Evangelii gaudium IT 186

II. L’inclusione sociale dei poveri

186 Dalla nostra fede in Cristo fattosi povero, e sempre vicino ai poveri e agli esclusi, deriva la preoccupazione per lo sviluppo integrale dei più abbandonati della società.


Uniti a Dio ascoltiamo un grido

187 Ogni cristiano e ogni comunità sono chiamati ad essere strumenti di Dio per la liberazione e la promozione dei poveri, in modo che essi possano integrarsi pienamente nella società; questo suppone che siamo docili e attenti ad ascoltare il grido del povero e soccorrerlo. È sufficiente scorrere le Scritture per scoprire come il Padre buono desidera ascoltare il grido dei poveri: « Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi sovrintendenti: conosco le sue sofferenze. Sono sceso per liberarlo … Perciò va’! Io ti mando » (Ex 3,7-8 Ex 3,10), e si mostra sollecito verso le sue necessità: « Poi [gli israeliti] gridarono al Signore ed egli fece sorgere per loro un salvatore » (Jg 3,15). Rimanere sordi a quel grido, quando noi siamo gli strumenti di Dio per ascoltare il povero, ci pone fuori dalla volontà del Padre e dal suo progetto, perché quel povero « griderebbe al Signore contro di te e un peccato sarebbe su di te » (Dt 15,9). E la mancanza di solidarietà verso le sue necessità influisce direttamente sul nostro rapporto con Dio: « Se egli ti maledice nell’amarezza del cuore, il suo creatore ne esaudirà la preghiera » (Si 4,6). Ritorna sempre la vecchia domanda: « Se uno ha ricchezze di questo mondo e, vedendo il suo fratello in necessità, gli chiude il proprio cuore, come rimane in lui l’amore di Dio? » (1Jn 3,17). Ricordiamo anche con quanta convinzione l’Apostolo Giacomo riprendeva l’immagine del grido degli oppressi: « Il salario dei lavoratori che hanno mietuto sulle vostre terre, e che voi non avete pagato, grida, e le proteste dei mietitori sono giunte agli orecchi del Signore onnipotente » (Jc 5,4).


188 La Chiesa ha riconosciuto che l’esigenza di ascoltare questo grido deriva dalla stessa opera liberatrice della grazia in ciascuno di noi, per cui non si tratta di una missione riservata solo ad alcuni: « La Chiesa, guidata dal Vangelo della misericordia e dall’amore all’essere umano, ascolta il grido per la giustizia e desidera rispondervi con tutte le sue forze ».[153] In questo quadro si comprende la richiesta di Gesù ai suoi discepoli: « Voi stessi date loro da mangiare » (Mc 6,37), e ciò implica sia la collaborazione per risolvere le cause strutturali della povertà e per promuovere lo sviluppo integrale dei poveri, sia i gesti più semplici e quotidiani di solidarietà di fronte alle miserie molto concrete che incontriamo. La parola “solidarietà” si è un po’ logorata e a volte la si interpreta male, ma indica molto di più di qualche atto sporadico di generosità. Richiede di creare una nuova mentalità che pensi in termini di comunità, di priorità della vita di tutti rispetto all’appropriazione dei beni da parte di alcuni.

[153] Congregazione per la Dottrina della Fede, Istruzione Libertatis nuntius (6 agosto 1984), XI, 1: AAS 76 (1984), 903.


189 La solidarietà è una reazione spontanea di chi riconosce la funzione sociale della proprietà e la destinazione universale dei beni come realtà anteriori alla proprietà privata. Il possesso privato dei beni si giustifica per custodirli e accrescerli in modo che servano meglio al bene comune, per cui la solidarietà si deve vivere come la decisione di restituire al povero quello che gli corrisponde. Queste convinzioni e pratiche di solidarietà, quando si fanno carne, aprono la strada ad altre trasformazioni strutturali e le rendono possibili. Un cambiamento nelle strutture che non generi nuove convinzioni e atteggiamenti farà sì che quelle stesse strutture presto o tardi diventino corrotte, pesanti e inefficaci.


