Autobiografia 21

Il conforto dell'Angelo.

21 Una sera, inquieta più del solito, mi lamentavo con Gesù, dicendo che non avrei più pregato, se non mi faceva guarire, e chiedevo a Lui in che modo mi faceva stare così malata. L'Angelo mi rispose così: «Se Gesù ti affligge nel corpo, fa per sempre più purificarti nello spirito. Sii buona». O quante volte nella mia lunga malattia mi faceva sentire al cuore parole consolanti! ma mai ne facevo conto.
La cosa che mi affliggeva di più, lo stare nel letto, era perché avrei voluto fare io ciò che facevano gli altri: ogni giorno sarei andata volentieri a confessarmi, ogni mattina alla Messa. Ma una mattina, che mi avevano portata la S. Comunione in casa, Gesù un po' forte si fece sentire, e mi fece un forte rimprovero, dicendomi che ero un'anima debole. «È il tuo cattivo amor proprio, che si risente per non poter fare ciò che fanno gli altri - mi diceva - o per la troppa confusione che provi nell'aver bisogno del soccorso altrui; se tu fossi morta a te stessa, non saresti così inquieta».
Quelle parole di Gesù mi fecero bene, e per qualche tempo me ne stetti sempre allegra di spirito.


S. Gabriele dell'Addolorata.

22 In questo tempo in famiglia si facevano tridui, novene, e si facevano fare, per la mia guarigione; ma non si otteneva nulla. Io stessa rimanevo indifferente: le parole di Gesù mi avevano fortificata, ma non convertita.
Un giorno una signora, che era solita venirmi a fare visita, mi portò un libro da leggere (la vita del V. [= Venerabile] Gabriele). Quasi con disprezzo lo presi e lo posi sotto il capezzale; mi pregò la detta signora di raccomandarmi a Lui, ma non ci pensava neppure. In casa si cominciarono a dirgli ogni sera 3 p. a. g. [= Pater, Ave, Gloria].
Un giorno ero sola, era mezzogiorno passato: mi venne una forte tentazione, e dicevo tra me che ero annoiata e lo stare a letto mi era venuto a noia. Il demonio si valse di questi pensieri e cominciò a tentarmi, dicendo che, se avessi dato retta a lui, mi avrebbe guarita, ed avrebbe fatto tutto quello che avessi voluto. Babbo mio, fui quasi sul punto di cedere; ero agitata, mi davo per vinta. A un tratto mi viene un pensiero: corsi con la mente al V. G. [= Venerabile Gabriele] e forte dissi: «Prima l'anima e poi il corpo!»
Nondimeno il demonio continuava con assalti più forti: mille pensieri brutti mi balenavano per la mente. Di nuovo ricorsi al V. G. e col suo aiuto vinsi; tornai in me, mi feci il segno della S. Croce e in un quarto d'ora tornai ad unirmi col mio Dio, da me tanto disprezzato. Mi ricordo che quella sera stessa cominciai a leggere la vita di C. [=Confratel] Gabriele. La lessi più volte: non mi saziavo mai di rileggerla e ammirare le sue virtù e i suoi esempi. I propositi erano molti, ma i fatti nessuni.
Da quel giorno che il mio nuovo protettore V. G. [=Venerabile Gabriele] mi aveva salvata l'anima, cominciai ad averne divozione particolare: la sera non trovavo il sonno, se non aveva l'immagine Sua sotto al guanciale, e cominciai fino d'allora a vedermelo vicino (qui, babbo mio, non so spiegarmi: sentivo la sua presenza). In ogni atto, in ogni azione cattiva che avessi fatta, mi tornava alla mente C. [= Confratel] Gabriele, e mi astenevo. Non mancavo ogni giorno di pregarlo con queste parole: «Prima l'anima che il corpo».
