Autobiografia



SANTA GEMMA GALGANI

AUTOBIOGRAFIA




Al babbo mio che lo bruci subito

1 BABBO MIO,

Stia a sentire: io avevo proprio nell'idea di fare la mia confessione generale dei peccati senza aggiungerci altro, ma l'Angelo Suo mi ha rimproverato, dicendomi che obbedisca e faccia come un compendio di tutto ciò che mi è accaduto nella vita, buono e cattivo.
Quanta fatica, babbo mio, a obbedire a questa cosa! Però, badi bene: Lei lo legga e rilegga pure quanto vuole, ma nessuno altro fuori che Lei, e poi lo bruci subito. Ha capito?
L'Angelo mi ha promesso di aiutarmi e farmi venire in mente ogni cosa; perché, glielo dico chiaro, ho anche pianto, perché questa cosa non la volevo fare: mi sgomentavo a farmi tornare in mente tutto, ma l'Angelo mi ha assicurato di aiutarmi.
E poi penso anche, babbo mio: quando Lei avrà letto questo scritto e avrà sentito i peccati, s'arrabbierà e non vorrà essere più babbo mio; allora sì... Ma vorrà essere sempre, spero. Si prepari dunque a sentirne di ogni specie e peccati di ogni genere.
E Lei, babbo mio, approva ciò che l'Angelo mi ha detto, di parlare di tutta la vita? È un ordine suo, e poi ciò che mi dice l'Angelo, mi accorgo che sono cose che il babbo mio l'ha già nella mente e nel cuore. Scrivendo tutto, bene e male, potrà capire meglio come io sia stata cattiva e gli altri tutti buoni con me; quanto mi sia mostrata ingrata verso Gesù, e quanto non abbia voluto ascoltare buoni consigli dai genitori e dalle maestre.
Eccomi all'opera, babbo mio. Viva Gesù!

Primi ricordi. - La mamma.

2 Per la prima cosa mi ricordo che la mamma mia, quando ero piccina (sotto ai 7 anni), era solita spesso prendermi in braccio, e più volte, nel farlo, piangeva e mi ripeteva: «Ho pregato tanto, affinché Gesù mi dasse una bimba; mi ha consolata, è vero, ma assai tardi. Io sono malata - mi ripeteva - e dovrò morire, ti dovrò lasciare; o se potessi condurti con me! verresti?».
Io capivo ben poco e piangevo, perché vedevo pianger la mamma. «E dove si anderebbe?» gli chiedevo. «In Paradiso, con Gesù, cogli Angeli...».
Fu la mamma mia, babbo mio, che cominciò da piccina a farmi desiderare il Paradiso, e se ancora lo desidero e ci voglio andare, ho delle belle gridate, e un bel no mi sento rispondere.
Alla mamma gli rispondevo di sì, e mi ricordo che dopo avermi ripetuto per assai volte queste solite cose, cioè di condurmi in Paradiso, io non volevo mai staccarmi da lei, non uscivo più dalla sua camera. [...].
Il medico stesso proibì di accostarci al letto perfino, ma per me ogni comando era inutile, non obbedivo. Ogni sera, prima che andassi a letto, andavo da lei per dire le orazioni; m'inginocchiavo al suo capezzale, e si pregava.
Una sera, alle solite preghiere mi fece aggiungere un De profundis alle anime del Purgatorio, e 5 Gloria alle piaghe di Gesù. Le dissi infatti, ma come ero solita dirle io, svogliatamente e senza attenzione (in tutto il tempo di mia vita non ho mai atteso alla preghiera), e feci un bel capriccio lamentandomi con la mamma che erano troppe cose e non ne sentivo voglia. La mamma, indulgente, le altre sere fu più breve.

La cresima (1885). - La mamma in paradiso (1886).

