Fides et ratio IT 47


47 Non è da dimenticare, d'altra parte, che nella cultura moderna è venuto a cambiare il ruolo stesso della filosofia. Da saggezza e sapere universale, essa si è ridotta progressivamente a una delle tante province del sapere umano; per alcuni aspetti, anzi, è stata limitata a un ruolo del tutto marginale. Altre forme di razionalità si sono nel frattempo affermate con sempre maggior rilievo, ponendo in evidenza la marginalità del sapere filosofico. Invece che verso la contemplazione della verità e la ricerca del fine ultimo e del senso della vita, queste forme di razionalità sono orientate — o almeno orientabili — come « ragione strumentale » al servizio di fini utilitaristici, di fruizione o di potere.

Quanto sia pericoloso assolutizzare questa strada l'ho fatto osservare fin dalla mia prima Lettera enciclica quando scrivevo: « L'uomo di oggi sembra essere sempre minacciato da ciò che produce, cioè dal risultato del lavoro delle sue mani e, ancor più, del lavoro del suo intelletto, delle tendenze della sua volontà. I frutti di questa multiforme attività dell'uomo, troppo presto e in modo spesso imprevedibile, sono non soltanto e non tanto oggetto di 'alienazione', nel senso che vengono semplicemente tolti a colui che li ha prodotti; quanto, almeno parzialmente, in una cerchia conseguente e indiretta dei loro effetti, questi frutti si rivolgono contro l'uomo stesso. Essi sono, infatti, diretti, o possono essere diretti contro di lui. In questo sembra consistere l'atto principale del dramma dell'esistenza umana contemporanea, nella sua più larga e universale dimensione. L'uomo, pertanto, vive sempre più nella paura. Egli teme che i suoi prodotti, naturalmente non tutti e non nella maggior parte, ma alcuni e proprio quelli che contengono una speciale porzione della sua genialità e della sua iniziativa, possano essere rivolti in modo radicale contro lui stesso ».(53)

Sulla scia di queste trasformazioni culturali, alcuni filosofi, abbandonando la ricerca della verità per se stessa, hanno assunto come loro unico scopo il raggiungimento della certezza soggettiva o dell'utilità pratica. Conseguenza di ciò è stato l'offuscamento della vera dignità della ragione, non più messa nella condizione di conoscere il vero e di ricercare l'assoluto.

(53) Lett. enc. Redemptor hominis (4 marzo 1979),
RH 15: AAS 71 (1979), 286.


48 Ciò che emerge da questo ultimo scorcio di storia della filosofia è, dunque, la constatazione di una progressiva separazione tra la fede e la ragione filosofica. E ben vero che, ad una attenta osservazione, anche nella riflessione filosofica di coloro che contribuirono ad allargare la distanza tra fede e ragione si manifestano talvolta germi preziosi di pensiero, che, se approfonditi e sviluppati con rettitudine di mente e di cuore, possono far scoprire il cammino della verità. Questi germi di pensiero si trovano, ad esempio, nelle approfondite analisi sulla percezione e l'esperienza, sull'immaginario e l'inconscio, sulla personalità e l'intersoggettività, sulla libertà ed i valori, sul tempo e la storia. Anche il tema della morte può diventare severo richiamo, per ogni pensatore, a ricercare dentro di sé il senso autentico della propria esistenza. Questo tuttavia non toglie che l'attuale rapporto tra fede e ragione richieda un attento sforzo di discernimento, perché sia la ragione che la fede si sono impoverite e sono divenute deboli l'una di fronte all'altra. La ragione, privata dell'apporto della Rivelazione, ha percorso sentieri laterali che rischiano di farle perdere di vista la sua meta finale. La fede, privata della ragione, ha sottolineato il sentimento e l'esperienza, correndo il rischio di non essere più una proposta universale. E illusorio pensare che la fede, dinanzi a una ragione debole, abbia maggior incisività; essa, al contrario, cade nel grave pericolo di essere ridotta a mito o superstizione. Alla stessa stregua, una ragione che non abbia dinanzi una fede adulta non è provocata a puntare lo sguardo sulla novità e radicalità dell'essere.

