Evangelii gaudium IT 156

Strumenti pedagogici

156 Alcuni credono di poter essere buoni predicatori perché sanno quello che devono dire, però trascurano il come, il modo concreto di sviluppare una predicazione. Si arrabbiano quando gli altri non li ascoltano o non li apprezzano, ma forse non si sono impegnati a cercare il modo adeguato di presentare il messaggio. Ricordiamo che « l’importanza evidente del contenuto dell’evangelizzazione non deve nasconderne l’importanza delle vie e dei mezzi ».[124] La preoccupazione per la modalità della predicazione è anch’essa un atteggiamento profondamente spirituale. Significa rispondere all’amore di Dio, dedicandoci con tutte le nostre capacità e la nostra creatività alla missione che Egli ci affida; ma è anche un esercizio squisito di amore al prossimo, perché non vogliamo offrire agli altri qualcosa di scarsa qualità. Nella Bibbia, per esempio, troviamo la raccomandazione di preparare la predicazione per assicurare ad essa una misura adeguata: « Compendia il tuo discorso. Molte cose in poche parole » (Si 32,8).

[124] Paolo VI, Esort. ap. Evangelii nuntiandi (8 dicembre 1975), EN 40: AAS 68 (1976), 31.


157 Solo per esemplificare, ricordiamo alcuni strumenti pratici, che possono arricchire una predicazione e renderla più attraente. Uno degli sforzi più necessari è imparare ad usare immagini nella predicazione, vale a dire a parlare con immagini. A volte si utilizzano esempi per rendere più comprensibile qualcosa che si intende spiegare, però quegli esempi spesso si rivolgono solo al ragionamento; le immagini, invece, aiutano ad apprezzare ed accettare il messaggio che si vuole trasmettere. Un’immagine attraente fa sì che il messaggio venga sentito come qualcosa di familiare, vicino, possibile, legato alla propria vita. Un’immagine ben riuscita può portare a gustare il messaggio che si desidera trasmettere, risveglia un desiderio e motiva la volontà nella direzione del Vangelo. Una buona omelia, come mi diceva un vecchio maestro, deve contenere “un’idea, un sentimento, un’immagine”.


158 Diceva già Paolo VI che i fedeli « si attendono molto da questa predicazione, e ne ricavano frutto purché essa sia semplice, chiara, diretta, adatta ».[125] La semplicità ha a che vedere con il linguaggio utilizzato. Dev'essere il linguaggio che i destinatari comprendono per non correre il rischio di parlare a vuoto. Frequentemente accade che i predicatori si servono di parole che hanno appreso durante i loro studi e in determinati ambienti, ma che non fanno parte del linguaggio comune delle persone che li ascoltano. Ci sono parole proprie della teologia o della catechesi, il cui significato non è comprensibile per la maggioranza dei cristiani. Il rischio maggiore per un predicatore è abituarsi al proprio linguaggio e pensare che tutti gli altri lo usino e lo comprendano spontaneamente. Se si vuole adattarsi al linguaggio degli altri per poter arrivare ad essi con la Parola, si deve ascoltare molto, bisogna condividere la vita della gente e prestarvi volentieri attenzione. La semplicità e la chiarezza sono due cose diverse. Il linguaggio può essere molto semplice, ma la predica può essere poco chiara. Può risultare incomprensibile per il suo disordine, per mancanza di logica, o perché tratta contemporaneamente diversi temi. Pertanto un altro compito necessario è fare in modo che la predicazione abbia unità tematica, un ordine chiaro e connessione tra le frasi, in modo che le persone possano seguire facilmente il predicatore e cogliere la logica di quello che dice.

[125] Ibid., EN 43: AAS 68 (1976), 33.


159 Altra caratteristica è il linguaggio positivo. Non dice tanto quello che non si deve fare ma piuttosto propone quello che possiamo fare meglio. In ogni caso, se indica qualcosa di negativo, cerca sempre di mostrare anche un valore positivo che attragga, per non fermarsi alla lagnanza, al lamento, alla critica o al rimorso. Inoltre, una predicazione positiva offre sempre speranza, orienta verso il futuro, non ci lascia prigionieri della negatività. Che buona cosa che sacerdoti, diaconi e laici si riuniscano periodicamente per trovare insieme gli strumenti che rendono più attraente la predicazione!


