Evangelium vitae 74

"Amerai il prossimo tuo come te stesso": "promuovi" la vita.

(Lc 10,27)
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75. I comandamenti di Dio ci insegnano la via della vita. Iprecetti morali negativi, cioè quelli che dichiarano moralmente inaccettabile la scelta di una determinata azione, hanno un valore assoluto per la libertà umana: essi valgono sempre e comunque, senza eccezioni. Indicano che la scelta di determinati comportamenti è radicalmente incompatibile con l'amore verso Dio e con la dignità della persona, creata a sua immagine: tale scelta, perciò, non può essere riscattata dalla bontà di nessuna intenzione e di nessuna conseguenza, è in contrasto insanabile con la comunione tra le persone, contraddice la decisione fondamentale di orientare la propria vita a Dio.99

Già in questo senso i precetti morali negativi hanno un'importantissima funzione positiva: il "no" che esigono incondizionatamente dice il limite invalicabile al di sotto del quale l'uomo libero non può scendere e, insieme, indica il minimo che egli deve rispettare e dal quale deve partire per pronunciare innumerevoli "si", capaci di occupare progressivamente l'intero orizzonte del bene (
Mt 5,48). I comandamenti, in particolare i precetti morali negativi, sono l'inizio e la prima tappa necessaria del cammino verso la libertà: "La prima libertà - scrive sant'Agostino - consiste nell'essere esenti da crimini... come sarebbero l'omicidio, l'adulterio, la fornicazione, il furto, la frode, il sacrilegio e così via. Quando uno comincia a non avere questi crimini (e nessun cristiano deve averli), comincia a levare il capo verso la libertà, ma questo non è che l'inizio della libertà, non la libertà perfetta".100

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76. Il comandamento "non uccidere" stabilisce quindi il punto di partenza di un cammino di vera libertà, che ci porta a promuovere attivamente la vita e sviluppare determinati atteggiamenti e comportamenti al suo servizio: così facendo esercitiamo la nostra responsabilità verso le persone che ci sono affidate e manifestiamo, nei fatti e nella verità, la nostra riconoscenza a Dio per il grande dono della vita (cf. Sal 139/138, 13-14).

Il Creatore ha affidato la vita dell'uomo alla sua responsabile sollecitudine, non perché ne disponga in modo arbitrario, ma perché la custodisca con saggezza e la amministri con amorevole fedeltà. Il Dio dell'Alleanza ha affidato la vita di ciascun uomo all'altro uomo suo fratello, secondo la legge della reciprocità del dare e del ricevere, del dono di sé e dell'accoglienza dell'altro. Nella pienezza dei tempi, incarnandosi e donando la sua vita per l'uomo, il Figlio di Dio ha mostrato a quale altezza e profondità possa giungere questa legge della reciprocità. Con il dono del suo Spirito, Cristo dà contenuti e significati nuovi alla legge della reciprocità, all'affidamento dell'uomo all'uomo. Lo Spirito, che è artefice di comunione nell'amore, crea tra gli uomini una nuova fraternità e solidarietà, vero riflesso del mistero di reciproca donazione e accoglienza proprio della Trinità santissima. Lo stesso Spirito diventa la legge nuova, che dona ai credenti la forza e sollecita la loro responsabilità per vivere reciprocamente il dono di sé e l'accoglienza dell'altro, partecipando all'amore stesso di Gesù Cristo e secondo la sua misura.

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77. Da questa legge nuova viene animato e plasmato anche il comandamento del "non uccidere". Per il cristiano, quindi, esso implica in definitiva l'imperativo di rispettare, amare e promuovere la vita di ogni fratello, secondo le esigenze e le dimensioni dell'amore di Dio in Gesù Cristo. "Egli ha dato la sua vita per noi; quindi anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli" (
1Jn 3,16).

Il comandamento del "non uccidere", anche nei suoi contenuti più positivi di rispetto, amore e promozione della vita umana, vincola ogni uomo. Esso, infatti, risuona nella coscienza morale di ciascuno come un'eco insopprimibile dell'alleanza originaria di Dio creatore con l'uomo; da tutti può essere conosciuto alla luce della ragione e può essere osservato grazie all'opera misteriosa dello Spirito che, soffiando dove vuole (Jn 3,8), raggiunge e coinvolge ogni uomo che vive in questo mondo.

E dunque un servizio d'amore quello che tutti siamo impegnati ad assicurare al nostro prossimo, perché la sua vita sia difesa e promossa sempre, ma soprattutto quando è più debole o minacciata. E una sollecitudine non solo personale ma sociale, che tutti dobbiamo coltivare, ponendo l'incondizionato rispetto della vita umana a fondamento di una rinnovata società.

Ci è chiesto di amare e onorare la vita di ogni uomo e di ogni donna e di lavorare con costanza e con coraggio, perché nel nostro tempo, attraversato da troppi segni di morte, si instauri finalmente una nuova cultura della vita, frutto della cultura della verità e dell'amore.


