GPII 1979 Insegnamenti - Agli studenti dei seminari inglesi di Roma - Città del Vaticano (Roma)

La seconda riflessione sul significato dell'Ascensione si trova in questa frase: "Gesù prese il suo posto". Dopo aver sopportato l'umiliazione della sua passione e morte, Gesù prese il suo posto alla destra di Dio; prese il suo posto con il suo eterno Padre. Ma egli è entrato in cielo come nostro capo, per cui, secondo l'espressione di Leone Magno ("Sermo" 1 de Ascensione Domini), "la gloria del capo" è diventata "la gloria del corpo". Per tutta l'eternità Cristo è ora al suo posto come "il primogenito tra molti fratelli" (Rm 8,29): la nostra natura è con Dio per mezzo di Cristo. E come uomo, il Signore Gesù vive per sempre ad intercedere per noi presso il Padre (cfr. He 7,25). Nello stesso tempo, dal suo trono di gloria, Gesù invia a tutta la Chiesa un messaggio di speranza e una chiamata alla santità.

Per i meriti di Cristo, per la sua intercessione presso il Padre, noi diventiamo capaci, in lui, di raggiungere la giustizia e la santità della vita. La Chiesa può certo sperimentare difficoltà, il vangelo può incontrare ostacoli, ma poiché Gesù è alla destra del Padre, la Chiesa non conoscerà mai disfatte. La vittoria di Cristo è anche la nostra. La potenza del Cristo glorificato, Figlio diletto dell'eterno Padre, è sovrabbondante per sostenere ciascuno e tutti noi nelle difficoltà della nostra dedizione al regno di Dio e nella generosità del nostro celibato. L'efficacia dell'Ascensione di Cristo tocca ciascuno e tutti nella realtà concreta della nostra vita quotidiana. Per questo mistero, la vocazione della Chiesa è quella "di attendere in gioiosa speranza la venuta del nostro Salvatore Gesù Cristo".

Cari figli, siate ripieni di quella speranza che fa parte del mistero dell'Ascensione di Gesù. Siate profondamente convinti della vittoria e del trionfo di Cristo sul peccato e sulla morte. Credete che la forza di Cristo è più grande della nostra debolezza, più grande della debolezza di tutto il mondo. Provate a capire e a condividere la gioia che Maria ha sperimentato nel sapere che suo Figlio aveva preso posto accanto al Padre, che egli infinitamente amava. Rinnovate oggi la vostra fede nella promessa del Signore nostro Gesù Cristo, che è andato a preparare un posto per noi e che di là egli verrà di nuovo per prenderci con sé.

Questo è il mistero dell'Ascensione del nostro Capo. Ricordiamo sempre: "Gesù diede loro le ultime istruzioni" e poi "Gesù prese il suo posto".

Amen.

Data: 1979-05-24

Data estesa: Giovedì 24 Maggio 1979.





Ad atleti italiani e argentini - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: La disciplina sportiva per la formazione umana integrale

Testo: Illustri Signori e diletti Figli! Vi sono sinceramente grato per la cortesia di questa visita che mi consente di incontrare e di salutare i campioni prestigiosi di due Paesi fra loro uniti da vincoli profondi di fede, di cultura e di sangue, i loro Dirigenti e Tecnici con le rispettive famiglie, e queste due squadre di ragazzi i quali, se ancora non posseggono la notorietà dei loro colleghi ormai affermati, certo ne emulano la passione sportiva e l'entusiasmo generoso. A tutti rivolgo il più cordiale benvenuto.

Ho ascoltato con attenzione ed interesse l'indirizzo introduttivo del Signor Presidente della Federazione Italiana Giuoco Calcio, il quale ha saputo interpretare con parole gentili ed appropriate i comuni sentimenti, ed ha altresi opportunamente ricordato la sollecitudine con cui la Chiesa ha sempre seguito l'esercizio delle diverse discipline atletiche, compiacendosi al tempo stesso di sottolineare, con tratto di squisita delicatezza, l'apprezzamento che pure io ho già avuto occasione di mostrare per i valori connessi con la pratica sportiva.