IV. Un’evangelizzazione per l’approfondimento del \Ikerygma

160 Il mandato missionario del Signore comprende l’appello alla crescita della fede quando indica: « insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato » (Mt 28,20). Così appare chiaro che il primo annuncio deve dar luogo anche ad un cammino di formazione e di maturazione. L’evangelizzazione cerca anche la crescita, il che implica prendere molto sul serio ogni persona e il progetto che il Signore ha su di essa. Ciascun essere umano ha sempre di più bisogno di Cristo, e l’evangelizzazione non dovrebbe consentire che qualcuno si accontenti di poco, ma che possa dire pienamente: « Non vivo più io, ma Cristo vive in me » (Ga 2,20).


161 Non sarebbe corretto interpretare questo appello alla crescita esclusivamente o prioritariamente come formazione dottrinale. Si tratta di « osservare » quello che il Signore ci ha indicato, come risposta al suo amore, dove risalta, insieme a tutte le virtù, quel comandamento nuovo che è il primo, il più grande, quello che meglio ci identifica come discepoli: « Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi » (Jn 15,12). È evidente che quando gli autori del Nuovo Testamento vogliono ridurre ad un’ultima sintesi, al più essenziale, il messaggio morale cristiano, ci presentano l’ineludibile esigenza dell’amore del prossimo: « Chi ama l’altro ha adempiuto la legge ... pienezza della Legge è la carità » (Rm 13,8 Rm 13,10). « Se adempite quella che, secondo la Scrittura, è la legge regale: Amerai il prossimo tuo come te stesso, fate bene » (Jc 2,8). « Tutta la legge infatti trova la sua pienezza in un solo precetto: Amerai il tuo prossimo come te stesso » (Ga 5,14). Paolo proponeva alle sue comunità un cammino di crescita nell’amore: « Il Signore vi faccia crescere e sovrabbondare nell’amore fra voi e verso tutti » (1Th 3,12).


162 D’altro canto, questo cammino di risposta e di crescita è sempre preceduto dal dono, perché lo precede quell’altra richiesta del Signore: « battezzandole nel nome... » (Mt 28,19). L’adozione a figli che il Padre regala gratuitamente e l’iniziativa del dono della sua grazia (cfr Ep 2,8-9 1Co 4,7) sono la condizione di possibilità di questa santificazione permanente che piace a Dio e gli dà gloria. Si tratta di lasciarsi trasformare in Cristo per una progressiva vita « secondo lo Spirito » (Rm 8,5).


Una catechesi kerygmatica e mistagogica

163 L’educazione e la catechesi sono al servizio di questa crescita. Abbiamo a disposizione già diversi testi magisteriali e sussidi sulla catechesi offerti dalla Santa Sede e da diversi Episcopati. Ricordo l’Esortazione apostolica Catechesi tradendae (1979), il Direttorio generale per la catechesi (1997) e altri documenti il cui contenuto attuale non è necessario ripetere qui. Vorrei soffermarmi solamente su alcune considerazioni che mi sembra opportuno rilevare.


164 Abbiamo riscoperto che anche nella catechesi ha un ruolo fondamentale il primo annuncio o “kerygma”, che deve occupare il centro dell’attività evangelizzatrice e di ogni intento di rinnovamento ecclesiale. Il kerygma è trinitario. È il fuoco dello Spirito che si dona sotto forma di lingue e ci fa credere in Gesù Cristo, che con la sua morte e resurrezione ci rivela e ci comunica l’infinita misericordia del Padre. Sulla bocca del catechista torna sempre a risuonare il primo annuncio: “Gesù Cristo ti ama, ha dato la sua vita per salvarti, e adesso è vivo al tuo fianco ogni giorno, per illuminarti, per rafforzarti, per liberarti”. Quando diciamo che questo annuncio è “il primo”, ciò non significa che sta all’inizio e dopo si dimentica o si sostituisce con altri contenuti che lo superano. È il primo in senso qualitativo, perché è l’annuncio principale, quello che si deve sempre tornare ad ascoltare in modi diversi e che si deve sempre tornare ad annunciare durante la catechesi in una forma o nell’altra, in tutte le sue tappe e i suoi momenti.[126] Per questo anche « il sacerdote, come la Chiesa, deve crescere nella coscienza del suo permanente bisogno di essere evangelizzato ».[127]

[126] Cfr Propositio 9.
[127] Giovanni Paolo II, Esort. ap. postsinodale Pastores dabo vobis (25 marzo 1992),
PDV 26: AAS 84 (1992), 698.


