Evangelii gaudium IT 98

No alla guerra tra di noi

98 All’interno del Popolo di Dio e nelle diverse comunità, quante guerre! Nel quartiere, nel posto di lavoro, quante guerre per invidie e gelosie, anche tra cristiani! La mondanità spirituale porta alcuni cristiani ad essere in guerra con altri cristiani che si frappongono alla loro ricerca di potere, di prestigio, di piacere o di sicurezza economica. Inoltre, alcuni smettono di vivere un’appartenenza cordiale alla Chiesa per alimentare uno spirito di contesa. Più che appartenere alla Chiesa intera, con la sua ricca varietà, appartengono a questo o quel gruppo che si sente differente o speciale.


99 Il mondo è lacerato dalle guerre e dalla violenza, o ferito da un diffuso individualismo che divide gli esseri umani e li pone l’uno contro l’altro ad inseguire il proprio benessere. In vari Paesi risorgono conflitti e vecchie divisioni che si credevano in parte superate. Ai cristiani di tutte le comunità del mondo desidero chiedere specialmente una testimonianza di comunione fraterna che diventi attraente e luminosa. Che tutti possano ammirare come vi prendete cura gli uni degli altri, come vi incoraggiate mutuamente e come vi accompagnate: « Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri » (Jn 13,35). È quello che ha chiesto con intensa preghiera Gesù al Padre: « Siano una sola cosa … in noi … perché il mondo creda » (Jn 17,21). Attenzione alla tentazione dell’invidia! Siamo sulla stessa barca e andiamo verso lo stesso porto! Chiediamo la grazia di rallegrarci dei frutti degli altri, che sono di tutti.


100 A coloro che sono feriti da antiche divisioni risulta difficile accettare che li esortiamo al perdono e alla riconciliazione, perché pensano che ignoriamo il loro dolore o pretendiamo di far perdere loro memoria e ideali. Ma se vedono la testimonianza di comunità autenticamente fraterne e riconciliate, questa è sempre una luce che attrae. Perciò mi fa tanto male riscontrare come in alcune comunità cristiane, e persino tra persone consacrate, si dia spazio a diverse forme di odio, divisione, calunnia, diffamazione, vendetta, gelosia, desiderio di imporre le proprie idee a qualsiasi costo, fino a persecuzioni che sembrano una implacabile caccia alle streghe. Chi vogliamo evangelizzare con questi comportamenti?


101 Chiediamo al Signore che ci faccia comprendere la legge dell’amore. Che buona cosa è avere questa legge! Quanto ci fa bene amarci gli uni gli altri al di là di tutto! Sì, al di là di tutto! A ciascuno di noi è diretta l’esortazione paolina: « Non lasciarti vincere dal male, ma vinci il male con il bene » (Rm 12,21). E ancora: « Non stanchiamoci di fare il bene » (Ga 6,9). Tutti abbiamo simpatie ed antipatie, e forse proprio in questo momento siamo arrabbiati con qualcuno. Diciamo almeno al Signore: “Signore, sono arrabbiato con questo, con quella. Ti prego per lui e per lei”. Pregare per la persona con cui siamo irritati è un bel passo verso l’amore, ed è un atto di evangelizzazione. Facciamolo oggi! Non lasciamoci rubare l’ideale dell’amore fraterno!


Altre sfide ecclesiali

102 I laici sono semplicemente l’immensa maggioranza del popolo di Dio. Al loro servizio c’è una minoranza: i ministri ordinati. È cresciuta la coscienza dell’identità e della missione del laico nella Chiesa. Disponiamo di un numeroso laicato, benché non sufficiente, con un radicato senso comunitario e una grande fedeltà all’impegno della carità, della catechesi, della celebrazione della fede. Ma la presa di coscienza di questa responsabilità laicale che nasce dal Battesimo e dalla Confermazione non si manifesta nello stesso modo da tutte le parti. In alcuni casi perché non si sono formati per assumere responsabilità importanti, in altri casi per non aver trovato spazio nelle loro Chiese particolari per poter esprimersi ed agire, a causa di un eccessivo clericalismo che li mantiene al margine delle decisioni. Anche se si nota una maggiore partecipazione di molti ai ministeri laicali, questo impegno non si riflette nella penetrazione dei valori cristiani nel mondo sociale, politico ed economico. Si limita molte volte a compiti intraecclesiali senza un reale impegno per l’applicazione del Vangelo alla trasformazione della società. La formazione dei laici e l’evangelizzazione delle categorie professionali e intellettuali rappresentano un’importante sfida pastorale.