Venne poi un giorno la detta signora a riprendermi la vita del Venerabile. Nel togliermela di sotto al guanciale e consegnarla alla signora non potei fare a meno di piangere; quella, vedendo che mi faceva dispiacere a lasciarla, mi promise di tornarla a prendere quando gliela avessero chiesta chi gliela aveva prestata. Tornò dopo qualche giorno, ma allora anche piangendo bisognò che gliela consegnassi; ne provai gran dispiacere.
Ma quel Santo di Dio volle ben presto ricompensare il piccolo sacrifizio, e la notte in sogno mi apparve vestito di bianco; babbo mio, non lo conobbi. Esso se ne avvide che non lo conoscevo, si aprì l'abito bianco e mi si fece vedere vestito da Passionista; non tardai allora a riconoscerlo. Rimanevo in silenzio davanti a Lui. Mi dimandò perché avessi pianto nel privarmi della sua vita: non so quel che risposi; ma esso mi disse: «Vedi quanto ho gradito il tuo sacrifizio: l'ho gradito tanto, che son venuto io stesso a vederti. Mi vuoi bene?». Non risposi. Mi accarezzò più volte e mi ripeté: «Sii buona, ché tornerò a vederti». Mi dette a baciare l'abito suo e la corona, e andò via.
La fantasia andava crescendo il lavoro. Ebbi voglia poi di aspettare un'altra visita: non venne che dopo tanti ma tanti mesi.
Ecco come accadde. Eravamo alla festa dell'Immacolata Concezione; in quel tempo venivano le monache Barbantine, Suore di Carità, per cambiarmi e servirmi; tra loro spesso ne veniva una che non era anche vestita [da religiosa], e non la vestivano che dopo due anni, perché era piccola. La vigilia di detta festa vennero al solito le monache, mi venne in quel tempo un'ispirazione: Se dimani - pensavo tra me - che è la festa della Mamma mia, gli promettessi che, se mi facesse guarire, mi farei Suora di Carità, che sarebbe?...
Questo pensiero mi consolò; lo manifestai a Suor Leonilda, ed essa mi promise che, se fossi guarita, mi avrebbe fatta vestire insieme a quella novizia, di cui ho già parlato. Rimanemmo che la mattina avrei fatto questa promessa a Gesù dopo la Comunione. Venne Monsignore per confessarmi, e ne ebbi da Lui subito il permesso. Di più mi dette un'altra consolazione: il voto di Verginità, che mai era spuntato a farmelo fare, quella sera stessa insieme lo facemmo perpetuo. Lui lo rinnovò, ed io lo feci per la prima ed ultima volta. Quante grandi grazie, alle quali non ho mai corrisposto!
Mi trovavo quella sera in una calma perfetta. Venne la notte, mi addormentai. Tutto ad un tratto vedo in piedi dinanzi a me il mio Protettore; mi disse: «Gemma, fai pure volentieri il voto di essere Religiosa, ma non ci aggiungere altro». «Perché?» dimandai. E Lui mi rispose facendomi una carezza sulla fronte. «Sorella mia!» mi disse guardandomi e sorridendo. Non capivo nulla di tutto questo; per ringraziarlo gli baciai l'abito; si tolse il cuore, quello di legno [che i Passionisti portano sul petto], me lo fece baciare, e me lo pose sul petto sopra i lenzuoli, e di nuovo mi ripeté: «Sorella mia!». Sparì.
Alla mattina sopra i lenzuoli non c'era nulla; feci per tempo la Comunione, feci la mia promessa, ma non ci aggiunsi altro. Di questo non ne parlai né con le monache né col Confessore; ora però, e tante volte, quelle monache mi ricordano il voto, perché esse credono che promettessi di farmi Suora di Carità, e mi dissero una volta che la Madonna può farmi ammalare di nuovo. Gesù la gradì molto questa cosa, e si rallegrò nel mio povero cuore.