3 Si avvicinava intanto il tempo che dovevo fare la Cresima. Pensò di farmi istruire un po', perché non sapevo nulla; ma io, cattiva, non volevo uscir di camera sua, e fu costretta una maestra della dottrina a venire ogni sera in casa, sempre sotto gli occhi della mamma.
Il giorno [26] di Maggio 1885 feci la Cresima, ma piangendo, perché dopo la funzione chi mi accompagnava volle ascoltare la Messa, e io temevo sempre che la mamma andasse via (morisse) senza portarmi via anche me.
Ascoltai alla meglio la Messa pregando per lei; tutto ad un tratto una voce al cuore mi disse: «Me la vuoi dare a me la mamma?». «Sì, - risposi - ma se mi prendete anche me». «No, - mi ripeté la solita voce - dammela volentieri la mamma tua. Tu per ora devi rimanere col babbo. Te la condurrò in Cielo, sai? Me la dai volentieri?». Fui costretta a rispondere di sì; finita la Messa, corsi a casa. Mio Dio! Guardavo la mamma e piangevo; non potevo trattenermi.
Passarono altri due mesi; mai mi staccavo da Lei. Infine poi il babbo, che temeva che dovessi morire prima io di Lei, a forza un giorno mi condusse via, e mi portò da un fratello della mamma, non più a Lucca.
Babbo, babbo mio, allora sì... Che tormento! non vidi più nessuno, né il babbo né i fratelli; seppi poi che la mamma era morta il 17 Settembre di quell'anno.


A S. Gennaro con lo zio.

4 Cambiai affatto vita andando con lo zio; ci trovai pure una zia, che non somigliava punto alla mamma: buona, religiosa, ma voleva sapere di Chiesa fino ad un certo punto. O allora sì che rimpiangevo il tempo che la mamma mi faceva pregare tanto! Tutto il tempo che stetti con lei, non mi fu possibile confessarmi (che ne avevo tanto desiderio); mi ero confessata sette volte sole, e avrei voluto andarci ogni giorno, dopo che fu morta la mamma (la mamma dopo la Cresima mi ci faceva portare ogni settimana).
Decise la zia di tenermi come figlia, ma saputa la cosa il mio fratello che è morto, non volle a nessun patto, e il giorno di Natale ritornai in famiglia, col babbo, i fratelli, due sorelline (una che non conoscevo, perché fu portata via appena nata), e due persone di servizio.
Che consolazione provai nel ritornare con loro, e uscire dalle mani della zia! Lei mi voleva un bene infinito, e io nessuno nessuno. Il babbo allora mi mise a scuola all'istituto di S. Zita (erano monache).
In questo tempo che fui con la zia, fui sempre cattiva. Lei aveva un figliuolo che mi faceva i dispetti e mi metteva le mani addosso; un giorno che era a cavallo (aveva 15 anni), la zia mi comandò che gli portassi non mi ricordo che cosa per coprirsi. Glielo portai, e lui mi dette un pizzicotto: gli detti allora una spinta forte, che cadde di sotto; si fece male al capo. La zia mi tenne le mani legate dietro alla schiena per un giorno intero. Io indispettita mi arrabbiai, gli risposi, e gli feci un mucchio di versi, e dissi anche di vendicarmi, ma non lo feci.


A scuola dalle Zitine. - Prima Comunione (1887).

5 Cominciai ad andare a scuola alle Monache: ero in Paradiso. Mostrai subito desiderio di fare la Comunione, ma mi trovarono così cattiva e ignorante, che erano proprio sgomente. Cominciarono ad istruirmi, a darmi tanti buoni consigli; ma io divenivo sempre più cattiva, avevo soltanto il desiderio di far presto la SS. Comunione, e lo conobbero sì forte, che me lo concessero ben presto.
Erano solite le monache fare la S. Comunione nel mese di Giugno; eravamo intanto arrivate a quel tempo, e dovetti chiedere al babbo il permesso di entrare in convento per qualche tempo. Il babbo indispettito non mi accordò nulla: ma io, che conoscevo un'astuzia bella per piegarlo a concedermi tutto, adoperai quella e l'ottenni subito. (Ogni volta che il babbo mi vedeva piangere, faceva tutto quello che volevo). Piansi, altrimenti non ottenevo nulla. La sera ottenni il permesso, e la mattina subito andai in convento e mi trattenni 15 giorni. In questo tempo non vidi mai nessuno di famiglia. Ma come stavo bene! Che Paradiso, babbo mio! [...].
Appena fui in convento, e mi trovai contenta, corsi a ringraziare Gesù in Chiesina, e lo pregai caldamente a prepararmi bene alla S. Comunione.
Ma avevo un altro desiderio oltre a questo: la mamma, quando ero piccina, mi faceva vedere il Crocifisso e mi diceva che era morto in Croce per gli uomini; più tardi poi lo sentii ripetere dalle maestre, ma mai avevo capito nulla; avrei desiderato di sapere per segno tutta la vita di Gesù e la sua Passione. Mostrai questo desiderio alla maestra mia, e cominciò giorno per giorno a spiegarmi qualche cosa, e per questo sceglieva un'ora quando le altre bimbe erano a letto, e lo faceva, credo, di nascosto alla Madre Superiora.
Una sera che mi spiegò qualche cosa della Crocifissione, della Coronazione, dei patimenti tutti di Gesù, me li aveva sì ben spiegati, sì al vivo, che ne provai tanto dolore e compassione, che mi venne all'istante una febbre sì forte, che per tutto il giorno dopo dovetti stare a letto. La maestra da quel giorno troncò ogni spiegazione.
Mi fecero pure inquietare quelle monache: vollero avvisare il babbo che mi era venuta la febbre; ma la pagarono cara anche loro, perché ce ne fu per loro, per me e per tutti del convento. Questo accadde in particolare nei 10 giorni di esercizi.
Entrai dunque con altre 11 bimbe nei santi esercizi, il giorno... di Giugno, che furono predicati dal Sig. Raffaele Cianetti. Tutte le bambine si davano premura di prepararsi bene a ricevere Gesù; io solo tra molte ero la più negligente e la più distratta: non mi davo nessun pensiero di cambiare vita, ascoltavo le prediche, ma ben presto le dimenticavo.
Spesso, anzi ogni giorno, quel buon Predicatore diceva: «Chi si ciba di Gesù, vivrà della Sua vita. Queste parole mi riempivano di tanta consolazione, e così ragionavo tra me: Dunque quando Gesù sarà con me, io non vivrò più in me, perché in me vivrà Gesù. E morivo dal desiderio di arrivare presto a poter dire queste parole. Alle volte, nel meditare queste parole, passavo intere le notti, consumando dal desiderio.
Spuntò finalmente il giorno tanto bramato. Il giorno avanti scrissi queste poche righe al babbo:

