Ecclesia in Africa IT 116

Il flagello dell'AIDS

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Su questo sfondo di povertà generale e di servizi sanitari inadeguati, il Sinodo ha preso in considerazione il tragico flagello dell'AIDS, che semina dolore e morte in numerose zone dell'Africa. Esso ha costatato il ruolo svolto nella diffusione di tale malattia da comportamenti sessuali irresponsabili e ha formulato questa ferma raccomandazione: "L'affetto, la gioia, la felicità e la pace procurati dal Matrimonio cristiano e dalla fedeltà, così come la sicurezza data dalla castità, devono essere continuamente presentati ai fedeli, soprattutto ai giovani" (Propositio 51].

La lotta contro l'AIDS deve essere ingaggiata da tutti. Facendo eco alla voce dei Padri sinodali, anch'io domando agli operatori pastorali di portare ai fratelli e alle sorelle colpiti dall'AIDS tutto il conforto possibile sia materiale che morale e spirituale. Agli uomini di scienza e ai responsabili politici di tutto il mondo chiedo con viva insistenza che, mossi dall'amore e dal rispetto dovuti ad ogni persona umana, non facciano economia quanto ai mezzi capaci di mettere fine a questo flagello.

"Forgiate le spade in vomeri" : mai più guerre!

(cfr. Is 2,4)
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La tragedia delle guerre che dilaniano l'Africa è stata descritta dai Padri sinodali con parole incisive: "L'Africa è da parecchi decenni il teatro di guerre fratricide, che decimano le popolazioni e distruggono le loro ricchezze naturali e culturali" (Propositio 45]. Il dolorosissimo fenomeno, oltre a cause esterne all'Africa, ha pure cause interne, quali "il tribalismo, il nepotismo, il razzismo, l'intolleranza religiosa, la sete di potere, spinta all'estremo nei regimi totalitari che deridono impunemente i diritti e la dignità dell'uomo. Le popolazioni beffate e ridotte al silenzio subiscono, quali vittime innocenti e rassegnate, tutte queste situazioni d'ingiustizia" (Ibid.].

Non posso non unire la mia voce a quella dei membri dell'Assemblea sinodale per deplorare le situazioni di indicibile sofferenza, provocate dai tanti conflitti in atto o potenziali, e per chiedere a quanti ne hanno la possibilità di impegnarsi a fondo per porre fine a simili tragedie. Esorto, inoltre, insieme con i Padri sinodali, a fattivo impegno per promuovere nel continente condizioni di maggiore giustizia sociale e di più equo esercizio del potere, per preparare così il terreno alla pace. "Se vuoi la pace, lavora per la giustizia" (Paolo VI, Discorso alla "Città dei ragazzi" in occasione della V Giornata mondiale della pace (1 gennaio 1972): AAS 64 (1972), 44]. E preferibile - ed anche più facile - prevenire le guerre piuttosto che tentare di arrestarle dopo che sono scoppiate. E' tempo che i popoli spezzino le loro spade per farne vomeri e le loro lance per farne falci (cfr.
Is 2,4).

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La Chiesa in Africa - in particolare attraverso taluni suoi responsabili - è stata in prima linea nella ricerca di soluzioni negoziate per i conflitti armati scoppiati in numerose zone del continente. Questa missione di pacificazione dovrà continuare, incoraggiata da quanto il Signore promette nelle Beatitudini: "Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio" (
Mt 5,9).

Coloro che alimentano le guerre in Africa mediante il traffico di armi sono complici di odiosi crimini contro l'umanità. Faccio mie, al riguardo, le raccomandazioni del Sinodo che, dopo aver dichiarato: "Il commercio di armi che semina la morte è uno scandalo", ha fatto appello a tutti i Paesi che vendono armi all'Africa per implorarli di "smettere questo commercio" ed ha chiesto ai governi africani di "rinunciare alle eccessive spese militari per dedicare più risorse all'educazione, alla sanità e al benessere dei loro popoli" (Propositio 49].

L'Africa deve continuare a cercare mezzi pacifici ed efficaci affinché i regimi militari passino il potere ai civili. Tuttavia, è altrettanto vero che i militari sono chiamati a svolgere un loro peculiare ruolo nel paese. Per questo il Sinodo, mentre elogia "i fratelli soldati, per il servizio che rendono in nome delle nostre nazioni" (Messaggio del Sinodo (6 maggio 1994), 35: L'Osservatore Romano, 8 maggio 1994, p. 5], li avverte subito con forza che "dovranno rispondere direttamente a Dio di qualsiasi atto di violenza compiuto contro la vita degli innocenti" (Ibid.].

