Brentano - Emmerick: Misteri AT 2200

22 Mosé

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Riferimenti biblici

Mosé nasce in Egitto (
Ex 2,1 Ex 2,10 Ex 6,20), uccide un egiziano e fugge in Madian, sposa Sefora (Ex 2,11-21), è mandato da Dio al Faraone (Ex 3,10 Ex 5 Ex 1 Ex 6,12); prega per il Faraone e per il popolo (Es8.12, 30; 9, 28.33; 10, 17; 14, 15). Riceve la prima volta le tavole della legge; le spezza e le riceve una seconda volta (Ex 32,19 Ex 34,28). Manda gli esploratori nella terra di Canaan e prova di essere mandato da Dio. Vede la Terra Promessa e muore (Num 20,12; 27,12). Gli israeliti non potevano guardarlo in faccia; appare nella trasfigurazione di Cristo (Mt 17,3 Me Mt 9,3 LE 9,30), è lodato nell’Ecclesiaste (Si 45,1). Il diavolo lotta con l’Arcangelo Michele per il corpo di Mosé (Jud 9).

L’Egitto, che aveva accolto la tribù di Giacobbe, cambia sotto le popolazioni straniere che l’avevano praticamente invaso.

I granai che aveva riempito Giuseppe si erano svuotati e gli ebrei continuavano a moltiplicarsi.

Nell’arco di tempo di centocinquant’anni questa situazione si estremizzò e gli egiziani vollero riprendere il paese sotto il loro controllo, riducendo tutti gli stranieri in schiavitù.

I bambini degli stranieri, in maggioranza ebrei, venivano gettati nel Nilo.

Un bambino della tribù di Levi venne celato per tre mesi, la madre lo lasciò in una culla galleggiante nel luogo dove la figlia del Faraone andava a bagnarsi. La principessa quando lo vide si commosse e decise di adottarlo, chiamò una nutrice e glielo affidò. Questa era proprio la madre del bambino: la figlia del Faraone le disse: “Prendi questo piccolo e allattalo, ed io ti darò il salario che ti è dovuto”. Quando il bambino fu cresciuto, lo portò alla figlia del Faraone che lo tenne come un figliolo e gli mise nome Mosé, perché disse: “lo l’ho tratto dalle acque" (Ex 2,9-10).

Mosé venne istruito dagli egiziani e avrebbe potuto trascorrere tutta la vita negli splendori reali, se avesse dimenticato la sua razza.

Invece, quando crebbe, si indignò per la condizione in cui vivevano i suoi, uccise persino un egiziano che maltrattava atrocemente uno dei suoi. Costretto a fuggire nelle regioni desertiche sposa Zipporra, figlia di letro, la quale genera con lui due figli.

Nel Sinai incontra Dio in un roveto ardente: Jahvé (lo sono e sarò con voi).

Il Signore così gli disse:

“lo sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe. Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto ed ho udito il suo grido a causa dei suoi sorveglianti; conosco infatti le sue sofferenze. Sono sceso per liberarlo dalla mano dell’Egitto e per farlo uscire da questo paese, verso un paese dove scorrono latte e miele.

Ora va’! lì mando dal Faraone. Fa’ uscire dall’Egitto il mio popolo, gli israeliti!” (Es III, 6-10).

Il Signore gli dà poi il potere di compiere segni miracolosi. Egli parlerà per mezzo del fratello Aronne che ha una buona lingua. Il Signore raccomanda a Mosé di portare sempre il bastone in mano perché con esso farà prodigi.

Nonostante le richieste di Mosé il Faraone si ostina a non voler lasciare uscire il popolo d’Israele, perché egli ha bisogno di operai.

Di fronte all’ostinatezza del Faraone il profeta, con l’appoggio di Dio, manda dieci piaghe sull’Egitto, l’ultima è la più tremenda di tutte: l’Angelo di Dio passerà di notte e ucciderà tutti i primogeniti degli egiziani. Gli Israeliani avrebbero tinto con il sangue dell’agnello la propria porta affinché l’Angelo li riconoscesse e passasse avanti.

Il Faraone disperato, dall’Egitto che grida di dolore, acconsente alla partenza di Israele. Ma, appena il popolo giunge sulle rive del Mar Rosso, lo insegue con un potente esercito. Il bastone di Mosé divide il mare in due parti, appena tutto il popolo è passato, esso si rinchiude e l’esercito egiziano con i migliori cavalieri vi annega dentro.

Così Mosé conduce questo popolo nel deserto verso la Terra Promessa per circa quarant’anni, giusto il tempo che cresca “la generazione del deserto” e muoia quella che rimpiange le comodità dell’Egitto.

Dopo diverse vicende, specialmente quella del vitello d'oro, il popolo d’Israele giunge di fronte a Gerico. Allora il santo profeta, per comando dell'Onnipotente, sale sul monte Nebo e guardando la terra di Canaan muore[142].

“Or tu morrai sul Nebo e ti riunirai ai tuoi padri" (Deuteronomio, XXXII 48-50).

Mosé è considerato legislatore e profeta; il Martirologio romano stabilisce la sua festa al 4 settembre[143].



Le visioni

Vidi Mosé che, nonostante fosse stato introdotto alla corte del Faraone, davanti a tutta la saggezza egiziana, visitò il suo popolo e ne riconobbe la causa dello scoraggiamento e della tristezza. Quando egli uccise l’egiziano, Dio gli comandò di cercare riparo da letro[144]. Costui l'avrebbe aiutato per mezzo della sibilla Segola che gli avrebbe svelato il segreto della reliquia di Giuseppe. Segola, di madre ebrea, era la figlia naturale del Faraone e sebbene fosse stata allevata secondo i costumi e l'astrologia egiziani prestava molto aiuto ai giudei.

Costei era illuminatissima ed aveva molto potere sul Faraone; vidi che aveva sulla fronte una protuberanza come tutti quelli che nell’antichità avevano il dono di profetare. Molti erano convinti che fosse ispirata dagli spiriti del bene perché non era pronta a credere a qualsiasi divinità che avesse sopra le spalle una testa di cane, di sciacallo o di oca.