190 A volte si tratta di ascoltare il grido di interi popoli, dei popoli più poveri della terra, perché « la pace si fonda non solo sul rispetto dei diritti dell’uomo, ma anche su quello dei diritti dei popoli ».[154] Deplorevolmente, persino i diritti umani possono essere utilizzati come giustificazione di una difesa esacerbata dei diritti individuali o dei diritti dei popoli più ricchi. Rispettando l’indipendenza e la cultura di ciascuna Nazione, bisogna ricordare sempre che il pianeta è di tutta l’umanità e per tutta l’umanità, e che il solo fatto di essere nati in un luogo con minori risorse o minor sviluppo non giustifica che alcune persone vivano con minore dignità. Bisogna ripetere che « i più favoriti devono rinunciare ad alcuni dei loro diritti per mettere con maggiore liberalità i loro beni al servizio degli altri ».[155] Per parlare in modo appropriato dei nostri diritti dobbiamo ampliare maggiormente lo sguardo e aprire le orecchie al grido di altri popoli o di altre regioni del nostro Paese. Abbiamo bisogno di crescere in una solidarietà che « deve permettere a tutti i popoli di giungere con le loro forze ad essere artefici del loro destino »,[156] così come « ciascun essere umano è chiamato a svilupparsi ».[157]

[154] Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, 157.
[155] Paolo VI, Lett. ap. Octogesima adveniens, 23 (14 maggio 1971): AAS 63 (1971) 418.
[156] Paolo VI, Lett. enc. Populorum Progressio (26 marzo 1967), PP 65: AAS 59 (1967), 289.
[157] Ibid., PP 15: AAS 59 (1967), 265.


191 In ogni luogo e circostanza i cristiani, incoraggiati dai loro Pastori, sono chiamati ad ascoltare il grido dei poveri, come hanno affermato così bene i Vescovi del Brasile: « Desideriamo assumere, ogni giorno, le gioie e le speranze, le angosce e le tristezze del popolo brasiliano, specialmente delle popolazioni delle periferie urbane e delle zone rurali – senza terra, senza tetto, senza pane, senza salute – violate nei loro diritti. Vedendo le loro miserie, ascoltando le loro grida e conoscendo la loro sofferenza, ci scandalizza il fatto di sapere che esiste cibo sufficiente per tutti e che la fame si deve alla cattiva distribuzione dei beni e del reddito. Il problema si aggrava con la pratica generalizzata dello spreco ».[158]

[158] Conferência Nacional dos Bispos do Brasil, Documento Exigências evangélicas e éticas de superação da miséria e da fome, Introduzione, 2.


192 Desideriamo però ancora di più, il nostro sogno vola più alto. Non parliamo solamente di assicurare a tutti il cibo, o un « decoroso sostentamento », ma che possano avere « prosperità nei suoi molteplici aspetti ».[159] Questo implica educazione, accesso all’assistenza sanitaria, e specialmente lavoro, perché nel lavoro libero, creativo, partecipativo e solidale, l’essere umano esprime e accresce la dignità della propria vita. Il giusto salario permette l’accesso adeguato agli altri beni che sono destinati all’uso comune.

[159] Giovanni XXIII, Lett. enc. Mater et Magistra, 2 (15 maggio 1961), 2: AAS 53 (1961),
MM 402.


Fedeltà al Vangelo per non correre invano

193 L’imperativo di ascoltare il grido dei poveri si fa carne in noi quando ci commuoviamo nel più intimo di fronte all’altrui dolore. Rileggiamo alcuni insegnamenti della Parola di Dio sulla misericordia, perché risuonino con forza nella vita della Chiesa. Il Vangelo proclama: « Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia » (Mt 5,7). L’Apostolo Giacomo insegna che la misericordia verso gli altri ci permette di uscire trionfanti nel giudizio divino: « Parlate e agite come persone che devono essere giudicate secondo una legge di libertà, perché il giudizio sarà senza misericordia contro chi non avrà usato misericordia. La misericordia ha sempre la meglio sul giudizio” (Jc 2,12-13). In questo testo, Giacomo si mostra erede della maggiore ricchezza della spiritualità ebraica del post-esilio, che attribuiva alla misericordia uno speciale valore salvifico: « Sconta i tuoi peccati con l’elemosina e le tue iniquità con atti di misericordia verso gli afflitti, perché tu possa godere lunga prosperità » (Da 4,24). In questa stessa prospettiva, la letteratura sapienziale parla dell’elemosina come esercizio concreto della misericordia verso i bisognosi: « L’elemosina salva dalla morte e purifica da ogni peccato » (Tb 12,9). In modo più plastico lo esprime anche il Siracide: « L’acqua spegne il fuoco che divampa, l’elemosina espia i peccati » (Si 3,30). La medesima sintesi appare contenuta nel Nuovo Testamento: « Soprattutto conservate tra voi una carità fervente, perché la carità copre una moltitudine di peccati » (1P 4,8). Questa verità penetrò profondamente la mentalità dei Padri della Chiesa ed esercitò una resistenza profetica, come alternativa culturale, di fronte all’individualismo edonista pagano. Ricordiamo solo un esempio: « Come, in pericolo d’incendio, corriamo a cercare acqua per spegnerlo, […] allo stesso modo, se dalla nostra paglia sorgesse la fiamma del peccato e per tale motivo ne fossimo turbati, una volta che ci venga data l’occasione di un’opera di misericordia, rallegriamoci di tale opera come se fosse una fonte che ci viene offerta perché possiamo soffocare l’incendio ».[160]