Rifugiati e profughi

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Uno dei frutti più amari delle guerre e delle difficoltà economiche è il triste fenomeno dei rifugiati e dei profughi, fenomeno che, come ricorda il Sinodo, ha raggiunto dimensioni tragiche. La soluzione ideale sta nel ristabilimento di una pace giusta, nella riconciliazione e nello sviluppo economico. E', pertanto, urgente che le organizzazioni nazionali, regionali e internazionali risolvano in modo equo e durevole i problemi dei rifugiati e dei profughi (cfr. Propositio 53]. Nel frattempo, pero, giacché il continente continua a soffrire della migrazione in massa di rifugiati, lancio un pressante appello affinché ad essi sia recato aiuto materiale e sia offerto sostegno pastorale là dove si trovano, in Africa o in altri continenti.

Il peso del debito internazionale

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La questione del debito delle nazioni povere verso quelle ricche è oggetto di grande preoccupazione per la Chiesa, come risulta da numerosi documenti ufficiali e da non pochi interventi della Santa Sede in varie occasioni (cfr. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. past. sulla Chiesa nel mondo contemporaneo,
GS 86; Paolo VI, Lett. enc. Populorum progressio (26 marzo 1967), PP 54: AAS 59 (1967), 283-284; Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis (30 dicembre 1987), SRS 19: AAS 80 (1988), 534-536; Lett. enc. Centesimus annus (1 maggio 1991), 35: AAS 83 (1991), 836-838; Lett. ap. Tertio millennio adveniente (10 novembre 1994), TMA 51: AAS 87 (1995), 36, in cui viene proposta "una consistente riduzione, se non proprio il totale condono, del debito internazionale che pesa sul destino di molte nazioni" come iniziativa opportuna in vista del Grande Giubileo del 2000; Pontificia Commissione "Iustitia et Pax", Documento Al servizio della comunità umana: un approccio etico del debito internazionale (27 dicembre 1986), Città del Vaticano 1986].

Riprendendo ora le parole dei Padri sinodali, sento innanzitutto il dovere di esortare "i capi di Stato e i loro governi in Africa a non schiacciare il popolo con debiti interni ed esterni" (Propositio 49]. Rivolgo poi un pressante appello"al Fondo Monetario Internazionale, alla Banca Mondiale, come pure a tutti i creditori, perché alleggeriscano i debiti che soffocano le nazioni africane" (Ibid.]. Chiedo infine con insistenza"alle Conferenze episcopali dei Paesi industrializzati di farsi avvocati di tale causa presso i loro governi ed altri organismi interessati" (Ibid.]. La situazione di numerosi Paesi africani è così drammatica da non consentire atteggiamenti di indifferenza e di disimpegno.

Dignità della donna africana

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Uno dei segni tipici della nostra epoca è la crescente presa di coscienza della dignità della donna e del suo specifico ruolo nella Chiesa e nella società in generale. "Dio creo l'uomo a sua immagine, ad immagine di Dio lo creo, maschio e femmina li creo" (
Gn 1,27).

Io stesso ho ripetutamente affermato la fondamentale uguaglianza e l'arricchente complementarietà esistente tra l'uomo e la donna (cfr. Lett. ap. Mulieris dignitatem (15 agosto 1988), MD 6-9: AAS 80 (1988), 1662-1670; Lettera alle donne (29 giugno 1995), 7: L'Osservatore Romano, 10-11 luglio 1995, p. 5]. Il Sinodo ha applicato questi principi alla condizione delle donne in Africa. I loro diritti e doveri quanto all'edificazione della famiglia e alla piena partecipazione allo sviluppo della Chiesa e della società sono stati fortemente sottolineati. Per quanto riguarda specificamente la Chiesa, è opportuno che le donne, adeguatamente formate, vengano rese partecipi, ai livelli appropriati, dell'attività apostolica della Chiesa.

La Chiesa deplora e condanna, nella misura in cui sono ancora presenti in diverse società africane, tutti "i costumi e le pratiche che privano le donne dei loro diritti e del rispetto che è loro dovuto" (Propositio 48]. E quanto mai auspicabile che le Conferenze episcopali diano vita a commissioni speciali per approfondire lo studio dei problemi della donna in collaborazione con gli uffici governativi interessati, là dove è possibile (cfr. Ibid.].