CAPITOLO IV

L'AVETE FATTO A ME

PER UNA NUOVA CULTURA DELLA VITA UMANA

"Voi siete il popolo che Dio si è acquistato perché proclami le sue opere meravigliose" (1P 2,9): il popolo della vita e per la vita

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78. La Chiesa ha ricevuto il Vangelo come annuncio e fonte di gioia e di salvezza. L'ha ricevuto in dono da Gesù, inviato dal Padre "per annunziare ai poveri un lieto messaggio" (
Lc 4,18). L'ha ricevuto mediante gli Apostoli, da Lui mandati in tutto il mondo (Mc 16,15 Mt 28,19-20). Nata da questa azione evangelizzatrice, la Chiesa sente risuonare in se stessa ogni giorno la parola ammonitrice dell'Apostolo: "Guai a me se non predicassi il Vangelo" (1Co 9,16). "Evangelizzare, infatti, - come scriveva Paolo VI - è la grazia e la vocazione propria della Chiesa, la sua identità più profonda. Essa esiste per evangelizzare".101

L'evangelizzazione è un'azione globale e dinamica, che coinvolge la Chiesa nella sua partecipazione alla missione profetica, sacerdotale e regale del Signore Gesù. Essa, pertanto, comporta inscindibilmente le dimensioni dell'annuncio, della celebrazione e del servizio della carità. E un atto profondamente ecclesiale, che chiama in causa tutti i diversi operai del Vangelo, ciascuno secondo i propri carismi e il proprio ministero.

Così è anche quando si tratta di annunciare il Vangelo della vita, parte integrante del Vangelo che è Gesù Cristo. Di questo Vangelo noi siamo al servizio, sostenuti dalla consapevolezza di averlo ricevuto in dono e di essere inviati a proclamarlo a tutta l'umanità "fino agli estremi confini della terra" (Ac 1,8). Nutriamo perciò umile e grata coscienza di essere il popolo della vita e per la vita e in tal modo ci presentiamo davanti a tutti.

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79. Siamo il popolo della vita perché Dio, nel suo amore gratuito, ci ha donato il Vangelo della vita e da questo stesso Vangelo noi siamo stati trasformati e salvati. Siamo stati riconquistati dall' "autore della vita" (
Ac 3,15) a prezzo del suo sangue prezioso (1Co 6,20 1Co 7,23 1P 1,19) e mediante il lavacro battesimale siamo stati inseriti in lui (Rm 6,4-5 Col 2,12), come rami che dall'unico albero traggono linfa e fecondità (Jn 15,5). Rinnovati interiormente dalla grazia dello Spirito, "che è Signore e dà la vita", siamo diventati un popolo per la vita e come tali siamo chiamati a comportarci.

Siamo mandati: essere al servizio della vita non è per noi un vanto, ma un dovere, che nasce dalla coscienza di essere "il popolo che Dio si è acquistato perché proclami le sue opere meravigliose" (1P 2,9). Nel nostro cammino ci guida e ci sostiene la legge dell'amore: è l'amore di cui è sorgente e modello il Figlio di Dio fatto uomo, che "morendo ha dato la vita al mondo".102

Siamo mandati come popolo. L'impegno a servizio della vita grava su tutti e su ciascuno. E una responsabilità propriamente "ecclesiale", che esige l'azione concertata e generosa di tutti i membri e di tutte le articolazioni della comunità cristiana. Il compito comunitario pero non elimina né diminuisce la responsabilità della singola persona, alla quale è rivolto il comando del Signore a "farsi prossimo" di ogni uomo: "Và e anche tu fà lo stesso" (Lc 10,37).

Tutti insieme sentiamo il dovere di annunciare il Vangelo della vita, di celebrarlo nella liturgia e nell'intera esistenza, diservirlo con le diverse iniziative e strutture di sostegno e di promozione.

"Quello che abbiamo veduto e udito noi lo annunziamo anche a voi": annunciare il Vangelo della vita

(1Jn 1,3)
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80. "Ciò che era fin da principio, ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita... noi lo annunziamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi" (
1Jn 1,1 1Jn 1,3). Gesù è l'unico Vangelo: noi non abbiamo altro da dire e da testimoniare.

E proprio l'annuncio di Gesù ad essere annuncio della vita. Egli, infatti, è "il Verbo della vita" (1Jn 1,1). In lui "la vita si è fatta visibile" (1Jn 1,2); anzi lui stesso è "la vita eterna, che era presso il Padre e si è resa visibile a noi" (ivi). Questa stessa vita, grazie al dono dello Spirito, è stata comunicata all'uomo. Ordinata alla vita in pienezza, la "vita eterna", anche la vita terrena di ciascuno acquista il suo senso pieno.