CARO BABBO,
Siamo alla vigilia del giorno della prima Comunione, giorno per me di contentezza infinita. Gli scrivo questa riga sola per assicurarlo del mio affetto, e perché preghi Gesù, affinché la prima volta che viene in me, mi trovi disposta a ricevere tutte quelle grazie che mi ha preparate.
Gli chiedo perdono di tutti i disgusti e tante disobbedienze che gli ho recati, e lo prego questa sera a volere tutto dimenticare. Dimandandogli la sua Benedizione, mi dico
Aff. Figlia Gemma.

Mi preparai con tanta fatica di quelle buone suore alla Confessione generale, che la feci in tre volte da Monsignor Volpi; terminai di farla il Sabato, vigilia del giorno felice.
Venne finalmente la Domenica mattina; mi alzai presto, corsi da Gesù per la prima volta. Furono alla fine appagati i miei sospiri. Intesi allora per la prima volta la promessa di Gesù: «Chi si ciba di me, viverà della mia vita».
Babbo mio, ciò che passò tra me e Gesù in quel momento, non so esprimerlo. Gesù si fece sentire forte forte alla misera anima mia. Capii in quel momento che le delizie del Cielo non sono come quelle della terra. Mi sentii presa dal desiderio di render continua quell'unione col mio Dio. Mi sentivo sempre più staccata dal mondo, e sempre più disposta al raccoglimento. Fu in quella mattina stessa che Gesù mi dette il desiderio grande di essere religiosa.


I propositi della prima Comunione.

6 Prima di uscir di convento mi proposi da me stessa certi propositi riguardo al regolamento della mia vita:
1. Mi confesserò e comunicherò ogni volta, come se fosse l'ultima.
2. Visiterà spesso Gesù Sacramentato, specialmente quando sono afflitta.
3. Mi preparerò a ogni festa della Madonna con qualche mortificazione, e ogni sera chiederò la benedizione alla Mamma celeste.
4. Voglio sempre stare alla presenza di Dio.
5. Ogni volta che suona l'orologio, ripetere 3 volte: Gesù mio, misericordia.
Avrei voluto aggiungerne altri, ma non mi fu permesso dalla maestra; e ne ebbe ragione, perché tornata in famiglia dimenticai dopo un anno circa i propositi fatti, i buoni consigli, e divenni peggiore di prima. Continuai ad andare a scuola alle monache; furono per un po' contente. Due o tre volte la settimana facevo la Comunione: Gesù si faceva sempre più sentire; più volte mi fece gustare consolazioni grandissime; ma come presto lo lasciai, cominciai a divenire superba, disobbediente più di prima, di cattivo esempio alle compagne, di scandalo a tutti.
Alla scuola non passava giorno che non fossi punita, non sapevo le lezioni, e poco mancò che non fossi cacciata via. In casa non lasciavo trovar pace a nessuno, ogni giorno volevo andare a passeggiare, e vestiti sempre nuovi, che il babbo poveretto mi contentò per assai tempo. Tralasciavo ogni mattina e ogni sera di fare le solite mie orazioni; tra tutti questi peccati non mai dimenticai di recitare ogni giorno tre Ave Maria con le mani sotto le ginocchia (cosa che mi aveva insegnata la mamma, affinché Gesù mi liberasse ogni giorno dai peccati contro la S. Purità).