[160] Sant’Agostino, De catechizandis rudibus, I, XIV, 22: PL 40, 327.


194 È un messaggio così chiaro, così diretto, così semplice ed eloquente, che nessuna ermeneutica ecclesiale ha il diritto di relativizzarlo. La riflessione della Chiesa su questi testi non dovrebbe oscurare o indebolire il loro significato esortativo, ma piuttosto aiutare a farli propri con coraggio e fervore. Perché complicare ciò che è così semplice? Gli apparati concettuali esistono per favorire il contatto con la realtà che si vuole spiegare e non per allontanarci da essa. Questo vale soprattutto per le esortazioni bibliche che invitano con tanta determinazione all’amore fraterno, al servizio umile e generoso, alla giustizia, alla misericordia verso il povero. Gesù ci ha indicato questo cammino di riconoscimento dell’altro con le sue parole e con i suoi gesti. Perché oscurare ciò che è così chiaro? Non preoccupiamoci solo di non cadere in errori dottrinali, ma anche di essere fedeli a questo cammino luminoso di vita e di sapienza. Perché « ai difensori “dell’ortodossia” si rivolge a volte il rimprovero di passività, d’indulgenza o di colpevoli complicità rispetto a situazioni di ingiustizia intollerabili e verso i regimi politici che le mantengono ».[161]

[161] Congregazione per la Dottrina della Fede, Istruzione Libertatis nuntius (6 agosto 1984), XI, 18: AAS 76 (1984), 907-908.


195 Quando san Paolo si recò dagli Apostoli a Gerusalemme per discernere se stava correndo o aveva corso invano (cfr Ga 2,2), il criterio-chiave di autenticità che gli indicarono fu che non si dimenticasse dei poveri (cfr Ga 2,10). Questo grande criterio, affinché le comunità paoline non si lasciassero trascinare dallo stile di vita individualista dei pagani, ha una notevole attualità nel contesto presente, dove tende a svilupparsi un nuovo paganesimo individualista. La bellezza stessa del Vangelo non sempre può essere adeguatamente manifestata da noi, ma c’è un segno che non deve mai mancare: l’opzione per gli ultimi, per quelli che la società scarta e getta via.


196 A volte siamo duri di cuore e di mente, ci dimentichiamo, ci divertiamo, ci estasiamo con le immense possibilità di consumo e di distrazione che offre questa società. Così si produce una specie di alienazione che ci colpisce tutti, poiché « è alienata una società che, nelle sue forme di organizzazione sociale, di produzione e di consumo, rende più difficile la realizzazione di questa donazione e la formazione di quella solidarietà interumana ».[162]

[162] Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus (1 maggio 1991),
CA 41: AAS 83 (1991), 844-845.


Il posto privilegiato dei poveri nel Popolo di Dio

197 Nel cuore di Dio c’è un posto preferenziale per i poveri, tanto che Egli stesso « si fece povero » (2Co 8,9). Tutto il cammino della nostra redenzione è segnato dai poveri. Questa salvezza è giunta a noi attraverso il “” di una umile ragazza di un piccolo paese sperduto nella periferia di un grande impero. Il Salvatore è nato in un presepe, tra gli animali, come accadeva per i figli dei più poveri; è stato presentato al Tempio con due piccioni, l’offerta di coloro che non potevano permettersi di pagare un agnello (cfr Lc 2,24 Lv 5,7); è cresciuto in una casa di semplici lavoratori e ha lavorato con le sue mani per guadagnarsi il pane. Quando iniziò ad annunciare il Regno, lo seguivano folle di diseredati, e così manifestò quello che Egli stesso aveva detto: « Lo Spirito del Signore è sopra di me; perché mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio » (Lc 4,18). A quelli che erano gravati dal dolore, oppressi dalla povertà, assicurò che Dio li portava al centro del suo cuore: « Beati voi, poveri, perché vostro è il Regno di Dio » (Lc 6,20); e con essi si identificò: « Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare », insegnando che la misericordia verso di loro è la chiave del cielo (cfr Mt 25,35s).