Non sembri fuori luogo, pertanto, il mio richiamo forte e incisivo, perché la fede e la filosofia recuperino l'unità profonda che le rende capaci di essere coerenti con la loro natura nel rispetto della reciproca autonomia. Alla parresia della fede deve corrispondere l'audacia della ragione.



CAPITOLO V


GLI INTERVENTI DEL MAGISTERO


IN MATERIA FILOSOFICA


Il discernimento del Magistero come diaconia alla verità

49 La Chiesa non propone una propria filosofia né canonizza una qualsiasi filosofia particolare a scapito di altre.(54) La ragione profonda di questa riservatezza sta nel fatto che la filosofia, anche quando entra in rapporto con la teologia, deve procedere secondo i suoi metodi e le sue regole; non vi sarebbe altrimenti garanzia che essa rimanga orientata verso la verità e ad essa tenda con un processo razionalmente controllabile. Di poco aiuto sarebbe una filosofia che non procedesse alla luce della ragione secondo propri principi e specifiche metodologie. In fondo, la radice della autonomia di cui gode la filosofia è da individuare nel fatto che la ragione è per sua natura orientata alla verità ed è inoltre in se stessa fornita dei mezzi necessari per raggiungerla. Una filosofia consapevole di questo suo « statuto costitutivo » non può non rispettare anche le esigenze e le evidenze proprie della verità rivelata.

La storia, tuttavia, ha mostrato le deviazioni e gli errori in cui non di rado il pensiero filosofico, soprattutto moderno, è incorso. Non è compito né competenza del Magistero intervenire per colmare le lacune di un discorso filosofico carente. E suo obbligo, invece, reagire in maniera chiara e forte quando tesi filosofiche discutibili minacciano la retta comprensione del dato rivelato e quando si diffondono teorie false e di parte che seminano gravi errori, confondendo la semplicità e la purezza della fede del popolo di Dio.

(54) Cfr Pio XII, Lett. enc. Humani generis (12 agosto 1950): AAS 42 (1950), 566.


50 Il Magistero ecclesiastico, quindi, può e deve esercitare autoritativamente, alla luce della fede, il proprio discernimento critico nei confronti delle filosofie e delle affermazioni che si scontrano con la dottrina cristiana.(55) Al Magistero spetta di indicare, anzitutto, quali presupposti e conclusioni filosofiche sarebbero incompatibili con la verità rivelata, formulando con ciò stesso le esigenze che si impongono alla filosofia dal punto di vista della fede. Nello sviluppo del sapere filosofico, inoltre, sono sorte diverse scuole di pensiero. Anche questo pluralismo pone il Magistero di fronte alla responsabilità di esprimere il suo giudizio circa la compatibilità o meno delle concezioni di fondo, a cui queste scuole si attengono, con le esigenze proprie della Parola di Dio e della riflessione teologica.

La Chiesa ha il dovere di indicare ciò che in un sistema filosofico può risultare incompatibile con la sua fede. Molti contenuti filosofici, infatti, quali i temi di Dio, dell'uomo, della sua libertà e del suo agire etico, la chiamano in causa direttamente, perché toccano la verità rivelata che essa custodisce. Quando esercitiamo questo discernimento, noi Vescovi abbiamo il compito di essere « testimoni della verità » nell'adempimento di una diaconia umile ma tenace, quale ogni filosofo dovrebbe apprezzare, a vantaggio della recta ratio, ossia della ragione che riflette correttamente sul vero.

(55) Cfr Conc. Ecum. Vat. I, Cost. dogm. prima sulla Chiesa di Cristo Pastor Aeternus:
DS 3070; Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, LG 25 c.


51 Questo discernimento, comunque, non deve essere inteso primariamente in forma negativa, come se intenzione del Magistero fosse di eliminare o ridurre ogni possibile mediazione. Al contrario, i suoi interventi sono tesi in primo luogo a provocare, promuovere e incoraggiare il pensiero filosofico. I filosofi per primi, d'altronde, comprendono l'esigenza dell'autocritica, della correzione di eventuali errori e la necessità di oltrepassare i limiti troppo ristretti in cui la loro riflessione è concepita. Si deve considerare, in modo particolare, che una è la verità, benché le sue espressioni portino l'impronta della storia e, per di più, siano opera di una ragione umana ferita e indebolita dal peccato. Da ciò risulta che nessuna forma storica della filosofia può legittimamente pretendere di abbracciare la totalità della verità, né di essere la spiegazione piena dell'essere umano, del mondo e del rapporto dell'uomo con Dio.