Illuminati da questo Vangelo della vita, sentiamo il bisogno di proclamarlo e di testimoniarlo nella novità sorprendente che lo contraddistingue: poiché si identifica con Gesù stesso, apportatore di ogni novità 103 e vincitore della "vecchiezza" che deriva dal peccato e porta alla morte,104 tale Vangelo supera ogni aspettativa dell'uomo e svela a quali sublimi altezze viene elevata, per grazia, la dignità della persona. così la contempla san Gregorio di Nissa: "L'uomo che, tra gli esseri, non conta nulla, che è polvere, erba, vanità, una volta che è adottato dal Dio dell'universo come figlio, diventa familiare di questo Essere, la cui eccellenza e grandezza nessuno può vedere, ascoltare e comprendere. Con quale parola, pensiero o slancio dello spirito si potrà esaltare la sovrabbondanza di questa grazia? L'uomo sorpassa la sua natura: da mortale diventa immortale, da perituro imperituro, da effimero eterno, da uomo diventa dio".105

La gratitudine e la gioia per l'incommensurabile dignità dell'uomo ci spinge a rendere tutti partecipi di questo messaggio: "Quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunciamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi" (1Jn 1,3). E necessario far giungere il Vangelo della vita al cuore di ogni uomo e donna e immetterlo nelle pieghe più recondite dell'intera società.

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81. Si tratta di annunciare anzitutto il centro di questo Vangelo. Esso è annuncio di un Dio vivo e vicino, che ci chiama a una profonda comunione con sé e ci apre alla speranza certa della vita eterna; è affermazione dell'inscindibile legame che intercorre tra la persona, la sua vita e la sua corporeità; è presentazione della vita umana come vita di relazione, dono di Dio, frutto e segno del suo amore; è proclamazione dello straordinario rapporto di Gesù con ciascun uomo, che consente di riconoscere in ogni volto umano il volto di Cristo; è indicazione del "dono sincero di sé" quale compito e luogo di realizzazione piena della propria libertà.

Nello stesso tempo, si tratta di additare tutte le conseguenze di questo stesso Vangelo, che così si possono riassumere: la vita umana, dono prezioso di Dio, è sacra e inviolabile e per questo, in particolare, sono assolutamente inaccettabili l'aborto procurato e l'eutanasia; la vita dell'uomo non solo non deve essere soppressa, ma va protetta con ogni amorosa attenzione; la vita trova il suo senso nell'amore ricevuto e donato, nel cui orizzonte attingono piena verità la sessualità e la procreazione umana; in questo amore anche la sofferenza e la morte hanno un senso e, pur permanendo il mistero che le avvolge, possono diventare eventi di salvezza; il rispetto per la vita esige che la scienza e la tecnica siano sempre ordinate all'uomo e al suo sviluppo integrale; l'intera società deve rispettare, difendere e promuovere la dignità di ogni persona umana, in ogni momento e condizione della sua vita.

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82. Per essere veramente un popolo al servizio della vita dobbiamo, con costanza e coraggio, proporre questi contenuti fin dal primo annuncio del Vangelo e, in seguito, nella catechesi e nelle diverse forme di predicazione, nel dialogo personale e in ogni azione educativa. Agli educatori, insegnanti, catechisti e teologi, spetta il compito di mettere in risalto le ragioni antropologiche che fondano e sostengono il rispetto di ogni vita umana. In tal modo, mentre faremo risplendere l'originale novità del Vangelo della vita, potremo aiutare tutti a scoprire anche alla luce della ragione e dell'esperienza, come il messaggio cristiano illumini pienamente l'uomo e il significato del suo essere ed esistere; troveremo preziosi punti di incontro e di dialogo anche con i non credenti, tutti insieme impegnati a far sorgere una nuova cultura della vita.

Circondati dalle voci più contrastanti, mentre molti rigettano la sana dottrina intorno alla vita dell'uomo, sentiamo rivolta anche a noi la supplica indirizzata da Paolo a Timoteo: "Annunzia la parola, insisti in ogni occasione opportuna e non opportuna, ammonisci, rimprovera, esorta con ogni magnanimità e dottrina" (
2Tm 4,2). Questa esortazione deve risuonare con particolare vigore nel cuore di quanti, nella Chiesa, partecipano più direttamente, a diverso titolo, alla sua missione di "maestra" della verità. Risuoni innanzitutto per noi Vescovi: a noi per primi è chiesto di farci annunciatori instancabili delVangelo della vita; a noi è pure affidato il compito di vigilare sulla trasmissione integra e fedele dell'insegnamento riproposto in questa Enciclica e di ricorrere alle misure più opportune perché i fedeli siano preservati da ogni dottrina ad esso contraria. Una speciale attenzione dobbiamo porre perché nelle facoltà teologiche, nei seminari e nelle diverse istituzioni cattoliche venga diffusa, illustrata e approfondita la conoscenza della sana dottrina.106 L'esortazione di Paolo risuoni per tutti i teologi, per i pastori e per quanti altri svolgono compiti diinsegnamento, catechesi e formazione delle coscienze: consapevoli del ruolo ad essi spettante, non si assumano mai la grave responsabilità di tradire la verità e la loro stessa missione esponendo idee personali contrarie al Vangelo della vita quale il Magistero fedelmente ripropone e interpreta.