198 Per la Chiesa l’opzione per i poveri è una categoria teologica prima che culturale, sociologica, politica o filosofica. Dio concede loro « la sua prima misericordia ».[163] Questa preferenza divina ha delle conseguenze nella vita di fede di tutti i cristiani, chiamati ad avere « gli stessi sentimenti di Gesù » (Ph 2,5). Ispirata da essa, la Chiesa ha fatto unaopzione per i poveri intesa come una « forma speciale di primazia nell’esercizio della carità cristiana, della quale dà testimonianza tutta la tradizione della Chiesa ».[164] Questa opzione – insegnava Benedetto XVI – « è implicita nella fede cristologica in quel Dio che si è fatto povero per noi, per arricchirci mediante la sua povertà ».[165] Per questo desidero una Chiesa povera per i poveri. Essi hanno molto da insegnarci. Oltre a partecipare del sensus fidei, con le proprie sofferenze conoscono il Cristo sofferente. È necessario che tutti ci lasciamo evangelizzare da loro. La nuova evangelizzazione è un invito a riconoscere la forza salvifica delle loro esistenze e a porle al centro del cammino della Chiesa. Siamo chiamati a scoprire Cristo in loro, a prestare ad essi la nostra voce nelle loro cause, ma anche ad essere loro amici, ad ascoltarli, a comprenderli e ad accogliere la misteriosa sapienza che Dio vuole comunicarci attraverso di loro.

[163] Giovanni Paolo II, Omelia durante la Messa per l’evangelizzazione dei popoli a Santo Domingo (11 ottobre 1984)5: AAS 77 (1985) 358.
[164] Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis (30 dicembre 1987), SRS 42: AAS 80 (1988), 572.
[165] Benedetto XVI, Discorso alla Sessione inaugurale della V Conferenza Generale dell’Episcopato Latinoamericano e dei Caraibi (13 maggio 2007), 3: AAS 99 (2007), 450.


199 Il nostro impegno non consiste esclusivamente in azioni o in programmi di promozione e assistenza; quello che lo Spirito mette in moto non è un eccesso di attivismo, ma prima di tutto un’attenzione rivolta all’altro « considerandolo come un’unica cosa con se stesso ».[166] Questa attenzione d’amore è l’inizio di una vera preoccupazione per la sua persona e a partire da essa desidero cercare effettivamente il suo bene. Questo implica apprezzare il povero nella sua bontà propria, col suo modo di essere, con la sua cultura, con il suo modo di vivere la fede. L’amore autentico è sempre contemplativo, ci permette di servire l’altro non per necessità o vanità, ma perché è bello, al di là delle apparenze. « Dall’amore per cui a uno è gradita l’altra persona dipende il fatto che le dia qualcosa gratuitamente ».[167] Il povero, quando è amato, « è considerato di grande
valore »,[168] e questo differenzia l’autentica opzione per i poveri da qualsiasi ideologia, da qualunque intento di utilizzare i poveri al servizio di interessi personali o politici. Solo a partire da questa vicinanza reale e cordiale possiamo accompagnarli adeguatamente nel loro cammino di liberazione. Soltanto questo renderà possibile che « i poveri si sentano, in ogni comunità cristiana, come “a casa loro”. Non sarebbe, questo stile, la più grande ed efficace presentazione della buona novella del Regno? ».[169] Senza l’opzione preferenziale per i più poveri, « l’annuncio del Vangelo, che pur è la prima carità, rischia di essere incompreso o di affogare in quel mare di parole a cui l’odierna società della comunicazione quotidianamente ci espone ».[170]

[166] San Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae,
II-II 27,2.
[167] Ibid., I-II 110,1.
[168] Ibid., I-II 26,3.
[169] Giovanni Paolo II, Lett. ap. Novo Millennio ineunte (6 gennaio 2001), NM 50: AAS 93 (2001), 303.
[170] Ibid. NM 50


200 Dal momento che questa Esortazione è rivolta ai membri della Chiesa Cattolica, desidero affermare con dolore che la peggior discriminazione di cui soffrono i poveri è la mancanza di attenzione spirituale. L’immensa maggioranza dei poveri possiede una speciale apertura alla fede; hanno bisogno di Dio e non possiamo tralasciare di offrire loro la sua amicizia, la sua benedizione, la sua Parola, la celebrazione dei Sacramenti e la proposta di un cammino di crescita e di maturazione nella fede. L’opzione preferenziale per i poveri deve tradursi principalmente in un’attenzione religiosa privilegiata e prioritaria.


