GPII 1979 Insegnamenti - Omelia santuario nostra Signora di Zapopan

Omelia santuario nostra Signora di Zapopan


Carissimi fratelli e sorelle,

1. Eccoci qua riuniti oggi in questo bel santuario di Nostra Signora dell'Immacolata Concezione di Zapopan, nella grande arcidiocesi di Guadalajara.

Non volevo né potevo omettere questo incontro intorno all'altare di Gesù e ai piedi di Maria Santissima, con il popolo di Dio pellegrino in questo luogo. Questo santuario di Zapopan è in effetti una prova in più, palpabile e consolatrice, dell'intensa devozione che da secoli il popolo messicano, e con lui tutto il popolo latino-americano, professa alla Vergine Immacolata.

Come quello di Guadalupe, anche questo santuario proviene dall'epoca coloniale. Come quello, le sue origini risalgono al valido sforzo di evangelizzazione dei missionari (in questo caso, i figli di san Francesco) tra gli "indios", così ben disposti a ricevere il messaggio della salvezza in Cristo e a venerare la sua santissima Madre concepita senza macchia di peccato. così questi popoli percepiscono il posto unico ed eccezionale di Maria nella realizzazione del piano di Dio (cfr. LG 53ss), la sua santità eminente, e la sua relazione materna con noi (LG 61 LG 66). Da quel momento in poi, lei, l'Immacolata, rappresentata in questa piccola e semplice immagine, viene incorporata nella pietà popolare del popolo dell'arcidiocesi di Guadalajara, della nazione messicana e di tutta l'America Latina. Come Maria stessa dice profeticamente nel suo cantico del Magnificat: "Mi chiameranno beata tutte le generazioni" (Lc 1,48),

2. Se questo è vero in tutto il mondo cattolico, quanto più lo è in Messico e in America Latina. Si può dire che la fede e la devozione a Maria e ai suoi misteri appartengono all'identità propria di questi popoli, e caratterizzano la loro pietà popolare, della quale parlava il mio predecessore Paolo VI nell'esortazione apostolica "Evangelii Nuntiandi" (EN 2). Questa pietà popolare non è necessariamente un sentimento vago, carente di solida base dottrinale, come una forma inferiore di manifestazione religiosa. Quante volte è, al contrario, la vera espressione dell'anima di un popolo, in quanto toccata dalla grazia e forgiata dall'incontro felice fra l'opera di evangelizzazione e la cultura locale, del quale parlava anche l'esortazione poco prima citata (EN 20).

Così guidata e sostenuta e, se è il caso, purificata, per l'azione costante dei pastori, ed esercitata ogni giorno nella vita del popolo, la pietà popolare è veramente la pietà "dei poveri e dei semplici" (EN 48). E' il modo con il quale questi prediletti del Signore vivono e traducono nei loro atteggiamenti umani e in tutte le dimensioni della vita il mistero della fede che hanno ricevuto.

Questa pietà popolare, in Messico e in tutta l'America Latina, è indissolubilmente mariana. In essa, Maria santissima occupa lo stesso luogo preminente che occupa nella totalità della fede cristiana. Ella è la Madre, la regina, la protettrice e il modello. Ad ella si viene per onorarla, per chiederle la sua intercessione, per imparare ad imitarla, cioè per imparare ad essere un vero discepolo di Gesù. Perché, come dice il Signore stesso: "Chi farà la volontà di Dio, questi sarà mio fratello, mia sorella e mia madre" (Mc 3,35).

Lungi dall'offuscare la mediazione insostituibile e unica di Cristo, questa funzione di Maria, accolta dalla pietà popolare, la pone in rilievo e "serve a dimostrare il suo potere") come insegna il Concilio Vaticano II (LG 60) perché tutto ciò che ella è e ha le viene dalla "sovrabbondanza dei meriti di Cristo, si appoggia alla sua mediazione" e conduce a lui (LG 60). I fedeli che accedono a questo santuario lo sanno bene e lo mettono in pratica, dicendo sempre con lei, guardando a Dio Padre, nel dono del suo amato Figlio, fatto presente tra noi dallo Spirito: "L'anima mia magnifica il Signore" (Lc 1,46).

3. Precisamente, quando i fedeli vengono a questo santuario, come anch'io ho voluto venirci oggi, pellegrino in questa terra messicana, che altra cosa fanno se non lodare e onorare Dio Padre, Figlio e Spirito Santo, nella figura di Maria, unita con vincoli indissolubili alle tre persone della Santissima Trinità, così come insegna anche il Concilio Vaticano II (cfr. LG 53)? La nostra visita al santuario di Zapopan, la mia oggi, la vostra tante volte, significa per se stessa la volontà e lo sforzo di avvicinarsi a Dio e di lasciarsi inondare da lui, mediante l'intercessione, l'ausilio e il modello di Maria.