Verso i poveri. - Nuova conversione.

7 Ed ancora in questo spazio di tempo, che durò per quasi un anno intero, l'unica cosa che mi era rimasta, era la carità verso i poveri. Ogni volta che uscivo di casa, volevo sempre denari dal babbo, e se alle volte me li negava, portavo via di casa pane... farina... e altre cose; e Dio proprio voleva che ne incontrassi spesso [di poveri], poiché erano tre o quattro ogni volta che uscissi di casa. A quelli poi che venivano alla porta, gli davo biancheria e tutto quello che avessi avuto.
Ne ebbi poi la proibizione dal Confessore, e più non lo feci; e per questo mezzo Gesù operò in me una nuova conversione; poiché il babbo non mi dava più nessuni quattrini, di casa non potevo più levarci nulla, e ogni volta che uscivo fuori, non incontravo che poveri e tutti correvano da me. Non potevo dar loro nulla, e questo era un dolore che mi faceva piangere continuamente; ed è per questo che finii col non uscire più fuori se non per vera necessità, e finii ancora col noiarmi dei vestiti e di tutte le altre cose.
Mi provai allora a fare di nuovo la Confessione generale e non mi fu concessa; mi confessai però di tutto, e Gesù me ne dette dolore sì grande, che tuttora lo sento. Chiesi perdono alle maestre, ché loro più di tutte avevo disgustato.
Al babbo però e ai fratelli non piacque questo cambiamento; poiché da un fratello specialmente spesse volte ne toccai, perché ogni mattina volevo andare alla Messa per tempo. Ma Gesù d'allora in poi più che mai mi aiutò.


In famiglia con le zie.

8 In questo tempo, essendo morto il nonno e lo zio, due zie dalla parte del babbo vennero a stare con noi in famiglia. Erano zie buone, religiose, affezionate, ma non era mai l'affetto tenero della mamma. Ci conducevano in Chiesa quasi ogni giorno e non mancavano d'istruirci nelle cose di Religione.
Tra di noi fratelli e sorelle ve ne erano alcuni più buoni e altri più cattivi: il maggiore, il quarto che morì, e la più piccina Giulia erano più buoni, e perciò più amati dalle zie; ma gli altri, che avevano avuto cattivo esempio da me, erano assai più vivaci, e perciò più trascurati; ma per questo non mancava mai il necessario a nessuno.
La peggiore di tutti fui sempre io, e chi sa stretto conto che dovrò rendere al Signore per il cattivo esempio dato ai fratelli e compagni! Non mancarono le zie di correggermi in tutto quello che avessi mancato, ma io non rispondevo loro che con arroganza, e avevano da me se non che delle forti risposte.
Pure, come ho detto, Gesù usò di quel mezzo, di non poter più fare elemosine, per convertirmi. Cominciai allora a pensare all'offesa grande di Gesù coi miei peccati; cominciai a studiare, a lavorare. e le maestre continuarono a volermi bene; l'unico difetto, pel quale ho avuto forti contese e castighi, perché avevo la superbia. La maestra spesso per nome mi chiamava «la superba».
Sì, purtroppo l'avevo questo peccato; ma Gesù lo sa se lo conoscevo o no. Più volte sono andata in ginocchio avanti alla maestra, alle scolare tutte, alla Madre Superiora a chiedere perdono di questo peccato; ma poi la sera, e anche tante notti, piangevo da me sola: questo peccato non lo conoscevo, e più volte al giorno vi cadevo e ricadevo senza avvedermene.


La buona maestra.