II. Comunicare la Buona novella

Seguire Cristo, Comunicatore per eccellenza

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Il Sinodo ha avuto molto da dire circa il tema della comunicazione sociale nel campo dell'evangelizzazione dell'Africa, tenendo ben presenti le attuali circostanze. Il punto di partenza teologico è Cristo, il Comunicatore per eccellenza, che a coloro che credono in lui partecipa la verità, la vita e l'amore condiviso con il Padre celeste e lo Spirito Santo. Per questo "la Chiesa prende coscienza del dovere di promuovere la comunicazione sociale ad intra e ad extra.

Essa intende favorire la comunicazione al suo interno migliorando la diffusione dell'informazione tra i suoi membri" (Propositio 57]. Ciò l'avvantaggerà nel comunicare al mondo la Buona Novella dell'amore di Dio rivelato in Gesù Cristo.

Forme tradizionali di comunicazione

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Le forme tradizionali di comunicazione sociale non devono in nessun caso essere sottovalutate. In numerosi ambienti africani esse risultano ancora molto utili ed efficaci. Inoltre, esse sono "meno costose e più accessibili" (Ibid.].

Comprendono i canti e la musica, i mimi e il teatro, i proverbi e i racconti. In quanto veicoli della saggezza e dello spirito popolare, essi costituiscono una sorgente preziosa di contenuti e di ispirazione per i mezzi moderni.

Evangelizzazione del mondo dei mezzi di comunicazione

124 I moderni mass-media non costituiscono soltanto strumenti di comunicazione; sono anche un mondo da evangelizzare. Circa i messaggi da essi trasmessi, bisogna assicurarsi che vi si propongano il bene, il vero e il bello. Facendo eco alla preoccupazione dei Padri del Sinodo, manifesto la mia inquietudine per quanto riguarda il contenuto morale di moltissimi programmi che i mezzi di comunicazione diffondono nel continente africano; in particolare, metto in guardia contro la pornografia e la violenza, con cui si intende invadere le nazioni povere. D'altra parte, giustamente il Sinodo ha deplorato "la rappresentazione molto negativa che i mass-media fanno dell'Africano e domanda che essa finisca immediatamente" (Propositio 61].

Ogni cristiano deve preoccuparsi che i mezzi di comunicazione siano veicolo di evangelizzazione. Ma il cristiano che opera come professionista in questo settore ha un suo ruolo speciale da svolgere. E suo dovere, infatti, fare in modo che i principi cristiani influenzino la pratica della professione, ivi compreso anche il settore tecnico e amministrativo. Per permettergli di svolgere tale ruolo in modo adeguato, occorre fornirgli una sana formazione umana, religiosa e spirituale.

Uso dei mezzi della comunicazione sociale

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La Chiesa di oggi può disporre di una varietà di mezzi di comunicazione sociale, tanto tradizionali quanto moderni. E suo dovere farne il miglior uso per diffondere il messaggio della salvezza. Per quanto concerne la Chiesa in Africa, l'accesso a questi mezzi è reso difficile da numerosi ostacoli, non ultimo il loro costo elevato. In molte località, inoltre, esistono norme governative che impongono, al riguardo, un controllo indebito. E necessario fare ogni sforzo per rimuovere tali ostacoli: i mezzi di comunicazione, privati o pubblici che siano, devono essere al servizio delle persone, senza eccezione. Invito pertanto le Chiese particolari d'Africa a fare tutto ciò che è in loro potere per conseguire tale obiettivo (cfr. Propositio 58].

Collaborazione e coordinamento dei mass-media

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I mezzi di comunicazione, soprattutto nelle loro forme più moderne, esercitano un influsso che supera ogni frontiera; in tale ambito si rende perciò necessario un coordinamento stretto, che consenta una più efficace collaborazione a tutti i livelli: diocesano, nazionale, continentale e universale. In Africa, la Chiesa ha molto bisogno della solidarietà delle Chiese sorelle dei Paesi più ricchi, e più avanzati dal punto di vista tecnologico. Sempre in Africa, alcuni programmi di collaborazione continentale già operanti, come il "Comitato episcopale pan-africano di comunicazioni sociali", dovrebbero essere incoraggiati e rivitalizzati. E come ha suggerito il Sinodo, bisognerà stabilire una più stretta collaborazione in altri settori, quali la formazione professionale, le strutture produttive della radio e della televisione, e le emittenti a portata continentale (cfr. Propositio 60].