Oggi poi, col moltiplicarsi dei sistemi, dei metodi, dei concetti e argomenti filosofici, spesso estremamente particolareggiati, un discernimento critico alla luce della fede si impone con maggiore urgenza. Discernimento non facile, perché se è già laborioso riconoscere le capacità congenite e inalienabili della ragione, con i suoi limiti costitutivi e storici, ancora più problematico qualche volta può risultare il discernimento, nelle singole proposte filosofiche, di ciò che, dal punto di vista della fede, esse offrono di valido e di fecondo rispetto a ciò che, invece, presentano di erroneo o di pericoloso. La Chiesa, comunque, sa che i « tesori della sapienza e della scienza » sono nascosti in Cristo (
Col 2,3); per questo interviene stimolando la riflessione filosofica, perché non si precluda la strada che conduce al riconoscimento del mistero.


52 Non è solo di recente che il Magistero della Chiesa è intervenuto per manifestare il suo pensiero nei confronti di determinate dottrine filosofiche. A titolo esemplificativo basti ricordare, nel corso dei secoli, i pronunciamenti circa le teorie che sostenevano la preesistenza delle anime,(56) come pure circa le diverse forme di idolatria e di esoterismo superstizioso, contenute in tesi astrologiche; (57) per non dimenticare i testi più sistematici contro alcune tesi dell'averroismo latino, incompatibili con la fede cristiana.(58)

Se la parola del Magistero si è fatta udire più spesso a partire dalla metà del secolo scorso è perché in quel periodo non pochi cattolici sentirono il dovere di opporre una loro filosofia alle varie correnti del pensiero moderno. A questo punto, diventava obbligatorio per il Magistero della Chiesa vegliare perché queste filosofie non deviassero, a loro volta, in forme erronee e negative. Furono così censurati simmetricamente: da una parte, il fideismo (59) e il tradizionalismo radicale,(60) per la loro sfiducia nelle capacità naturali della ragione; dall'altra parte, il razionalismo (61) e l'ontologismo,(62) perché attribuivano alla ragione naturale ciò che è conoscibile solo alla luce della fede. I contenuti positivi di questo dibattito furono formalizzati nella Costituzione dogmatica Dei Filius, con la quale per la prima volta un Concilio ecumenico, il Vaticano I, interveniva in maniera solenne sui rapporti tra ragione e fede. L'insegnamento contenuto in quel testo caratterizzò fortemente e in maniera positiva la ricerca filosofica di molti credenti e costituisce ancora oggi un punto di riferimento normativo per una corretta e coerente riflessione cristiana in questo particolare ambito.

(56) Cfr Sinodo di Costantinopoli,
DS 403.
(57) Cfr Concilio di Toledo I, DS 205; Concilio di Braga I, DS 459-460; Sisto V, Bolla Coeli et terrae Creator (5 gennaio 1586): Bullarium Romanum 4/4, Romae 1747, 176-179; Urbano VIII, Inscrutabilis iudiciorum (1o aprile 1631): Bullarium Romanum 6/1, Romae 1758, 268-270.
(58) Cfr Conc. Ecum. Viennense, Decr. Fidei catholicae, DS 902; Conc. Ecum. Lateranense V, Bolla Apostolici regiminis, DS 1440.
(59) Cfr Theses a Ludovico Eugenio Bautain iussu sui Episcopi subscriptae (8 settembre 1840), DS 2751-2756; Theses a Ludovico Eugenio Bautain ex mandato S. Cong. Episcoporum et Religiosorum subscriptae (26 aprile 1844), DS 2765-2769.
(60) Cfr S. Congr. Indicis, Decr. Theses contra traditionalismum Augustini Bonnetty (11 giugno 1855), DS 2811-2814.
(61) Cfr Pio IX, Breve Eximiam tuam (15 giugno 1857), DS 2828-2831; Breve Gravissimas inter (11 dicembre 1862), DS 2850-2861.
(62) Cfr S. Congr. del S. Officio, Decr. Errores ontologistarum (18 settembre 1861), DS 2841-2847.