Sono lieto di rilevare la chiarezza e la puntualità con cui Ella Signor Presidente ha saputo recepire l'insegnamento del Magistero ecclesiastico in questa materia. E' insegnamento importante, perché riflette uno dei punti fermi della concezione cristiana dell'uomo. Mette conto di ricordare, a questo proposito, che già i pensatori cristiani dei primi secoli si opposero con decisione a certe ideologie, allora in voga, che si caratterizzavano per una netta svalutazione del corporeo, condotta in nome di una malintesa esaltazione dello spirito: sulla scorta dei dati biblici, essi affermarono invece con forza una visione unitaria dell'essere umano. "Che cosa è l'uomo - si domanda un autore cristiano della fine del II secolo o dell'inizio del III - che cosa è l'uomo, se non un animale ragionevole composto di un'anima e di un corpo? L'anima, presa in se stessa, non è dunque l'uomo? No, ma essa è l'anima dell'uomo. Dunque il corpo è l'uomo? No, ma si deve dire ch'esso è il corpo dell'uomo. Perciò dunque né l'anima né il corpo, presi separatamente, sono l'uomo: quello che si chiama con questo nome è ciò che nasce dalla loro unione" ("De Resurrectione", VIII: Rouet de Journal, "Enchiridion Patristicum", n. 147, p. 59).

Quando, dunque, Emanuele Mounier, un pensatore cristiano di questo secolo, dirà che l'uomo è "un corpo allo stesso titolo che è spirito: tutto intero corpo e tutto intero spirito" (cfr. E. Mounier, "Il Personalismo", Roma 1971, p.29), non dirà nulla di nuovo, ma riproporrà semplicemente il pensiero tradizionale della Chiesa.

Mi sono soffermato a richiamare questi punti di dottrina, perché su questi capisaldi s'appoggia la valutazione che il Magistero propone delle discipline sportive. Si tratta d'una valutazione altamente positiva, a motivo del contributo che tali discipline arrecano ad una formazione umana integrale.

L'attività atletica infatti, se svolta secondo giusti criteri, tende a sviluppare nell'organismo forza, destrezza, resistenza ed armonia di modi, e favorisce contemporaneamente la crescita delle stesse energie interiori, diventando scuola di lealtà, di coraggio, di sopportazione, di risolutezza, di fratellanza.

Nel rivolgere, pertanto, una parola di plauso e di incoraggiamento a voi, giovani atleti qui presenti e ai vostri colleghi di ogni parte del mondo, ai Dirigenti, ai Tecnici e a quanti si dedicano alla nobile causa della diffusione di una sana pratica sportiva, esprimo l'augurio che siano sempre più numerosi coloro che, temprando il corpo e lo spirito alle severe norme delle diverse discipline sportive, s'impegnano ad acquistare la maturità umana necessaria per misurarsi con le prove della vita, imparando ad affrontare le difficoltà quotidiane con coraggio ed a superarle vittoriosamente.

Mi sia consentito ora di esprimere una parola anche nella lingua parlata in Argentina.

Amatissimi figli argentini.

Sono contento di potervi ricevere oggi, ricorrenza inoltre della Festa Nazionale Argentina, per congratularmi cordialmente per i vostri recenti successi sportivi e per esprimervi la mia viva stima per le vostre persone.

Siete ancora giovani e perciò pieni di illusioni e desiderosi di perfezionarvi personalmente e professionalmente. Perciò le mie parole, quando parlo a sportivi come voi, vorrebbero essere sempre una specie di affettuosa sferzata diretta allo spirito, incoraggiandolo a dispiegarsi con vigore verso gli obiettivi che maggiormente rendono nobile la vita.

Tenete presente che, mentre giocate siete centro di attenzione per le masse. Il buon gioco, lo stile eccellente, i risultati favorevoli vi guadagneranno i loro applausi e la loro ammirazione. Possano pero apprezzare chiaramente, vedendolo in voi, un modello di rispetto e lealtà, un esempio di cameratismo e amicizia, una testimonianza di autentica fraternità. Tutto questo affina gli spiriti e fa loro percepire da vicino la grandezza dell'essere umano e la sua autentica dignità. In questo modo si coopera anche alla costruzione di un mondo più pacifico e, se si ha fede, al consolidamento della comunità dei figli di Dio: la Chiesa. Con questi auguri vi imparto di cuore la benedizione apostolica, che estendo alle vostre famiglie e a tutti i carissimi figli argentini.

Data: 1979-05-25

Data estesa: Venerdì 25 Maggio 1979.