103 La Chiesa riconosce l’indispensabile apporto della donna nella società, con una sensibilità, un’intuizione e certe capacità peculiari che sono solitamente più proprie delle donne che degli uomini. Ad esempio, la speciale attenzione femminile verso gli altri, che si esprime in modo particolare, anche se non esclusivo, nella maternità. Vedo con piacere come molte donne condividono responsabilità pastorali insieme con i sacerdoti, danno il loro contributo per l’accompagnamento di persone, di famiglie o di gruppi ed offrono nuovi apporti alla riflessione teologica. Ma c’è ancora bisogno di allargare gli spazi per una presenza femminile più incisiva nella Chiesa. Perché « il genio femminile è necessario in tutte le espressioni della vita sociale; per tale motivo si deve garantire la presenza delle donne anche nell’ambito lavorativo »[72] e nei diversi luoghi dove vengono prese le decisioni importanti, tanto nella Chiesa come nelle strutture sociali.

[72] Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, 295.


104 Le rivendicazioni dei legittimi diritti delle donne, a partire dalla ferma convinzione che uomini e donne hanno la medesima dignità, pongono alla Chiesa domande profonde che la sfidano e che non si possono superficialmente eludere. Il sacerdozio riservato agli uomini, come segno di Cristo Sposo che si consegna nell’Eucaristia, è una questione che non si pone in discussione, ma può diventare motivo di particolare conflitto se si identifica troppo la potestà sacramentale con il potere. Non bisogna dimenticare che quando parliamo di potestà sacerdotale « ci troviamo nell’ambito della funzione, non della dignità e della santità ».[73] Il sacerdozio ministeriale è uno dei mezzi che Gesù utilizza al servizio del suo popolo, ma la grande dignità viene dal Battesimo, che è accessibile a tutti. La configurazione del sacerdote con Cristo Capo – vale a dire, come fonte principale della grazia – non implica un’esaltazione che lo collochi in cima a tutto il resto. Nella Chiesa le funzioni « non danno luogo alla superiorità degli uni sugli altri ».[74] Di fatto, una donna, Maria, è più importante dei vescovi. Anche quando la funzione del sacerdozio ministeriale si considera “gerarchica”, occorre tenere ben presente che « è ordinata totalmente alla santità delle membra di Cristo ».[75] Sua chiave e suo fulcro non è il potere inteso come dominio, ma la potestà di amministrare il sacramento dell’Eucaristia; da qui deriva la sua autorità, che è sempre un servizio al popolo. Qui si presenta una grande sfida per i pastori e per i teologi, che potrebbero aiutare a meglio riconoscere ciò che questo implica rispetto al possibile ruolo della donna lì dove si prendono decisioni importanti, nei diversi ambiti della Chiesa.

[73] Giovanni Paolo II, Esort. ap. postsinodale, Christifideles laici (30 dicembre 1988),
CL 51: AAS 81 (1989), 493.
[74] Congregazione per la Dottrina della Fede, Dichiarazione Inter insigniores, sulla questione dell’ammissione della donna al sacerdozio ministeriale (15 ottobre 1976), VI: AAS 68 (1977) 115; citata in: Giovanni Paolo II, Esort. ap. postsinodale, Christifideles laici (30 dicembre 1988), CL 51 (nota 190): AAS 81 (1989), 493.
[75] Giovanni Paolo II, Lett. ap. Mulieris dignitatem (15 agosto 1988), MD 27: AAS 80 (1988), 1718.