53 Più che di singole tesi filosofiche, i pronunciamenti del Magistero si sono occupati della necessità della conoscenza razionale e, dunque, ultimamente filosofica per l'intelligenza della fede. Il Concilio Vaticano I, sintetizzando e riaffermando in modo solenne gli insegnamenti che in maniera ordinaria e costante il Magistero pontificio aveva proposto per i fedeli, mise in evidenza quanto fossero inseparabili e insieme irriducibili la conoscenza naturale di Dio e la Rivelazione, la ragione e la fede. Il Concilio partiva dall'esigenza fondamentale, presupposta dalla Rivelazione stessa, della conoscibilità naturale dell'esistenza di Dio, principio e fine di ogni cosa,(63) e concludeva con l'asserzione solenne già citata: « esistono due ordini di conoscenza, distinti non solo per il loro principio, ma anche per il loro oggetto ».(64) Bisognava affermare, dunque, contro ogni forma di razionalismo, la distinzione dei misteri della fede dai ritrovati filosofici e la trascendenza e precedenza di quelli rispetto a questi; d'altra parte, contro le tentazioni fideistiche, era necessario che si ribadisse l'unità della verità e, quindi, anche l'apporto positivo che la conoscenza razionale può e deve dare alla conoscenza di fede: « Ma anche se la fede è sopra la ragione, non vi potrà mai essere una vera divergenza tra fede e ragione: poiché lo stesso Dio, che rivela i misteri e comunica la fede, ha anche deposto nello spirito umano il lume della ragione, questo Dio non potrebbe negare se stesso, né il vero contraddire il vero ».(65)

(63) Cfr Conc. Ecum. Vat. I, Cost. dogm. sulla fede cattolica Dei Filius, II:
DS 3004; e can. 2, 1: DS 3026.
(64) Ibid., IV: DS 3015, citato in Conc. Ecum. Vat. II, Cost. past. sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes, GS 59.
(65) Conc. Ecum. Vat. I, Cost. dogm. sulla fede cattolica Dei Filius, IV: DS 3017.


54 Anche nel nostro secolo, il Magistero è ritornato più volte sull'argomento mettendo in guardia contro la tentazione razionalistica. E su questo scenario che si devono collocare gli interventi del Papa san Pio X, il quale rilevava come alla base del modernismo vi fossero asserti filosofici di indirizzo fenomenista, agnostico e immanentista.(66) Non si può neppure dimenticare l'importanza che ebbe il rifiuto cattolico della filosofia marxista e del comunismo ateo.(67)

Successivamente, il Papa Pio XII fece sentire la sua voce quando, nella Lettera enciclica Humani generis, mise in guardia contro interpretazioni erronee, collegate con le tesi dell'evoluzionismo, dell'esistenzialismo e dello storicismo. Egli precisava che queste tesi erano state elaborate e venivano proposte non da teologi, avendo la loro origine « fuori dall'ovile di Cristo »; (68) aggiungeva, comunque, che tali deviazioni non erano semplicemente da rigettare, ma da esaminare criticamente: « Ora queste tendenze, che più o meno deviano dalla retta strada, non possono essere ignorate o trascurate dai filosofi o dai teologi cattolici, che hanno il grave compito di difendere la verità divina ed umana e di farla penetrare nelle menti degli uomini. Anzi, essi devono conoscere bene queste opinioni, sia perché le malattie non si possono curare se prima non sono ben conosciute, sia perché qualche volta nelle stesse false affermazioni si nasconde un po' di verità, sia, infine, perché gli stessi errori spingono la mente nostra a investigare e a scrutare con più diligenza alcune verità sia filosofiche sia teologiche ».(69)

Da ultimo, anche la Congregazione per la Dottrina della Fede, in adempimento del suo specifico compito a servizio del magistero universale del Romano Pontefice,(70) ha dovuto intervenire per ribadire il pericolo che comporta l'assunzione acritica, da parte di alcuni teologi della liberazione, di tesi e metodologie derivanti dal marxismo.(71)

Nel passato il Magistero ha dunque esercitato ripetutamente e sotto diverse modalità il discernimento in materia filosofica. Quanto i miei Venerati Predecessori hanno apportato costituisce un prezioso contributo che non può essere dimenticato.