Nell'annunciare questo Vangelo, non dobbiamo temere l'ostilità e l'impopolarità, rifiutando ogni compromesso ed ambiguità, che ci conformerebbero alla mentalità di questo mondo (Rm 12,2). Dobbiamo essere nel mondo ma non del mondo (Jn 15,19 Jn 17,16), con la forza che ci viene da Cristo, che con la sua morte e risurrezione ha vinto il mondo (Jn 16,33).

"Ti lodo perché mi hai fatto come un prodigio": celebrare il Vangelo della vita

(Ps 139,14/138)
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83. Mandati nel mondo come "popolo per la vita", il nostro annuncio deve diventare anche una vera e propria celebrazione del Vangelo della vita. E anzi questa stessa celebrazione, con la forza evocativa dei suoi gesti, simboli e riti, a diventare luogo prezioso e significativo per trasmettere la bellezza e la grandezza di questo Vangelo.

A tal fine, urge anzitutto coltivare, in noi e negli altri, uno sguardo contemplativo.107 Questo nasce dalla fede nel Dio della vita, che ha creato ogni uomo facendolo come un prodigio (cf. Sal 139/138, 14). E lo sguardo di chi vede la vita nella sua profondità, cogliendone le dimensioni di gratuità, di bellezza, di provocazione alla libertà e alla responsabilità. E lo sguardo di chi non pretende d'impossessarsi della realtà, ma la accoglie come un dono, scoprendo in ogni cosa il riflesso del Creatore e in ogni persona la sua immagine vivente (
Gn 1,27 Sal Gn 8,6). Questo sguardo non si arrende sfiduciato di fronte a chi è nella malattia, nella sofferenza, nella marginalità e alle soglie della morte; ma da tutte queste situazioni si lascia interpellare per andare alla ricerca di un senso e, proprio in queste circostanze, si apre a ritrovare nel volto di ogni persona un appello al confronto, al dialogo, alla solidarietà.

E tempo di assumere tutti questo sguardo, ridiventando capaci, con l'animo colmo di religioso stupore, di venerare e onorare ogni uomo, come ci invitava a fare Paolo VI in uno dei suoi messaggi natalizi.108 Animato da questo sguardo contemplativo, il popolo nuovo dei redenti non può non prorompere in inni di gioia, di lode e di ringraziamento per il dono inestimabile della vita, per il mistero della chiamata di ogni uomo a partecipare in Cristo alla vita di grazia e a un'esistenza di comunione senza fine con Dio Creatore e Padre.

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84. Celebrare il Vangelo della vita significa celebrare il Dio della vita, il Dio che dona la vita: "Noi dobbiamo celebrare la Vita eterna, dalla quale procede qualsiasi altra vita. Da essa riceve la vita, proporzionalmente alle sue capacità, ogni essere che partecipa in qualche modo alla vita. Questa Vita divina, che è al di sopra di qualsiasi vita, vivifica e conserva la vita. Qualsiasi vita e qualsiasi movimento vitale procedono da questa Vita che trascende ogni vita ed ogni principio di vita. Ad essa le anime debbono la loro incorruttibilità, come pure grazie ad essa vivono tutti gli animali e tutte le piante, che ricevono della vita l'eco più debole. Agli uomini, esseri composti di spirito e di materia, la Vita dona la vita. Se poi ci accade di abbandonarla, allora la Vita, per il traboccare del suo amore verso l'uomo, ci converte e ci richiama a sé. Non solo: ci promette di condurci, anime e corpi, alla vita perfetta, all'immortalità. E troppo poco dire che questa Vita è viva: essa è Principio di vita, Causa e Sorgente unica di vita. Ogni vivente deve contemplarla e lodarla: è Vita che trabocca vita".109

Anche noi, come il Salmista, nella preghiera quotidiana, individuale e comunitaria, lodiamo e benediciamo Dio nostro Padre, che ci ha tessuti nel seno materno e ci ha visti e amati quando ancora eravamo informi (cf. Sal 139/138, 13. 15-16), ed esclamiamo con gioia incontenibile: "Ti lodo, perché mi hai fatto come un prodigio; sono stupende le tue opere, tu mi conosci fino in fondo" (Sal 139/138, 14). Si, "questa vita mortale è, nonostante i suoi travagli, i suoi oscuri misteri, le sue sofferenze, la sua fatale caducità, un fatto bellissimo, un prodigio sempre originale e commovente, un avvenimento degno d'essere cantato in gaudio e in gloria".110 Di più, l'uomo e la sua vita non ci appaiono solo come uno dei prodigi più alti della creazione: all'uomo Dio ha conferito una dignità quasi divina (cf. Sal 8, 6-7). In ogni bimbo che nasce e in ogni uomo che vive o che muore noi riconosciamo l'immagine della gloria di Dio: questa gloria noi celebriamo in ogni uomo, segno del Dio vivente, icona di Gesù Cristo.