Miracolosa guarigione (3 marzo 1899).

23 Intanto passavano i mesi, ed io non miglioravo per niente. Il 4 di Gennaio i medici tentarono un'ultima prova: mi dettero 12 bottoni di fuoco nelle reni. Basti, cominciai a peggiorare. Oltre a questi mali, il 28 Gennaio si aggiunse un dolore insopportabile al capo. Il medico chiamato al consulto dichiarò il male pericoloso (si trattava di un tumore nel capo); l'operazione non si poteva fare, perché ero in estrema debolezza; andavo peggiorando ogni giorno, e il giorno 2 Febbraio feci la S. Comunione per Viatico. Mi confessai, e aspettavo il momento di andare con Gesù. Ma adagio! I medici credendo che io più non capissi, dissero tra loro che non sarei arrivata alla mezzanotte. Viva Gesù!
Una mia maestra (della quale ho già parlato in addietro) di scuola, venne per vedermi e insieme per dirmi addio e rivederci in Cielo. Mi pregò nondimeno a fare una novena alla B. M. M. A. [= B. Margherita Maria Alacoque], dicendomi che essa senza dubbio mi avrebbe fatta la grazia o di guarire perfettamente, ovvero, appena spirata, volare subito al Cielo.
La detta maestra volle, prima di uscire da capo al mio letto, che io gli promettessi di cominciare quella sera stessa la Novena, era il 18 Febbraio; la cominciai infatti; la feci per la prima volta quella sera stessa, il giorno dopo me la dimenticai. Il giorno 20 eccomi di nuovo daccapo, ma di nuovo la dimenticai. Che attenzione alla preghiera, è vero, babbo mio?
Il 23 la cominciai per la terza volta (cioè avevo idea di cominciarla), ma mancavano pochi momenti alla mezzanotte, e sento dimenare una corona, e sento una mano posarmi sopra la fronte; sentii cominciare un Pater, Ave e Gloria, per nove volte di seguito. Io appena rispondevo, perché ero sfinita dal male. Quella medesima voce, che aveva guidati i Pater noster, mi dimandò: «Vuoi guarire?». «È lo stesso», risposi. «Sì, - soggiunse - tu guarirai; prega con fede il Cuore di Gesù; ogni sera, fino che non sarà terminata la Novena, io verrò qui da te, e pregheremo insieme il Cuor di Gesù». «E la B. M. [= Beata Margherita]?» gli dimandai. «Aggiungi pure da te tre Gloria Patri in suo onore».
Così feci per 9 sere di seguito; la stessa persona veniva ogni sera, mi posava la mano sopra la fronte, si recitavano insieme i Pater al Cuor di Gesù, e poi me ne faceva aggiungere 3 Gloria alla B. M.
Era il penultimo giorno della Novena, e al termine di quella volevo fare la SS. Comunione; terminava appunto il primo Venerdì di Marzo. Chiamai il Confessore, mi confessai; per tempo la mattina feci la Comunione. Che momenti felici passai con Gesù! Mi ripeteva: «Gemma, vuoi guarire?». La commozione fu tanto grande, che non potevo rispondere. Povero Gesù! La grazia era fatta, ero guarita.


Tenerezze di Gesù.

24 «Figlia, - mi diceva Gesù abbracciandomi - io mi do tutto a te, e tu sarai tutta mia?». Vedevo bene che Gesù mi aveva tolto i genitori, e alle volte mi disperavo, perché credevo di essere abbandonata. Quella mattina me ne lamentai con Gesù, e Gesù sempre più buono, sempre più tenero mi ripeteva: «Io, figlia, sarò sempre con te. Sono Io tuo Padre, la mamma tua sarà quella... - e m'indicò M. S. [= Maria Santissima] Addolorata -. Mai può mancare la paterna assistenza a chi sta nelle mie mani; niente dunque mancherà a te, quantunque ti abbia tolta ogni consolazione e appoggio su questa terra. Vieni, avvicinati... sei mia figlia... Non sei felice di essere figlia di Gesù e di Maria?». I tanti affetti, che Gesù mi aveva fatti nascere nel cuore, m'impedirono di rispondere.
Passarono due ore appena, e mi alzai. Quei di casa piangevano per l'allegrezza; io pure ero contenta, non per la riacquistata salute, ma perché Gesù mi aveva eletto per sua figlia. Mi disse Gesù prima di lasciarmi quella mattina: «Figlia mia, alla grazia che ti ho fatto stamattina ne seguiranno ancora, molto maggiori». Ed è stato purtroppo vero, poiché Gesù mi ha sempre protetta in modo speciale: per Lui non ho avuto che freddezza, indifferenza, e Lui non mi ha ricambiata che con segni infiniti di amore.


Fame eucaristica.

25 Cominciai fin d'allora a non poter resistere, se ogni mattina non andavo da Gesù; ma non potevo: ne avevo il permesso dal Confessore, ma la debolezza era tanta, che appena potevo reggermi in piedi. Il secondo Venerdì di Marzo del 1899 uscii per la prima volta a fare la SS. Comunione, e d'allora in poi non l'ho più lasciata; solo qualche volta, perché i miei tanti peccati me ne rendevano indegna, o per castigo del proprio Confessore.


Dalle Salesiane.

26 Quella mattina stessa del secondo Venerdì le Monache Salesiane vollero vedermi; andai infatti da loro, e mi promisero che nel mese di Maggio mi avrebbero preso con loro a fare un corso di esercizi, e nel Giugno poi, se fosse stato mio desiderio e vera vocazione, mi avrebbero preso in convento per sempre. Sì, mi sentii contenta di questa scelta fatta da loro, molto più che Monsignore conoscevo che era con esse veramente d'accordo.


Settimana santa del 1899.

27 Trascorsi intanto il mese di Marzo, facendo ogni mattina la Comunione, e Gesù mi riempiva di ineffabile consolazione. Venne poi la Settimana Santa, da me tanto desiderata per assistere alle Sacre Funzioni; ma Gesù aveva disposto ben diversamente: in quella settimana Gesù voleva da me un grosso sacrifizio. Venne il Mercoledì Santo (nessun segno mai si era manifestato in me, altro che quando facevo la S. Comunione, Gesù si dava a conoscere in maniera grandissima).