105 La pastorale giovanile, così come eravamo abituati a svilupparla, ha sofferto l’urto dei cambiamenti sociali. I giovani, nelle strutture abituali, spesso non trovano risposte alle loro inquietudini, necessità, problematiche e ferite. A noi adulti costa ascoltarli con pazienza, comprendere le loro inquietudini o le loro richieste, e imparare a parlare con loro nel linguaggio che essi comprendono. Per questa stessa ragione le proposte educative non producono i frutti sperati. La proliferazione e la crescita di associazioni e movimenti prevalentemente giovanili si possono interpretare come un’azione dello Spirito che apre strade nuove in sintonia con le loro aspettative e con la ricerca di spiritualità profonda e di un senso di appartenenza più concreto. È necessario, tuttavia, rendere più stabile la partecipazione di queste aggregazioni all’interno della pastorale d’insieme della Chiesa.[76]

[76] Cfr Propositio 51.

106 Anche se non sempre è facile accostare i giovani, si sono fatti progressi in due ambiti: la consapevolezza che tutta la comunità li evangelizza e li educa, e l’urgenza che essi abbiano un maggiore protagonismo. Si deve riconoscere che, nell’attuale contesto di crisi dell’impegno e dei legami comunitari, sono molti i giovani che offrono il loro aiuto solidale di fronte ai mali del mondo e intraprendono varie forme di militanza e di volontariato. Alcuni partecipano alla vita della Chiesa, danno vita a gruppi di servizio e a diverse iniziative missionarie nelle loro diocesi o in altri luoghi. Che bello che i giovani siano “viandanti della fede”, felici di portare Gesù in ogni strada, in ogni piazza, in ogni angolo della terra!


107 In molti luoghi scarseggiano le vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata. Spesso questo è dovuto all’assenza nelle comunità di un fervore apostolico contagioso, per cui esse non entusiasmano e non suscitano attrattiva. Dove c’è vita, fervore, voglia di portare Cristo agli altri, sorgono vocazioni genuine. Persino in parrocchie dove i sacerdoti non sono molto impegnati e gioiosi, è la vita fraterna e fervorosa della comunità che risveglia il desiderio di consacrarsi interamente a Dio e all’evangelizzazione, soprattutto se tale vivace comunità prega insistentemente per le vocazioni e ha il coraggio di proporre ai suoi giovani un cammino di speciale consacrazione. D’altra parte, nonostante la scarsità di vocazioni, oggi abbiamo una più chiara coscienza della necessità di una migliore selezione dei candidati al sacerdozio. Non si possono riempire i seminari sulla base di qualunque tipo di motivazione, tanto meno se queste sono legate ad insicurezza affettiva, a ricerca di forme di potere, gloria umana o benessere economico.


108 Come ho già detto, non ho voluto offrire un’analisi completa, ma invito le comunità a completare ed arricchire queste prospettive a partire dalla consapevolezza delle sfide che le riguardano direttamente o da vicino. Spero che quando lo faranno tengano conto che, ogni volta che cerchiamo di leggere nella realtà attuale i segni dei tempi, è opportuno ascoltare i giovani e gli anziani. Entrambi sono la speranza dei popoli. Gli anziani apportano la memoria e la saggezza dell’esperienza, che invita a non ripetere stupidamente gli stessi errori del passato. I giovani ci chiamano a risvegliare e accrescere la speranza, perché portano in sé le nuove tendenze dell’umanità e ci aprono al futuro, in modo che non rimaniamo ancorati alla nostalgia di strutture e abitudini che non sono più portatrici di vita nel mondo attuale.


109 Le sfide esistono per essere superate. Siamo realisti, ma senza perdere l’allegria, l’audacia e la dedizione piena di speranza! Non lasciamoci rubare la forza missionaria!



CAPITOLO TERZO

L'ANNUNCIO DEL VANGELO

110 Dopo aver preso in considerazione alcune sfide della realtà attuale, desidero ora ricordare il compito che ci preme in qualunque epoca e luogo, perché « non vi può essere vera evangelizzazione senza l’esplicita proclamazione che Gesù è il Signore », e senza che vi sia un « primato della proclamazione di Gesù Cristo in ogni attività di evangelizzazione ».[77] Raccogliendo le preoccupazioni dei Vescovi asiatici, Giovanni Paolo II affermò che, se la Chiesa « deve compiere il suo destino provvidenziale, l’evangelizzazione, come gioiosa, paziente e progressiva predicazione della morte salvifica e della Risurrezione di Gesù Cristo, dev’essere la vostra priorità assoluta ».[78]Questo vale per tutti.