A delegazioni bulgare - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: La fede alimento della cultura

Testo: Eccellenza, Signore e Signori! Vi ringrazio per questa visita in Vaticano. Ringrazio in particolare per i saluti e per gli auguri che mi avete portato da parte del Presidente del Consiglio di Stato della Repubblica Popolare di Bulgaria; contraccambio sinceramente.

Saluto tutti coloro che compongono le delegazioni qui presenti: le personalità che rappresentano le tradizioni culturali bulgare; il Metropolita Pankratij, capo della delegazione della Chiesa ortodossa bulgara, e i membri della delegazione cattolica, tra i quali vedo i miei fratelli nell'episcopato, sua Eccellenza Monsignor Bogdan Dobranov e Monsignor Samuel Dijoundrine.

La vostra presenza a Roma per assistere alla inaugurazione dell'esposizione organizzata alla Biblioteca apostolica vaticana su "i manoscritti e i documenti del Vaticano riguardanti la storia della Bulgaria", e per prendere parte alle celebrazioni in onore dei santi Cirillo e Metodio, illustra in maniera eloquente il fatto che i legami della Santa Sede con la Bulgaria, sia a livello ecclesiastico che civile, non sono di recente data, ma durano da numerosi secoli.

Le vostre delegazioni - composte da personalità del mondo religioso e del mondo culturale - inoltre dimostrano che la cultura e la fede religiosa, non solo non sono tra loro in contrasto, ma intrattengono l'una verso l'altra dei rapporti simili a quelli tra il frutto e l'albero. E' sufficiente studiare l'origine delle culture dei diversi popoli per vedere come la cultura è stata e rimane una manifestazione autentica di alcune delle più profonde esigenze dell'uomo, che vuole esprimere nell'arte e nei costumi ciò che gli sembra vero, buono, giusto e degno di essere amato.

Nella mia prima enciclica "Redemptor Hominis", ho spiegato come tutte le vie della Chiesa conducano all'uomo. E' un fatto storico che le Chiese cristiane, d'Oriente e d'Occidente, hanno favorito e propagato nel corso dei secoli l'amore alla propria cultura e il rispetto di quella altrui. Per questo motivo si costruirono magnifiche chiese e luoghi di culto, pieni di ricchezze architettoniche e d'immagini sacre, come ad esempio le icone, frutto della preghiera e della penitenza come pure della scienza artistica. Per questo motivo furono prodotti tanti documenti e scritti di carattere religioso e culturale che costituirono l'istruzione e l'edificazione dei popoli ai quali erano stati destinati.

In questo contesto, elevo il mio pensiero, con fierezza ed emozione, verso i santi Cirillo e Metodio: essi hanno lasciato ai popoli slavi un patrimonio culturale che concretamente è come il frutto dell'albero della loro fede cristiana, profondamente radicata nell'amore di Dio e dei loro fratelli, che essi hanno servito in circostanze per nulla favorevoli.

Mi auguro che il loro messaggio di unità tra i popoli, in una vera fraternità e in una vita di società pacifica, sia ancor oggi capito nelle regioni in cui essi hanno vissuto, dove hanno lavorato e che hanno amato, con tutto il loro fervore di apostoli, fino alla morte.

Quando ritornerete nella vostra patria, desidero che portiate con voi gli auguri di felicità, di pace, e di prosperità, sia spirituale che materiale, che formulo a tutto il popolo bulgaro che è sempre tanto vicino al mio cuore.

Data: 1979-05-25

Data estesa: Venerdì 25 Maggio 1979.





Ai ragazzi dell'Azione Cattolica - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Ricevere e trasmettere la parola di Dio

Testo: Carissimi Ragazzi dell'Azione Cattolica! Siate benvenuti in questa magnifica Piazza di San Pietro! Siate benedetti tutti nel nome del Signore Gesù, amico dei fanciulli! Vi Ringrazio vivamente per la festosa manifestazione di affetto, che avete voluto riservarmi mentre passavo in mezzo a voi per porgere il mio cordiale, paterno saluto a voi che siete "la mia gioia e la mia corona" (Ph 4,1) perché esprimete il volto della Chiesa "senza macchia e senza ruga" (Ep 5,27), e a quanti vi hanno qui accompagnati: genitori, educatori, responsabili diocesani e nazionali dell'Azione Cattolica Ragazzi; in modo particolare, vada la mia gratitudine all'Assistente Generale Monsignor Giuseppe Costanzo, e al Presidente Nazionale, Professor Mario Agnes, i quali hanno domandato questa udienza in occasione del vostro Incontro Nazionale, col quale intendete anche offrire il vostro contributo alle iniziative, che da ogni parte vengono promosse nella cornice dell'Anno Internazionale del Fanciullo.