(66) Cfr Lett. enc. Pascendi dominici gregis (8 settembre 1907): ASS 40 (1907), 596-597.
(67) Cfr Pio XI, Lett. enc. Divini Redemptoris (19 marzo 1937): AAS 29 (1937), 65-106.
(68) Lett. enc. Humani generis (12 agosto 1950): AAS 42 (1950), 562-563.
(69) Ibid., l.c., 563-564.
(70) Cfr Giovanni Paolo II, Cost. ap. Pastor Bonus (28 giugno 1988), artt. : AAS 80 (1988), 873; Congr. per la Dottrina della Fede, Istr. sulla vocazione ecclesiale del teologo Donum veritatis (24 maggio 1990), 18: AAS 82 (1990), 1558.
(71) Cfr Istr. su alcuni aspetti della « teologia della liberazione » Libertatis nuntius (6 agosto 1984), VII-X: AAS 76 (1984), 890-903.


55 Se guardiamo alla nostra condizione odierna, vediamo che i problemi di un tempo ritornano, ma con peculiarità nuove. Non si tratta più solamente di questioni che interessano singole persone o gruppi, ma di convinzioni diffuse nell'ambiente al punto da divenire in qualche misura mentalità comune. Tale è, ad esempio, la radicale sfiducia nella ragione che rivelano i più recenti sviluppi di molti studi filosofici. Da più parti si è sentito parlare, a questo riguardo, di « fine della metafisica »: si vuole che la filosofia si accontenti di compiti più modesti, quali la sola interpretazione del fattuale o la sola indagine su campi determinati del sapere umano o sulle sue strutture.

Nella stessa teologia tornano ad affacciarsi le tentazioni di un tempo. In alcune teologie contemporanee, ad esempio, si fa nuovamente strada un certo razionalismo, soprattutto quando asserti ritenuti filosoficamente fondati sono assunti come normativi per la ricerca teologica. Ciò accade soprattutto quando il teologo, per mancanza di competenza filosofica, si lascia condizionare in modo acritico da affermazioni entrate ormai nel linguaggio e nella cultura corrente, ma prive di sufficiente base razionale.(72)

Non mancano neppure pericolosi ripiegamenti sul fideismo, che non riconosce l'importanza della conoscenza razionale e del discorso filosofico per l'intelligenza della fede, anzi per la stessa possibilità di credere in Dio. Un'espressione oggi diffusa di tale tendenza fideistica è il « biblicismo », che tende a fare della lettura della Sacra Scrittura o della sua esegesi l'unico punto di riferimento veritativo. Accade così che si identifichi la parola di Dio con la sola Sacra Scrittura, vanificando in tal modo la dottrina della Chiesa che il Concilio Ecumenico Vaticano II ha ribadito espressamente. La Costituzione Dei Verbum, dopo aver ricordato che la parola di Dio è presente sia nei testi sacri che nella Tradizione,(73) afferma con forza: « La Sacra Tradizione e la Sacra Scrittura costituiscono un solo sacro deposito della parola di Dio affidato alla Chiesa. Aderendo ad esso tutto il popolo santo, unito ai suoi Pastori, persevera costantemente nell'insegnamento degli Apostoli ».(74) La Sacra Scrittura, pertanto, non è il solo riferimento per la Chiesa. La « regola suprema della propria fede »,(75) infatti, le proviene dall'unità che lo Spirito ha posto tra la Sacra Tradizione, la Sacra Scrittura e il Magistero della Chiesa in una reciprocità tale per cui i tre non possono sussistere in maniera indipendente.(76)

Non è da sottovalutare, inoltre, il pericolo insito nel voler derivare la verità della Sacra Scrittura dall'applicazione di una sola metodologia, dimenticando la necessità di una esegesi più ampia che consenta di accedere, insieme con tutta la Chiesa, al senso pieno dei testi. Quanti si dedicano allo studio delle Sacre Scritture devono sempre tener presente che le diverse metodologie ermeneutiche hanno anch'esse alla base una concezione filosofica: occorre vagliarla con discernimento prima di applicarla ai testi sacri.