9 La maestra, che nel tempo degli esercizi della S. Comunione avevami spiegata la Passione, un giorno (forse perché vedeva in me un cambiamento) si riprovò a spiegarmela; andò però molto adagio; anzi mi ripeteva spesso: «Gemma mia, - mi diceva - tu sei di Gesù, e devi essere tutta Sua. Sii buona: Gesù è contento di te; ma pure hai bisogno di tanto aiuto. La meditazione sopra la sua Passione deve essere una cosa per te la più cara. O se ti potessi aver sempre meco!...».
Quella buona maestra mi aveva indovinato il mio pensiero. Altre volte mi ripeteva: «Gemma, quante cose ti ha date Gesù!...». Io, che non capivo mai nulla di tutto questo, rimanevo come muta; ma alle volte avevo così bisogno di una parola, (e lo dico) di una carezza della mia cara maestra, che correvo a cercarla. Alle volte si mostrava seria; io, che la vedevo in quel modo, piangevo, e finiva poi col prendermi in braccio (benché fossi di 11 anni) e accarezzarmi, che alla fine poi fui presa a volergli tanto bene, che la chiamavo la mamma mia.


Esercizi spirituali dei 1891.

10 Ogni due anni le monache sono solite fare anche alle alunne esterne un corso di esercizi: non mi parve vero potermi di nuovo riconcentrare con Gesù. Questa volta però fui sola senza nessun aiuto: le monache li facevano per conto loro e le bimbe da loro pure.
Capii bene che Gesù mi mandava questa occasione per conoscere bene me stessa, e per maggiormente purificarmi e piacergli.
Esercizi fatti l'anno 1891, nei quali Gemma deve cambiare e darsi tutta a Gesù.
Mi ricordo che quel buon sacerdote ripeteva: «Ricordiamoci che noi non siamo nulla, Dio è tutto, Dio è il nostro Creatore, tutto quello che abbiamo, l'abbiamo da Dio».
Dopo qualche giorno mi ricordo che il Predicatore ci fece fare la Meditazione sopra il peccato. Allora sì che conobbi veramente, babbo mio, che ero degna che tutti mi disprezzassero: mi vedevo sì ingrata al mio Dio, e mi vedevo ricoperta di tanti peccati.
Facemmo poi la Meditazione dell'Inferno, che me ne riconobbi meritevole, e a questa meditazione feci questo proposito: Farò, anche tra giorno, atti di contrizione, specialmente se avrò commessa qualche mancanza.
Negli ultimi giorni poi degli esercizi, si considerò gli esempi di umiltà, di dolcezza, obbedienza e pazienza [di Gesù]; e da questa meditazione ancora ritrassi due propositi:
l. Fare ogni giorno la visita a Gesù Sacramentato, e parlargli più col cuore che con la lingua.
2. Mi adopererò più che posso di non far mai discorsi indifferenti, ma parlerò di cose celesti.
Terminarono i detti esercizi e dopo ottenni dal Confessore di far la Comunione tre volte per settimana e confessarmi pure tre volte, e durai per circa 3 o 4 anni, fino al 1895.


Meditando la Passione di Gesù.

11 Continuavo ad andare a scuola ogni giorno, ma il desiderio di ricevere Gesù e conoscere la sua Passione mi cresceva, [tanto] che ottenni dalla maestra che ogni volta che avessi avuto 10 a lavoro e a studio, me ne avrebbe spiegata per un'ora intera. Non bramavo di più: ogni giorno avevo 10 e ogni giorno avevo la spiegazione sopra un punto della Passione. Molte volte, riflettendo ai miei peccati e all'ingratitudine mia verso Gesù, cominciavamo insieme a piangere.
Fu nel corso di questi quattro anni che questa buona maestra m'insegnò anche a fare qualche piccola penitenza per Gesù: la prima fu di portare una piccola fune alla vita, e tante altre; ma per quanto facessi, mai ottenni il permesso dal Confessore. Allora m'insegnò a mortificare gli occhi e la lingua; riuscì a farmi migliorare, ma con molta fatica.
Questa buona maestra morì dopo avermi tenuta sotto di sé 6 anni; passai allora sotto la direzione di un'altra, buona quanto la prima; ma anche questa ebbe a lamentarsi molto di me per il brutto peccato della superbia.
Cominciai sotto la sua direzione ad avere più voglia assai di pregare. Ogni sera. appena uscivo dalla scuola, andavo in casa, mi chiudevo in una stanza e recitavo il Rosario intero in ginocchio, e più volte la notte per circa un quarto d'ora mi alzavo e raccomandavo a Gesù la povera anima mia.


La beniamina del babbo. - Il fratello Gino.