La prima moglie di Mosé era stata per volontà di Dio Sefora[145], la figlia di un sacerdote. Con questo matrimonio Mosé piantò un nuovo ramo in Israele, una nuova stirpe.

Aronne, dopo la morte della sua prima moglie, sposò una figlia di Segola, così crebbe la fiducia degli israeliti verso que- st’ultima. I loro figli parteciparono all’esodo.

Questa si separò da Aronne e si sposò di nuovo; ai tempi del nostro Salvatore i suoi discendenti portarono ad Abila le mummie degli antenati.

Nella notte dell’esodo vidi Segola tutta velata dirigersi verso tre sepolcri, la seguivano Mosé, Aronne e tre altri israeliti.

I sepolcri si trovavano tra Menfi e Gosen nei pressi di un canale che sfociava nel Nilo.

L’ingresso segreto del sepolcro più grande era posto sotto un ponte.

Vidi Segola, adesso seguita solo da Mosé, avvicinarsi allo specchio d’acqua e gettarvi un biglietto con il nome di Dio.

Il pezzetto di papiro al contatto con l’acqua si arrotolò e si fermò vicino all’ingresso segreto del monumento; allora Segola e Mosé si accostarono al sepolcro e spinsero una grande pietra che subito si aprì.

Quindi chiamarono gli altri, che frattanto erano rimasti distanti e non avevano visto nulla.

Appena il piccolo gruppo si fu radunato dinanzi alla porta di pietra, Mosé legò le mani di tutti con la sua stola e li fece giurare che avrebbero mantenuto il segreto per sempre. Terminato il giuramento sciolse loro le mani ed entrarono tutti dentro. Li vidi proseguire fino ad una volta dove c’era la luce di una torcia, qui si potevano vedere alcune sale con sarcofaghi, mummie, e statue di morti. Il corpo di Giuseppe e i resti di Asenet riposavano in un sarcofago di metallo con sopra la figura di un toro; il metallo luccicava riflessi dorati.

Mosé aprì il sarcofago e prese qualcosa dal corpo di Giuseppe, poi lo avvolse in un asciugamano e lo diede a Segola, che a sua volta lo riavvolse nella sua veste. Le spoglie mortali della santa coppia furono sistemate su una grande pietra, poi raccolte in asciugamani e portate via dagli uomini.

Adesso il popolo d’Israele aveva il santuario e poteva lasciare l’Egitto.

Vidi Segola piangere dalla commozione mentre Israele era pieno di gioia. Mosé nascose nella punta rotonda del suo bastone la piccola reliquia estratta dal corpo di Giuseppe, la quale aveva la forma di una nespola ed era di colore giallo. L’altro segreto, che era stato estratto dagli intestini di Giuseppe e celato in una canna[146], fu aggiunto alle sue ossa e conservato nel santuario di legno.

Il bastone in cui Mosé aveva nascosto il segreto di Giuseppe non era quello che lanciò al suolo dinanzi al Faraone e che si mutò in un serpente. Quest’altro aveva la forma di un tubo appuntito, dal quale la punta superiore e inferiore si poteva sfilare e infilare a piacimento. Vidi che la punta inferiore era di metallo e acuminata come una penna, con essa Mosé fece scaturire l’acqua dalla roccia.

Quando egli faceva dei segni con questa punta sulla sabbia o sulla roccia si sprigionava immediatamente l’acqua.

La punta superiore del bastone era invece un po’ più rotonda di quella inferiore, con essa Mosé divise il Mar Rosso.

Dalla morte di Giuseppe all’esodo di Israele trascorsero circa centosettant’anni[147].

Nel tempo in cui gli israeliti vissero in Egitto non ebbero un tempio vero e proprio dove riunirsi e sacrificare, ma lo facevano in una tenda circondata da grandi pietre.

Essi usavano sacrificare capretti, cereali e grano[148].



23 L’arca dell’Alleanza

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Fin dalla mia prima gioventù, nelle molteplici contemplazioni sull'Antico Testamento, ho visto nell’arca dell’Alleanza la base per la fondazione di una Chiesa perfettissima e molto austera. Non vidi le Tavole della Legge ma tantissime altre cose.


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Nella stessa notte in cui Mosé ricevette le ossa della santa coppia venne costruito un sarcofago provvisorio di legno per trasportarle durante l’esodo.

Il sarcofago era di tali dimensioni che poteva dormirci dentro un uomo di grande statura. Questo sarebbe diventato il primo simbolo di una Chiesa e di un Corpo. La preparazione del santuario avvenne proprio nella notte in cui le porte degli ebrei furono cosparse con il sangue degli agnelli. Il diligente e rapido lavoro degli israeliti presso la grande cassa di legno mi ricordò la costruzione della santa Croce che venne fatta in fretta la notte prima della crocifissione[149].

Vidi che la parte superiore della cassa era più larga di quella inferiore ed era ricoperta da una lamierina d’oro con la figura di una mummia dorata. Nella parte centrale del sarcofago fu posta una cassettina d’oro contenente le sante ossa, mentre in quelle laterali furono deposti i Santi vasi e le coppe dei patriarchi[150].

Io vidi che questo fu il primo contenuto dell’arca dell’AIleanza, la quale fu chiusa e coperta con un panno rosso e uno bianco.

Allorché più tardi sul Sinai il sarcofago dell’arca venne rifinito, fu creato lo spazio per altre due cassette di reliquie.

Nel santuario trovarono quindi posto anche le ossa della famiglia di Giacobbe e di Giuseppe, e i bastoni di Mosé e di Aronne.

Quando l’arca fu posta definitivamente nel tempio di Sion la figura della mummia dorata venne cambiata con una simile fatta di massa bianca.

Nelle mie numerose visioni sull’arca vidi che gli israeliani vi deponevano dentro le preziose sacralità del popolo e dell’antica tradizione, in modo particolare le ossa dei profeti.

