'esperienza apostolica - e delle successive generazioni cristiane - della Croce e della Risurrezione di Cristo. In questa esperienza si conferma tutto il Vangelo. Si conferma, tra l'altro, la verità contenuta nel colloquio di Cristo col giovane.

Soffermiamoci, dunque - verso la fine della presente Lettera - su queste parole apostoliche, che sono ad un tempo una conferma ed una sfida per voi. Esse sono anche una risposta.

Palpita in voi, nei vostri giovani cuori, il desiderio di un'autentica fratellanza fra tutti gli uomini, senza divisioni né contrapposizioni né discriminazioni. Sì! Il desiderio di una fratellanza e di una molteplice solidarietà, voi giovani, lo portate con voi - e non desiderate certo la reciproca lotta dell'uomo contro l'uomo sotto qualsiasi forma. Questo desiderio di fratellanza - l'uomo è il prossimo dell'altro uomo! l'uomo è fratello per l'altro uomo! - non testimonia forse il fatto (come scrive l'Apostolo) che «avete conosciuto il Padre»? Che i fratelli sono solo là dove c'è un padre. E solo là dove c'è il Padre gli uomini sono fratelli.

Se voi, dunque, portate in voi stessi il desiderio della fratellanza, ciò significa che «la parola di Dio dimora in voi». Dimora in voi quella dottrina che Cristo ha portato e che giustamente ha il nome di «Buona Novella». E dimora sulle vostre labbra, o almeno è radicata nei vostri cuori, la preghiera del Signore, che inizia con le parole «Padre nostro». La preghiera che, mentre rivela il Padre, conferma al tempo stesso che gli uomini sono fratelli - e si oppone nell'intero suo contenuto a tutti i programmi costruiti secondo un principio di lotta dell'uomo contro l'uomo in qualsiasi forma. La preghiera del «Padre nostro» allontana i cuori umani dall'inimicizia, dall'odio, dalla violenza, dal terrorismo, dalla discriminazione, dalle situazioni in cui la dignità umana e i diritti umani sono calpestati.

L'Apostolo scrive che voi, giovani, siete forti della dottrina divina: di quella dottrina che è contenuta nel Vangelo di Cristo e si riassume nella preghiera del «Padre nostro». Sì! Siete forti di questo insegnamento divino, siete forti di questa preghiera. Siete forti, perché essa infonde in voi l'amore, la benevolenza, il rispetto dell'uomo, della sua vita, della sua dignità, della sua coscienza, delle sue convinzioni e dei suoi diritti. Se «avete conosciuto il Padre», siete forti con la potenza della fratellanza umana.

Siete anche forti per la lotta: non per la lotta contro l'uomo, nel nome di qualsiasi ideologia o pratica distaccata dalle radici stesse del Vangelo, ma forti per la lotta contro il male, contro il vero male: contro tutto ciò che offende Dio, contro ogni ingiustizia e ogni sfruttamento, contro ogni falsità e menzogna, contro tutto ciò che offende ed umilia, contro tutto ciò che profana la convivenza umana e le relazioni umane, contro ogni crimine nei riguardi della vita: contro ogni peccato.

L'Apostolo scrive: «Avete vinto il maligno»! E' così. Bisogna costantemente risalire alle radici del male e del peccato nella storia dell'umanità e dell'universo, così come Cristo risalì a queste stesse radici nel suo mistero pasquale della Croce e della Risurrezione. Non bisogna aver timore di chiamare per nome il primo artefice del male: il Maligno. La tattica, che egli adoperava ed adopera, consiste nel non rivelarsi, affinché il male, da lui innestato sin dall'inizio, riceva il suo sviluppo dall'uomo stesso, dai sistemi stessi e dalle religioni interumane, tra le classi e tra le nazioni ... per diventare anche sempre di più peccato «strutturale», e lasciarsi sempre di meno identificare come peccato «personale». Dunque, affinché l'uomo si senta in un certo senso «liberato» dal peccato e, al tempo stesso, sempre di più sia in esso sprofondato.

L'Apostolo dice: «Giovani, siete forti»: occorre soltanto che «la parola di Dio dimori in voi». Allora siete forti: potrete così arrivare ai meccanismi nascosti del male, alle sue radici, e così riuscirete gradualmente a cambiare il mondo, a trasformarlo, a renderlo più umano, più fraterno e, al tempo stesso, più di Dio. Non si può, infatti, staccare il mondo da Dio e contrapporlo a Dio nel cuore dell'uomo. Né si può staccare l'uomo da Dio e contrapporlo a Dio. Ciò sarebbe contro la natura del mondo e contro la natura dell'uomo: contro l'intrinseca verità, che costituisce tutta la realtà! Davvero il cuore dell'uomo è irrequieto, finché non riposi in Dio. Queste parole del grande Agostino non perdono mai la loro attualità (cfr. Sant'Agostino, Confessiones, I, 1).

Messaggio finale


16 Ecco dunque, giovani amici, io depongo nelle vostre mani questa Lettera, che si colloca nella scia del colloquio evangelico di Cristo col giovane e scaturisce dalla testimonianza degli apostoli e delle prime generazioni di cristiani. Vi consegno questa Lettera nell'Anno della Gioventù, mentre ci stiamo avvicinando al termine del secondo millennio cristiano. Ve la consegno nell'anno in cui ricorre il ventesimo della conclusione del Concilio Vaticano II, che chiamò i giovani «speranza della Chiesa» (Gravissimum Educationis GE 2) ed ai giovani di allora - come a quelli di oggi e di sempre - indirizzò quel suo «ultimo Messaggio», in cui la Chiesa è presentata come la vera giovinezza del mondo, come colei che «possiede ciò che fa la forza e l'attrattiva dei giovani: la capacità di rallegrarsi per ciò che comincia, di donarsi gratuitamente, di rinnovarsi e di ripartire per nuove conquiste». Ciò faccio nella Domenica delle Palme, giorno in cui mi è dato di incontrarmi con molti di voi, pellegrini in Piazza San Pietro, qui a Roma. Proprio in questo giorno il Vescovo di Roma prega insieme con voi per tutti i giovani di tutto il mondo, per ciascuna e ciascuno. Stiamo pregando nella comunità della Chiesa, affinché - sullo sfondo dei tempi difficili in cui viviamo - siate «pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi». Sì, proprio voi, perché da voi dipende il futuro, da voi dipende il termine di questo millennio e l'inizio del nuovo. Non siate, dunque, passivi; assumetevi le vostre responsabilità in tutti i campi a voi aperti nel nostro mondo! Per questa stessa intenzione pregheranno insieme con voi i vescovi e i sacerdoti nei diversi luoghi.

E pregando così nella grande comunità dei giovani di tutta la Chiesa e di tutte le Chiese, abbiamo davanti agli occhi Maria, la quale accompagna il Cristo all'inizio della sua missione tra gli uomini. Questa è Maria di Cana di Galilea, che intercede per i giovani, per gli sposi novelli, quando al banchetto nuziale viene a mancare il vino per gli ospiti. Allora la Madre di Cristo rivolge agli uomini, ivi presenti per servire durante il banchetto, queste parole: «Fate quello che egli vi dirà» (Jn 2,5). Egli, il Cristo.

Io ripeto queste parole della Madre di Dio e le rivolgo a voi, giovani, a ciascuno e a ciascuna: «Fate quello che Cristo vi dirà». E vi benedico nel nome della Trinità Santissima. Amen.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 31 marzo, domenica delle Palme «de Passione Domini», dell'anno 1985, settimo di Pontificato.

GIOVANNI PAOLO II






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