12 Le zie, i fratelli poco si occupavano di me: mi lasciavano fare allora quello che avessi voluto, perché già avevano conosciuto quanto fossi cattiva. Il babbo poi mi contentava in tutto; esso diceva spesso (che mi faceva piangere tante volte): «Io ho due figli soli, Gino e Gemma».
Parlava così alla presenza di tutti gli altri, e per dire il vero eravamo un [po'] malvoluti dagli altri di casa.
Io pure amavo lui [Gino] più di tutti: si stava sempre insieme; nei giorni di vacanza ci divertivamo a fare altarini, feste ecc.; si stava sempre soli. Mostrò desiderio, quando fu grandicello, di essere prete; allora fu messo in Seminario, e fu vestito; ma pochi anni dopo morì.
Nel tempo che fu a letto, non voleva che io mi allontanassi da lui. Il medico l'aveva spedito affatto, e a me che mi dispiaceva tanto che dovesse morire, per morire io pure mi servivo di tutta la roba sua; e poco mancò che non morissi davvero, perché un mese dopo che fu morto, mi ammalai io pure gravemente.
Non posso dire le molte cure che ebbero tutti [per me], specialmente il babbo; e più volte lo vedevo piangere e chiedere a Gesù la morte in vece mia. Esso adoperò ogni rimedio, e dopo tre mesi guarii.


Addio alla scuola. - I monili di una sposa del Crocifisso.

13 Il medico allora proibì lo studio, e uscii dalla scuola. Più volte la Superiora e le maestre mi mandarono a chiamare per avermi con loro, ma il babbo non mi ci volle più mandare. Ogni giorno mi conduceva fuori; ogni cosa avessi desiderata, tutto mi concedeva; ed io cominciai di nuovo ad abusarmene. Pure la Comunione tre o 4 volte la settimana la facevo, e Gesù, anche che fossi così cattiva, veniva, stava con me, mi diceva tante cose.
Una volta, mi ricordo benissimo, mi avevano regalato un orologio d'oro con la catena; io, ambiziosa come ero, non vidi il momento di mettermelo e uscire fuori (cominciò allora, babbo mio, a lavorare la mia fantasia). Uscii infatti; quando ritornai e andai per spogliarmi, vidi un Angelo (che ora ho riconosciuto per l'Angelo mio), che serio serio mi disse: «Ricordati che i monili preziosi che abbellano una sposa di un Re Crocifisso, altri non possono essere che le spine e la croce».
Queste parole non le dissi neppure al Confessore, ora l'ho dette per la prima volta. Quelle parole mi fecero paura, come paura mi fece quell'Angelo; ma poco dopo riflettendo a dette parole, senza capir nulla, feci questo proponimento: Propongo per amor di Gesù, e per piacere a Lui, di non portare più, e neppure parlare più di cose che sanno di vanità.
Avevo un anello pure in dito: mi tolsi pure anche quello, e da quel giorno non ho più avuto nulla.
Mi proposi allora (perché Gesù mi dava allora lumi chiari che dovevo essere religiosa) di cambiare vita; e mi si offrì una bella occasione, perché allora appunto era vicino a cominciare l'anno 1896 . Mi scrissi in un piccolo libretto:
In questo nuovo anno mi propongo di cominciare nuova vita. Che mi accadrà in questo nuovo anno, non lo so. Mi abbandono in Voi, mio Dio. Tutte le mie aspirazioni, tutti i miei affetti saranno tutti per Voi. Mi sento debole, o Gesù; ma col vostro aiuto spero e risolvo di vivere in altro modo, cioè più vicina a Voi.


Desiderio del cielo.

14 Dal momento però che la mamma avevami ispirato il desiderio del Paradiso, l'ho sempre (anche in mezzo a tanti peccati) desiderato ardentemente, e se Dio avesse lasciata a me la scelta, avrei preferito sciogliermi dal corpo e volare al Cielo. Ogni volta che avevo la febbre e mi sentivo male, era per me una consolazione; ma era per me un dolore, quando, dopo qualche malattia, sentivo crescermi le forze. Anzi un giorno domandai dopo la Comunione a Gesù perché non mi prendesse in Paradiso. Mi rispose: «Figlia, perché nel tempo della tua vita ti darò tante occasioni di merito maggiore, raddoppiando in te il desiderio del Cielo, e sopportando con pazienza la vita insieme».
Queste parole non bastarono per niente a scemare in me questo desiderio; anzi ogni giorno mi avvedo che va sempre crescendo.


Amare Gesù e patire con lui.