Gli oggetti e le reliquie custodite nell'arca non erano certamente pesanti perché vidi che essa veniva trasportata con facilità.

L’arca era più lunga che larga ed ugualmente alta come larga. Era sostenuta da un piedistallo sporgente; la parte superiore era ornata da decorazioni d’oro e da diversi colori, fiori, svolazzi, volti e astri. Tutto era rifinito in modo stupendo.

Al centro laterale del sarcofago c’era una piccola porticina che non si notava, quando il supremo sacerdote era solo nel Santissimo, e aveva necessità di profetare, estraeva il santuario interno per benedirlo e poi subito rinchiuderlo. Questa porticina era scorrevole ed abbastanza larga da permettere alla mano del sacerdote di estrarre la cassetta. Qualche volta vidi che il prete prendeva dall’arca alcuni rotoli e li leggeva, penso fossero preghiere.

Venni a conoscenza che l’arca dell’Alleanza simbolizzava l’antica Chiesa di Dio e il suo interno era come l’altare con il Santissimo Sacramento; il vaso con la manna rappresentava la lampada eterna davanti all’altare.

Seppi che solo pochi sacerdoti e pochissimi fedeli, veramente pii e illuminati, riuscivano a comprendere il compimento futuro dei misteri contenuti nell’arca.

Moltissimi giudei vivevano allora nell’assoluta oscurità del significato mistico e salvifico dell’arca, come nei nostri tempi molti fedeli non comprendono il significato della grazia contenuto nel Santissimo Sacramento.

La cecità degli ebrei mi rattrista moltissimo. Molte volte piango al solo pensiero che essi hanno conosciuto il seme ma non ne hanno voluto riconoscere il frutto[151].

Dapprima essi possedettero il mistero della testimonianza e della promessa, poi venne la legge e poi la grazia.

Quando il Signore insegnava a Sicar, la gente gli chiese dov’e- ra finito il mistero dell’Alleanza.

Egli rispose che se gli uomini gli si fossero predisposti questo mistero si sarebbe svelato dentro di loro.

Ma siccome essi erano sempre stati duri ad aprire le porte del proprio cuore non furono mai in condizione di riconoscere il mistero, e conseguentemente la nascita del vero Messia,

lo   ho visto il mistero contenuto in una specie di involucro, come una creatura, una forza agente nei cuori umani; nel pane e nel vino; nella benedizione della Creazione prima del peccato originale. Il mistero è nella natura sacramentale della Creazione e rende possibile la purificazione degli uomini di buona volontà. La natura sacramentale, custodita dai fedeli nella religione, è stata resa possibile grazie agli sforzi di una santa generazione che trovò compimento in Maria Santissima. Essa si predispose ad attendere il Messia concepito dallo Spirito Santo. Noè, quando piantò la vigna, aveva offerto la preparazione per la riconciliazione e per la salvezza. Abramo l’aveva accolta nella benedizione che io vidi tramandare come un bocconcino o un’essenza.

Dall’inizio, fino all’esodo dall'Egitto, come abbiamo visto, la benedizione rimase un segreto privilegio dei primogeniti della santa generazione.

Con Mosé cessò di essere il mistero di una stirpe per diventare il sacro mistero di un popolo. Così, per quarant’anni, la benedizione contenuta nell’arca dell’Alleanza fu portata da tutto il popolo d’Israele attraverso il deserto, per poi prendere posto definitivo a Sion.

Questo mistero era entrato nell’arca della prima Alleanza come il Santissimo Sacramento entrerà poi nel Tabernacolo e nella mostranza della nuova.

Quando i figli d’Israele venerarono il vitello d’oro, provocando una grande confusione, Mosé dubitò della forza del santuario e fu punito: non entrò mai nella Terra Promessa, riuscì solo a guardarla da lontano.

Vidi che i nemici d’Israele tentarono spesso di strappare l’arca ai supremi sacerdoti allo scopo di indebolire la forza unitaria del popolo eletto. Ma, quando riuscirono a farlo, l’arca rimase così santa e piena di luce che i nemici furono costretti a restituirla[152]. Solo pochi ne conoscevano l’importante partecipazione salvifica.

Nel corso della storia dell’antica Alleanza accadde che alcuni membri della santa discendenza si guastarono nonostante fossero illuminati dalla luce della grazia; ma poi riuscirono di nuovo a purificarsi per mezzo di pratiche espiatorie.

La benedizione data da Dio all’uomo all’inizio della Creazione è stata efficace in tutte le epoche, di più o di meno, secondo la devozione e la purezza degli uomini. Vidi che il mistero della benedizione opera da allora nei cuori dei fedeli che pregano sinceramente.

Vidi che, con il lievito delle preghiere, dei sacrifici e della penitenza, la benedizione purificava il mistero conservato nell’arca.

Da Mosé il mistero venne usato solo quando fece fronte ai due pericoli maggiori del popolo d’Israele: l’attraversamento del Mar Rosso e l’adorazione del vitello d’oro. Egli l’estrasse dallo scrigno d’oro e, coperto come il Santo Sacramento il venerdì delle ceneri, lo mostrò al popolo; poi il Santo di Dio se lo portò dinanzi al petto.

Mosé ha salvato molti israeliti dalla morte, dall'idolatria e dalla perdizione, lo vidi che il supremo sacerdote, quand’era solo nel Santissimo[153], prendeva lo scrigno del mistero e lo rivolgeva tutto da una parte come se volesse ascoltarvi qualcosa, proteggersi da una violenza, oppure chiederne la benedizione.

Egli non lo estraeva con le mani nude ma servendosi di un panno rosso.

La cassetta del santuario interno veniva usata da lui per Santi scopi, per esempio l’immergeva nell’acqua che poi faceva bere ai fedeli. Vidi anche le profetesse bere quest’acqua benedetta: Debora e Anna, la madre di Samuele a Silo, e da Ermerenzia, la madre di sant’Anna, la quale fu così preparata a concepire la sua santa figlia.