201 Nessuno dovrebbe dire che si mantiene lontano dai poveri perché le sue scelte di vita comportano di prestare più attenzione ad altre incombenze. Questa è una scusa frequente negli ambienti accademici, imprenditoriali o professionali, e persino ecclesiali. Sebbene si possa dire in generale che la vocazione e la missione propria dei fedeli laici è la trasformazione delle varie realtà terrene affinché ogni attività umana sia trasformata dal Vangelo,[171] nessuno può sentirsi esonerato dalla preoccupazione per i poveri e per la giustizia sociale: « La conversione spirituale, l’intensità dell’amore a Dio e al prossimo, lo zelo per la giustizia e la pace, il significato evangelico dei poveri e della povertà sono richiesti a tutti ».[172] Temo che anche queste parole siano solamente oggetto di qualche commento senza una vera incidenza pratica. Nonostante ciò, confido nell’apertura e nelle buone disposizioni dei cristiani, e vi chiedo di cercare comunitariamente nuove strade per accogliere questa rinnovata proposta.

[171] Cfr Propositio 45.
[172] Congregazione per la Dottrina della Fede, Istruzione Libertatis nuntius (6 agosto 1984), XI, 18: AAS 76 (1984), 908.


Economia e distribuzione delle entrate

202 La necessità di risolvere le cause strutturali della povertà non può attendere, non solo per una esigenza pragmatica di ottenere risultati e di ordinare la società, ma per guarirla da una malattia che la rende fragile e indegna e che potrà solo portarla a nuove crisi. I piani assistenziali, che fanno fronte ad alcune urgenze, si dovrebbero considerare solo come risposte provvisorie. Finché non si risolveranno radicalmente i problemi dei poveri, rinunciando all’autonomia assoluta dei mercati e della speculazione finanziaria e aggredendo le cause strutturali della inequità,[173] non si risolveranno i problemi del mondo e in definitiva nessun problema. L’inequità è la radice dei mali sociali.

[173] Questo implica « eliminare le cause strutturali delle disfunzioni della economia mondiale »: Benedetto XVI, Discorso al Corpo Diplomatico (8 gennaio 2007): AAS 99 (2007), 73.


203 La dignità di ogni persona umana e il bene comune sono questioni che dovrebbero strutturare tutta la politica economica, ma a volte sembrano appendici aggiunte dall’esterno per completare un discorso politico senza prospettive né programmi di vero sviluppo integrale. Quante parole sono diventate scomode per questo sistema! Dà fastidio che si parli di etica, dà fastidio che si parli di solidarietà mondiale, dà fastidio che si parli di distribuzione dei beni, dà fastidio che si parli di difendere i posti di lavoro, dà fastidio che si parli della dignità dei deboli, dà fastidio che si parli di un Dio che esige un impegno per la giustizia. Altre volte accade che queste parole diventino oggetto di una manipolazione opportunista che le disonora. La comoda indifferenza di fronte a queste questioni svuota la nostra vita e le nostre parole di ogni significato. La vocazione di un imprenditore è un nobile lavoro, sempre che si lasci interrogare da un significato più ampio della vita; questo gli permette di servire veramente il bene comune, con il suo sforzo di moltiplicare e rendere più accessibili per tutti i beni di questo mondo.


204 Non possiamo più confidare nelle forze cieche e nella mano invisibile del mercato. La crescita in equità esige qualcosa di più della crescita economica, benché la presupponga, richiede decisioni, programmi, meccanismi e processi specificamente orientati a una migliore distribuzione delle entrate, alla creazione di opportunità di lavoro, a una promozione integrale dei poveri che superi il mero assistenzialismo. Lungi da me il proporre un populismo irresponsabile, ma l’economia non può più ricorrere a rimedi che sono un nuovo veleno, come quando si pretende di aumentare la redditività riducendo il mercato del lavoro e creando in tal modo nuovi esclusi.