1. Avete voluto incontrarvi col Papa in questo giorno sacro alla memoria di san Filippo Neri, definito giustamente l'Apostolo dei giovani per la lunga ed instancabile sua attività in loro favore. I vostri incontri romani si svolgono sotto la sua protezione: egli che seppe così bene raccogliere intorno a sé i ragazzi delle borgate romane ed educarli ai nobili ideali della fede cristiana e della civile convivenza! Si dice che per soccorrere i più bisognosi, non esitava a mendicare per le strade: un giorno un tale, credendosi importunato, gli assesto un ceffone. Il santo, con volto sorridente, "Questo è per me, gli rispose, ora datemi qualche denaro per i miei ragazzi". E a chi si lamentava del chiasso che essi facevano, era solito rispondere: "Purché non facciano del male, mi accontenterei che mi spaccassero la testa". Tanta era la carità sacerdotale che nutriva per i giovani, che non esito a farsi per loro giocoliere di Dio, maestro di letizia e di gioia autenticamente evangeliche, che riassumeva nel famoso motto: "Tristezza e malinconia, via di casa mia". Sulla sua tomba, poco distante da qui, nella Chiesa di Santa Maria in Vallicella, dove fra poco mi rechero a celebrare la Santa Messa, chiedero al santo compatrono di Roma di voler ottenere a voi, e a tutti i giovani del mondo, serenità di spirito, nobiltà d'animo e coerenza a tutta prova nella testimonianza evangelica nell'ambiente in cui siete chiamati a vivere e ad operare.


2. Circa il vostro convegno qui a Roma, che conclude le iniziative da voi intraprese in questo mese di maggio, che è stato per voi "Il mese degli incontri", ho visto con piacere il manifesto murale il quale, con la sua ingegnosa scritta: "Ricevuto, passo", sintetizza bellamente l'ultima tappa del lavoro svolto in questo anno. Tale slogan, che avete tratto dal gergo radiofonico, definisce molto bene l'impegno cristiano a cui ciascuno di voi è chiamato.

L'impegno cioè di ascolto della parola di Dio e degli uomini per poi trasmetterla, a vostra volta, agli altri, appunto come disse Gesù ai suoi discepoli: "Quello che vi dico nelle tenebre, ditelo nella luce, e quello che ascoltate all'orecchio predicatelo sui tetti" (Mt 10,27). E voi sapete come oggi si vedono sui tetti selve di antenne radiofoniche e televisive che diffondono e captano ciò che viene detto in una cabina di trasmissione.

"Ricevuto": questo primo termine del vostro motto vuol dire anche saper ascoltare, approfondire, scoprire, vivere ciò che avete "ricevuto" nella vostra vita di gruppo: negli incontri, nella scuola, nelle associazioni, nei giochi, nelle applicazioni tecniche, in cui vi conoscete, vi scambiate esperienze, vi partecipate i vostri sentimenti, scoprite l'impronta che gli altri gruppi hanno lasciato nel paese o nel quartiere, il loro entusiasmo e la loro buona volontà.

Tutto questo patrimonio che ricevete non deve pero rimanere in voi inerte ed inoperoso ma deve, anzitutto, servire a promuovere la vostra persona, ad arricchirla, a trasformarla in meglio, a farvi diventare dei ragazzi in gamba. Ma soprattutto esso vuol dire saper accogliere le buone ispirazioni, lasciarsi permeare dalla grazia di Dio, aspirare alla santità, secondo le parole del Signore: "Siate perfetti come è perfetto il vostro Padre, che sta nei cieli" (Mt 5,48).

"Passo": tutto quanto voi ricevete non solo non deve rimanere inerte in voi, ma deve anche "passare", essere cioè donato, comunicato agli altri, come fecero gli Apostoli i quali si sparsero per il mondo per comunicare ed annunciare a tutte le genti il messaggio di salvezza che avevano ricevuto dal loro e nostro Maestro, quando disse: "Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni... insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato" (Mt 28,19). Anche voi farete questo, se vi sentirete nel vostro cuore "veri testimoni viventi di Cristo tra i compagni" (cfr. AA 12), e tali sarete se saprete manifestare la vostra gioia di vivere, di crescere e di amare; se saprete vincere le seduzioni ingannevoli dei sensi; se riuscirete a non essere orgogliosi nei confronti di altri ragazzi meno dotati e più disagiati per condizione sociale; se non agirete egoisticamente; se non farete dispetti; se non vi vendicherete, ma saprete perdonare di cuore quelli che vi hanno offeso; se, in altri termini, saprete vivere evangelicamente. In questo modo certamente farete "passare" i vostri ideali agli altri, ed essi vedendo le vostre buone opere daranno gloria al Padre celeste (cfr. Mt 5,16).