Sant’Anna non ebbe necessità di berla perché la benedizione si trovava già in lei.

Gioacchino ricevette per mezzo dell’Angelo il mistero dell’arca, e così Maria Santissima venne concepita sotto le porte dorate del tempio[154], divenendo lei stessa arca del mistero. Il santo scopo dell’arca della prima Alleanza trovò così il suo compimento finale.

Quando Gioacchino e Anna si incontrarono sotto le porte dorate, furono circonfusi da una luce splendente e la Santa Vergine fu concepita senza peccato. Allora si levò nell’aria un canto celeste come la voce di Dio. Questo mistero dell'immacolata Concezione di Maria in Anna non può essere compreso dagli uomini e resta a loro tuttora celato.

La linea della discendenza di Gesù aveva ricevuto il seme della benedizione con il quale Maria Santissima era stata concepita e Dio avrebbe trovato incarnazione nel suo santuario. Gesù Cristo istituì il Santo Sacramento della nuova Alleanza come compimento della nuova unione tra gli uomini e il Padre celeste, sacrificandosi nell’eternità attraverso il mistero della sua Passione.

Quando Geremia[155] durante la cattività babilonese fece seppellire sul monte Sinai l'arca, vidi che il mistero e le sante cose non erano più là dentro, restavano solo i reliquiari e gli scrigni vuoti.

Egli però, che conosceva il contenuto degli scrigni e la loro sacralità, voleva svelarne al popolo i significati e descrivere gli orrori del suo maltrattamento. Ma il profeta Malachia[156], temendo l’incomprensione della gente, lo trattenne e rivelò invece il mistero agli esseni per farlo custodire. Malachia non era un uomo consueto, piuttosto era come Melchisedek, un Angelo di Dio. L’unica diversità tra i due si mostrava nel tempo e nell’aspetto.

Allorché Daniele[157] giunse in Babilonia era un bimbo smarrito di circa sette anni. Lo vidi, avvolto in una veste rossa e con un bastone nella mano, dirigersi a Safa presso una pia coppia della tribù di Zàbulon. La coppia credette che fosse un bimbo ebreo disperso e lo tenne con sé; egli crebbe nella loro casa pieno d’amore, era intelligente e tenero con tutti, e così gli altri si mostravano con lui.

Daniele era molto amico di Geremia e lo aveva aiutato evitandogli un pericolo molto grave, a sua volta egli fu liberato da Geremia dal carcere in Israele.

L’arca antica nascosta da Geremia sul Sinai non fu mai più trovata. L'arca rifatta non era così bella e non c’era più tutto il contenuto. Il bastone di Aronne venne in possesso degli esseni sull’Oreb, dove fu custodita anche una parte del santuario. La generazione a cui Mosé diede vita, e che portò l’arca nel deserto fino a Sion, ebbe discendenti fino al tempo di Erode.

Nel giorno del Giudizio tutto il mistero verrà svelato, allora tremeranno i cuori di coloro che l’avevano disprezzato.

Così terminano le visioni dei Misteri dell’antica Alleanza, narrate dalla veggente suor Anna Caterina Emmerick e annotate dal poeta Clemente Brentano.





Conclusione: “Il Frutto dei Misteri”

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Come abbiamo appreso Anna Caterina Emmerick piange amaramente sugli ebrei perché dice che "essi hanno conosciuto tutto del seme ma non ne vollero riconoscere il frutto".

Noi, condividendo l’amarezza della veggente, vogliamo concludere citando Sant’Ambrogio[158]:


"San Giovanni l’evangelista ha detto:

Quello che era da principio, quel che abbiamo udito e veduto, quel che abbiamo contemplato con i nostri occhi, e le nostre mani hanno toccato del Verbo della vita: e la vita si è manifestata, e noi l’abbiamo veduta e ne rendiamo testimonianza e vi annunziamo la vita che era presso il Padre e si è manifestata a noi".

Gli Apostoli videro e udirono il Signore, lo videro in quanto uomo, ma anche in quanto Verbo; infatti videro il Verbo, quando, insieme con Mosé e con Elia, videro la gloria del Verbo per mezzo della Trasfigurazione, sul Monte Tabor. Essi videro Gesù perché lo contemplarono nella sua gloria, gli altri non lo videro perché si limitarono a guardarne il corpo: ma Gesù si vede non con gli occhi del corpo, bensì con quelli dello spirito[159].



Sant’Ambrogio ha scritto che in realtà i giudei, che pur vedevano, non videro il Messia. Ma lo vide Abramo, perché sta scritto: Abramo vide il mio giorno e ne gioì.

Abramo vide nello spirito il Signore e così Io vide anche nel corpo; ma chi vide solo corporalmente senza vedere spiritualmente, non potè nemmeno vedere nel corpo ciò che aveva davanti agli occhi. Lo vide Isaia, e poiché lo vide spiritualmente, lo vide anche corporalmente. Eppure, com'egli scrive, non aveva apparenza né bellezza. I giudei non lo videro: infatti il loro cuore insensato era indurito.

Gesù stesso attesta che i giudei non possono vederlo, quando dice: Guide cieche, che filtrate il moscerino e ingoiate il cammello! Non lo vide Pilato, non lo videro coloro che urlarono: Crocifiggilo, crocifiggilo! Se infatti l'avessero conosciuto, non avrebbero crocifisso il Signore della Maestà.

Chi dunque ha visto Dio, ha visto l’Emmanuele, cioè ha visto Dio con noi; ma chi non ha visto Dio con noi, non ha potuto vedere Colui che la Vergine partorì.

In conclusione, chi non ha creduto nel Figlio di Dio non ha creduto nel Figlio della Vergine.


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APPENDICE ALCUNE VISIONI DELLA VEGGENTE SULLA “VITA DELLA MADONNA’’£[160], COMPLEMENTARI AL PRESENTE LIBRO.