CAPITOLO VII "MI SARETE TESTIMONI FINO AGLI ESTREMI CONFINI DELLA TERRA"

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Durante l'Assemblea speciale i Padri sinodali hanno esaminato a fondo la situazione africana nel suo insieme, al fine di incoraggiare una sempre più concreta e credibile testimonianza a Cristo in seno a ciascuna Chiesa locale, a ciascuna nazione, a ciascuna regione, e nell'intero continente africano. In tutte le riflessioni e le raccomandazioni fatte dall'Assemblea speciale traspare il desiderio preponderante di testimoniare Cristo. Vi ho ritrovato lo spirito di quanto avevo detto ad un gruppo di Vescovi in Africa: "Rispettando, preservando e favorendo i valori propri e le ricchezze dell'eredità culturale del vostro popolo, sarete in condizione di guidarlo verso una migliore comprensione del mistero di Cristo che dev'essere vissuto nelle esperienze nobili, concrete e quotidiane della vita africana. Non si tratta di falsificare la Parola di Dio o di svuotare la Croce della sua potenza (cfr.
1Co 1,17), ma piuttosto di portare Cristo al cuore stesso della vita africana e di elevare la vita africana tutta intera fino a Cristo. così, non soltanto il cristianesimo si rivela adatto all'Africa, ma Cristo stesso, nelle membra del suo corpo, è africano" (Allocuzione ai Vescovi del Kenya (Nairobi, 7 maggio 1980), 6: AAS 72 (1980), 497].

Aperti alla missione

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La Chiesa in Africa non è chiamata a testimoniare Cristo solamente sul continente; anche ad essa è infatti rivolta la parola del Signore risorto: "Mi sarete testimoni (...] fino agli estremi confini della terra" (
Ac 1,8). Proprio per questo, nel corso delle discussioni sul tema del Sinodo, i Padri hanno accuratamente evitato ogni tendenza all'isolamento della Chiesa in Africa. In ogni momento l'Assemblea speciale s'è mantenuta nella prospettiva del mandato missionario che la Chiesa ha ricevuto da Cristo di testimoniarlo nel mondo intero (cfr. Paolo VI, Esort. ap. Evangelii nuntiandi (8 dicembre 1975), EN 50: AAS 58 (1976), 40]. I Padri sinodali hanno riconosciuto la chiamata che Dio rivolge all'Africa perché svolga a pieno titolo, su scala mondiale, il suo ruolo nel piano di salvezza del genere umano (cfr. 1Tm 2,4).

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E proprio in funzione di questo impegno per la cattolicità della Chiesa che già i Lineamenta dell'Assemblea speciale per l'Africa dichiaravano: "Nessuna Chiesa particolare, neanche la più povera, potrà essere dispensata dall'obbligo di condividere le sue risorse spirituali, temporali e umane con altre Chiese particolari e con la Chiesa universale (cfr.
Ac 2,44-45)" (N. 42]. Da parte sua, l'Assemblea speciale ha fortemente sottolineato la responsabilità dell'Africa per la missione "fino agli estremi confini del mondo" con i seguenti termini: "La frase profetica di Paolo VI - "Voi, Africani, siete chiamati ad essere missionari di voi stessi" - va intesa così: "siete missionari per il mondo intero" (...]. E stato lanciato un appello alle Chiese particolari d'Africa per la missione al di 22 aprile 1994), 11: L'Osservatore Romano, 24 aprile 1994, p. 8].

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Approvando con gioia e riconoscenza questa dichiarazione dell'Assemblea speciale, desidero ripetere a tutti i miei fratelli Vescovi d'Africa ciò che dicevo qualche anno fa: "L'obbligo per la Chiesa in Africa di essere missionaria nel proprio seno e di evangelizzare il continente implica la collaborazione tra Chiese particolari nel contesto di ogni paese africano e in quello delle diverse nazioni del continente o anche di altri continenti. E in questo modo che l'Africa si integra pienamente nell'attività missionaria" (Discorso alla Conferenza Episcopale del Senegal, Mauritania, Capo Verde e Guinea Bissau (Poponguine, 21 febbraio 1992), 3: AAS 85 (1993), 150]. In un appello precedente, indirizzato a tutte le Chiese particolari, di recente e di antica fondazione, già dicevo che "il mondo va sempre più unificandosi, lo spirito evangelico deve portare al superamento di barriere culturali e nazionalistiche, evitando ogni chiusura" (Lett. enc. Redemptoris missio (7 dicembre 1990),
RMi 39: AAS 83 (1991), 287].