Cari ragazzi, tornando a casa, riferite agli amici quello che il Papa vi ha ora suggerito a ricordo di questa bella udienza in Piazza San Pietro. Dite a tutti che il Papa li ama, attende la loro visita e li benedice; così come adesso imparto a voi qui presenti la mia speciale benedizione apostolica, con l'augurio che, mediante il materno aiuto della Vergine Maria, mistica rosa del mese di maggio, sappiate veramente "ricevere" e "passare" la consegna cristiana della fede e della speranza, a lode e gloria di Dio.

Data: 1979-05-26

Data estesa: Sabato 26 Maggio 1979.





Nella chiesa di Santa Maria in Vallicella - Roma - Attualità del messaggio di san Filippo Neri


Carissimi fratelli e sorelle! Non poteva mancare una mia visita a questo luogo santo e amato dai Romani, per venerare colui che fu designato "L'Apostolo dell'Urbe", san Filippo Neri, compatrono di quest'alma Città.

La mia venuta era un dovere, era un bisogno dell'anima ed era anche una trepidante attesa! In questa Chiesa, dove riposa il corpo di san Filippo Neri, porgo prima di tutto il mio saluto più cordiale ai Sacerdoti, suoi Confratelli.

Ma poi, con particolare amore, saluto voi, fedeli, e in voi intendo raggiungere tutti i fedeli di Roma, città di san Filippo Neri, da lui tanto amata e beneficiata, e il cui ricordo vivo e santificante è tuttora presente.

Voi sapete che nel periodo di permanenza romana, dal 1534, quando giunse ignoto e povero pellegrino, fino al 1595, anno della sua beata morte, san Filippo Neri ebbe un vivissimo amore per Roma! Per Roma egli visse, lavoro, studio, soffri, prego, amo, mori! Roma egli ebbe nella mente, nel cuore, nelle sue preoccupazioni, nei suoi progetti, nelle sue istituzioni, nelle sue gioie e anche nei suoi dolori! Per Roma san Filippo fu uomo di cultura e di carità, di studio e di organizzazione, di insegnamento e di preghiera; per Roma fu sacerdote santo, infaticabile confessore, educatore ingegnoso e amico di tutti, e in special modo fu consigliere esperto e delicato direttore di coscienze. A lui ricorsero Papi e Cardinali, Vescovi e sacerdoti, principi e politici, religiosi e artisti; nel suo cuore di padre e di amico confidarono illustri persone, come lo storico Cesare Baronio e il celebre compositore Palestrina, san Carlo Borromeo e sant'Ignazio di Loyola, e il Cardinale Federico Borromeo.

Ma quella piccola e povera stanza del suo appartamento fu soprattutto meta di una moltitudine immensa di umili persone del popolo, di sofferenti, di diseredati, di emarginati dalla società, di giovani, di fanciulli, che accorrevano a lui, per avere consiglio, perdono, pace, incoraggiamento, aiuto materiale e spirituale. L'attività benefica di san Filippo fu tale e tanta, che la Magistratura di Roma decreto di donare ogni anno un calice alla sua chiesa nel giorno anniversario della morte, come segno di venerazione e di riconoscenza.

Vissuto in un secolo drammatico, inebriato dalle scoperte dell'ingegno umano e dell'arte classica e pagana, ma in crisi radicale per il mutamento della mentalità, san Filippo, uomo di profonda fede e sacerdote fervoroso, geniale e lungimirante, dotato anche di speciali carismi, seppe mantenere indenne il deposito della verità ricevuto e lo tramando integro e puro, vivendolo interamente e annunziandolo senza compromessi.

Per questo motivo il suo messaggio è sempre attuale e noi dobbiamo ascoltarlo e seguire il suo esempio.

Nella preziosa miniera dei suoi insegnamenti e della aneddotica della sua vita, sempre così interessante e avvincente, alcune prospettive possono dirsi particolarmente attuali per il mondo odierno.