L'Angelo Custode maestro e guida.

28 L'Angelo Custode, dal momento che mi alzai, cominciò a farmi da maestro e guida: mi riprendeva ogni volta che avessi fatto qualche cosa di male, m'insegnava a parlar poco e solo quando venivo interrogata. Una volta che quelli di casa parlavano di una persona e non ne dicevano tanto bene, io volli metterci bocca, e l'Angelo bello forte mi fece un gran rimprovero. M'insegnava a tener gli occhi bassi, e fino in Chiesa bello forte mi rimproverava, dicendomi: «Si sta così alla presenza di Dio?». E altre volte mi gridava in questo modo: «Se tu non sei buona, io non mi farò più vedere da te». M'insegnò più volte come dovessi stare alla presenza di Dio: ad adorarlo nella sua infinita bontà, nella sua infinita maestà, nella sua misericordia e in tutti i suoi attributi.


La prima Ora santa. - Gesù crocifisso.

29 Eravamo intanto, come ho detto, alla Settimana Santa, era Mercoledì; il Confessore credette di farmi alla fine fare la Confessione generale, come io da gran tempo ne mostravo il desiderio; scelse appunto quella sera di Mercoldì e ben tardi. Gesù per sua infinita misericordia mi dette un dolore fortissimo dei miei peccati, ed ecco in che modo. Il Giovedì sera cominciai per la prima volta a fare l'Ora Santa (avevo promesso al Cuor di Gesù che, se fossi guarita, ogni giovedì avrei fatto immancabilmente l'Ora Santa). Era la prima volta che la facevo alzata; anche gli altri Giovedì la facevo, ma nel letto, perché il Confessore non mi permetteva di farla alzata per l'estrema debolezza che avevo. Ma dalla Confessione in poi mi permise tutto.
Mi misi dunque a fare l'Ora Santa; ma mi sentivo così ripiena di dolore de' miei peccati, che passai giorni di martirio continuo. In mezzo però a questo dolore infinito, mi rimaneva un conforto: quello di piangere: conforto insieme e sollievo. Passai l'ora intera pregando e piangendo; infine, stanca come ero, mi misi a sedere; il dolore continuava. Mi sentii poco dopo raccogliermi tutta, e dopo poco, quasi tutto ad un tempo, mi vennero a mancare le forze (potei alzarmi a stento e chiudere le porte di camera a chiave). Dove mi trovai? Babbo mio, mi trovai dinanzi a Gesù crocifisso allora allora. Versava sangue da tutte le parti. Abbassai subito gli occhi, e quella vista mi turbò assai; mi feci il segno della S. Croce; dopo il turbamento successe presto la tranquillità di spirito. Ma continuavo anche più forte a sentire dolore dei peccati; non alzai mai gli occhi per guardare Gesù: non ne ebbi mai il coraggio; mi misi in terra con la fronte, e così stetti per più ore. «Figlia, - mi disse - vedi: queste piaghe le avevi tutte aperte per i tuoi peccati; ma ora consolati, ché le hai tutte chiuse col tuo dolore. Non mi offendere più. Amami, come io ti ho sempre amato. Amami», mi ripeté più volte.
Quel sogno si dileguò e tornai in me; cominciai fino d'allora ad avere un orrore grande per il peccato (la grazia più grande che mi ha fatto Gesù). Le piaghe di Gesù rimasero sì bene nella mia mente, che non si sono più cancellate.


Venerdì santo (31 marzo 1899).