Siamo chiamati ad esprimere stupore e gratitudine per la vita ricevuta in dono e ad accogliere, gustare e comunicare il Vangelo della vita non solo con la preghiera personale e comunitaria, ma soprattutto con le celebrazioni dell'anno liturgico. Sono qui da ricordare in particolare i Sacramenti, segni efficaci della presenza e dell'azione salvifica del Signore Gesù nell'esistenza cristiana: essi rendono gli uomini partecipi della vita divina, assicurando loro l'energia spirituale necessaria per realizzare nella sua piena verità il significato del vivere, del soffrire e del morire. Grazie ad una genuina riscoperta del senso dei riti e ad una loro adeguata valorizzazione, le celebrazioni liturgiche, soprattutto quelle sacramentali, saranno sempre più in grado di esprimere la verità piena sulla nascita, la vita, la sofferenza e la morte, aiutando a vivere queste realtà come partecipazione al mistero pasquale di Cristo morto e risorto.

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85. Nella celebrazione del Vangelo della vita occorre saperapprezzare e valorizzare anche i gesti e i simboli, di cui sono ricche le diverse tradizioni e consuetudini culturali e popolari. Sono momenti e forme di incontro con cui, nei diversi Paesi e culture, si manifestano la gioia per una vita che nasce, il rispetto e la difesa di ogni esistenza umana, la cura per chi soffre o è nel bisogno, la vicinanza all'anziano o al morente, la condivisione del dolore di chi è nel lutto, la speranza e il desiderio dell'immortalità.

In questa prospettiva, accogliendo anche il suggerimento offerto dai Cardinali nel Concistoro del 1991, propongo che si celebri ogni anno nelle varie Nazioni una Giornata per la Vita, quale già si attua ad iniziativa di alcune Conferenze Episcopali. E necessario che tale Giornata venga preparata e celebrata con l'attiva partecipazione di tutte le componenti della Chiesa locale. Suo scopo fondamentale è quello di suscitare, nelle coscienze, nelle famiglie, nella Chiesa e nella società civile, il riconoscimento del senso e del valore della vita umana in ogni suo momento e condizione, ponendo particolarmente al centro dell'attenzione la gravità dell'aborto e dell'eutanasia, senza tuttavia trascurare gli altri momenti e aspetti della vita, che meritano di essere presi di volta in volta in attenta considerazione, secondo quanto suggerito dall'evolversi della situazione storica.

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86. Nella logica del culto spirituale gradito a Dio (
Rm 12,1), la celebrazione del Vangelo della vita chiede di realizzarsi soprattutto nell'esistenza quotidiana, vissuta nell'amore per gli altri e nella donazione di se stessi. Sarà così tutta la nostra esistenza a farsi accoglienza autentica e responsabile del dono della vita e lode sincera e riconoscente a Dio che ci ha fatto tale dono. E quanto già avviene in tantissimi gesti di donazione, spesso umile e nascosta, compiuti da uomini e donne, bambini e adulti, giovani e anziani, sani e ammalati.

E in questo contesto, ricco di umanità e di amore, che nascono anche i gesti eroici. Essi sono la celebrazione più solenne del Vangelo della vita, perché lo proclamano con il dono totale di sé; sono la manifestazione luminosa del grado più elevato di amore, che è dare la vita per la persona amata (Jn 15,13); sono la partecipazione al mistero della Croce, nella quale Gesù svela quanto valore abbia per lui la vita di ogni uomo e come questa si realizzi in pienezza nel dono sincero di sé. Al di là dei fatti clamorosi, c'è l'eroismo del quotidiano, fatto di piccoli o grandi gesti di condivisione che alimentano un'autentica cultura della vita. Tra questi gesti merita particolare apprezzamento la donazione di organi compiuta in forme eticamente accettabili, per offrire una possibilità di salute e perfino di vita a malati talvolta privi di speranza.

A tale eroismo del quotidiano appartiene la testimonianza silenziosa, ma quanto mai feconda ed eloquente, di "tutte le madri coraggiose, che si dedicano senza riserve alla propria famiglia, che soffrono nel dare alla luce i propri figli, e poi sono pronte ad intraprendere ogni fatica, ad affrontare ogni sacrificio, per trasmettere loro quanto di meglio esse custodiscono in sé".111 Nel vivere la loro missione "non sempre queste madri eroiche trovano sostegno nel loro ambiente. Anzi, i modelli di civiltà, spesso promossi e propagati dai mezzi di comunicazione, non favoriscono la maternità. Nel nome del progresso e della modernità vengono presentati come ormai superati i valori della fedeltà, della castità, del sacrificio, nei quali si sono distinte e continuano a distinguersi schiere di spose e di madri cristiane... Vi ringraziamo, madri eroiche, per il vostro amore invincibile! Vi ringraziamo per l'intrepida fiducia in Dio e nel suo amore. Vi ringraziamo per il sacrificio della vostra vita... Cristo nel Mistero pasquale vi restituisce il dono che gli avete fatto. Egli infatti ha il potere di restituirvi la vita che gli avete portato in offerta".112

"Che giova, fratelli miei se uno dice di avere la fede ma non ha le opere?"