Altre forme di latente fideismo sono riconoscibili nella poca considerazione che viene riservata alla teologia speculativa, come pure nel disprezzo per la filosofia classica, alle cui nozioni sia l'intelligenza della fede sia le stesse formulazioni dogmatiche hanno attinto i loro termini. Il Papa Pio XII, di venerata memoria, ha messo in guardia contro tale oblio della tradizione filosofica e contro l'abbandono delle terminologie tradizionali.(77)

(72) Il Concilio Vaticano I, con parole tanto chiare quanto autoritative, aveva già condannato questo errore, affermando da una parte che « quanto a questa fede [...], la Chiesa cattolica professa che essa è una virtù soprannaturale, per la quale sotto l'ispirazione divina e con l'aiuto della grazia, noi crediamo vere le cose da lui rivelate, non a causa dell'intrinseca verità delle cose percepite dalla luce naturale della ragione, ma a causa dell'autorità di Dio stesso, che le rivela, il quale non può ingannarsi né ingannare »: Cost. dogm. Dei Filius III:
DS 3008, e can.3. 2: DS 3032. Dall'altra parte, il Concilio dichiarava che la ragione mai « è resa capace di penetrare [tali misteri] come le verità che formano il suo oggetto proprio »: ibid., IV: DS 3016. Da qui traeva la conclusione pratica: « I fedeli cristiani non solo non hanno il diritto di difendere come legittime conclusioni della scienza le opinioni riconosciute contrarie alla dottrina della fede, specie se condannate dalla Chiesa, ma sono strettamente tenuti a considerarle piuttosto come errori, che hanno solo una ingannevole parvenza di verità »: ibid., IV: DS 3018.
(73) Cfr nn. DV 9-10.
(74) Ibid., DV 10.
(75) Ibid., DV 21.
(76) Cfr ibid., DV 10.
(77) Cfr Lett. enc. Humani generis (12 agosto 1950): AAS 42 (1950), 565-567; 571-573.


56 Si nota, insomma, una diffusa diffidenza verso gli asserti globali e assoluti, soprattutto da parte di chi ritiene che la verità sia il risultato del consenso e non dell'adeguamento dell'intelletto alla realtà oggettiva. E certo comprensibile che, in un mondo suddiviso in molti campi specialistici, diventi difficile riconoscere quel senso totale e ultimo della vita che la filosofia tradizionalmente ha cercato. Nondimeno alla luce della fede che riconosce in Gesù Cristo tale senso ultimo, non posso non incoraggiare i filosofi, cristiani o meno, ad avere fiducia nelle capacità della ragione umana e a non prefiggersi mete troppo modeste nel loro filosofare. La lezione della storia di questo millennio, che stiamo per concludere, testimonia che questa è la strada da seguire: bisogna non perdere la passione per la verità ultima e l'ansia per la ricerca, unite all'audacia di scoprire nuovi percorsi. E la fede che provoca la ragione a uscire da ogni isolamento e a rischiare volentieri per tutto ciò che è bello, buono e vero. La fede si fa così avvocato convinto e convincente della ragione.


L'interesse della Chiesa per la filosofia

57 Il Magistero, comunque, non si è limitato solo a rilevare gli errori e le deviazioni delle dottrine filosofiche. Con altrettanta attenzione ha voluto ribadire i principi fondamentali per un genuino rinnovamento del pensiero filosofico, indicando anche concreti percorsi da seguire. In questo senso, il Papa Leone XIII con la sua Lettera enciclica AEterni Patris compì un passo di autentica portata storica per la vita della Chiesa. Quel testo è stato, fino ad oggi, l'unico documento pontificio di quel livello dedicato interamente alla filosofia. Il grande Pontefice riprese e sviluppò l'insegnamento del Concilio Vaticano I sul rapporto tra fede e ragione, mostrando come il pensare filosofico sia un contributo fondamentale per la fede e la scienza teologica.(78) A più di un secolo di distanza, molte indicazioni contenute in quel testo non hanno perduto nulla del loro interesse dal punto di vista sia pratico che pedagogico; primo fra tutti, quello relativo all'incomparabile valore della filosofia di san Tommaso. La riproposizione del pensiero del Dottore Angelico appariva a Papa Leone XIII come la strada migliore per ricuperare un uso della filosofia conforme alle esigenze della fede. San Tommaso, egli scriveva, « nel momento stesso in cui, come conviene, distingue perfettamente la fede dalla ragione, le unisce ambedue con legami di amicizia reciproca: conserva ad ognuna i propri diritti e ne salvaguarda la dignità ».(79)

(78) Cfr Lett. enc. AEterni Patris (4 agosto 1879): ASS 11 (1878-1879), 97-115.
(79) Ibid., l.c., 109.