1. L'umiltà dell'intelligenza. E' il primo richiamo di san Filippo. Infatti un pericolo fondamentale è la superbia dell'intelligenza. San Filippo la vedeva paurosamente rigogliosa in quel suo secolo autonomo e ribelle, e perciò insisteva particolarmente sull'umiltà della ragione e sulla penitenza interiore.

L'intelligenza è dono di Dio che fa l'uomo simile a lui; ma l'intelligenza deve accettare i suoi limiti.

L'intelligenza deve raggiungere il Principio necessario e assoluto che regge l'universo; riconoscere le prove storiche che dimostrano la divinità di Gesù Cristo e la missione divina della Chiesa; e poi arrestarsi di fronte al mistero di Dio, che, essendo infinito, rimane sempre oscuro nella sua natura e nelle sue operazioni; l'intelligenza deve accettare la sua legge, che è legge di amore e di salvezza e abbandonarsi con fiducia al suo progetto, il quale, essendo eterno, supera ontologicamente ogni umana prospettiva.

San Filippo insisteva su questo senso di umiltà di fronte a Dio.

Portando la mano sulla fronte, era solito affermare: "La santità sta in tre dita di spazio!", volendo significare che essa dipende essenzialmente dall'unità dell'intelligenza.


2. Coerenza cristiana. E' il secondo insegnamento di san Filippo, molto valido e sempre attuale.

Con sapienza cristiana egli seppe trarre dai principi della fede le ragioni profonde della sua attività e della sua intera vita. E da questa logica di fede nacque spontaneo uno stile di vita improntato alla gioia, alla fiducia, alla serenità, al sano ottimismo, che non è faciloneria banale e insensibile, ma è visione trascendente della storia, visione escatologica della realtà umana. Da questa letizia interiore, nasceva la sua straordinaria forza di apostolato e il suo fine e proverbiale umorismo, per cui venne chiamato il "santo della gioia" e la sua abitazione fu denominata "casa dell'allegria". Su questo stile di vita dolce ed austero, gioioso e impegnato, egli fondo l'"Oratorio", che si diffuse nel mondo intero e che tra i tanti meriti ebbe anche quello dello sviluppo della musica e del canto sacro.

Scriveva san Paolo: "Rallegratevi nel Signore sempre! Ve lo ripeto ancora: rallegratevi! La vostra affabilità sia nota a tutti gli uomini" (Ph 4,4-5). Tale fu san Filippo: uomo di gioia e di affabilità.

Voglia il cielo che anche ognuno di noi possa godere tale gioia che nasce dalla fede cristiana convinta e vissuta.


3. La pedagogia della "grazia". E' un terzo insegnamento del nostro santo, quando mai attuale e necessario.

San Filippo, nel pieno rispetto delle singole personalità, imposto il "progetto educativo" sulla realtà della "grazia" e lo sviluppo in cinque linee direttive principali: 1) la conoscenza delicata di ogni singolo fanciullo e giovane mediante l'ascolto paziente e affettuoso; 2) l'illuminazione della mente con le verità di fede mediante letture e meditazioni; 3) la devozione eucaristica e mariana; 4) la carità al prossimo; 5) il gioco nelle sue più svariate manifestazioni.

Il mondo di oggi ha estremo bisogno di educatori sensibili e preparati, che insegnino a vincere la tristezza e il senso di solitudine e di incomunicabilità che travaglia tanti giovani e talvolta anche li abbatte. Come san Filippo insegnate anche voi, genitori ed educatori, "tutto quello che è vero, nobile, giusto, puro, amabile, onorato, quello che è virtù e merita lode" (Ph 4,8).

Carissimi Fedeli di Roma! Quante cose possiamo e dobbiamo imparare dal nostro grande santo! Egli parla ad ognuno di noi: "Co ad cor loquitur", come diceva il grande Cardinale Newman, convertito dall'Anglicanesimo.

Egli, quando dopo lunghe e meticolose ricerche storiche e dopo sofferenze interiori, fu costretto dall'evidenza delle prove ad abbracciare il cattolicesimo ed entrare nella Chiesa di Roma, conosciuta la vita e la spiritualità di san Filippo, per la sua profondità, equilibrio e discrezione, se ne innamoro talmente, da voler diventare prete oratoriano. Fondo il primo Oratorio in Inghilterra, ne segui sempre gli esempi, come attestano i suoi mirabili discorsi, e lo chiamo "il mio personale padre e patrono" e nel nome di san Filippo termino la sua opera più famosa: "Apologia pro vita sua".