La coraggiosa determinazione manifestata dall'Assemblea speciale di impegnare le giovani Chiese d'Africa nella missione "fino agli estremi confini della terra" riflette il desiderio di seguire, il più generosamente possibile, una delle importanti direttive del Concilio Vaticano II: "Perché questo zelo missionario fiorisca nei membri della loro patria, è assai conveniente che le giovani Chiese partecipino quanto prima di fatto alla missione universale della Chiesa, inviando anch'esse dei missionari a predicare dappertutto il Vangelo, anche quando soffrono per scarsezza di clero. La comunione con la Chiesa universale raggiungerà in un certo modo la sua perfezione solo quando anch'esse prenderanno parte attiva allo sforzo missionario diretto verso le altre nazioni" (Decr. sull'attività missionaria della Chiesa AGD 20].

Solidarietà pastorale organica

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All'inizio della presente Esortazione ho fatto notare che, annunciando la convocazione dell'Assemblea speciale per l'Africa del Sinodo dei Vescovi, miravo in prospettiva alla promozione di "una solidarietà pastorale organica nell'intero territorio africano ed isole attigue" (Angelus (6 gennaio 1989), 2: Insegnamenti XII, 1 (1989), 40]. Ho il piacere di costatare che l'Assemblea ha coraggiosamente perseguito tale obiettivo. Le discussioni al Sinodo hanno rivelato la premura e la generosità dei Vescovi per questa solidarietà pastorale e per la condivisione delle loro risorse con altri, anche quando avevano essi stessi bisogno di missionari.

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Proprio ai miei fratelli Vescovi, che "sono con me direttamente responsabili dell'evangelizzazione del mondo, sia come membri del Collegio episcopale, sia come Pastori delle Chiese particolari" (Giovanni Paolo II, Lett. enc. Redemptoris missio (7 dicembre 1990),
RMi 63: AAS 83 (1991), 311], voglio rivolgere a questo riguardo una speciale parola. Nella quotidiana dedizione al gregge loro affidato, essi non devono mai perdere di vista le necessità della Chiesa nel suo insieme. In quanto Vescovi cattolici, essi non possono non avvertire la sollecitudine per tutte le Chiese, che bruciava nel cuore dell'Apostolo (cfr. 2Co 11,28). Non possono non avvertirla soprattutto quando riflettono e decidono insieme, come membri delle rispettive Conferenze episcopali, le quali, mediante gli organismi di collegamento a livello regionale e continentale, sono in grado di meglio percepire e valutare le urgenze pastorali emergenti in altre parti del mondo. Un'espressione eminente di solidarietà apostolica i Vescovi la realizzano, poi, nel Sinodo: esso "tra gli affari di importanza generale deve seguire con particolare sollecitudine l'attività missionaria, che è il dovere più alto e più sacro della Chiesa" (Conc. Ecum. Vat. II, Decr. sull'attività missionaria della Chiesa AGD 29].

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L'Assemblea speciale ha fatto inoltre giustamente notare che, per preparare una solidarietà pastorale d'insieme in Africa, è necessario promuovere il rinnovamento della formazione dei sacerdoti. Non si mediteranno mai abbastanza le parole del Concilio Vaticano II là dove afferma che "il dono spirituale che i presbiteri hanno ricevuto nell'ordinazione non li prepara ad una missione limitata e ristretta, bensi ad una vastissima e universale missione di salvezza, "fino agli estremi confini della terra" (
Ac 1,8)" (Decr. sul ministero e la vita dei presbiteri PO 10].

Per questo motivo io stesso ho esortato i sacerdoti a "rendersi concretamente disponibili allo Spirito Santo e al Vescovo, per essere mandati a predicare il Vangelo oltre i confini del loro paese. Ciò richiederà in essi non solo maturità nella vocazione, ma pure una capacità non comune di distacco dalla propria patria, etnia e famiglia, e una particolare idoneità a inserirsi nelle altre culture con intelligenza e rispetto" (Lett. enc. Redemptoris missio (7 dicembre 1990), RMi 67: AAS 83 (1991), 316].