165 Non si deve pensare che nella catechesi il kerygma venga abbandonato a favore di una formazione che si presupporrebbe essere più “solida”. Non c’è nulla di più solido, di più profondo, di più sicuro, di più consistente e di più saggio di tale annuncio. Tutta la formazione cristiana è prima di tutto l’approfondimento del kerygma che va facendosi carne sempre più e sempre meglio, che mai smette di illuminare l’impegno catechistico, e che permette di comprendere adeguatamente il significato di qualunque tema che si sviluppa nella catechesi. È l’annuncio che risponde all’anelito d’infinito che c’è in ogni cuore umano. La centralità del kerygma richiede alcune caratteristiche dell’annuncio che oggi sono necessarie in ogni luogo: che esprima l’amore salvifico di Dio previo all’obbligazione morale e religiosa, che non imponga la verità e che faccia appello alla libertà, che possieda qualche nota di gioia, stimolo, vitalità, ed un’armoniosa completezza che non riduca la predicazione a poche dottrine a volte più filosofiche che evangeliche. Questo esige dall’evangelizzatore alcune disposizioni che aiutano ad accogliere meglio l’annuncio: vicinanza, apertura al dialogo, pazienza, accoglienza cordiale che non condanna.


166 Un’altra caratteristica della catechesi, che si è sviluppata negli ultimi decenni, è quella dell’iniziazione mistagogica,[128] che significa essenzialmente due cose: la necessaria progressività dell’esperienza formativa in cui interviene tutta la comunità ed una rinnovata valorizzazione dei segni liturgici dell’iniziazione cristiana. Molti manuali e molte pianificazioni non si sono ancora lasciati interpellare dalla necessità di un rinnovamento mistagogico, che potrebbe assumere forme molto diverse in accordo con il discernimento di ogni comunità educativa. L’incontro catechistico è un annuncio della Parola ed è centrato su di essa, ma ha sempre bisogno di un’adeguata ambientazione e di una motivazione attraente, dell’uso di simboli eloquenti, dell’inserimento in un ampio processo di crescita e dell’integrazione di tutte le dimensioni della persona in un cammino comunitario di ascolto e di risposta.

[128] Cfr Propositio 38.


167 È bene che ogni catechesi presti una speciale attenzione alla “via della bellezza” (via pulchritudinis).[129] Annunciare Cristo significa mostrare che credere in Lui e seguirlo non è solamente una cosa vera e giusta, ma anche bella, capace di colmare la vita di un nuovo splendore e di una gioia profonda, anche in mezzo alle prove. In questa prospettiva, tutte le espressioni di autentica bellezza possono essere riconosciute come un sentiero che aiuta ad incontrarsi con il Signore Gesù. Non si tratta di fomentare un relativismo estetico,[130] che possa oscurare il legame inseparabile tra verità, bontà e bellezza, ma di recuperare la stima della bellezza per poter giungere al cuore umano e far risplendere in esso la verità e la bontà del Risorto. Se, come afferma sant’Agostino, noi non amiamo se non ciò che è bello,[131] il Figlio fatto uomo, rivelazione della infinita bellezza, è sommamente amabile, e ci attrae a sé con legami d’amore. Dunque si rende necessario che la formazione nella via pulchritudinis sia inserita nella trasmissione della fede. È auspicabile che ogni Chiesa particolare promuova l’uso delle arti nella sua opera evangelizzatrice, in continuità con la ricchezza del passato, ma anche nella vastità delle sue molteplici espressioni attuali, al fine di trasmettere la fede in un nuovo “linguaggio parabolico”.[132] Bisogna avere il coraggio di trovare i nuovi segni, i nuovi simboli, una nuova carne per la trasmissione della Parola, le diverse forme di bellezza che si manifestano in vari ambiti culturali, e comprese quelle modalità non convenzionali di bellezza, che possono essere poco significative per gli evangelizzatori, ma che sono diventate particolarmente attraenti per gli altri.