205 Chiedo a Dio che cresca il numero di politici capaci di entrare in un autentico dialogo che si orienti efficacemente a sanare le radici profonde e non l’apparenza dei mali del nostro mondo! La politica, tanto denigrata, è una vocazione altissima, è una delle forme più preziose della carità, perché cerca il bene comune.[174] Dobbiamo convincerci che la carità « è il principio non solo delle micro-relazioni: rapporti amicali, familiari, di piccolo gruppo, ma anche delle macro-relazioni: rapporti sociali, economici, politici ».[175] Prego il Signore che ci regali più politici che abbiano davvero a cuore la società, il popolo, la vita dei poveri! È indispensabile che i governanti e il potere finanziario alzino lo sguardo e amplino le loro prospettive, che facciano in modo che ci sia un lavoro degno, istruzione e assistenza sanitaria per tutti i cittadini. E perché non ricorrere a Dio affinché ispiri i loro piani? Sono convinto che a partire da un’apertura alla trascendenza potrebbe formarsi una nuova mentalità politica ed economica che aiuterebbe a superare la dicotomia assoluta tra l’economia e il bene comune sociale.

[174] Cfr Commission sociale des évêques de France, Dichiarazione Réhabiliter la politique (17 febbraio 1999); Pio XI,Messaggio, 18 dicembre 1927.
[175] Benedetto XVI, Lett. enc. Caritas in veritate (29 giugno 2009), : AAS 101 (2009), 642.


206 L’economia, come indica la stessa parola, dovrebbe essere l’arte di raggiungere un’adeguata amministrazione della casa comune, che è il mondo intero. Ogni azione economica di una certa portata, messa in atto in una parte del pianeta, si ripercuote sul tutto; perciò nessun governo può agire al di fuori di una comune responsabilità. Di fatto, diventa sempre più difficile individuare soluzioni a livello locale per le enormi contraddizioni globali, per cui la politica locale si riempie di problemi da risolvere. Se realmente vogliamo raggiungere una sana economia mondiale, c’è bisogno in questa fase storica di un modo più efficiente di interazione che, fatta salva la sovranità delle nazioni, assicuri il benessere economico di tutti i Paesi e non solo di pochi.


207 Qualsiasi comunità della Chiesa, nella misura in cui pretenda di stare tranquilla senza occuparsi creativamente e cooperare con efficacia affinché i poveri vivano con dignità e per l’inclusione di tutti, correrà anche il rischio della dissoluzione, benché parli di temi sociali o critichi i governi. Facilmente finirà per essere sommersa dalla mondanità spirituale, dissimulata con pratiche religiose, con riunioni infeconde o con discorsi vuoti.


208 Se qualcuno si sente offeso dalle mie parole, gli dico che le esprimo con affetto e con la migliore delle intenzioni, lontano da qualunque interesse personale o ideologia politica. La mia parola non è quella di un nemico né di un oppositore. Mi interessa unicamente fare in modo che quelli che sono schiavi di una mentalità individualista, indifferente ed egoista, possano liberarsi da quelle indegne catene e raggiungano uno stile di vita e di pensiero più umano, più nobile, più fecondo, che dia dignità al loro passaggio su questa terra.


Avere cura della fragilità

209 Gesù, l’evangelizzatore per eccellenza e il Vangelo in persona, si identifica specialmente con i più piccoli (cfr Mt 25,40). Questo ci ricorda che tutti noi cristiani siamo chiamati a prenderci cura dei più fragili della Terra. Ma nel vigente modello “di successo” e “privatistico”, non sembra abbia senso investire affinché quelli che rimangono indietro, i deboli o i meno dotati possano farsi strada nella vita.


210 È indispensabile prestare attenzione per essere vicini a nuove forme di povertà e di fragilità in cui siamo chiamati a riconoscere Cristo sofferente, anche se questo apparentemente non ci porta vantaggi tangibili e immediati: i senza tetto, i tossicodipendenti, i rifugiati, i popoli indigeni, gli anziani sempre più soli e abbandonati, ecc. I migranti mi pongono una particolare sfida perché sono Pastore di una Chiesa senza frontiere che si sente madre di tutti. Perciò esorto i Paesi ad una generosa apertura, che invece di temere la distruzione dell’identità locale sia capace di creare nuove sintesi culturali. Come sono belle le città che superano la sfiducia malsana e integrano i differenti, e che fanno di tale integrazione un nuovo fattore di sviluppo! Come sono belle le città che, anche nel loro disegno architettonico, sono piene di spazi che collegano, mettono in relazione, favoriscono il riconoscimento dell’altro!