30 La mattina di Venerdì Santo feci la Comunione, e il giorno avrei voluto andare alle ore di agonia; ma quei di casa non me lo vollero permettere, benché piangessi, e con forza feci questo primo sacrifizio a Gesù; e Gesù, tanto generoso, benché [fosse fatto] con fatica, pure me lo volle premiare; poiché mi rinchiusi in camera a farle da me, ma non fui sola: venne con me l'Angelo mio Custode e pregammo insieme; assistemmo Gesù in tutte le sue pene, compatimmo la Mamma nostra nei suoi dolori. Non mancò però il mio Angelo di farmi un dolce rimprovero, dicendomi che non piangessi quando avevo da fare qualche sacrifizio a Gesù, ma ringraziassi quelli che mi davano occasione di farmeli fare.
Fu questa la prima volta e anche il primo Venerdì, che Gesù si fece sentire all'anima mia così forte; e benché non ricevessi, perché era impossibile, dalle mani del sacerdote Gesù vero, pure Gesù venne da sé e si comunicò a me. Ma fu così forte quella nostra unione, che io rimanevo come stupida.
Ma parlò ben forte Gesù. «Che fai? - mi diceva - che mi dici? Non ti commuovi nemmeno?». Fu allora che, non potendo resistere più, con forza dissi: «O Gesù, ma come: tu perfettissimo, santissimo, non amare chi altro non è che per te freddezza e imperfezione?». «Smanio - mi ripeteva Gesù - di unirmi a te; corri ogni mattina. Ma sai, - mi diceva - io sono un padre, uno sposo geloso; mi sarai tu figlia e sposa fedele?».
Mille promesse feci a Gesù quella mattina; ma Dio mio! come presto le dimenticai! L'orrore al peccato sempre lo provavo, ma pure sempre ne commettevo. E Gesù no, non era contento; mi consolava sempre, mandava l'Angelo Custode a farmi da guida in tutto.
Dopo questa cosa accaduta, dovevo per la prima palesarla al Confessore; andai a confessarmi, ma non ebbi coraggio: uscii senza aver detto nulla. Andai a casa, e nell'entrare in camera mi accorsi che l'Angelo mio piangeva; non ebbi ardire di domandargli nulla, da se stesso mi rivolse queste parole: «Dunque tu non mi vuoi più vedere? Sei cattiva: nascondi le cose al Confessore. Ricordati - mi disse - questo, te lo ripeto per l'ultima volta: se tu taci qualche cosa al Confessore un'altra volta, io non mi farò più vedere da te. Più, più». Mi misi in ginocchio, e mi comandò di dire l'atto di contrizione, e mi fece promettere che gli avrei palesato tutto [al Confessore], e mi perdonò a nome di Gesù.


Un severo rimprovero di Gesù.

31 Eravamo allora nel mese di Aprile; con impazienza aspettavo il momento di potere andare nelle Salesiane a fare gli esercizi, come già me ne avevano fatto promessa. Una volta, ovvero una mattina dopo la Comunione, Gesù mi fece conoscere una cosa che gli era dispiaciuta assai: l'avevo commessa la sera avanti.
Erano solite venire in casa mia due ragazze amiche di una sorella mia, e si parlava non di cose cattive, ma mondane; io ci presi parte e dissi le mie come gli altri; ma la mattina Gesù me ne fece un rimprovero sì forte, che il terrore mio fu tanto grande, che avrei desiderato non parlar più e non vedere più nessuno,
Gesù continuava intanto a farsi sentire ogni giorno di più all'anima mia e riempirmi di consolazioni, ed io al contrario a voltargli le spalle e offenderlo senza dolore alcuno.


Sete di amore e di patimenti.

32 Due sentimenti e due pensieri insieme mi nacquero nel mio cuore, dopo che per la prima volta Gesù si fece sentire e vedere grondante Sangue. Il primo di amarlo, e di amarlo fino al sacrificio; ma siccome non sapevo fare ad amarlo veramente, pregai il mio Confessore a insegnarmi, ed esso mi rispose così: «O a leggere e a scrivere come si fa? Ci esercitiamo a scrivere e a leggere continuamente, e infine s'impara». Non mi persuase questa risposta: non ne capii affatto niente. Più volte lo pregai a insegnarmi, ma ne avevo sempre la stessa risposta.
L'altra cosa che mi nacque in cuore, dopo avere veduto Gesù, fu un gran desiderio di patire qualche cosa per Lui, vedendo che aveva patito tanto per me. Cominciai fino d'allora a provvedermi di una grossa fune, che all'insaputa di tutti tolsi dal pozzo; ci feci parecchi nodi e me la posi alla vita. Non feci in tempo però a tenerla neppure un quarto d'ora, che l'Angelo Custode rimproverandomi me la fece togliere, perché non ne avevo chiesto il permesso al Confessore; glielo chiesi poco dopo, e ottenni il permesso. Ma ciò che mi affliggeva, era il non poter amar Gesù come avrei voluto; mi davo premura di non offenderlo, ma la mia cattiva inclinazione al male era [sì] forte, che senza una grazia speciale di Dio sarei caduta all'inferno.


«Impara come si ama».