Sono profondamente grato a Dio nell'apprendere che in numero crescente sacerdoti africani hanno risposto all'appello ad essere testimoni "fino agli estremi confini della terra". Spero ardentemente che questa tendenza venga stimolata e consolidata in tutte le Chiese particolari d'Africa.

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E pure motivo di grande conforto sapere che gli Istituti missionari, presenti in Africa da lungo tempo, "accolgono oggi in misura crescente candidati provenienti dalle giovani Chiese che hanno fondato" (Ibid.,
RMi 66, l.c., 314], permettendo così a queste stesse Chiese di partecipare all'attività missionaria della Chiesa universale. Esprimo parimenti grato compiacimento ai nuovi Istituti missionari che sono sorti nel continente e che oggi inviano i loro membri ad gentes. E uno sviluppo provvidenziale e meraviglioso che manifesta la maturità e il dinamismo della Chiesa che è in Africa.

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Vorrei far mia in modo particolare l'esplicita raccomandazione dei Padri sinodali perché si stabiliscano le quattro Pontificie Opere Missionarie in ciascuna Chiesa particolare e in ciascun Paese, come mezzo per realizzare una solidarietà pastorale organica in favore della missione "fino agli estremi confini della terra". Opere del Papa e del Collegio episcopale, esse occupano "giustamente il primo posto, perché sono mezzi sia per infondere nei cattolici, fin dall'infanzia, uno spirito veramente universale e missionario, sia per favorire un'adeguata raccolta di sussidi a vantaggio di tutte le missioni e secondo le necessità di ciascuna" (Conc. Ecum. Vat. II, Decr. sull'attività missionaria della Chiesa
AGD 38]. Un frutto significativo della loro attività "è quello di suscitare vocazioni ad gentes e a vita, sia nelle Chiese antiche come in quelle più giovani. Raccomando vivamente di orientare sempre più a questo fine il loro servizio di animazione" (Lett. enc. Redemptoris missio (7 dicembre 1990), RMi 84: AAS 83 (1991), 331].

Santità e missione

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Il Sinodo ha riaffermato che tutti i figli e le figlie d'Africa sono chiamati alla santità e ad essere testimoni di Cristo in ogni parte del mondo. "Le lezioni della storia confermano che, mediante l'azione dello Spirito Santo, l'evangelizzazione si compie prima di tutto attraverso la testimonianza di carità, la testimonianza di santità" (Giovanni Paolo II, Discorso a un gruppo di Vescovi della Nigeria in visita ad limina (21 gennaio 1982), 4: AAS 74 (1982), 435-436].

Per questo, desidero ripetere a tutti i cristiani d'Africa le parole che ho scritto qualche anno fa: "Ogni missionario è autenticamente tale solo se si impegna nella via della santità (...]. Ogni fedele è chiamato alla santità e alla missione (...]. La rinnovata spinta verso la missione ad gentes esige missionari santi. Non basta rinnovare i metodi pastorali, né organizzare e coordinare meglio le forze ecclesiali, né esplorare con maggiore acutezza le basi bibliche e teologiche della fede: occorre suscitare un nuovo "ardore di santità" fra i missionari e in tutta la comunità cristiana" (Lett. enc. Redemptoris missio (7 dicembre 1990),
RMi 90: AAS 83 (1991), 336-337].

Anche adesso, come allora, mi rivolgo ai cristiani delle giovani Chiese per metterli di fronte alle loro responsabilità: "Siete voi, oggi, la speranza di questa nostra Chiesa, che ha duemila anni: essendo giovani nella fede, dovete essere come i primi cristiani, ed irradiare entusiasmo e coraggio, in generosa dedizione a Dio e al prossimo; in una parola, dovete mettervi sulla via della santità. Solo così potete essere segno di Dio nel mondo e rivivere nei vostri paesi l'epopea missionaria della Chiesa primitiva. E sarete anche fermento di spirito missionario per le Chiese più antiche" (Ibid., RMi 91, l.c., 337-338].