58 Si sa quante felici conseguenze abbia avuto quell'invito pontificio. Gli studi sul pensiero di san Tommaso e di altri autori scolastici ricevettero nuovo slancio. Fu dato vigoroso impulso agli studi storici, con la conseguente riscoperta delle ricchezze del pensiero medievale, fino a quel momento largamente sconosciute, e si costituirono nuove scuole tomistiche. Con l'applicazione della metodologia storica, la conoscenza dell'opera di san Tommaso fece grandi progressi e numerosi furono gli studiosi che con coraggio introdussero la tradizione tomista nelle discussioni sui problemi filosofici e teologici di quel momento. I teologi cattolici più influenti di questo secolo, alla cui riflessione e ricerca molto deve il Concilio Vaticano II, sono figli di tale rinnovamento della filosofia tomista. La Chiesa ha potuto così disporre, nel corso del XX secolo, di una vigorosa schiera di pensatori formati alla scuola dell'Angelico Dottore.


59 Il rinnovamento tomista e neotomista, comunque, non è stato l'unico segno di ripresa del pensiero filosofico nella cultura di ispirazione cristiana. Già prima, e in parallelo con l'invito leoniano, erano emersi non pochi filosofi cattolici che, ricollegandosi a correnti di pensiero più recenti, secondo una propria metodologia, avevano prodotto opere filosofiche di grande influsso e di valore durevole. Ci fu chi organizzò sintesi di così alto profilo che nulla hanno da invidiare ai grandi sistemi dell'idealismo; chi, inoltre, pose le basi epistemologiche per una nuova trattazione della fede alla luce di una rinnovata comprensione della coscienza morale; chi, ancora, produsse una filosofia che, partendo dall'analisi dell'immanenza, apriva il cammino verso il trascendente; e chi, infine, tentò di coniugare le esigenze della fede nell'orizzonte della metodologia fenomenologica. Da diverse prospettive, insomma, si è continuato a produrre forme di speculazione filosofica che hanno inteso mantenere viva la grande tradizione del pensiero cristiano nell'unità di fede e ragione.


60 Il Concilio Ecumenico Vaticano II, per parte sua, presenta un insegnamento molto ricco e fecondo nei confronti della filosofia. Non posso dimenticare, soprattutto nel contesto di questa Lettera enciclica, che un intero capitolo della Costituzione Gaudium et spes costituisce quasi un compendio di antropologia biblica, fonte di ispirazione anche per la filosofia. In quelle pagine si tratta del valore della persona umana creata a immagine di Dio, si motiva la sua dignità e superiorità sul resto del creato e si mostra la capacità trascendente della sua ragione.(80) Anche il problema dell'ateismo viene considerato nella Gaudium et spes e ben si motivano gli errori di quella visione filosofica, soprattutto nei confronti dell'inalienabile dignità della persona e della sua libertà.(81) Certamente possiede anche un profondo significato filosofico l'espressione culminante di quelle pagine, che ho ripreso nella mia prima Lettera enciclica Redemptor hominis e che costituisce uno dei punti di riferimento costante del mio insegnamento: « In realtà solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell'uomo. Adamo, infatti, il primo uomo, era figura di quello futuro e cioè di Cristo Signore. Cristo, che è il nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore svela anche pienamente l'uomo all'uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione ».(82)

Il Concilio si è occupato anche dello studio della filosofia, a cui devono dedicarsi i candidati al sacerdozio; sono raccomandazioni estensibili più in generale all'insegnamento cristiano nel suo insieme. Afferma il Concilio: « Le discipline filosofiche si insegnino in maniera che gli alunni siano anzitutto guidati all'acquisto di una solida e armonica conoscenza dell'uomo, del mondo e di Dio, basandosi sul patrimonio filosofico perennemente valido, tenuto conto anche delle correnti filosofiche moderne ».(83)