[77] Giovanni Paolo II, Esort. ap. postsinodale Ecclesia in Asia (6 novembre 1999), : AAS 92 (2000), 478.
[78] Ibid., : AAS 92 (2000), 451.


I. Tutto il Popolo di Dio annuncia il Vangelo

111 L’evangelizzazione è compito della Chiesa. Ma questo soggetto dell’evangelizzazione è ben più di una istituzione organica e gerarchica, poiché anzitutto è un popolo in cammino verso Dio. Si tratta certamente di un mistero che affonda le sue radici nella Trinità, ma che ha la sua concretezza storica in un popolo pellegrino ed evangelizzatore, che trascende sempre ogni pur necessaria espressione istituzionale. Propongo di soffermarci un poco su questo modo d’intendere la Chiesa, che trova il suo ultimo fondamento nella libera e gratuita iniziativa di Dio.


Un popolo per tutti

112 La salvezza che Dio ci offre è opera della sua misericordia. Non esiste azione umana, per buona che possa essere, che ci faccia meritare un dono così grande. Dio, per pura grazia, ci attrae per unirci a Sé.[79] Egli invia il suo Spirito nei nostri cuori per farci suoi figli, per trasformarci e per renderci capaci di rispondere con la nostra vita al suo amore. La Chiesa è inviata da Gesù Cristo come sacramento della salvezza offerta da Dio.[80] Essa, mediante la sua azione evangelizzatrice, collabora come strumento della grazia divina che opera incessantemente al di là di ogni possibile supervisione. Lo esprimeva bene Benedetto XVI aprendo le riflessioni del Sinodo: « È importante sempre sapere che la prima parola, l’iniziativa vera, l’attività vera viene da Dio e solo inserendoci in questa iniziativa divina, solo implorando questa iniziativa divina, possiamo anche noi divenire – con Lui e in Lui – evangelizzatori ».[81] Il principio del primato della grazia dev’essere un faro che illumina costantemente le nostre riflessioni sull’evangelizzazione.

[79] Cfr Propositio 4.
[80] Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. Lumen gentium sulla Chiesa,
LG 1.
[81] Meditazione durante la prima Congregazione generale della XIII Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi (8 ottobre 2012) : AAS 104 (2012), 897.

113 Questa salvezza, che Dio realizza e che la Chiesa gioiosamente annuncia, è per tutti,[82] e Dio ha dato origine a una via per unirsi a ciascuno degli esseri umani di tutti i tempi. Ha scelto di convocarli come popolo e non come esseri isolati.[83] Nessuno si salva da solo, cioè né come individuo isolato né con le sue proprie forze. Dio ci attrae tenendo conto della complessa trama di relazioni interpersonali che comporta la vita in una comunità umana. Questo popolo che Dio si è scelto e convocato è la Chiesa. Gesù non dice agli Apostoli di formare un gruppo esclusivo, un gruppo diélite. Gesù dice: « Andate e fate discepoli tutti i popoli » (Mt 28,19). San Paolo afferma che nel popolo di Dio, nella Chiesa « non c’è Giudeo né Greco... perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù » (Ga 3,28). Mi piacerebbe dire a quelli che si sentono lontani da Dio e dalla Chiesa, a quelli che sono timorosi e agli indifferenti: il Signore chiama anche te ad essere parte del suo popolo e lo fa con grande rispetto e amore!

[82] Cfr Propositio 6; Conc. Ecum. Vat. II, Cost. past. sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes, GS 22.
[83] Cfr Conc. Ecum. Vat.II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, LG 9.

114 Essere Chiesa significa essere Popolo di Dio, in accordo con il grande progetto d’amore del Padre. Questo implica essere il fermento di Dio in mezzo all’umanità. Vuol dire annunciare e portare la salvezza di Dio in questo nostro mondo, che spesso si perde, che ha bisogno di avere risposte che incoraggino, che diano speranza, che diano nuovo vigore nel cammino. La Chiesa dev'essere il luogo della misericordia gratuita, dove tutti possano sentirsi accolti, amati, perdonati e incoraggiati a vivere secondo la vita buona del Vangelo.