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La Chiesa che è in Africa condivide con la Chiesa universale "la sublime vocazione di realizzare, in se stessa prima di tutto, l'unità del genere umano al di là delle differenze etniche, culturali, nazionali, sociali e di altro genere, al fine di mostrare proprio la caducità di queste differenze, abolite dalla croce di Cristo" (Pontificia Commissione "Iustitia et Pax", Documento I pregiudizi razziali. La Chiesa di fronte al razzismo (3 novembre 1988), 22: Ench. Vat. 11, 929]. Rispondendo alla vocazione di essere nel mondo il popolo redento e riconciliato, la Chiesa contribuisce a promuovere una coesistenza fraterna tra i popoli, trascendendo le distinzioni di razza e di nazionalità.

Attesa la specifica vocazione affidata alla Chiesa dal suo divino Fondatore, chiedo con insistenza alla comunità cattolica che è in Africa di offrire davanti all'intera umanità un'autentica testimonianza dell'universalismo cristiano che sgorga dalla paternità di Dio. "Tutti gli uomini creati in Dio hanno la stessa origine; qualunque possa essere la loro dispersione geografica o l'accentuazione delle loro differenze nel corso della storia, essi sono destinati a formare una sola famiglia secondo il disegno di Dio stabilito "al principio"" (Ibid, 20, l.c., 925]. La Chiesa in Africa è chiamata ad andare incontro per amore ad ogni essere umano credendo con forza che "con l'incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo" (Conc. Ecum. Vat. II, Cost. past. sulla Chiesa nel mondo contemporaneo
GS 22].

In particolare, l'Africa deve offrire il proprio contributo al movimento ecumenico, del quale, nella Lettera enciclica Ut unum sint, ho di recente nuovamente sottolineato l'urgenza in vista del terzo millennio (UUS 77-79: L'Osservatore Romano, 31 maggio 1995, p. 6]. Essa può sicuramente giocare un ruolo importante anche nel dialogo tra le religioni, soprattutto coltivando relazioni intense con i musulmani e favorendo un attento rispetto verso i valori della religione tradizionale africana.

Praticare la solidarietà

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Testimoniando Cristo "fino agli estremi confini della terra", la Chiesa in Africa sarà sostenuta di sicuro dalla convinzione del "valore positivo e morale" che riveste la "crescente consapevolezza dell'interdipendenza tra gli uomini e le nazioni. Il fatto che uomini e donne, in varie parti del mondo, sentano come proprie le ingiustizie e le violazioni dei diritti umani commesse in paesi lontani, che forse non visiteranno mai, è un segno ulteriore di una realtà interiorizzata dalla coscienza, ed ele vata così ad una connotazione morale" (Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis (30 dicembre 1987),
SRS 38: AAS 80 (1988), 565].

Auspico che i cristiani in Africa diventino sempre più coscienti di questa interdipendenza tra gli individui e le nazioni, e siano pronti a corrispondervi, praticando la virtù della solidarietà. Il frutto della solidarietà è la pace, bene così prezioso per i popoli e le nazioni di ogni parte del mondo.

In effetti, proprio attraverso mezzi capaci di promuovere e di rafforzare la solidarietà, la Chiesa può fornire un contributo specifico e determinante ad una vera cultura della pace.

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Entrando in rapporto senza discriminazioni con i popoli del mondo nel dialogo con le varie culture, la Chiesa avvicina gli uni agli altri ed aiuta ciascuno di essi ad assumere, nella fede, gli autentici valori degli altri.

Pronta a cooperare con ogni uomo di buona volontà e con la comunità internazionale, la Chiesa in Africa non cerca vantaggi per se stessa. La solidarietà che essa esprime "tende a superare se stessa, a rivestire le dimensioni specificamente cristiane della gratuità totale, del perdono e della riconciliazione" (Ibid.,
SRS 40, l.c., 568]. La Chiesa cerca di contribuire alla conversione dell'umanità, portandola ad aprirsi al piano salvifico di Dio mediante la testimonianza evangelica, accompagnata dall'attività caritativa a servizio dei poveri e degli ultimi. E quando compie questo, non perde mai di vista il primato del trascendente e di quelle realtà spirituali che costituiscono le primizie dell'eterna salvezza dell'uomo.