211 Mi ha sempre addolorato la situazione di coloro che sono oggetto delle diverse forme di tratta di persone. Vorrei che si ascoltasse il grido di Dio che chiede a tutti noi: « Dov’è tuo fratello? » (Gn 4,9). Dov’è il tuo fratello schiavo? Dov’è quello che stai uccidendo ogni giorno nella piccola fabbrica clandestina, nella rete della prostituzione, nei bambini che utilizzi per l’accattonaggio, in quello che deve lavorare di nascosto perché non è stato regolarizzato? Non facciamo finta di niente. Ci sono molte complicità. La domanda è per tutti! Nelle nostre città è impiantato questo crimine mafioso e aberrante, e molti hanno le mani che grondano sangue a causa di una complicità comoda e muta.


212 Doppiamente povere sono le donne che soffrono situazioni di esclusione, maltrattamento e violenza, perché spesso si trovano con minori possibilità di difendere i loro diritti. Tuttavia, anche tra di loro troviamo continuamente i più ammirevoli gesti di quotidiano eroismo nella difesa e nella cura della fragilità delle loro famiglie.


213 Tra questi deboli, di cui la Chiesa vuole prendersi cura con predilezione, ci sono anche i bambini nascituri, che sono i più indifesi e innocenti di tutti, ai quali oggi si vuole negare la dignità umana al fine di poterne fare quello che si vuole, togliendo loro la vita e promuovendo legislazioni in modo che nessuno possa impedirlo. Frequentemente, per ridicolizzare allegramente la difesa che la Chiesa fa delle vite dei nascituri, si fa in modo di presentare la sua posizione come qualcosa di ideologico, oscurantista e conservatore. Eppure questa difesa della vita nascente è intimamente legata alla difesa di qualsiasi diritto umano. Suppone la convinzione che un essere umano è sempre sacro e inviolabile, in qualunque situazione e in ogni fase del suo sviluppo. È un fine in sé stesso e mai un mezzo per risolvere altre difficoltà. Se cade questa convinzione, non rimangono solide e permanenti fondamenta per la difesa dei diritti umani, che sarebbero sempre soggetti alle convenienze contingenti dei potenti di turno. La sola ragione è sufficiente per riconoscere il valore inviolabile di ogni vita umana, ma se la guardiamo anche a partire dalla fede, « ogni violazione della dignità personale dell’essere umano grida vendetta al cospetto di Dio e si configura come offesa al Creatore dell’uomo ».[176]

[176] Giovanni Paolo II, Esort. ap. postsinodale, Christifideles laici (30 dicembre 1988),
CL 37: AAS 81 (1989), 461.


214 Proprio perché è una questione che ha a che fare con la coerenza interna del nostro messaggio sul valore della persona umana, non ci si deve attendere che la Chiesa cambi la sua posizione su questa questione. Voglio essere del tutto onesto al riguardo. Questo non è un argomento soggetto a presunte riforme o a “modernizzazioni”. Non è progressista pretendere di risolvere i problemi eliminando una vita umana. Però è anche vero che abbiamo fatto poco per accompagnare adeguatamente le donne che si trovano in situazioni molto dure, dove l’aborto si presenta loro come una rapida soluzione alle loro profonde angustie, particolarmente quando la vita che cresce in loro è sorta come conseguenza di una violenza o in un contesto di estrema povertà. Chi può non capire tali situazioni così dolorose?


215 Ci sono altri esseri fragili e indifesi, che molte volte rimangono alla mercé degli interessi economici o di un uso indiscriminato. Mi riferisco all’insieme della creazione. Come esseri umani non siamo dei meri beneficiari, ma custodi delle altre creature. Mediante la nostra realtà corporea, Dio ci ha unito tanto strettamente al mondo che ci circonda, che la desertificazione del suolo è come una malattia per ciascuno, e possiamo lamentare l’estinzione di una specie come fosse una mutilazione. Non lasciamo che al nostro passaggio rimangano segni di distruzione e di morte che colpiscono la nostra vita e quella delle future generazioni.[177] In questo senso, faccio proprio il lamento bello e profetico che diversi anni fa hanno espresso i Vescovi delle Filippine: « Un’incredibile varietà d’insetti viveva nella selva ed erano impegnati con ogni sorta di compito proprio […] Gli uccelli volavano nell’aria, le loro brillanti piume e i loro differenti canti aggiungevano colore e melodie al verde dei boschi [...] Dio ha voluto questa terra per noi, sue creature speciali, ma non perché potessimo distruggerla e trasformarla in un terreno desertico [...] Dopo una sola notte di pioggia, guarda verso i fiumi marron-cioccolato dei tuoi paraggi, e ricorda che si portano via il sangue vivo della terra verso il mare [...] Come potranno nuotare i pesci in fogne come il rio Pasig e tanti altri fiumi che abbiamo contaminato? Chi ha trasformato il meraviglioso mondo marino in cimiteri subacquei spogliati di vita e di colore? ».[178]