33 Mi dava pensiero il non saperlo amare, ma + Gesù, che nell'infinita sua bontà non si vergognava di umiliarsi fino a farsi mio maestro, un giorno per rendermi tranquilla, in tempo che facevo le preghiere della sera, mi sentii tutta internamente raccogliere, e mi trovai per la seconda volta davanti a Gesù Crocifisso, che mi disse queste parole: «Guarda, figlia, e impara come si ama», e mi mostrò le sue 5 piaghe aperte. «Vedi questa croce, queste spine, questo Sangue? sono tutte opere di amore, e di amore infinito. Vedi fino a qual segno io ti ho amato? Mi vuoi amare davvero? impara prima a soffrire. Il soffrire insegna ad amare».
Provai a quella vista un nuovo dolore, e pensando all'amore infinito di Gesù per noi, e ai patimenti che aveva sofferti per nostra salvezza, svenni, caddi per terra, e mi rinvenni dopo parecchie ore. Tutto quello che mi accadeva durante queste preghiere, erano consolazioni grandissime, che, se anche le avessi prolungate per più ore, non mi sarei mai stancata.
Ogni Giovedì continuavo a fare l'Ora Santa, ma mi accadeva alle volte che quest'ora durasse fino anche circa le 2, perché me ne stavo con Gesù, e quasi sempre mi faceva parte di quella tristezza che provò nell'Orto alla vista di tanti peccati miei e di tutto il mondo: una tristezza tale, che può ben paragonarsi all'agonia della morte. Dopo tutto questo rimanevo in una calma così soave e in una consolazione, che bisognava che mi sfogassi in lacrime, e queste lacrime mi facevano gustare un amore incomprensibile, e aumentavano in me il desiderio di amar Gesù e patire per Lui.


Nel monastero delle Salesiane.

34 Ci avvicinavamo intanto al momento desiderato dei S. Esercizi, ed entrai in convento il 1 Maggio 1899 alle ore 3. Credetti di entrare in Paradiso. Che consolazione! Proibii per la prima cosa a quei di casa di non venirmi mai a vedere in quel tempo, perché quei giorni erano tutti per Gesù. Monsignore, la sera stessa che entrai, venne a vedermi e mi concesse il permesso (come lo desiderava la M. Superiora) che non facessi esercizi proprio nascosti, ma li facessi come per prova, cioè facessi tutto quello che facevano le monache. Questa cosa mi consolò da una parte, ma mi dispiacque anche, perché non avrei potuto stare tanto raccolta; ma volli obbedire senza repliche. La M. Superiora mi consegnò alla Maestra delle Novizie, che mi dette un orario per i giorni che dovevo passare là dentro.
Dovevo alzarmi alle 5, andare in coro alle 5½, fare la Comunione e poi recitare con le monache Prima e Sesta; dopo uscire per fare colazione e dopo mezz'ora andare in cella; alle 9 in coro di nuovo, ad ascoltare la Messa della Comunità e. recitare Nona ; alle 9½ poi, se Monsignore avesse potuto, sarebbe venuto a farmi la predichina; ma poi, non potendo venire, mi dette un libro, ché a quell'ora facessi la meditazione, e veniva poi la sera a dirmi qualche cosa. Alle 10¼, che terminavo appunto la meditazione, dovevo fare la visita a Gesù con le monache, e poi alle 10½ a desinare, fino alle 11½; da quest'ora poi fino alle 12½ ricreazione (ottenni da Monsignore il permesso di fare ricreazione una sola volta al giorno, colle monache, perché la sera avevo piacere di stare in coro con Gesù). A mezzogiorno e mezzo poi andavo in Noviziato fino alle 3 e si lavorava; alle 3 di nuovo a recitare Vespro, e poi si riuniva un'altra volta tutta la Comunità, e la Superiora faceva qualche istruzione fino alle 5. Alle 5 di nuovo in Chiesa a dire Compieta e [fare] un'ora di meditazione, come meglio ci fosse piaciuto di farla; dopo la meditazione di nuovo al refettorio e poi ricreazione, e quel tempo io lo passavo o con la Madre Superiora nella sua camera, oppure in coro. Si riuniva poi dopo le 8½ la Comunità per circa mezz'ora, e alle 9 si recitava Mattutino, e infine a letto.