Un popolo dai molti volti

115 Questo Popolo di Dio si incarna nei popoli della Terra, ciascuno dei quali ha la propria cultura. La nozione di cultura è uno strumento prezioso per comprendere le diverse espressioni della vita cristiana presenti nel Popolo di Dio. Si tratta dello stile di vita di una determinata società, del modo peculiare che hanno i suoi membri di relazionarsi tra loro, con le altre creature e con Dio. Intesa così, la cultura comprende la totalità della vita di un popolo.[84] Ogni popolo, nel suo divenire storico, sviluppa la propria cultura con legittima autonomia.[85] Ciò si deve al fatto che la persona umana, « di natura sua ha assolutamente bisogno d’una vita sociale »[86] ed è sempre riferita alla società, dove vive un modo concreto di rapportarsi alla realtà. L’essere umano è sempre culturalmente situato: « natura e cultura sono quanto mai strettamente connesse ».[87] La grazia suppone la cultura, e il dono di Dio si incarna nella cultura di chi lo riceve.

[84] Cfr III Conferenza Generale dell’Episcopato Latino-americano e dei Caraibi, Documento di Puebla (23 marzo 1979), 386-387.
[85] Cfr Conc. Ecum. Vat.II, Cost. past. sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes,
GS 36.
[86] Ibid., GS 25.
[87] Ibid., GS 53.

116 In questi due millenni di cristianesimo, innumerevoli popoli hanno ricevuto la grazia della fede, l’hanno fatta fiorire nella loro vita quotidiana e l’hanno trasmessa secondo le modalità culturali loro proprie. Quando una comunità accoglie l’annuncio della salvezza, lo Spirito Santo ne feconda la cultura con la forza trasformante del Vangelo. In modo che, come possiamo vedere nella storia della Chiesa, il cristianesimo non dispone di un unico modello culturale, bensì, « restando pienamente se stesso, nella totale fedeltà all’annuncio evangelico e alla tradizione ecclesiale, esso porterà anche il volto delle tante culture e dei tanti popoli in cui è accolto e radicato ».[88] Nei diversi popoli che sperimentano il dono di Dio secondo la propria cultura, la Chiesa esprime la sua autentica cattolicità e mostra « la bellezza di questo volto pluriforme ».[89] Nelle espressioni cristiane di un popolo evangelizzato, lo Spirito Santo abbellisce la Chiesa, mostrandole nuovi aspetti della Rivelazione e regalandole un nuovo volto. Nell’inculturazione, la Chiesa « introduce i popoli con le loro culture nella sua stessa comunità »,[90] perché « i valori e le forme positivi » che ogni cultura propone « arricchiscono la maniera in cui il Vangelo è annunciato, compreso e vissuto ».[91] In tal modo « la Chiesa, assumendo i valori delle differenti culture, diventa “sponsa ornata monilibus suis”, “la sposa che si adorna con i suoi gioielli” (Is 61,10) » .[92]

[88] Giovanni Paolo II, Lett. ap. Novo Millennio ineunte (6 gennaio 2001), NM 40: AAS 93 (2001), 294-295.
[89] Ibid. NM 40: AAS 93 (2001), 295.
[90] Giovanni Paolo II, Lett. enc. Redemptoris missio (7 dicembre 1990), RMi 52: AAS 83 (1991), 299. Cfr Esort. ap.Catechesi Tradendae (16 ottobre 1979) CTR 53: AAS 71 (1979), 1321.
[91] Giovanni Paolo II, Esort. ap. postsinodale Ecclesia in Oceania (22 novembre 2001), 16: AAS 94 (2002), 384.
[92] Giovanni Paolo II, Esort. ap. postsinodale Ecclesia in Africa (14 settembre 1995), : AAS 88 (1996), 39.