[177] Cfr Propositio 56.
[178] Catholic Bishops’ Conference of the Philippines, Lettera pastorale What is Happening to our Beautiful Land? (29 gennaio 1988).


216 Piccoli ma forti nell’amore di Dio, come san Francesco d’Assisi, tutti i cristiani siamo chiamati a prenderci cura della fragilità del popolo e del mondo in cui viviamo.


III. Il bene comune e la pace sociale

217 Abbiamo parlato molto della gioia e dell’amore, ma la Parola di Dio menziona anche il frutto della pace (cfr Ga 5,22).


218 La pace sociale non può essere intesa come irenismo o come una mera assenza di violenza ottenuta mediante l’imposizione di una parte sopra le altre. Sarebbe parimenti una falsa pace quella che servisse come scusa per giustificare un’organizzazione sociale che metta a tacere o tranquillizzi i più poveri, in modo che quelli che godono dei maggiori benefici possano mantenere il loro stile di vita senza scosse mentre gli altri sopravvivono come possono. Le rivendicazioni sociali, che hanno a che fare con la distribuzione delle entrate, l’inclusione sociale dei poveri e i diritti umani, non possono essere soffocate con il pretesto di costruire un consenso a tavolino o un’effimera pace per una minoranza felice. La dignità della persona umana e il bene comune stanno al di sopra della tranquillità di alcuni che non vogliono rinunciare ai loro privilegi. Quando questi valori vengono colpiti, è necessaria una voce profetica.


219 La pace « non si riduce ad un’assenza di guerra, frutto dell’equilibrio sempre precario delle forze. Essa si costruisce giorno per giorno, nel perseguimento di un ordine voluto da Dio, che comporta una giustizia più perfetta tra gli uomini ».[179] In definitiva, una pace che non sorga come frutto dello sviluppo integrale di tutti, non avrà nemmeno futuro e sarà sempre seme di nuovi conflitti e di varie forme di violenza.

[179] Paolo VI, Lett. enc. Populorum Progressio (26 marzo 1967), PP 76: AAS 59 (1967), 294-295.


220 In ogni nazione, gli abitanti sviluppano la dimensione sociale della loro vita configurandosi come cittadini responsabili in seno ad un popolo, non come massa trascinata dalle forze dominanti. Ricordiamo che « l’essere fedele cittadino è una virtù e la partecipazione alla vita politica è un’obbligazione morale ».[180] Ma diventare un popolo è qualcosa di più, e richiede un costante processo nel quale ogni nuova generazione si vede coinvolta. È un lavoro lento e arduo che esige di volersi integrare e di imparare a farlo fino a sviluppare una cultura dell’incontro in una pluriforme armonia.

[180] United States Conference of Catholic Bishops, Lettera pastorale Forming Consciences for Faithful Citizenship(novembre 2007), 13.


221 Per avanzare in questa costruzione di un popolo in pace, giustizia e fraternità, vi sono quattro principi relazionati a tensioni bipolari proprie di ogni realtà sociale. Derivano dai grandi postulati della Dottrina Sociale della Chiesa, i quali costituiscono « il primo e fondamentale parametro di riferimento per l’interpretazione e la valutazione dei fenomeni sociali ».[181] Alla luce di essi desidero ora proporre questi quattro principi che orientano specificamente lo sviluppo della convivenza sociale e la costruzione di un popolo in cui le differenze si armonizzino all’interno di un progetto comune. Lo faccio nella convinzione che la loro applicazione può rappresentare un’autentica via verso la pace all’interno di ciascuna nazione e nel mondo intero.

[181] Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, 161.



Evangelii gaudium IT 186