Anche per noi san Filippo continua ad essere "padre". Invochiamolo! Ascoltiamolo! Una delle sue più amabili caratteristiche fu il tenero amore a Maria santissima che frequentemente invocava "Mater gratiae", con totale e filiale fiducia. Affermava, pieno di tenerezza verso la Madre del cielo: "Questa sola ragione dovrebbe bastare per tenere allegro un fedele, il sapere che ha Maria Vergine presso Dio, che prega per lui" (P.G. Bacci, "Vita di san Filippo Neri Fiorentino").

Ascoltiamolo, san Filippo Neri, convinti che Colui che tanto amo Roma in vita, continua a proteggere e ad aiutare i suoi figli.

Ed ora, prima di iniziare la liturgia del Sacrificio, pensiamo un momento a ciò che è avvenuto qualche giorno fa nella nostra amata città di Roma: la morte atroce di un giovane somalo, qui emigrato, vittima ignara di un assurdo gesto, ha sollevato un moto di indignazione e di protesta in tutto il mondo e ha straziato pure il mio cuore di Padre.

E ora, eleviamo una preghiera per il povero defunto e per tutte le vittime della crudeltà e della violenza umana, e soprattutto promettiamo, ognuno personalmente nel suo ambito e nella sua responsabilità, di vivere il Vangelo con fedeltà assoluta, seguendo le orme di san Filippo Neri.

Data: 1979-05-26

Data estesa: Sabato 26 Maggio 1979.





A vescovi dell'Uruguay in visita "ad limina" - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Sollecitudine pastorale per le vocazioni religiose

Testo: Venerabili fratelli.

La vostra presenza mi ricorda il messaggio che vi indirizzai all'inizio del mio pontificato, in occasione del primo centenario della fondazione della gerarchia ecclesiastica nel vostro Paese. Mi sentii immensamente felice perché un avvenimento di tale importanza per la storia religiosa della vostra terra aveva la sua celebrazione conclusiva durante la solennità della Immacolata, con una cerimonia culminata ai piedi dell'immagine della Vergine dei Trentatré.

Oggi, vedendovi qui per la vostra visita "ad limina apostolorum" - e sento la presenza anche degli altri fratelli nell'Episcopato che verranno allo stesso modo a visitare Pietro - avverto vivamente che si fa più forte la mia unione con voi: una forza che trova la sua perenne fecondità nel disegno secondo il quale Cristo ha voluto costruire la sua Chiesa su Pietro, con il mandato di confermare i suoi fratelli, facendo della sua missione con loro, l'unità del collegio apostolico. Si tratta della collegialità sottolineata insistentemente del Concilio Vaticano II. Il Vescovo è il principio e fondamento visibile dell'unità della Chiesa particolare di cui è Pastore (LG 23); ma come membro del Collegio episcopale è obbligato ad agire in modo solidale con i suoi fratelli, quando sorgono problemi comuni ad altre comunità ecclesiali, soprattutto se tali problemi riguardano l'intero ambito di una Nazione. Perciò mi riempie di allegria l'immagine che offre la Chiesa nel vostro Paese, segno manifesto di salvezza e sacramento di unità per tutti gli uomini (LG 1 LG 48.), configurandosi pertanto come un modello per la convivenza fraterna della Nazione.

Voglio soffermarmi particolarmente su di un punto, mettendo in rilievo l'operante unanimità delle vostre aspirazioni: l'adeguata ed intensa pastorale delle vocazioni religiose, soprattutto sacerdotali. E' un'esigenza ineludibile, per cui si fa ansiosa anche la mia sollecitudine, quando osservo Paesi in cui, come nel vostro, manca ancora un organico e adeguato sviluppo del corpo delle Chiese particolari, obbligate per la loro vita e missione ad avvalersi dell'aiuto prezioso e generoso, ma precario, che può offrire loro il clero delle altre nazioni. Perciò rendo ferventemente grazie al Signore della messe, che da qualche tempo sta suscitando nelle vostre diocesi un crescente numero di vocazioni sacerdotali.