(Jc 2,14): servire il Vangelo della vita
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87. In forza della partecipazione alla missione regale di Cristo, il sostegno e la promozione della vita umana devono attuarsi mediante il servizio della carità, che si esprime nella testimonianza personale, nelle diverse forme di volontariato, nell'animazione sociale e nell'impegno politico. E, questa, un'esigenza particolarmente pressante nell'ora presente, nella quale la "cultura della morte" così fortemente si contrappone alla "cultura della vita" e spesso sembra avere il sopravvento. Ancor prima, pero, è un'esigenza che nasce dalla "fede che opera per mezzo della carità" (
Ga 5,6), come ci ammonisce la Lettera di Giacomo: "Che giova, fratelli miei, se uno dice di avere la fede ma non ha le opere? Forse che quella fede può salvarlo? Se un fratello o una sorella sono senza vestiti e sprovvisti del cibo quotidiano e uno di voi dice loro: "Andatevene in pace, riscaldatevi e saziatevi", ma non date loro il necessario per il corpo, che giova? così anche la fede: se non ha le opere, è morta in se stessa" (Jc 2,14-17).

Nel servizio della carità c'è un atteggiamento che ci deve animare e contraddistinguere: dobbiamo prenderci cura dell'altro in quanto persona affidata da Dio alla nostra responsabilità. Come discepoli di Gesù, siamo chiamati a farci prossimi di ogni uomo (Lc 10,29-37), riservando una speciale preferenza a chi è più povero, solo e bisognoso. Proprio attraverso l'aiuto all'affamato, all'assetato, al forestiero, all'ignudo, al malato, al carcerato - come pure al bambino non ancora nato, all'anziano sofferente o vicino alla morte - ci è dato di servire Gesù, come Egli stesso ha dichiarato: "Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me" (Mt 25,40). Per questo, non possiamo non sentirci interpellati e giudicati dalla pagina sempre attuale di san Giovanni Crisostomo: "Vuoi onorare il corpo di Cristo? Non trascurarlo quando si trova nudo. Non rendergli onore qui nel tempio con stoffe di seta, per poi trascurarlo fuori, dove patisce freddo e nudità".113

Il servizio della carità nei riguardi della vita deve essere profondamente unitario: non può tollerare unilateralismi e discriminazioni, perché la vita umana è sacra e inviolabile in ogni sua fase e situazione; essa è un bene indivisibile. Si tratta dunque di "prendersi cura" di tutta la vita e della vita di tutti. Anzi, ancora più profondamente, si tratta di andare fino alle radici stesse della vita e dell'amore.

Proprio partendo da un amore profondo per ogni uomo e donna, si è sviluppata lungo i secoli una straordinaria storia di carità, che ha introdotto nella vita ecclesiale e civile numerose strutture di servizio alla vita, che suscitano l'ammirazione di ogni osservatore non prevenuto. E una storia che, con rinnovato senso di responsabilità, ogni comunità cristiana deve continuare a scrivere con una molteplice azione pastorale e sociale. In tal senso si devono mettere in atto forme discrete ed efficaci diaccompagnamento della vita nascente, con una speciale vicinanza a quelle mamme che, anche senza il sostegno del padre, non temono di mettere al mondo il loro bambino e di educarlo. Analoga cura deve essere riservata alla vita nella marginalità o nella sofferenza, specie nelle sue fasi finali.

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88. Tutto questo comporta una paziente e coraggiosa opera educativa che solleciti tutti e ciascuno a farsi carico dei pesi degli altri (
Ga 6,2); richiede una continua promozione di vocazioni al servizio, in particolare tra i giovani; implica la realizzazione di progetti e iniziative concrete, stabili ed evangelicamente ispirate.

Molteplici sono gli strumenti da valorizzare con competenza e serietà di impegno. Alle sorgenti della vita, i centri per i metodi naturali di regolazione della fertilità vanno promossi come un valido aiuto per la paternità e maternità responsabili, nella quale ogni persona, a cominciare dal figlio, è riconosciuta e rispettata per se stessa e ogni scelta è animata e guidata dal criterio del dono sincero di sé. Anche i consultori matrimoniali e familiari, mediante la loro specifica azione di consulenza e di prevenzione, svolta alla luce di un'antropologia coerente con la visione cristiana della persona, della coppia e della sessualità, costituiscono un prezioso servizio per riscoprire il senso dell'amore e della vita e per sostenere e accompagnare ogni famiglia nella sua missione di "santuario della vita". A servizio della vita nascente si pongono pure i centri di aiuto alla vita e le case o i centri di accoglienza della vita. Grazie alla loro opera, non poche madri nubili e coppie in difficoltà ritrovano ragioni e convinzioni e incontrano assistenza e sostegno per superare disagi e paure nell'accogliere una vita nascente o appena venuta alla luce.