117 Se ben intesa, la diversità culturale non minaccia l’unità della Chiesa. È lo Spirito Santo, inviato dal Padre e dal Figlio, che trasforma i nostri cuori e ci rende capaci di entrare nella comunione perfetta della Santissima Trinità, dove ogni cosa trova la sua unità. Egli costruisce la comunione e l’armonia del Popolo di Dio. Lo stesso Spirito Santo è l’armonia, così come è il vincolo d’amore tra il Padre e il Figlio.[93] Egli è Colui che suscita una molteplice e varia ricchezza di doni e al tempo stesso costruisce un’unità che non è mai uniformità ma multiforme armonia che attrae. L’evangelizzazione riconosce gioiosamente queste molteplici ricchezze che lo Spirito genera nella Chiesa. Non farebbe giustizia alla logica dell’incarnazione pensare ad un cristianesimo monoculturale e monocorde. Sebbene sia vero che alcune culture sono state strettamente legate alla predicazione del Vangelo e allo sviluppo di un pensiero cristiano, il messaggio rivelato non si identifica con nessuna di esse e possiede un contenuto transculturale. Perciò, nell’evangelizzazione di nuove culture o di culture che non hanno accolto la predicazione cristiana, non è indispensabile imporre una determinata forma culturale, per quanto bella e antica, insieme con la proposta evangelica. Il messaggio che annunciamo presenta sempre un qualche rivestimento culturale, però a volte nella Chiesa cadiamo nella vanitosa sacralizzazione della propria cultura, e con ciò possiamo mostrare più fanatismo che autentico fervore evangelizzatore.

[93] Cfr San Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae,
I 39,8, cons. 2: « Se si esclude lo Spirito Santo, che è il legame di entrambi, non si può comprendere la concordia dell’unità tra il Padre e il Figlio »; ibid., I 37,1, ad 3.


118 I Vescovi dell’Oceania hanno chiesto che lì la Chiesa « sviluppi una comprensione e una presentazione della verità di Cristo partendo dalle tradizioni e dalle culture della regione », e hanno sollecitato « tutti i missionari a operare in armonia con i cristiani indigeni per assicurare che la fede e la vita della Chiesa siano espresse in forme legittime appropriate a ciascuna cultura ».[94] Non possiamo pretendere che tutti i popoli di tutti i continenti, nell’esprimere la fede cristiana, imitino le modalità adottate dai popoli europei in un determinato momento della storia, perché la fede non può chiudersi dentro i confini della comprensione e dell’espressione di una cultura particolare.[95] È indiscutibile che una sola cultura non esaurisce il mistero della redenzione di Cristo.

[94] Giovanni Paolo II, Esort. ap. postsinodale Ecclesia in Oceania (22 novembre 2001), 17: AAS 94 (2002), 385.
[95] Cfr Giovanni Paolo II, Esort.. ap. postsinodale Ecclesia in Asia (6 novembre 1999), : AAS 92 (2000), 478-482.


Tutti siamo discepoli missionari

119 In tutti i battezzati, dal primo all’ultimo, opera la forza santificatrice dello Spirito che spinge ad evangelizzare. Il Popolo di Dio è santo in ragione di questa unzione che lo rende infallibile “in credendo”. Questo significa che quando crede non si sbaglia, anche se non trova parole per esprimere la sua fede. Lo Spirito lo guida nella verità e lo conduce alla salvezza.[96] Come parte del suo mistero d’amore verso l’umanità, Dio dota la totalità dei fedeli di un istinto della fede – il sensus fidei – che li aiuta a discernere ciò che viene realmente da Dio. La presenza dello Spirito concede ai cristiani una certa connaturalità con le realtà divine e una saggezza che permette loro di coglierle intuitivamente, benché non dispongano degli strumenti adeguati per esprimerle con precisione.

[96] Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium,
LG 12.


120 In virtù del Battesimo ricevuto, ogni membro del Popolo di Dio è diventato discepolo missionario (cfr Mt 28,19). Ciascun battezzato, qualunque sia la sua funzione nella Chiesa e il grado di istruzione della sua fede, è un soggetto attivo di evangelizzazione e sarebbe inadeguato pensare ad uno schema di evangelizzazione portato avanti da attori qualificati in cui il resto del popolo fedele fosse solamente recettivo delle loro azioni. La nuova evangelizzazione deve implicare un nuovo protagonismo di ciascuno dei battezzati. Questa convinzione si trasforma in un appello diretto ad ogni cristiano, perché nessuno rinunci al proprio impegno di evangelizzazione, dal momento che, se uno ha realmente fatto esperienza dell’amore di Dio che lo salva, non ha bisogno di molto tempo di preparazione per andare ad annunciarlo, non può attendere che gli vengano impartite molte lezioni o lunghe istruzioni. Ogni cristiano è missionario nella misura in cui si è incontrato con l’amore di Dio in Cristo Gesù; non diciamo più che siamo “discepoli” e “missionari”, ma che siamo sempre “discepoli-missionari”. Se non siamo convinti, guardiamo ai primi discepoli, che immediatamente dopo aver conosciuto lo sguardo di Gesù, andavano a proclamarlo pieni di gioia: « Abbiamo incontrato il Messia » (Jn 1,41). La samaritana, non appena terminato il suo dialogo con Gesù, divenne missionaria, e molti samaritani credettero in Gesù « per la parola della donna » (Jn 4,39). Anche san Paolo, a partire dal suo incontro con Gesù Cristo, « subito annunciava che Gesù è il figlio di Dio » (Ac 9,20). E noi che cosa aspettiamo?