Considero superfluo richiamare l'attenzione sulla necessità di formare adeguatamente i futuri operai della vigna. Ma permettetemi di insistere, affinché nella vostra missione di pastori, conservi un posto prioritario l'attenzione alla spiritualità di coloro che saranno i vostri immediati collaboratori, non meno di coloro che il Signore ha posto già al vostro fianco. La sollecitudine verso i vostri sacerdoti abbia tutto il vigore e tutte le delicate attenzioni che sono richieste alla vostra opera paterna, soprattutto perché sia determinante nella loro predisposizione e nella loro condotta, l'ispirazione soprannaturale che deve interpretare adeguatamente l'essenza del messaggio evangelico.

Questa animazione spirituale vi preoccupi anche nella ricerca, nella formazione e nella direzione delle altre forze a cui la Chiesa chiede oggi un apporto sostanziale e organizzato per l'attuazione della propria missione.

Così il vostro piano pastorale quinquennale, preparato per tutto il Paese, potrà passare ad una dinamica fase esecutiva per la santificazione del popolo di Dio. Ne trarrà beneficio anche il rinnovamento morale e religioso di non piccoli settori, come esigono gravi necessità e tendenze funeste, a proposito delle quali avete recentemente alzato la vostra voce.

Apprezzo vivamente il vostro zelo vigilante ed efficace, soprattutto nell'ambito della missione specifica della Chiesa, che ben lontana dall'intervenire in questioni che non sono di sua competenza, presta un servizio certamente non contingente per la causa dell'umanità in genere e del popolo, tra il quale opera come madre e maestra.

Rispetto a ciò vi siete pronunciati esplicitamente ed in modo equilibrato, e io stesso ho sviluppato questo tema fondamentale del discorso di apertura della III Conferenza Generale dell'Episcopato latino-americano. E' un cammino segnalato chiaramente per la evangelizzazione in un Continente che amo molto, e in cui il vostro Paese ha avuto e mantiene un posto di grande prestigio.

Mi resta solo da aggiungere, in un campo tanto delicato, che io conto molto sul vostro zelo e quello dei vostri collaboratori; ma voglio anche esprimere il desiderio che la saggezza umana e cristiana dei vostri concittadini sappia beneficiare con fiducia, del Magistero e dell'opera della Chiesa.

Voglio tornare di nuovo al primo punto di questo discorso: pellegrino spiritualmente al santuario della Vergine dei Trentatré, raccomando al suo amore fraterno le vostre fatiche, le vostre pene, le aspirazioni vostre e di tutti i vostri sacerdoti, diaconi, religiosi e religiose, seminaristi, quelle di tutti coloro che agiscono nella pastorale e di tutto il vostro popolo.

Accogliete la benedizione apostolica che di tutto cuore vi imparto e che desidero far giungere al Cardinale Antonio Barbiere, insigne pastore che ultima nella sofferenza e nella preghiera il lungo e coraggioso servizio prestato alla Chiesa nel vostro Paese.

Data: 1979-05-26

Data estesa: Sabato 26 Maggio 1979.





Recita del Regina Coeli - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Il Sacramento della Cresima per la formazione dei cristiani

Testo: Carissimi fratelli e sorelle!

1. Stiamo vivendo il singolare periodo liturgico, che sta tra l'Ascensione e la Pentecoste. In questi giorni la Chiesa, così come il primo nucleo dei discepoli, si trova in modo misterioso "in stato di Cenacolo", rimanendo con perseveranza in preghiera "con Maria, la Madre di Gesù" (Ac 1,14). Anche questo nostro incontro di mezzogiorno, da parte sua, non è che un frammento di quel rimanere uniti insieme in preghiera.

Nel Cenacolo la Chiesa si prepara ad assumere e a compiere la missione ricevuta da Cristo. E' naturale, perciò, che rivolgiamo innanzitutto il nostro pensiero a coloro che questo pomeriggio riceveranno l'Ordinazione Episcopale nella Basilica di San Pietro. Si tratta di ventisei Presuli, provenienti dai seguenti Paesi: Italia, Spagna, Bulgaria, Nicaragua, Sudan, Etiopia, Stati Uniti d'America, Brasile, Norvegia, Filippine, India, Canada, Cile. La loro diversa origine e la loro destinazione sono un segno di quella stessa universalità della Chiesa, che già era documentata a Gerusalemme il giorno della prima Pentecoste.


GPII 1979 Insegnamenti - Agli studenti dei seminari inglesi di Roma - Città del Vaticano (Roma)