35 Babbo mio, mi sembrò che quella vita fosse troppo per le monache, e piuttosto che affezionarmi ad esse cominciò invece a non piacermi in nulla quel modo di vivere. Le Novizie, che avevano tutte per me qualche cura speciale, m'avvisavano di quando in quando e mi dicevano quello che più poteva tornar gradito alla Comunità, ma non me ne davo però nessun pensiero; quello però che mi affliggeva, [era] di dover tornare di nuovo nel mondo; ed avrei preferito rimanere lì (benché non mi ci sentissi nulla trasportata), che tornar di nuovo nei luoghi, dove le occasioni di offender Gesù sono molte; e pregai Monsignore a volermi concedere il permesso di non più uscire di convento.
Col consenso della M. Superiora e di tutta la Comunità chiese il permesso all'Arcivescovo , che non lo concesse dicendo che ero ancor debole di salute, e perché portavo un busto di ferro per reggermi meglio sulla schiena. (Non lo so davvero chi facesse la spia all'Arcivescovo). La M. Superiora allora mi comandò per obbedienza di togliermi il busto; piansi a questo comando, perché sapevo bene di non potermi reggere; corsi in noviziato, pregai il mio caro Gesù bambino, e poi corsi in camera; me lo tolsi, ed ora sono quasi due anni passati, non l'ho più messo e sto benissimo.
La Superiora, saputa la cosa, si dette premura subito di avvisare Monsignore, che Esso poi avvisasse l'Arcivescovo. Mancava un giorno a finire i S. Esercizi e Mons. Volpi venne per confessarmi, e mi dimandò se fossi rimasta ancora in convento per altri 12 giorni, perché il 21 Maggio ci era la Professione di alcune Suore ed avrebbe desiderato che io fossi presente.
Fui contenta infinitamente di rimanere con loro, ma un pensiero mi era fisso in mente: quella vita era troppo comoda per me: avevo peccato tanto, dovevo ancora far penitenza. Palesai i miei timori a Gesù dopo la Comunione, e Gesù, non guardando mai alla mia miseria, mi consolava e si faceva sempre più sentire all'anima mia, e mi quietava dicendomi sempre parole consolanti. Fui presente, come desiderava Monsignore, alla Professione di 4 Novizie; quella mattina piansi e piansi tanto: Gesù mi commosse più del solito, e alcune Suore, che mi avevano veduta, si accostarono e mi dimandarono se avessi desiderato qualche cosa, perché ero appunto al momento di perdere i sensi. (Era vero: le monache si erano dimenticate di darmi colazione, e dimenticarono ancora di darmi desinare, perché quel giorno mangiai passato il tocco).
Ebbi però una bella contesa, come meritavo: da me stessa dovevo andare in Refettorio, dopo sonato il campanello, ma mi vergognai, ovvero (senta, babbo mio, a che arriva la mia cattiveria e il mio rispetto umano) la M. Superiora era solita tenermi accanto a sé in qualunque posto mi fossi trovata; quel giorno appunto della Professione, le Monache che professano vanno accanto alla M. Superiora, sicché io rimasi fuori, e per la superbia di non andare accanto ad altre, rimasi senza mangiare.
Meritavo peggio, mio Dio! ma Gesù mi sopportò ancora; mi dette un castigo, cioè di non farsi sentire per più giorni. Piansi tanto per questo, ma Gesù mi mandò di nuovo l'Angelo mio Custode e mi disse: «Felice tu, o figlia, che meriti sì giusto castigo!...». Non capii nessuna di quelle parole, ma sentii che consolarono il mio cuore.


Ritorno in famiglia. - Nostalgia del chiostro e speranze deluse.

36 Mio Dio! Ecco un nuovo dolore: il giorno dopo dovevo uscire di convento, per tornare a casa; quel momento avrei desiderato che non giungesse mai, ma purtroppo ci arrivai. Erano le 5 di sera del 21 Maggio 1899 e dovetti uscire; chiesi piangendo la benedizione alla Madre Superiora, salutai le monache e uscii. Mio Dio! Che dolore!
Ma a questo dolore ben presto doveva succederne un altro ancora più forte. Tornai in famiglia, ma non potevo più adattarmici: già la mia mente e il mio cuore erano fissi nel pensiero di essere Religiosa, e nessuno poteva distogliermene; e per uscire dal mondo deliberai assolutamente di farmi ormai monaca Salesiana. Quasi ogni giorno correvo al Monastero, e le Suore mi avevano promesso che nel mese di Giugno, il giorno della festa del Sacro Cuore di Gesù, mi avrebbero ormai presa con loro.
Devo dire però che sentivo che il mio cuore non era pienamente contento: sempre perché la vita Salesiana è troppo comoda. E più volte Gesù di quando in quando mi ripeteva al cuore: «Figlia, per te ci vuole una regola più austera». A queste parole quasi mai ci davo ascolto e continuavo ad essere ferma nel mio proposito.
Entravamo intanto nel mese di Giugno, e mi accorsi che le Monache erano alquanto cambiate; io non mi turbai per niente: ogni volta che andavo per vedere la Superiora, mi rispondevano che non poteva, e ci mandava or l'una e or l'altra; e cominciarono a farmi dei discorsi, dicendomi che, se non ci fossero stati almeno 4 certificati medici, non mi avrebbero accettata. Tentai anche questo, ma riuscì vano ogni tentativo: i medici non volevano far nulla, e le monache un giorno mi dissero che, quando avessi avuto i certificati, mi avrebbero subito presa, altrimenti no assolutamente. Questa risoluzione non mi turbò mai, perché Gesù non mancava di consolarmi con tante grazie.