1 VISIONI SULLA BENEDIZIONE DI GIOACCHINO E IL CONCEPIMENTO DELLA MADRE DI DIO



Gioacchino riceve la benedizione dell'Alleanza[161]

Adesso vidi che l’Angelo con la punta del suo pollice e dell’indice segnava oppure ungeva la fronte di San Gioacchino e gli metteva qualcosa nella bocca, mentre un raggio di luce rendeva luminoso il bocconcino; poi, dal piccolo calice irrorato di luce splendente, gli diede da bere un liquido chiaro. Gioacchino afferrò il calice con due dita e bevve.

Il calice era simile a quello usato da Gesù nell’Ultima Cena, solo che mancava la parte inferiore. Mi sembrò che l’Angelo, con quel bocconcino, gli avesse dato una piccola spiga di grano luminosa e dell’uva luccicante. Subito dopo questa funzione, tutte le colpe, le voglie peccaminose e le impurità di Gioacchino scomparvero. Compresi interiormente che l’Angelo aveva fatto partecipe Gioacchino del Santissimo fiorire di quella benedizione, all’origine data da Dio ad Abramo e che finalmente da Giuseppe in poi era divenuta il sacrario dell’Alleanza, la sede di Dio tra i suoi popoli.

L’Angelo diede a Gioacchino questa benedizione nello stesso modo in cui l'aveva ricevuta Abramo.

Il benedicente Angelo di Abramo la prese dal suo stesso petto, mentre con Gioacchino fu presa dal Tabernacolo del Santissimo come fosse trasmessa ad un sacerdote nel quale il Verbo si incarna.

Dio introdusse la tradizione di questa grazia con la benedizione di Abramo, e così la medesima si tramandò attraverso tutti i padri del suo futuro popolo...



Gioacchino ed Anna si incontrano sotto la “porta d'oro,n66

Quando l’Angelo scomparve, Gioacchino, guidato da un’intuizione divina, si diresse verso un vestibolo sotterraneo santificato che si trovava sotto il pavimento del tempio e la "porta d’oro”.

Ho avuto visioni sul significato e l’esistenza di questo vestibolo sotterraneo del tempio e anche sulla sua funzione: seppi che era santificato per la benedizione degli infecondi.

In questo luogo si usava praticare, dietre determinate condizioni, la purificazione e la propriazione del Cielo, l’assoluzione dai peccati e così via. Gioacchino fu introdotto dai sacerdoti in questa sala, attraverso una piccola porta, mentre era nella zona dei cortile dei sacrifici cruenti. I sacerdoti si ritirarono subito dopo e Gioacchino si inoltrò nella sala da solo. Anna frattanto, giunta al tempio accompagnata dalla sua serva con l’offerta sacrificale dei colombi, aveva confidato ai sacerdoti l’episodio miracoloso dell'apparizione e del comando dell’Angelo di incontrare il suo sposo sotto la "porta d’oro".

Fu affidata perciò alle onorate e pie donne del tempio che la introdussero nel vestibolo santificato dalla parte opposta dove era stato introdotto Gioacchino. Tra le pie donne credo di aver visto anche la profetessa Anna[162].

Così la devota coppia si ricongiunse e fu riempita di luce. Maria Santissima stava per essere concepita senza peccato. Questo vestibolo, dove Gioacchino era entrato per una piccola porta, era meraviglioso: all’inizio la sala era in discesa e stretta poi si allargava sempre più; le pareti irradiavano una luce dorata con venature verdine, come se fossero state coperte d’oro. Dall’alto appariva una luce vermiglia. Dappertutto c’erano magnifiche colonne.

Gioacchino percorse più della metà della grande sala e, giunto ad una colonna che raffigurava un albero di palma con foglie ricurve e frutti, incontrò Anna. Essi si abbracciarono colmi di santa letizia, manifestandosi reciprocamente la felicità interiore che li pervadeva. Li vidi avvolti come da una nuvola luminosa. Vidi su questa nuvola una schiera di Angeli, la quale portava una torre alta e piena di luce che si librava su Anna e Gioacchino.

Questa torre d’avorio era simile a quella di David delle Litanìe lauretane. Infine, quando la torre scomparve, i due rimasero circondati da un’aureola raggiante di strali lucenti.

Vidi allora, in seguito alla benedizione ricevuta, svilupparsi la Concezione di Maria pura e pulita dal peccato originale.

Ebbi una visione indicibile: su di loro si aprì il Cielo magnifico e si manifestò la gioia della Santa Trinità, degli Angeli e di tutte le Sante Anime partecipanti alla benedizione segreta dei genitori di Maria. Lodando Dio, Anna e Gioacchino si diressero in alto verso la "porta d’oro”.

Giunsero sotto un arco bellissimo e alto come una specie di cappella illuminata da candelieri e dal fuoco di numerose torce.

Qui vennero accolti dai sacerdoti che li guidarono all’uscita del tempio. Passarono per la sala del Sinedrio, sita giusto sopra la sala sotterranea dell'incontro.

Così Gioacchino ed Anna si trovarono presto fuori dal tempio, al più esterno margine della montagna, verso la valle di Giosafat dove non si può andare avanti ma bisogna voltare a destra oppure a sinistra. Dopo aver fatto visita ad una dimora di sacerdoti, la coppia si incamminò sulla via del ritorno. Giunti a Nazareth, Gioacchino tenne un allegro banchetto dove sfamò molti poveri e distribuì loro elemosine. Spesso questa pia coppia dedicò sinceramente a Dio copiose lacrime di gratitudine.

Il   profondo sentimento religioso di Anna e Gioacchino agì fortemente sui figli facendo lievitare in loro una sincera devozione per Dio; la Santa Vergine crebbe quindi in un clima di lucente purezza e massimo rispetto verso le leggi divine. Vidi come tutte le astinenze e le moderatezze di questa coppia, particolarmente dopo il concepimento di Maria Santissima, allontanarono dal frutto i numerosi germogli dei peccati.

Con queste visioni ebbi occasione di capire sempre più come fosse smisurata la radice dei peccati e la loro deformità negli esseri umani.