15 In questo stesso anno 1896 cominciò anche in me un altro desiderio: in me sentivo crescere una brama di amare tanto Gesù Crocifisso, e insieme a questo una brama di patire e aiutare Gesù nei suoi dolori.
Un giorno fui presa da tanto dolore nel guardare, cioè fissare cogli occhi il Crocifisso, che caddi in terra svenuta; si trovava in casa il babbo per appunto, e cominciò a contendermi, dicendo che mi faceva male a stare sempre in casa, e a uscir presto la mattina (erano due mattine che non mi faceva andare alla Messa). Risposi arrabbiata: «A me mi fa male a stare lontana da Gesù Sacramentato». S'inquietò tanto per questa risposta, che ne ebbi una forte gridata; mi nascosi in camera, e fu allora per la prima volta che sfogai il mio dolore con Gesù solo.
Babbo mio, io delle parole non me ne ricordo, ma l'Angelo mio è qui, che parola per parola me le detta. Son queste: «Ti vo' seguire a costo di qualsiasi dolore, e ti vo' seguire fervorosamente; no, Gesù, non vo' più darti nausea con operare tepidamente, come ho fatto fino a ora: sarebbe venire da te e recarti disgusto. Dunque propongo: Orazione più devota, Comunione più frequente. Gesù, io voglio patire e patire tanto per te. La preghiera sempre sulle labbra. Cade spesso colui che spesso propone: che sarà di quello che propone di rado?».
Babbo mio, queste parole mi vennero dettate dal mio cuore, in quel momento di dolore e di speranza, solo col mio Gesù.
Ne facevo tanti dei proponimenti, ma non mai ne osservavo alcuno. Ogni giorno, in mezzo ai miei tanti peccati di ogni specie, chiedevo a Gesù da patire e patire tanto.


Il male al piede.

16 Gesù dopo tanto mi consolò: mi mandò un male in un piede. Lo tenni segreto per diverso tempo, ma il dolore si fece forte; venne il medico, disse che andava operato, se in tempo, se no tagliato il piede. Tutti in famiglia ne ebbero un forte dispiacere, io sola rimasi indifferente. Mi ricordo che mentre fui operata, piansi, urlai; ma poi, guardando Gesù, lo pregai a perdonarmi il mio sfogo. Altre pene mi mandò Gesù, e posso ben dire con verità che appena morta la mamma mia, non ho mai passato un giorno senza aver patito qualche piccola cosa per Gesù.
In questo tempo non mai avevo smesso di commettere peccati: ogni giorno andavo in peggio, ero piena di ogni difetti, e non so come mai Gesù mai si mostrava sdegnato. Una sola volta ho veduto Gesù sdegnato con me, e mille volte desidererei soffrire le pene dell'inferno in vita, che trovarmi davanti a Gesù inquietato e pormi davanti agli occhi il quadro orribile dell'anima mia, come fece in quel tempo che poi dirò.


Il primo voto.

17 Nel giorno di Natale di quell'anno 1896 mi fu permesso andare alla Messa e fare la S. Comunione. Avevo in quel tempo quasi 15 anni , e già da tanto tempo avevo pregato il Confessore se mi avesse fatto fare il voto di Verginità (glielo chiedevo da tanti anni, ma non sapevo che cosa fosse; però alla mia idea mi sembrava il regalo più bello che potesse esser caro a Gesù). Non mi fu possibile ottenerlo, ma in cambio di quello di Verginità mi fece fare quello di Castità, e la notte di Natale feci il primo voto a Gesù. Mi ricordo che Gesù lo gradì tanto, che da se stesso, dopo la Comunione, mi disse che a questo voto ci unissi l'offerta di me stessa, dei miei sentimenti, e la rassegnazione al volere suo. Lo feci con tanta gioia, che passai la notte e il giorno di poi in Paradiso.


L'anno tanto doloroso (1897): la morte del babbo.

18 Terminò il detto anno, ed entrammo nel 1897 , anno tanto doloroso per tutti di famiglia. Io sola senza cuore rimanevo indifferente a tante disgrazie. La cosa che maggiormente afflisse gli altri, fu che rimanemmo privi di tutti i mezzi, e per giunta una malattia grave al babbo.
Capii una mattina, dopo la Comunione, la grandezza del sacrifizio che voleva presto Gesù; piansi assai, ma Gesù, che in quei giorni di dolore si faceva tanto di più sentire all'anima mia, e anche che vedevalo [il babbo] tanto rassegnato a morire, trassi una forza [sì] grande, che sopportai l'acerba disgrazia assai tranquilla. E il giorno che morì, Gesù mi proibì di perdermi in urli e pianti inutili, e lo passai pregando e rassegnata assai al volere di Dio, che in quell'istante prendeva Lui le veci di Padre Celeste e Padre Terreno.