[129] Cfr Propositio 20.
[130] Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Decr. sui mezzi di comunicazione sociale Inter mirifica,
IM 6.
[131] Cfr De musica, VI, XIII, 38: PL 32, 1183-1184; Conf., IV, XIII, 20: PL 32, 701.
[132] Benedetto XVI, Discorso in occasione della proiezione del documentario “Arte e fede – via pulchritudinis” (25 ottobre 2012): L’Osservatore Romano (27 ottobre 2012), p. 7.


168 Per quanto riguarda la proposta morale della catechesi, che invita a crescere nella fedeltà allo stile di vita del Vangelo, è opportuno indicare sempre il bene desiderabile, la proposta di vita, di maturità, di realizzazione, di fecondità, alla cui luce si può comprendere la nostra denuncia dei mali che possono oscurarla. Più che come esperti in diagnosi apocalittiche o giudici oscuri che si compiacciono di individuare ogni pericolo o deviazione, è bene che possano vederci come gioiosi messaggeri di proposte alte, custodi del bene e della bellezza che risplendono in una vita fedele al Vangelo.


L’accompagnamento personale dei processi di crescita

169 In una civiltà paradossalmente ferita dall’anonimato e, al tempo stesso, ossessionata per i dettagli della vita degli altri, spudoratamente malata di curiosità morbosa, la Chiesa ha bisogno di uno sguardo di vicinanza per contemplare, commuoversi e fermarsi davanti all’altro tutte le volte che sia necessario. In questo mondo i ministri ordinati e gli altri operatori pastorali possono rendere presente la fragranza della presenza vicina di Gesù ed il suo sguardo personale. La Chiesa dovrà iniziare i suoi membri – sacerdoti, religiosi e laici – a questa “arte dell’accompagnamento”, perché tutti imparino sempre a togliersi i sandali davanti alla terra sacra dell’altro (cfr Ex 3,5). Dobbiamo dare al nostro cammino il ritmo salutare della prossimità, con uno sguardo rispettoso e pieno di compassione ma che nel medesimo tempo sani, liberi e incoraggi a maturare nella vita cristiana.


170 Benché suoni ovvio, l’accompagnamento spirituale deve condurre sempre più verso Dio, in cui possiamo raggiungere la vera libertà. Alcuni si credono liberi quando camminano in disparte dal Signore, senza accorgersi che rimangono esistenzialmente orfani, senza un riparo, senza una dimora dove fare sempre ritorno. Cessano di essere pellegrini e si trasformano in erranti, che ruotano sempre intorno a sé stessi senza arrivare da nessuna parte. L’accompagnamento sarebbe controproducente se diventasse una specie di terapia che rafforzi questa chiusura delle persone nella loro immanenza e cessi di essere un pellegrinaggio con Cristo verso il Padre.


171 Più che mai abbiamo bisogno di uomini e donne che, a partire dalla loro esperienza di accompagnamento, conoscano il modo di procedere, dove spiccano la prudenza, la capacità di comprensione, l’arte di aspettare, la docilità allo Spirito, per proteggere tutti insieme le pecore che si affidano a noi dai lupi che tentano di disgregare il gregge. Abbiamo bisogno di esercitarci nell’arte di ascoltare, che è più che sentire. La prima cosa, nella comunicazione con l’altro, è la capacità del cuore che rende possibile la prossimità, senza la quale non esiste un vero incontro spirituale. L’ascolto ci aiuta ad individuare il gesto e la parola opportuna che ci smuove dalla tranquilla condizione di spettatori. Solo a partire da questo ascolto rispettoso e capace di compatire si possono trovare le vie per un’autentica crescita, si può risvegliare il desiderio dell’ideale cristiano, l’ansia di rispondere pienamente all’amore di Dio e l’anelito di sviluppare il meglio di quanto Dio ha seminato nella propria vita. Sempre però con la pazienza di chi conosce quanto insegnava san Tommaso: che qualcuno può avere la grazia e la carità, ma non esercitare bene nessuna delle virtù « a causa di alcune inclinazioni contrarie »[133] che persistono. In altri termini, l’organicità delle virtù si dà sempre e necessariamente “in habitu”, benché i condizionamenti possano rendere difficili le attuazioni di quegli abiti virtuosi. Da qui la necessità di « una pedagogia che introduca le persone, passo dopo passo, alla piena appropriazione del mistero ».[134] Per giungere ad un punto di maturità, cioè perché le persone siano capaci di decisioni veramente libere e responsabili, è indispensabile dare tempo, con una immensa pazienza. Come diceva il beato Pietro Fabro: « Il tempo è il messaggero di Dio ».