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2 VISIONI SULLA SANTA FAMIGLIA IN EGITTO



La rosa di Gerico - La Santa Famiglia raggiunge l'Egitto168

Dopo molto cammino, Maria e Giuseppe per la terza volta persero l’orientamento. Allora avvenne un magnifico fenomeno miracoloso che guidò i loro passi: d’ambo i lati di una strada scorsero le cosiddette rose di Gerico; queste hanno i ramoscelli increspati, il fiore nel centro ed il gambo diritto. Con giubilo seguirono la via tracciata dalle pianticelle, e così attraversarono il deserto senza altre difficoltà. Seppi che a Maria fu rivelato come più tardi gli abitanti del paese avrebbero colto quelle rose e le avrebbero offerte ai viaggiatori in cambio del pane,

lo stessa ricevetti alcune chiarificazioni sull’episodio poco tempo dopo. Il nome di questo luogo era Gase o Gose.

Giunti a Lepe, vidi dei canali di acqua e alcuni argini.

Allora i Santi Fuggiaschi attraversarono un fiumiciattolo sopra una zattera di travi, sulla quale vi era una gran vasca in cui venivano collocati gli asini. Vidi Maria seduta col Bambino sopra una trave mentre due uomini traghettavano la zattera sull’altra riva.

Erano assai brutti d’aspetto, seminudi, di color bruno ed avevano il naso schiacciato e le labbra sporgenti. Essi mi sembrarono inoltre assai rozzi e villani, non dissero una sola parola durante il tragitto.

Abitavano in alcune case lontane dalla città.

Credo che questa fosse stata la prima città pagana incontrata da Giuseppe e Maria. La Santa Famiglia aveva viaggiato per dieci giorni nel deserto e per altri dieci nella Giudea. Giuseppe, Maria e il Bambino si trovavano adesso sul suolo egiziano. Innanzi ad essi si apriva una vasta pianura interrotta da verdi praterie in cui pascolava il bestiame.

Vidi anche degli alberi nei quali stavano scolpiti gli idoli dalla figura di fanciulli fasciati in larghe bende.

Tutt’intorno si vedevano uomini di rozza statura, vestiti come quelli che filavano il cotone nel paese confinante con quello dei Magi.

Costoro si inchinavano in adorazione dinanzi ai loro idoli. Appena entrarono in Egitto, Maria e Giuseppe non sapevano come nutrire il loro Bambino perché mancavano di tutto. Essi soffrirono tutte le povertà umane; nessuno voleva dare niente a quegli stranieri...



La fonte miracolosa e il giardino dalle piante balsamiche[163]

All’indomani i Santi Profughi proseguirono la via attraversando aride e sabbiose zone desertiche, li vidi spossati fino all’estremo limite delle proprie forze. Si sedettero su una piccola duna, mentre la Santa Vergine entrò in profonda contemplazione per innalzare a Dio un’ardente preghiera e una devota supplica.

Mentre pregava, le scaturì accanto una fonte d’acqua abbondante e cristallina che serpeggiò sul terreno.

Giuseppe scavò profondamente alla fonte un bacino, poi fece un canale che servisse allo scolo dell’acqua. Mentre Maria lavava il Bambino, Giuseppe abbeverava l’asino e riempiva gli otri. Poi si riposarono. Frattanto orribili animali, simili nella forma a grandi lucertole e a testuggini, vennero a dissetarsi all'acqua del nuovo ruscello. Come le altre volte, non fecero alcun male alla Santa Famiglia, anzi mi sembrò che la guardassero quasi con gratitudine.

Il paesaggio intorno, benedetto dalla sorgente d’acqua, risorse a vera vita.

Gli alberi fruttificarono e vicino ad essi crebbero persino alcune piante curative. Quel luogo sarebbe divenuto un giorno una nota oasi con un giardino di piante balsamiche dove numerose persone vi avrebbero dimorato stabilmente...

... Ai tempi d’Israele[164] vi abitava Putifar, il sacerdote egiziano, la cui figlia, Asenet, sposò il patriarca Giuseppe. La guerra aveva distrutto la città e fiaccato gli abitanti, i quali avevano poi ricostruito nuove abitazioni sulle rovine di quelle precedenti.

Passando sopra un lungo ponte, i Santi Fuggiaschi attraversarono un fiume larghissimo (il Nilo) che mi parve si dividesse in più bracci. Giunsero in una piazza che si apriva davanti alla porta della città ed era circondata da una specie di pubblico passaggio.

Su di una colonna, larga alla base e stretta alla cima, si mostrava un grand’idolo con la testa di bue che teneva tra le braccia una specie di fantoccio.

I numerosi devoti che in grosse carovane uscivano dalla città, usavano deporre le offerte sotto quest’idolo, sopra cerchi di pietra che parevano panche o sedili. Non lontano da questa statua pagana vi era una grande palma sotto la cui ombra si era seduta a riposare la Santa Famiglia.

Mentre se ne stavano seduti tranquillamente, un terremoto fece precipitare l’idolo. Il popolo, emettendo grida selvagge, si riversò sulla piazza e circondò minaccioso la Santa Famiglia, perché alcuni avevano gridato che loro sarebbero stati la causa del terremoto.

Appena la minaccia della gente diventò incombente, la terra incominciò a tremare ed il grosso albero si ripiegò tutto verso il terreno. L’idolo sprofondò in un cratere enorme che si era riempito di acqua fangosa e nerastra; si videro appena le corna spuntare dal fango. Alcuni fra i più violenti tumultuanti annegarono nella voragine oscura. A quella vista tutti gli altri si ritirarono timorosi. Quindi la Santa Famiglia entrò tranquillamente nella città e prese alloggio vicino ad un vasto tempio idolatra, in un locale all’interno di una grossa muraglia.