Queste direttive sono state a più riprese ribadite e specificate in altri documenti magisteriali con lo scopo di garantire una solida formazione filosofica, soprattutto per coloro che si preparano agli studi teologici. Da parte mia, più volte ho sottolineato l'importanza di questa formazione filosofica per quanti dovranno un giorno, nella vita pastorale, confrontarsi con le istanze del mondo contemporaneo e cogliere le cause di alcuni comportamenti per darvi pronta risposta.(84)

(80) Cfr nn.
GS 14-15.
(81) Cfr ibid., GS 20-21.
(82) Ibid., GS 22; cfr Giovanni Paolo II, Lett. enc. Redemptor hominis (4 marzo 1979), RH 8: AAS 71 (1979), 271-272.
(83) Decr. sulla formazione sacerdotale Optatam totius, OT 15.
(84) Cfr Giovanni Paolo II, Cost. ap. Sapientia christiana (15 aprile 1979), art. 79-80: AAS 71 (1979), 495-496; Esort. ap. postsinodale Pastores dabo vobis (25 marzo 1992), PDV 52: AAS 84 (1992), 750-751. Cfr pure alcuni commenti sulla filosofia di S. Tommaso: Discorso al Pontificio Ateneo Internazionale Angelicum (17 novembre 1979): Insegnamenti II, 2 (1979), 1177-1189; Discorso ai partecipanti dell'VIII Congresso Tomistico Internazionale (13 settembre 1980): Insegnamenti III, 2 (1980), 604-615; Discorso ai partecipanti al Congresso Internazionale della Società « San Tommaso » sulla dottrina dell'anima in S. Tommaso (4 gennaio 1986): Insegnamenti IX, 1 (1986), 18-24. Inoltre, S. Congr. per l'Educazione Cattolica, Ratio fundamentalis institutionis sacerdotalis (6 gennaio 1970), 70-75: AAS 62 (1970), 366-368; Decr. Sacra Theologia (20 gennaio 1972): AAS 64 (1972), 583-586.


61 Se in diverse circostanze è stato necessario intervenire su questo tema, ribadendo anche il valore delle intuizioni del Dottore Angelico e insistendo per l'acquisizione del suo pensiero, ciò è dipeso dal fatto che le direttive del Magistero non sono state sempre osservate con la desiderabile disponibilità. In molte scuole cattoliche, negli anni che seguirono il Concilio Vaticano II, si è potuto osservare, in materia, un certo decadimento dovuto ad una minore stima, non solo della filosofia scolastica, ma più in generale dello stesso studio della filosofia. Con meraviglia e dispiacere devo costatare che non pochi teologi condividono questo disinteresse per lo studio della filosofia.

Diverse sono le ragioni che stanno alla base di questa disaffezione. In primo luogo, è da registrare la sfiducia nella ragione che gran parte della filosofia contemporanea manifesta, abbandonando largamente la ricerca metafisica sulle domande ultime dell'uomo, per concentrare la propria attenzione su problemi particolari e regionali, talvolta anche puramente formali. Si deve aggiungere, inoltre, il fraintendimento che si è creato soprattutto in rapporto alle « scienze umane ». Il Concilio Vaticano II ha più volte ribadito il valore positivo della ricerca scientifica in ordine a una conoscenza più profonda del mistero dell'uomo.(85) L'invito fatto ai teologi perché conoscano queste scienze e, all'occorrenza, le applichino correttamente nella loro indagine non deve, tuttavia, essere interpretato come un'implicita autorizzazione ad emarginare la filosofia o a sostituirla nella formazione pastorale e nella praeparatio fidei. Non si può dimenticare, infine, il ritrovato interesse per l'inculturazione della fede. In modo particolare la vita delle giovani Chiese ha permesso di scoprire, accanto ad elevate forme di pensiero, la presenza di molteplici espressioni di saggezza popolare. Ciò costituisce un reale patrimonio di cultura e di tradizioni. Lo studio, tuttavia, delle usanze tradizionali deve andare di pari passo con la ricerca filosofica. Sarà questa a permettere di far emergere i tratti positivi della saggezza popolare, creando il necessario collegamento con l'annuncio del Vangelo.(86)

(85) Cfr Cost. past. sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes,
GS 57 GS 62.
(86) Cfr ibid., GS 44.


Fides et ratio IT 47