[133] Summa Theologiae,
I-II 65,3, ad 2: « propter aliquas dispositiones contrarias ».
[134] Giovanni Paolo II, Esort. ap. postsinodale Ecclesia in Asia (6 novembre 1999), : AAS 92 (2000), 481.

172 Chi accompagna sa riconoscere che la situazione di ogni soggetto davanti a Dio e alla sua vita di grazia è un mistero che nessuno può conoscere pienamente dall’esterno. Il Vangelo ci propone di correggere e aiutare a crescere una persona a partire dal riconoscimento della malvagità oggettiva delle sue azioni (cfr Mt 18,15), ma senza emettere giudizi sulla sua responsabilità e colpevolezza (cfr Mt 7,1 Lc 6,37). In ogni caso un valido accompagnatore non accondiscende ai fatalismi o alla pusillanimità. Invita sempre a volersi curare, a rialzarsi, ad abbracciare la croce, a lasciare tutto, ad uscire sempre di nuovo per annunciare il Vangelo. La personale esperienza di lasciarci accompagnare e curare, riuscendo ad esprimere con piena sincerità la nostra vita davanti a chi ci accompagna, ci insegna ad essere pazienti e comprensivi con gli altri e ci mette in grado di trovare i modi per risvegliarne in loro la fiducia, l’apertura e la disposizione a crescere.


173 L’autentico accompagnamento spirituale si inizia sempre e si porta avanti nell’ambito del servizio alla missione evangelizzatrice. La relazione di Paolo con Timoteo e Tito è esempio di questo accompagnamento e di questa formazione durante l’azione apostolica. Nell’affidare loro la missione di fermarsi in ogni città per “mettere ordine in quello che rimane da fare” (cfr Tt 1,5 cfr 1Tm 1,3-5), dà loro dei criteri per la vita personale e per l’azione pastorale. Tutto questo si differenzia chiaramente da qualsiasi tipo di accompagnamento intimista, di autorealizzazione isolata. I discepoli missionari accompagnano i discepoli missionari.


Circa la Parola di Dio

174 Non solamente l’omelia deve alimentarsi della Parola di Dio. Tutta l’evangelizzazione è fondata su di essa, ascoltata, meditata, vissuta, celebrata e testimoniata. La Sacra Scrittura è fonte dell’evangelizzazione. Pertanto, bisogna formarsi continuamente all’ascolto della Parola. La Chiesa non evangelizza se non si lascia continuamente evangelizzare. È indispensabile che la Parola di Dio « diventi sempre più il cuore di ogni attività ecclesiale ».[135] La Parola di Dio ascoltata e celebrata, soprattutto nell’Eucaristia, alimenta e rafforza interiormente i cristiani e li rende capaci di un’autentica testimonianza evangelica nella vita quotidiana. Abbiamo ormai superato quella vecchia contrapposizione tra Parola e Sacramento. La Parola proclamata, viva ed efficace, prepara la recezione del Sacramento, e nel Sacramento tale Parola raggiunge la sua massima efficacia.

[135] Benedetto XVI, Esort. ap. postsinodale Verbum Domini (30 settembre 2010), 1: AAS 102 (2010), 682.


175 Lo studio della Sacra Scrittura dev'essere una porta aperta a tutti i credenti.[136] È fondamentale che la Parola rivelata fecondi radicalmente la catechesi e tutti gli sforzi per trasmettere la fede.[137] L’evangelizzazione richiede la familiarità con la Parola di Dio e questo esige che le diocesi, le parrocchie e tutte le aggregazioni cattoliche propongano uno studio serio e perseverante della Bibbia, come pure ne promuovano la lettura orante personale e comunitaria.[138] Noi non cerchiamo brancolando nel buio, né dobbiamo attendere che Dio ci rivolga la parola, perché realmente « Dio ha parlato, non è più il grande sconosciuto, ma ha mostrato se stesso ».[139] Accogliamo il sublime tesoro della Parola rivelata.

[136] Cfr Propositio 11.
[137] Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla divina rivelazione Dei Verbum,
DV 21-22.
[138] Cfr Benedetto XVI, Esort. ap. postsinodale Verbum Domini (30 settembre 2010), 86-87: AAS 102 (2010), 757-760.
[139] Benedetto XVI, Meditazione durante la prima Congregazione generale della XIII Assemblea Generale del Sinodo dei Vescovi (8 ottobre 2012): AAS 104 (2012), 896.