La Santa Famiglia lascia Eliopoli171

... La Santa Famiglia dimorava ad Eliopoli da circa un anno e mezzo. Giuseppe decise di abbandonare quel luogo perché mancava il lavoro e, inoltre, dovevano soffrire le persecuzioni della gente. Essi partirono dunque verso Menfi per stabilirsi a mezzogiorno di Eliopoli. Sulla strada fecero una sosta in una piccola città e, mentre erano assisi nell’atrio del tempio pubblico, l'idolo che vi si trovava crollò e si frantumò in mille pezzi. Questo aveva la testa di bue, tre corna e molti buchi nel corpo, nei quali si ponevano le vittime che dovevano essere arse. Allora i sacerdoti idolatri, sdegnati, si riunirono e minacciarono la Santa Famiglia. Accadde però che uno di questi improvvisamente fu memore delle sciagure subite dai loro antenati quando perseguitavano gli ebrei, allora i Santi Profughi furono lasciati in libertà.

Continuando il cammino Giuseppe, Gesù e Maria giunsero a Troja, posta a mezzogiorno del fiume Nilo e dirimpetto a Menfi. Vidi la città grande ma con vie assai sudice. Giuseppe e Maria ebbero l’intenzione di fermarsi qui, ma furono male accolti. Chiesero datteri e un po’ d’acqua e non ne ricevettero da alcuno. Menfi giace su ambedue le rive del Nilo, che in questo luogo è assai largo e forma molte isole. Sulla riva orientale, al tempo del Faraone, vi era un magnifico palazzo circondato da giardini; sull’alta torre spesso saliva la figlia del re.

Vidi anche il luogo preciso in cui fu rinvenuto Mosé nel canestro galleggiante sulle acque.

Menfi poteva essere considerata una sola grande città con Eliopoli e Babilonia, perché nei tempi antichi questi tre agglomerati erano congiunti tra loro da un immenso numero di caseggiati e costruzioni varie. Ai tempi della Santa Famiglia, siccome molte di quelle costruzioni erano cadute in rovina, non esisteva più la continuità di caseggiati che legava le tre città tra le due sponde del Nilo.

Scendendo lungo il corso del fiume i nostri abbandonarono Troja e giunsero a Babilonia, città sudicia e brutta. Proseguirono e passarono per un argine che sarà percorso pure da Gesù molti anni dopo, quando risusciterà Lazzaro e poi attraverserà l’Egitto per raggiungere i suoi discepoli a Sichar.

I Santi Profughi costeggiarono così il Nilo per altre due ore seguendo una strada ingombra di rovine; poi, superato un braccio del fiume, ovvero un canale, giunsero ad un paese il cui nome fu più tardi Matarea. Questo luogo, circondato dal deserto, aveva le abitazioni per la maggior parte fatte di legno di dattero e cementate col fango disseccato; il tetto consisteva in giunchi intrecciati tra loro.

Giuseppe trovò molto lavoro in questa città poiché erigeva case più solide per mezzo di tavolate di vimini.

Non lontano dalla porta attraverso la quale erano entrati in città, vi era un luogo solitario in cui la Famiglia decise di stabilire la dimora e un laboratorio per le attività di Giuseppe. Anche in questo paese, appena giunti, l’idolo di un piccolo tempio rovinò al suolo. Il popolo infuriato, fu acquietato da un sacerdote illuminato che rammentò loro i flagelli dai quali il popolo egiziano era stato mortificato.

Qualche tempo dopo, poiché molti ebrei e pagani convertiti si erano uniti alla Sacra Famiglia, i sacerdoti abbandonarono a questa nuova comunità il piccolo tempio dov’era crollato l’idolo.

Giuseppe fece di esso una sinagoga, divenendo la guida e il padre spirituale della comunità. Egli ripristinò il culto che era stato alterato, e insegnò il canto dei salmi. Abitavano in questa città molti ebrei poverissimi. Le loro abitazioni erano fosse o edifici in rovina.

A due ore di cammino, fra On ed il Nilo, vi era un paese popolato da parecchi ebrei, dove gli abitanti erano caduti nell’idolatria più deplorabile; adoravano un vitello d’oro e un’altra figura dalla testa di bue, circondata da certi simboli di animali simili alla faina.

Essi possedevano inoltre una specie di arca in cui conservavano oggetti orribili. Terribile era il loro rito idolatra, e ancor più disgustose erano certe sfrenatezze cui si davano in sale sotterranee, attraverso le quali credevano di accelerare la venuta del Messia. Nella loro ostinazione non volevano in alcun modo ravvedersi.

La comunità di Giuseppe però finì per rappresentare il punto d’attrazione di numerosi ebrei di questo culto pagano.

Gli ebrei della terra di Gosen avevano già conosciuto la Sacra Famiglia ad On, quando la Santa Vergine si era occupata di fare maglie unendo ed intrecciando giunchi. Questo solo per soddisfare le necessità essenziali della gente. Infatti, per quanto Maria avesse necessità di guadagnare, la vidi spesso rifiutare certi lavori ordinati da donne per soddisfare i capricci della vanità femminile. In risposta ai suoi bonari rifiuti udii quelle donne ingiuriarla con espressioni grossolane.



Matarea: la Santa Vergine scopre una fonte vicino alla sua dimora172

Anche in Matarea, dove altra acqua non si conosceva che quella fangosa del Nilo, Maria fu esaudita nella sua preghiera rinvenendo una fonte naturale sotterranea. I primi tempi trascorsi in questo luogo furono veramente difficili innanzitutto per la scarsità d'acqua. Infatti la Santa Famiglia soffrì molte privazioni vivendo solamente di frutta e di acqua pessima.

Già da molto tempo, Maria e Giuseppe cercavano invano una fonte d’acqua pura; Giuseppe si era già preparato ad andare nel deserto con l’asino, dove presso il boschetto di erbe balsamiche avrebbe trovato l’acqua con cui riempire gli otri. Ma avendo la Santa Vergine pregato il Signore con molta insistenza, un Angelo le svelò l’esistenza di una fonte d’acqua dietro la loro abitazione.

Subito dopo la rivelazione, oltrepassando la muraglia che circondava la casa, Maria discese in una bassa spianata dove in mezzo ad un cumulo di rovine si vedeva un vecchio e grosso albero. Ella teneva in mano una verga che portava all’estremità una paletta. Con questa batté il terreno presso l’albero e subito ne scaturì una fonte limpida e purissima.