121 Certamente tutti noi siamo chiamati a crescere come evangelizzatori. Al tempo stesso ci adoperiamo per una migliore formazione, un approfondimento del nostro amore e una più chiara testimonianza del Vangelo. In questo senso, tutti dobbiamo lasciare che gli altri ci evangelizzino costantemente; questo però non significa che dobbiamo rinunciare alla missione evangelizzatrice, ma piuttosto trovare il modo di comunicare Gesù che corrisponda alla situazione in cui ci troviamo. In ogni caso, tutti siamo chiamati ad offrire agli altri la testimonianza esplicita dell’amore salvifico del Signore, che al di là delle nostre imperfezioni ci offre la sua vicinanza, la sua Parola, la sua forza, e dà senso alla nostra vita. Il tuo cuore sa che la vita non è la stessa senza di Lui, dunque quello che hai scoperto, quello che ti aiuta a vivere e che ti dà speranza, quello è ciò che devi comunicare agli altri. La nostra imperfezione non dev'essere una scusa; al contrario, la missione è uno stimolo costante per non adagiarsi nella mediocrità e per continuare a crescere. La testimonianza di fede che ogni cristiano è chiamato ad offrire, implica affermare come san Paolo: « Non ho certo raggiunto la mèta, non sono arrivato alla perfezione; ma mi sforzo di correre per conquistarla ... corro verso la mèta » (Ph 3,12-13).


La forza evangelizzatrice della pietà popolare

122 Allo stesso modo, possiamo pensare che i diversi popoli nei quali è stato inculturato il Vangelo sono soggetti collettivi attivi, operatori dell’evangelizzazione. Questo si verifica perché ogni popolo è il creatore della propria cultura ed il protagonista della propria storia. La cultura è qualcosa di dinamico, che un popolo ricrea costantemente, ed ogni generazione trasmette alla seguente un complesso di atteggiamenti relativi alle diverse situazioni esistenziali, che questa deve rielaborare di fronte alle proprie sfide. L’essere umano « è insieme figlio e padre della cultura in cui è immerso ».[97] Quando in un popolo si è inculturato il Vangelo, nel suo processo di trasmissione culturale trasmette anche la fede in modi sempre nuovi; da qui l’importanza dell’evangelizzazione intesa come inculturazione. Ciascuna porzione del Popolo di Dio, traducendo nella propria vita il dono di Dio secondo il proprio genio, offre testimonianza alla fede ricevuta e la arricchisce con nuove espressioni che sono eloquenti. Si può dire che « il popolo evangelizza continuamente sé stesso ».[98] Qui riveste importanza la pietà popolare, autentica espressione dell’azione missionaria spontanea del Popolo di Dio. Si tratta di una realtà in permanente sviluppo, dove lo Spirito Santo è il protagonista.[99]

[97] Giovanni Paolo II, Lett. enc. Fides et ratio (14 settembre 1998),
FR 71: AAS 91 (1999), 60.
[98] III Conferenza Generale dell’Episcopato Latino-americano e dei Caraibi, Documento di Puebla (23 marzo 1979), 450; cfr V Conferenza Generale dell’Episcopato Latino-americano e dei Caraibi, Documento di Aparecida (29 giugno 2007), 264.
[99] Cfr Giovanni Paolo II, Esort. ap. postsinodale Ecclesia in Asia (6 novembre 1999), : AAS 92 (2000), 482-484.