Dalla zia di Camaiore. - Ritorno a Lucca (1898).

19 Dopo la sua morte [del babbo] ci trovammo senza niente: non avevamo più di che vivere. Una zia, saputa la cosa, ci aiutò in tutto, e non volle più che mi trattenessi in famiglia; e il giorno dopo la morte del babbo mandò a prendermi, e mi tenne con sé per più mesi. (Non era però la zia dopo la morte della mamma, era un'altra) .
Ogni mattina mi conduceva alla Messa; la Comunione pochissime volte la facevo, perché non trovavo modo di confessarmi da altri, meno che da Monsignore. In questo tempo però cominciai a dimenticarmi di Gesù, la preghiera la cominciai a lasciare, e cominciai di nuovo ad amare i divertimenti.
Un'altra nepote, che la zia teneva presso di sé, si fece amica mia, e per cattiveria si andava perfettamente d'accordo. La zia ci mandava spesso fuori sole; mi accorgevo bene che (se Gesù non avesse avuta pietà della mia debolezza) sarei caduta in peccati gravi; e l'amore del mondo cominciava adagio adagio a impadronirsi del mio cuore; ma Gesù eccolo di nuovo farsi avanti: tutto ad un tratto cominciai a divenire curva, e [ad avere] dei forti dolori alle reni. Resistei per alcun tempo; ma vedendo che andavo in peggio, chiesi alla zia che mi riconducesse a Lucca. Non perse tempo: mi fece accompagnare.
Ma, babbo mio, il pensiero di quei mesi trascorsi nel peccato mi faceva tremare; ne avevo fatte di ogni specie: pensieri anche impuri mi balenavano per la mente; avevo ascoltato cattivi discorsi, invece di fuggirli; avevo dette bugie alla zia per ricoprire la mia compagna; insomma vedevo l'inferno aperto per me.


Malattia mortale (1898.1899).

20 Giunta che fui a Lucca, trascinai per alcun tempo ammalata; non volli mai obbedire a farmi visitare dal medico (perché non volevo mai che nessuno mi mettesse le mani addosso, e mi vedesse). Una sera all'improvviso venne il medico in casa, con forza mi visitò, e mi trovò un ascesso nel corpo che temette cosa grave, perché credeva che l'ascesso comunicasse con le reni.
Già da gran tempo sentivo dolore in quella parte; ma da me stessa non volevo né toccare né guardare, e questo perché da piccola avevo udita una predica, ed avevo ascoltate queste parole: «Il nostro corpo è il tempio dello Spirito Santo». Quelle, parole mi colpirono, e più che ho potuto, ho custodito più che ho potuto il mio corpo.
Il medico, dopo che mi ebbe visitata, chiese un consulto. Che pena, babbo mio, dovere farmi scoprire! Ogni volta che sentivo il medico, piangevo. Dopo il consulto andai sempre in peggio e fui costretta a mettermi a letto, senza potermi più muovere. Adoperavano ogni rimedio, ma invece di farmi bene mi facevano male. Nel letto ero inquieta, di noia a tutti.
Il secondo giorno che fui a letto, non trovavo pace, e scrissi a Monsignore che volevo vederlo. Venne subito, e feci la Confessione generale; non già perché stassi male, ma per trovare la pace di coscienza, che avevo perduta. Dopo confessata tornai in pace con Gesù, e per darmene un segno la sera stessa mi dette di nuovo un dolore forte de' miei peccati.
O babbo mio, ora sì! Il male si faceva sempre più forte, e i medici decisero di operarmi (da quella parte che ho già detto). Vennero in tre (quello che soffrii del male non fu nulla); il dolore, la pena fu soltanto quando mi toccò stare alla presenza loro scoperta quasi del tutto... Babbo mio... quanto era meglio morire!... Infine i medici vedevano che ogni cura era inutile, mi abbandonarono affatto; solo di quando in quando venivano, quasi direi, per complimento.
In questa malattia, che quasi tutti i medici avevano dichiarata per spinite, uno solo insisteva dicendo che era isterismo. Stavo nel letto sempre in una posizione, da me stessa mi era impossibile muovermi; per avere alle volte un po' di sollievo, dovevo pregare quei di casa che mi aiutassero ad alzare ora un braccio, ora una gamba: ogni cura l'avevano per me, ed io al contrario non avevo per loro che cattive maniere e rispostaccie.



Autobiografia