CAPITOLO QUARTO

LA DIMENSIONE SOCIALE DELL'EVANGELIZZAZIONE

176 Evangelizzare è rendere presente nel mondo il Regno di Dio. Ma « nessuna definizione parziale e frammentaria può dare ragione della realtà ricca, complessa e dinamica, quale è quella dell’evangelizzazione, senza correre il rischio di impoverirla e perfino di mutilarla ».[140] Ora vorrei condividere le mie preoccupazioni a proposito della dimensione sociale dell’evangelizzazione precisamente perché, se questa dimensione non viene debitamente esplicitata, si corre sempre il rischio di sfigurare il significato autentico e integrale della missione evangelizzatrice.

[140] Paolo VI, Esort. ap. Evangelii nuntiandi (8 dicembre 1975), EN 17: AAS 68 (1976), 17.


I. Le ripercussioni comunitarie e sociali del kerygma

177 Il kerygma possiede un contenuto ineludibilmente sociale: nel cuore stesso del Vangelo vi sono la vita comunitaria e l’impegno con gli altri. Il contenuto del primo annuncio ha un’immediata ripercussione morale il cui centro è la carità.


Confessione della fede e impegno sociale

178 Confessare un Padre che ama infinitamente ciascun essere umano implica scoprire che « con ciò stesso gli conferisce una dignità infinita ».[141] Confessare che il Figlio di Dio ha assunto la nostra carne umana significa che ogni persona umana è stata elevata al cuore stesso di Dio. Confessare che Gesù ha dato il suo sangue per noi ci impedisce di conservare il minimo dubbio circa l’amore senza limiti che nobilita ogni essere umano. La sua redenzione ha un significato sociale perché « Dio, in Cristo, non redime solamente la singola persona, ma anche le relazioni sociali tra gli uomini ».[142] Confessare che lo Spirito Santo agisce in tutti implica riconoscere che Egli cerca di penetrare in ogni situazione umana e in tutti i vincoli sociali: « Lo Spirito Santo possiede un’inventiva infinita, propria della mente divina, che sa provvedere e sciogliere i nodi delle vicende umane anche più complesse e impenetrabili ».[143] L’evangelizzazione cerca di cooperare anche con tale azione liberatrice dello Spirito. Lo stesso mistero della Trinità ci ricorda che siamo stati creati a immagine della comunione divina, per cui non possiamo realizzarci né salvarci da soli. Dal cuore del Vangelo riconosciamo l’intima connessione tra evangelizzazione e promozione umana, che deve necessariamente esprimersi e svilupparsi in tutta l’azione evangelizzatrice. L’accettazione del primo annuncio, che invita a lasciarsi amare da Dio e ad amarlo con l’amore che Egli stesso ci comunica, provoca nella vita della persona e nelle sue azioni una prima e fondamentale reazione: desiderare, cercare e avere a cuore il bene degli altri.

[141] Giovanni Paolo II, Angelus con i disabili nella Chiesa Cattedrale di Osnbrück [16 novembre1980]: InsegnamentiIII/2 [1980], 1232.
[142] Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, 52.
[143] Giovanni Paolo II, Udienza Generale [24 aprile 1991]: Insegnamenti XIV/1[1991], 856.

179 Questo indissolubile legame tra l’accoglienza dell’annuncio salvifico e un effettivo amore fraterno è espressa in alcuni testi della Scrittura che è bene considerare e meditare attentamente per ricavarne tutte le conseguenze. Si tratta di un messaggio al quale frequentemente ci abituiamo, lo ripetiamo quasi meccanicamente, senza però assicurarci che abbia una reale incidenza nella nostra vita e nelle nostre comunità. Com’è pericolosa e dannosa questa assuefazione che ci porta a perdere la meraviglia, il fascino, l’entusiasmo di vivere il Vangelo della fraternità e della giustizia! La Parola di Dio insegna che nel fratello si trova il permanente prolungamento dell’Incarnazione per ognuno di noi: « Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me » (Mt 25,40). Quanto facciamo per gli altri ha una dimensione trascendente: « Con la misura con la quale misurate sarà misurato a voi » (Mt 7,2); e risponde alla misericordia divina verso di noi: « Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso. Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e sarete perdonati. Date e vi sarà dato […] Con la misura con la quale misurate, sarà misurato a voi in cambio » (Lc 6,36-38). Ciò che esprimono questi testi è l’assoluta priorità dell’ « uscita da sé verso il fratello » come uno dei due comandamenti principali che fondano ogni norma morale e come il segno più chiaro per fare discernimento sul cammino di crescita spirituale in risposta alla donazione assolutamente gratuita di Dio. Per ciò stesso « anche il servizio della carità è una dimensione costitutiva della missione della Chiesa ed è espressione irrinunciabile della sua stessa essenza ».[144] Come la Chiesa è missionaria per natura, così sgorga inevitabilmente da tale natura la carità effettiva per il prossimo, la compassione che comprende, assiste e promuove.