Piena di gioia, Maria corse ad avvertire Giuseppe che aprì meglio l’imboccatura della fonte. Quell’apertura, allora otturata, era già esistita in tempi antichissimi, infatti si conservavano ancora perfettamente alcune muraglie di un antico pozzo.

Giuseppe la riaprì di nuovo e la circondò assai abilmente di pietre. Dalla parte in cui Maria aveva battuto il terreno quando si era avvicinata all’antico pozzo, si trovava una grossa pietra che sembrava fosse servita da altare per antichi culti.

Qui la Santa Vergine metteva spesso ad asciugare al sole le vesti ed i panni di Gesù.

La riapertura del pozzo rimase sconosciuta agli altri e se ne servì solo la Santa Famiglia, finché vidi Gesù condurre gli altri fanciulli in questo luogo benedetto e dare loro da bere in una foglia ripiegata a forma di cono.

Quando i fanciulli raccontarono il fatto ai loro parenti, vidi giungere altra gente al pozzo, che da allora in poi servì principalmente ai giudei di Matarea.

Vidi anche quando Gesù per la prima volta portò l’acqua a sua madre. Egli si accostò di soppiatto al pozzo con un secchio, ne attinse l’acqua e la portò a sua madre mentre questa pregava in ginocchio. Vidi la Madonna commuoversi indicibilmente e, sempre rimanendo inginocchiata, lo pregò di non farlo più perché avrebbe corso il rischio di cadere nel pozzo. Gesù rispose che avrebbe avuto cura di sé, ma che desiderava attingere l’acqua ogni qualvolta Lei ne avesse bisogno.

Il piccolo Gesù prestava ai suoi genitori servizi di ogni specie con grande cura e attenzione.

Quando Giuseppe lavorava non troppo lontano da casa ed aveva dimenticato qualche arnese, Egli subito glielo portava, lo credo che la gioia dei genitori per quel Figlio così diligente fosse tanto grande da alleviare loro ogni altro dolore. Vidi Gesù recarsi parecchie volte ad un paese ebreo, distante circa un miglio da Matarea, per scambiare il lavoro di sua madre con il pane. I numerosi animali feroci che si aggiravano in quei dintorni non solo non gli facevano del male ma si comportavano con Lui amichevolmente. Lo vidi giocare perfino con i serpenti.

A cinque o sei anni Egli si recò per la prima volta da solo al paese ebreo, due Angeli gli apparvero lungo la via e gli comunicarono che Erode il Grande era morto. Gesù allora s’inginocchiò e pregò; quel giorno Egli indossava una tunica di color bruno, ornata di fiori gialli, che gli aveva confezionato la Santa Madre. Il Pargoletto divino non rivelò questa vicenda ai suoi Genitori, forse per umiltà o per il divieto degli Angeli, perché non dovevano ancora abbandonare l’Egitto.



Il pozzo di Matarea173

Il pozzo di Matarea fu dunque di nuovo riattivato grazie al miracolo operato dalla Santa Vergine. Benché fosse caduto in rovina da molto tempo era ancora internamente murato.

Vidi che anticamente, quando Giacobbe aveva soggiornato in Egitto, precisamente in quello stesso luogo, egli aveva scoperto il pozzo e aveva compiuto un sacrificio sulla grande pietra che lo copriva.

Al tempo in cui Abramo era andato a vivere in Egitto, aveva eretto le sue tende proprio presso il pozzo di Maratea e là aveva istruito il popolo radunato.

Per alcuni anni Abramo aveva dimorato in questo paese insieme a Sara, a numerosi fanciulli e ragazze, le cui madri erano rimaste nella Caldea. Temendo che a causa della bellezza di Sara, sua consorte, gli egiziani avrebbero potuto assassinarlo, aveva detto che questa era sua sorella. Non era falso perché Sara era veramente sua sorella adottiva ed era figlia di Tharah, padre di Abramo e di un’altra madre[165]. Il re aveva fatto condurre Sara nel suo castello e voleva prenderla in moglie. Allora Sara ed Abramo pregarono Dio; subito dopo, il re, le sue mogli e tutte le donne della città si ammalarono. Quando il sovrano chiese agli indovini quale fosse la causa di tanto male, gli fu risposto che la causa era la moglie di Abramo. Il re allora gliela restituì, pregandolo di abbandonare subito l’Egitto, poiché egli riconosceva in Abramo la protezione degli dèi.

Abramo gli rispose che non poteva lasciare l’Egitto se prima non avesse avuto l’albero genealogico della sua famiglia, e narrò in qual modo quell’albero fosse colà pervenuto.

Il sovrano, consultati i sacerdoti, fece restituire ad Abramo quanto gli apparteneva, domandandogli il permesso di poter tenere nei suoi scritti memoria dell’avvenimento. Così Abramo ritornò col suo seguito nel paese di Canaan.

Già all’epoca della Santa Famiglia i lebbrosi conoscevano il pozzo di Matarea quale fonte taumaturgica assai efficace per guarire la loro malattia. Molto tempo dopo, in questo luogo fu innalzata una piccola chiesa cristiana. Presso l’altare vi era l’entrata attraverso la quale si accedeva all’antica dimora di Maria.

Il  pozzo era circondato da case, e le proprietà terapeutiche dell’acqua continuarono per secoli ad essere usate con grande efficacia contro numerose malattie, in particolare la lebbra. Alcuni, lavandosi con quell’acqua, perdevano subito il fetore che emanava dal loro corpo. Quest’uso perdurò ancora ai tempi dei maomettani. Vidi che i turchi tenevano sempre accesa una luce nella chiesa di Matarea; essi temevano persino qualche sciagura se avessero trascurato di accenderla. Nei tempi odierni il pozzo è finito lontano dall’abitato, circondato da molti alberi selvatici.




Brentano - Emmerick: Misteri AT 2200