Una grazia grandissima: le stimate.

37 Il giorno 8 Giugno, dopo la Comunione, Gesù mi avvisò che la sera mi avrebbe fatta una grazia grandissima. Andai poi il giorno stesso per confessarmi e lo dissi a Monsignore, e rispose che stassi bene attenta a riferirgli dopo ogni cosa.
Eravamo alla sera: tutto ad un tratto, più presto del solito mi sento un interno dolore dei miei peccati; ma lo provai così forte, che non l'ho più sentito; quel dolore mi ridusse quasi direi lì lì per morire. Dopo questo mi sento raccogliere tutte le potenze dell'anima: l'intelletto non conosceva che i miei peccati e l'offesa di Dio; la memoria tutti me li ricordava, e mi faceva vedere tutti i tormenti che Gesù aveva patito per salvarmi; la volontà me li faceva tutti detestare e promettere di voler tutto soffrire per espiarli. Un mucchio di pensieri si volsero tutti alla mente: erano pensieri di dolore, di amore, di timore, di speranza e di conforto.
Al raccoglimento interno successe ben presto il rapimento dei sensi, ed io mi trovai dinanzi alla Mamma mia celeste che avea alla sua destra l'Angelo mio Custode, che per il primo mi comandò di recitare l'atto di contrizione.
Dopo che l'ebbi terminato, la Mamma mi rivolse queste parole: «Figlia, in nome di Gesù ti siano rimessi tutti i peccati». Poi soggiunse: «Gesù mio figlio ti ama tanto e vuol farti una grazia; saprai tu rendertene degna?». La mia miseria non sapeva che rispondere. Soggiunse ancora: «Io ti sarò madre, ti mostrerai tu mia vera figlia?». Aperse il manto e con esso mi ricoprì.
In quell'istante comparve Gesù, che aveva tutte le ferite aperte; ma da quelle ferite non usciva più sangue, uscivano come fiamme di fuoco, che in un momento solo quelle fiamme vennero a toccare le mie mani e i miei piedi e il cuore. Mi sentii morire, sarei caduta in terra; ma la Mamma mi sorresse, ricoperta sempre col suo manto. Per parecchie ore mi convenne rimanere in quella posizione. Dopo, la Mamma mia mi baciò nella fronte, e tutto disparve, e mi trovai in ginocchio in terra; ma mi sentivo ancora un dolore forte alle mani, ai piedi e al cuore.
Mi alzai per mettermi sul letto, e mi accorsi che da quelle parti, dove mi sentiva, usciva del sangue. Mi coprii alla meglio quelle parti, e poi, aiutata dall'Angelo mio, potei montare sul letto. Quei dolori, quelle pene, anziché affliggermi, mi recavano una pace perfetta. La mattina a stento potei andare a fare la Comunione, e mi misi un paio di guanti, tanto per nascondermi le mani. Non potevo reggermi in piedi; ad ogni momento credevo di morire. Quei dolori mi durarono fino alle 3 del Venerdì, festa solenne del S. Cuore di Gesù .
Questa cosa per primo dovevo dirla al Confessore, ma invece più volte andai a confessarmi senza mai dirgli nulla; esso più volte me lo dimandava, ma io rispondevo sempre di no.


Le stimate si ripetono.

38 Trascorsi intanto parecchio tempo, e ogni Giovedì, circa le 8 e prima, sentivo i soliti dolori; ogni volta però che mi accadeva in questo modo, sentivo prima di tutto un dolore così forte e intenso dei miei peccati, che quello mi cagionava più dolore che i dolori delle mani e dei piedi, del capo e del cuore: questo dolore dei peccati mi riduceva a uno stato di tristezza da morire. Però anche con questa grande grazia di Dio non miglioravo punto, ogni giorno commettevo peccati senza numero, disobbedienze, al Confessore non gli ero mai nulla sincera e sempre nascondevo qualche cosa. L'Angelo più volte mi avvisava, dicendomi che se ne sarebbe partito per non farsi più vedere, se avessi continuato in quel modo; io non obbedii ed esso se ne andò, ovvero si nascose per più tempo.



Autobiografia 21