[144] Benedetto XVI, Lett. ap. in forma di motu proprio Intima Ecclesiae natura (11 novembre 2012): AAS 104 (2012), 996.


Il Regno che ci chiama

180 Leggendo le Scritture risulta peraltro chiaro che la proposta del Vangelo non consiste solo in una relazione personale con Dio. E neppure la nostra risposta di amore dovrebbe intendersi come una mera somma di piccoli gesti personali nei confronti di qualche individuo bisognoso, il che potrebbe costituire una sorta di “carità à la carte”, una serie di azioni tendenti solo a tranquillizzare la propria coscienza. La proposta è il Regno di Dio (Lc 4,43); si tratta di amare Dio che regna nel mondo. Nella misura in cui Egli riuscirà a regnare tra di noi, la vita sociale sarà uno spazio di fraternità, di giustizia, di pace, di dignità per tutti. Dunque, tanto l’annuncio quanto l’esperienza cristiana tendono a provocare conseguenze sociali. Cerchiamo il suo Regno: « Cercate anzitutto il Regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta » (Mt 6,33). Il progetto di Gesù è instaurare il Regno del Padre suo; Egli chiede ai suoi discepoli: « Predicate, dicendo che il Regno dei cieli è vicino » (Mt 10,7).


181 Il Regno che viene anticipato e cresce tra di noi riguarda tutto e ci ricorda quel principio del discernimento chePaolo VI proponeva in relazione al vero sviluppo: « ogni uomo e tutto l’uomo ».[145] Sappiamo che « l’evangelizzazione non sarebbe completa se non tenesse conto del reciproco appello, che si fanno continuamente il Vangelo e la vita concreta, personale e sociale, dell’uomo ».[146] Si tratta del criterio di universalità, proprio della dinamica del Vangelo, dal momento che il Padre desidera che tutti gli uomini si salvino e il suo disegno di salvezza consiste nel ricapitolare tutte le cose, quelle del cielo e quelle della terra, sotto un solo Signore, che è Cristo (cfr Ep 1,10). Il mandato è: « Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo ad ogni creatura » (Mc 16,15), perché « l’ardente aspettativa della creazione è protesa verso la rivelazione dei figli di Dio » (Rm 8,19). Tutta la creazione vuol dire anche tutti gli aspetti della natura umana, in modo che « la missione dell’annuncio della Buona Novella di Gesù Cristo possiede una destinazione universale. Il suo mandato della carità abbraccia tutte le dimensioni dell’esistenza, tutte le persone, tutti gli ambienti della convivenza e tutti i popoli. Nulla di quanto è umano può risultargli estraneo ».[147] La vera speranza cristiana, che cerca il Regno escatologico, genera sempre storia.

[145] Lett. enc. Populorum Progressio (26 marzo 1967), PP 14: AAS 59 (1967), 264.
[146] Paolo VI, Esort. ap. Evangelii nuntiandi (8 dicembre 1975), EN 29: AAS 68 (1976), 25.
[147] V Conferenza Generale dell’Episcopato Latino-americano e dei Caraibi, Documento di Aparecida (29 giugno 2007), 380.