123 Nella pietà popolare si può cogliere la modalità in cui la fede ricevuta si è incarnata in una cultura e continua a trasmettersi. In alcuni momenti guardata con sfiducia, è stata oggetto di rivalutazione nei decenni posteriori al Concilio. È stato Paolo VI nella sua Esortazione apostolica Evangelii nuntiandi a dare un impulso decisivo in tal senso. Egli vi spiega che la pietà popolare « manifesta una sete di Dio che solo i semplici e i poveri possono conoscere »[100]e che « rende capaci di generosità e di sacrificio fino all’eroismo, quando si tratta di manifestare la fede ».[101] Più vicino ai nostri giorni, Benedetto XVI, in America Latina, ha segnalato che si tratta di un « prezioso tesoro della Chiesa cattolica » e che in essa « appare l’anima dei popoli latinoamericani ».[102]

[100] EN 48: AAS 68 (1976), 38.
[101] Ibid. EN 48
[102] Discorso durante la Sessione inaugurale della V Conferenza generale dell’Episcopato Latino-americano e dei Caraibi (13 maggio 2007), 1: AAS 99 (2007), 446-447.


124 Nel Documento di Aparecida si descrivono le ricchezze che lo Spirito Santo dispiega nella pietà popolare con la sua iniziativa gratuita. In quell’amato continente, dove tanti cristiani esprimono la loro fede attraverso la pietà popolare, i Vescovi la chiamano anche « spiritualità popolare » o « mistica popolare ».[103] Si tratta di una vera « spiritualità incarnata nella cultura dei semplici ».[104] Non è vuota di contenuti, bensì li scopre e li esprime più mediante la via simbolica che con l’uso della ragione strumentale, e nell’atto di fede accentua maggiormente il credere in Deum che il credere Deum.[105] È « un modo legittimo di vivere la fede, un modo di sentirsi parte della Chiesa, e di essere missionari »;[106] porta con sé la grazia della missionarietà, dell’uscire da sé stessi e dell’essere pellegrini: « Il camminare insieme verso i santuari e il partecipare ad altre manifestazioni della pietà popolare, portando con sé anche i figli o invitando altre persone, è in sé stesso un atto di evangelizzazione ».[107] Non coartiamo né pretendiamo di controllare questa forza missionaria!

[103] V Conferenza Generale dell’Episcopato Latino-americano e dei Caraibi, Documento di Aparecida (29 giugno 2007), 262.
[104] Ibid., 263.
[105] Cfr San Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae
II-II 2,2.
[106] V Conferenza Generale dell’Episcopato Latino-americano e dei Caraibi, Documento di Aparecida (29 giugno 2007), 264.
[107] Ibid.


125 Per capire questa realtà c’è bisogno di avvicinarsi ad essa con lo sguardo del Buon Pastore, che non cerca di giudicare, ma di amare. Solamente a partire dalla connaturalità affettiva che l’amore dà possiamo apprezzare la vita teologale presente nella pietà dei popoli cristiani, specialmente nei poveri. Penso alla fede salda di quelle madri ai piedi del letto del figlio malato che si afferrano ad un rosario anche se non sanno imbastire le frasi del Credo; o a tanta carica di speranza diffusa con una candela che si accende in un’umile dimora per chiedere aiuto a Maria, o in quegli sguardi di amore profondo a Cristo crocifisso. Chi ama il santo Popolo fedele di Dio non può vedere queste azioni unicamente come una ricerca naturale della divinità. Sono la manifestazione di una vita teologale animata dall’azione dello Spirito Santo che è stato riversato nei nostri cuori (cfr Rm 5,5).


126 Nella pietà popolare, poiché è frutto del Vangelo inculturato, è sottesa una forza attivamente evangelizzatrice che non possiamo sottovalutare: sarebbe come disconoscere l’opera dello Spirito Santo. Piuttosto, siamo chiamati ad incoraggiarla e a rafforzarla per approfondire il processo di inculturazione che è una realtà mai terminata. Le espressioni della pietà popolare hanno molto da insegnarci e, per chi è in grado di leggerle, sono un luogo teologico a cui dobbiamo prestare attenzione, particolarmente nel momento in cui pensiamo alla nuova evangelizzazione.



Evangelii gaudium IT 98