Di fronte alla vita in condizioni di disagio, di devianza, di malattia e di marginalità, altri strumenti - come le comunità di recupero per tossicodipendenti, le comunità alloggio per i minori o per i malati mentali, i centri di cura e accoglienza per malati di AIDS, le cooperative di solidarietà soprattutto per i disabili - sono espressione eloquente di ciò che la carità sa inventare per dare a ciascuno ragioni nuove di speranza e possibilità concrete di vita.

Quando poi l'esistenza terrena volge al termine, è ancora la carità a trovare le modalità più opportune perché gli anziani, specialmente se non autosufficienti, e i cosiddetti malati terminali possano godere di un'assistenza veramente umana e ricevere risposte adeguate alle loro esigenze, in particolare alla loro angoscia e solitudine. Insostituibile è in questi casi il ruolo delle famiglie; ma esse possono trovare grande aiuto nelle strutture sociali di assistenza e, quando necessario, nel ricorso alle cure palliative, avvalendosi degli idonei servizi sanitari e sociali, operanti sia nei luoghi di ricovero e cura pubblici che a domicilio.

In particolare, deve essere riconsiderato il ruolo degli ospedali, delle cliniche e delle case di cura: la loro vera identità non è solo quella di strutture nelle quali ci si prende cura dei malati e dei morenti, ma anzitutto quella di ambienti nei quali la sofferenza, il dolore e la morte vengono riconosciuti ed interpretati nel loro significato umano e specificamente cristiano. In modo speciale tale identità deve mostrarsi chiara ed efficace negli istituti dipendenti da religiosi o, comunque, legati alla Chiesa.

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89. Queste strutture e luoghi di servizio alla vita, e tutte le altre iniziative di sostegno e solidarietà che le situazioni potranno di volta in volta suggerire, hanno bisogno di essere animate da persone generosamente disponibili e profondamente consapevoli di quanto decisivo sia il Vangelo della vita per il bene dell'individuo e della società.

Peculiare è la responsabilità affidata agli operatori sanitari: medici, farmacisti, infermieri, cappellani, religiosi e religiose, amministratori e volontari. La loro professione li vuole custodi e servitori della vita umana. Nel contesto culturale e sociale odierno, nel quale la scienza e l'arte medica rischiano di smarrire la loro nativa dimensione etica, essi possono essere talvolta fortemente tentati di trasformarsi in artefici di manipolazione della vita o addirittura in operatori di morte. Di fronte a tale tentazione la loro responsabilità è oggi enormemente accresciuta e trova la sua ispirazione più profonda e il suo sostegno più forte proprio nell'intrinseca e imprescindibile dimensione etica della professione sanitaria, come già riconosceva l'antico e sempre attuale giuramento di Ippocrate, secondo il quale ad ogni medico è chiesto di impegnarsi per il rispetto assoluto della vita umana e della sua sacralità.

Il rispetto assoluto di ogni vita umana innocente esige anchel'esercizio dell'obiezione di coscienza di fronte all'aborto procurato e all'eutanasia. Il "far morire" non può mai essere considerato come una cura medica, neppure quando l'intenzione fosse solo quella di assecondare una richiesta del paziente: è, piuttosto, la negazione della professione sanitaria che si qualifica come un appassionato e tenace "si" alla vita. Anche la ricerca biomedica, campo affascinante e promettente di nuovi grandi benefici per l'umanità, deve sempre rifiutare sperimentazioni, ricerche o applicazioni che, misconoscendo l'inviolabile dignità dell'essere umano, cessano di essere a servizio degli uomini e si trasformano in realtà che, mentre sembrano soccorrerli, li opprimono.

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90. Uno specifico ruolo sono chiamate a svolgere le persone impegnate nel volontariato: esse offrono un apporto prezioso nel servizio alla vita, quando sanno coniugare capacità professionale e amore generoso e gratuito. Il Vangelo della vita le spinge ad elevare i sentimenti di semplice filantropia all'altezza della carità di Cristo; a riconquistare ogni giorno, tra fatiche e stanchezze, la coscienza della dignità di ogni uomo; ad andare alla scoperta dei bisogni delle persone iniziando - se necessario - nuovi cammini là dove più urgente è il bisogno e più deboli sono l'attenzione e il sostegno.

Il realismo tenace della carità esige che il Vangelo della vita sia servito anche mediante forme di animazione sociale e di impegno politico, difendendo e proponendo il valore della vita nelle nostre società sempre più complesse e pluraliste. Singoli, famiglie, gruppi, realtà associative hanno, sia pure a titolo e in modi diversi, una responsabilità nell'animazione sociale e nell'elaborazione di progetti culturali, economici, politici e legislativi che, nel rispetto di tutti e secondo la logica della convivenza democratica, contribuiscano a edificare una società nella quale la dignità di ogni persona sia riconosciuta e tutelata, e la vita di tutti sia difesa e promossa.