Durante i dibattiti riguardanti la solidarietà della Chiesa nei confronti dei popoli e delle nazioni, i Padri sinodali sono stati, in ogni momento, consapevoli che "si deve accuratamente distinguere il progresso terreno dallo sviluppo del Regno di Cristo" e che, tuttavia, "nella misura in cui può contribuire a meglio ordinare l'umana società, tale progresso è di grande importanza per il Regno di Dio" (Conc. Ecum. Vat. II, Cost. past. sulla Chiesa nel mondo contemporaneo GS 39]. Proprio per questo la Chiesa in Africa è convinta - e il lavoro dell'Assemblea speciale lo ha chiaramente mostrato - che l'attesa del ritorno finale di Cristo "non potrà esser mai una scusa per disinteressarsi degli uomini nella loro concreta situazione personale e nella loro vita sociale, nazionale e internazionale" (Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis (30 dicembre 1987), SRS 48: AAS 80 (1988), 583], poiché le condizioni terrene influenzano il pellegrinaggio dell'uomo verso l'eternità.

CONCLUSIONE

Verso il nuovo millennio cristiano

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Riuniti attorno alla Vergine Maria come per una nuova Pentecoste, i membri dell'Assemblea speciale hanno esaminato a fondo la missione evangelizzatrice della Chiesa in Africa alla soglia del terzo millennio. Concludendo questa Esortazione apostolica post-sinodale, nella quale presento i frutti di tale Assemblea alla Chiesa che è in Africa, nel Madagascar e nelle isole attigue e all'intera Chiesa cattolica, rendo grazie a Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo, che ci ha accordato il privilegio di vivere quest'autentico "momento di grazia" che è stato il Sinodo.

Sono vivamente grato al popolo di Dio in Africa per quanto ha fatto per l'Assemblea speciale. Questo Sinodo è stato preparato con zelo ed entusiasmo, come attestano le risposte al questionario, allegato al documento preliminare (Lineamenta), e le riflessioni raccolte nel documento di lavoro (Instrumentum laboris). Le comunità cristiane d'Africa hanno pregato con fervore per la riuscita dei lavori dell'Assemblea speciale, che è stata largamente benedetta dal Signore.

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Poiché il Sinodo è stato convocato per permettere alla Chiesa in Africa di assumere, in maniera per quanto possibile efficace, la sua missione evangelizzatrice in vista del terzo millennio cristiano, invito con questa Esortazione il popolo di Dio in Africa - Vescovi, sacerdoti, persone consacrate e laici - a volgersi risolutamente verso il Grande Giubileo, che sarà celebrato fra qualche anno. Per tutti i popoli dell'Africa la miglior preparazione al nuovo millennio non può consistere che nel fermo impegno di porre in atto con grande fedeltà le decisioni e gli orientamenti che, con l'autorità apostolica di Successore di Pietro, presento in questa Esortazione. Sono decisioni e orientamenti che si iscrivono nella genuina linea degli insegnamenti e delle direttive della Chiesa e, in particolare, del Concilio Vaticano II, che è stato la principale fonte d'ispirazione dell'Assemblea speciale per l'Africa.

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Il mio invito al popolo di Dio che è in Africa a prepararsi per il Grande Giubileo dell'Anno 2000 vuol essere anche un vibrante appello alla gioia cristiana. "La grande gioia annunciata dall'angelo, nella notte di Natale, è davvero per tutto il popolo (cfr.
Lc 2,10) (...]. Per prima, la Vergine Maria, ne aveva ricevuto l'annuncio dall'angelo Gabriele e il suo Magnificat era già l'inno di esultanza di tutti gli umili. I misteri gaudiosi ci mettono così, ogni volta che recitiamo il Rosario, dinanzi all'avvenimento ineffabile che è centro e culmine della storia: la venuta sulla terra dell'Emmanuele, Dio con noi" (Paolo VI, Esort. ap. Gaudete in Domino (9 maggio 1975), III: AAS 67 (1975), 297].

E il duemillesimo anniversario di tale avvenimento, ricco di gioia, che ci prepariamo a celebrare con il prossimo Grande Giubileo. L'Africa, che "è, in un certo senso, la "seconda patria" di Gesù di Nazaret, (il quale), piccolo bambino, proprio in Africa ha trovato rifugio contro la crudeltà di Erode" (Giovanni Paolo II, Omelia all'apertura dell'Assemblea Speciale per l'Africa del Sinodo dei Vescovi (10 aprile 1994), 1: AAS 87 (1995), 179], è chiamata dunque alla gioia.

Nello stesso tempo, "tutto dovrà mirare all'obiettivo prioritario del Giubileo che Paolo II, Lett. ap. Tertio millennio adveniente (10 novembre 1994), TMA 42: AAS 87 (1995), 32].


Ecclesia in Africa IT 116