L'insegnamento della Chiesa sulle questioni sociali

182 Gli insegnamenti della Chiesa sulle situazioni contingenti sono soggetti a maggiori o nuovi sviluppi e possono essere oggetto di discussione, però non possiamo evitare di essere concreti – senza pretendere di entrare in dettagli – perché i grandi principi sociali non rimangano mere indicazioni generali che non interpellano nessuno. Bisogna ricavarne le conseguenze pratiche perché « possano con efficacia incidere anche nelle complesse situazioni odierne ».[148] I Pastori, accogliendo gli apporti delle diverse scienze, hanno il diritto di emettere opinioni su tutto ciò che riguarda la vita delle persone, dal momento che il compito dell’evangelizzazione implica ed esige una promozione integrale di ogni essere umano. Non si può più affermare che la religione deve limitarsi all’ambito privato e che esiste solo per preparare le anime per il cielo. Sappiamo che Dio desidera la felicità dei suoi figli anche su questa terra, benché siano chiamati alla pienezza eterna, perché Egli ha creato tutte le cose « perché possiamo goderne » (1Tm 6,17), perché tutti possano goderne. Ne deriva che la conversione cristiana esige di riconsiderare « specialmente tutto ciò che concerne l’ordine sociale ed il conseguimento del bene comune ».[149]

[148] Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, 9.
[149] Giovanni Paolo II, Esort. ap. postsinodale Ecclesia in America (22 gennaio 1999) : AAS 91 (1999), 762.


183 Di conseguenza, nessuno può esigere da noi che releghiamo la religione alla segreta intimità delle persone, senza alcuna influenza sulla vita sociale e nazionale, senza preoccuparci per la salute delle istituzioni della società civile, senza esprimersi sugli avvenimenti che interessano i cittadini. Chi oserebbe rinchiudere in un tempio e far tacere il messaggio di san Francesco di Assisi e della beata Teresa di Calcutta? Essi non potrebbero accettarlo. Una fede autentica – che non è mai comoda e individualista – implica sempre un profondo desiderio di cambiare il mondo, di trasmettere valori, di lasciare qualcosa di migliore dopo il nostro passaggio sulla terra. Amiamo questo magnifico pianeta dove Dio ci ha posto, e amiamo l’umanità che lo abita, con tutti i suoi drammi e le sue stanchezze, con i suoi aneliti e le sue speranze, con i suoi valori e le sue fragilità. La terra è la nostra casa comune e tutti siamo fratelli. Sebbene « il giusto ordine della società e dello Stato sia il compito principale della politica », la Chiesa « non può né deve rimanere ai margini della lotta per la giustizia ».[150] Tutti i cristiani, anche i Pastori, sono chiamati a preoccuparsi della costruzione di un mondo migliore. Di questo si tratta, perché il pensiero sociale della Chiesa è in primo luogo positivo e propositivo, orienta un’azione trasformatrice, e in questo senso non cessa di essere un segno di speranza che sgorga dal cuore pieno d’amore di Gesù Cristo. Al tempo stesso, unisce « il proprio impegno a quello profuso nel campo sociale dalle altre Chiese e Comunità Ecclesiali, sia a livello di riflessione dottrinale sia a livello pratico ».[151]

[150] Benedetto XVI, Lett. enc. Deus caritas est (25 dicembre 2005), : AAS 98 (2006), 239-240.
[151] Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, 12.


184 Non è il momento qui per sviluppare tutte le gravi questioni sociali che segnano il mondo attuale, alcune delle quali ho commentato nel secondo capitolo. Questo non è un documento sociale, e per riflettere su quelle varie tematiche disponiamo di uno strumento molto adeguato nel Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, il cui uso e studio raccomando vivamente. Inoltre, né il Papa né la Chiesa posseggono il monopolio dell’interpretazione della realtà sociale o della proposta di soluzioni per i problemi contemporanei. Posso ripetere qui ciò che lucidamente indicava Paolo VI: « Di fronte a situazioni tanto diverse, ci è difficile pronunciare una parola unica e proporre una soluzione di valore universale. Del resto non è questa la nostra ambizione e neppure la nostra missione. Spetta alle comunità cristiane analizzare obiettivamente la situazione del loro paese ».[152]

[152] Lett. ap. Octogesima adveniens, 23 (14 maggio 1971), 4: AAS 63 (1971), 403.


185 Nel seguito cercherò di concentrarmi su due grandi questioni che mi sembrano fondamentali in questo momento della storia. Le svilupperò con una certa ampiezza perché considero che determineranno il futuro dell’umanità. Si tratta, in primo luogo, della inclusione sociale dei poveri e, inoltre, della pace e del dialogo sociale.



Evangelii gaudium IT 156