Tale compito grava in particolare sui responsabili della cosa pubblica. Chiamati a servire l'uomo e il bene comune, hanno il dovere di compiere scelte coraggiose a favore della vita, innanzitutto nell'ambito delle disposizioni legislative. In un regime democratico, ove le leggi e le decisioni si formano sulla base del consenso di molti, può attenuarsi nella coscienza dei singoli che sono investiti di autorità il senso della responsabilità personale. Ma a questa nessuno può mai abdicare, soprattutto quando ha un mandato legislativo o decisionale, che lo chiama a rispondere a Dio, alla propria coscienza e all'intera società di scelte eventualmente contrarie al vero bene comune. Se le leggi non sono l'unico strumento per difendere la vita umana, esse pero svolgono un ruolo molto importante e talvolta determinante nel promuovere una mentalità e un costume. Ripeto ancora una volta che una norma che viola il diritto naturale alla vita di un innocente è ingiusta e, come tale, non può avere valore di legge. Per questo rinnovo con forza il mio appello a tutti i politici perché non promulghino leggi che, misconoscendo la dignità della persona, minano alla radice la stessa convivenza civile.

La Chiesa sa che, nel contesto di democrazie pluraliste, per la presenza di forti correnti culturali di diversa impostazione, è difficile attuare un'efficace difesa legale della vita. Mossa tuttavia dalla certezza che la verità morale non può non avere un'eco nell'intimo di ogni coscienza, essa incoraggia i politici, cominciando da quelli cristiani, a non rassegnarsi e a compiere quelle scelte che, tenendo conto delle possibilità concrete, portino a ristabilire un ordine giusto nell'affermazione e promozione del valore della vita. In questa prospettiva, occorre rilevare che non basta eliminare le leggi inique. Si dovranno rimuovere le cause che favoriscono gli attentati alla vita, soprattutto assicurando il dovuto sostegno alla famiglia e alla maternità: la politica familiare deve essere perno e motore di tutte le politiche sociali. Pertanto, occorre avviare iniziative sociali e legislative capaci di garantire condizioni di autentica libertà nella scelta in ordine alla paternità e alla maternità; inoltre è necessario reimpostare le politiche lavorative, urbanistiche, abitative e dei servizi, perché si possano conciliare tra loro i tempi del lavoro e quelli della famiglia e diventi effettivamente possibile la cura dei bambini e degli anziani.

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91. Un capitolo importante della politica per la vita è costituito oggi dalla problematica demografica. Le pubbliche autorità hanno certo la responsabilità di prendere "iniziative al fine di orientare la demografia della popolazione"; 114 ma tali iniziative devono sempre presupporre e rispettare la responsabilità primaria ed inalienabile dei coniugi e delle famiglie e non possono ricorrere a metodi non rispettosi della persona e dei suoi diritti fondamentali, a cominciare dal diritto alla vita di ogni essere umano innocente. E, quindi, moralmente inaccettabile che, per regolare le nascite, si incoraggi o addirittura si imponga l'uso di mezzi come la contraccezione, la sterilizzazione e l'aborto.

Ben altre sono le vie per risolvere il problema demografico: i Governi e le varie istituzioni internazionali devono innanzitutto mirare alla creazione di condizioni economiche, sociali, medico-sanitarie e culturali che consentano agli sposi di fare le loro scelte procreative in piena libertà e con vera responsabilità; devono poi sforzarsi di "potenzia re le possibilità e distribuire con maggiore giustizia le ricchezze, affinché tutti possano partecipare equamente ai beni del creato. Occorre creare soluzioni a livello mondiale, instaurando un'autentica economia di comunione e condivisione dei beni, sia sul piano internazionale che su quello nazionale".115 Questa sola è la strada che rispetta la dignità delle persone e delle famiglie, oltre che l'autentico patrimonio culturale dei popoli.

Vasto e complesso è dunque il servizio al Vangelo della vita. Esso ci appare sempre più come ambito prezioso e favorevole per una fattiva collaborazione con i fratelli delle altre Chiese e Comunità ecclesiali nella linea di quell'ecumenismo delle opere che il Concilio Vaticano II ha autorevolmente incoraggiato.116 Esso, inoltre, si presenta come spazio provvidenziale per il dialogo e la collaborazione con i seguaci di altre religioni e con tutti gli uomini di buona volontà: la difesa e la promozione della vita non sono monopolio di nessuno, ma compito e responsabilità di tutti. La sfida che ci sta di fronte, alla vigilia del terzo millennio, è ardua: solo la concorde cooperazione di quanti credono nel valore della vita potrà evitare una sconfitta della civiltà dalle conseguenze imprevedibili.



Evangelium vitae 74