In questi luoghi di grazia, così caratteristici della geografia religiosa messicana e latino-americana, il Popolo di Dio, convocato nella Chiesa, con i suoi Pastori, e in questa felice occasione con chi umilmente presiede nella Chiesa alla carità (S. Ignazio di Antiochia, "Ad Romanos", Prol.), si riunisce intorno all'altare e sotto lo sguardo materno di Maria, per dare testimonianza che quello che conta in questo mondo e nella vita umana è l'apertura al dono di Dio, che si comunica in Gesù, nostro salvatore, e che ci viene per Maria. Questo è quello che dà alla nostra esistenza terrena la sua vera dimensione trascendente, come Dio l'ha voluta dall'inizio, come Gesù Cristo l'ha restaurata con la sua morte e la sua risurrezione, e come splende nella Vergine Maria.

Ella è il rifugio dei peccatori ("refugium peccatorum"). Il popolo di Dio è consapevole della propria condizione di peccato. Per questo, sapendo che ha bisogno di una purificazione costante, "cerca senza smettere la penitenza e la riconciliazione" (LG 8). Ognuno di noi è consapevole di questo. Gesù cercava i peccatori: "Non hanno bisogno del medico i sani ma gli ammalati, e non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori" (Lc 5,31-32). Al paralitico, prima di guarirlo, gli disse: "Uomo, ti sono rimessi i tuoi peccati" (Lc 5,20); e a una peccatrice: "Va', e non peccare più" (Jn 8,11).

Se la coscienza del peccato ci opprime, cerchiamo istintivamente Colui che ha il potere di perdonare i peccati (cfr. Lc 5,24) e lo cerchiamo attraverso Maria, i cui santuari sono luoghi di conversione, di penitenza, di riconciliazione con Dio.

Ella sveglia in noi la speranza di emendazione e della perseveranza nel bene, anche se alle volte può sembrare umanamente impossibile.

Ella ci permette di superare le molteplici "strutture di peccato" in cui è avvolta la nostra vita personale, familiare e sociale. Ci permette di ottenere la grazia della vera liberazione, con quella libertà con cui Cristo ha liberato ogni uomo.4. Da qui parte anche, come dalla sua vera fonte, l'autentico compromesso per gli altri uomini, nostri fratelli, specialmente con i più poveri e bisognosi, e per la necessaria trasformazione della società. Perché questo è quello che Dio vuole da noi e a questo ci invita, con la voce e la forza del suo Vangelo nel farci responsabili gli uni degli altri. Maria, come insegna il mio predecessore Paolo VI nell'esortazione apostolica "Marialis Cultus" (n. 37) è anche modello, fedele compitrice della volontà di Dio, per coloro che non accettano passivamente le avverse circostanze della vita personale e sociale, né sono vittime dell'"alienazione" - come si dice oggi - bensì proclamano con ella che Dio è "vindice degli umili" e, se è il caso, "depone i potenti dal trono" per citare di nuovo il "Magnificat" (cfr. Lc 1,51-53). Perché così ella è "tipo del perfetto discepolo di Cristo, che è artefice della città terrena e temporale, ma che tende allo stesso tempo alla città celeste ed eterna, che promuove la giustizia, libera i bisognosi, ma soprattutto è testimone di quell'amore attivo che costruisce Cristo nelle anime" ("Marialis Cultus", 37).

Questo è Maria per noi in questo santuario di Zapopan. Questo è quello che siamo venuti ad imparare oggi da lei, affinché ella sia sempre per questi fedeli di Guadalajara, per la nazione messicana e per tutta l'America Latina, con il suo essere cristiano e cattolico, "stella dell'evangelizzazione".5. Ma non volevo finire questo colloquio senza aggiungere alcune parole che considero importanti nel contesto di quanto ho prima indicato.

Questo santuario di Zapopan, e tanti altri disseminati per tutta la geografia del Messico e dell'America Latina, dove convergono annualmente milioni di pellegrini con un profondo senso di religiosità, possono e devono essere luoghi privilegiati per l'incontro di una fede sempre più purificata, che li conduca a Cristo.

Per questo bisognerà curare con grande attenzione e zelo la pastorale nei santuari mariani, mediante una liturgia approvata e viva, mediante la predicazione assidua e di salda catechesi, mediante la preoccupazione per il ministero del sacramento della Penitenza e la depurazione prudente di eventuali forme di religiosità che presentino elementi meno adeguati.

Bisogna approfittare pastoralmente di queste occasioni, magari sporadiche, dell'incontro con anime che non sempre sono fedeli a tutto il programma di una vita cristiana, ma che qui vengono guidate da una visione alle volte incompleta della fede, per cercare di condurle al centro dell'unica salda pietà, Cristo Gesù, Figlio di Dio Salvatore.

In questo modo la religiosità popolare andrà perfezionandosi, quando sia necessario, e la devozione mariana acquisterà il suo pieno significato in un orientamento trinitario, cristocentrico e ecclesiale, come così a proposito insegna l'esortazione "Marialis Cultus" (nn. 25-27).

I sacerdoti incaricati dei santuari, coloro che guidano ad essi i pellegrini, li invito a riflettere ponderatamente sul gran bene che possono fare ai fedeli, se sapranno porre in opera un sistema di evangelizzazione appropriato.

Non sprecate alcuna occasione di predicare Cristo, di chiarire la fede del popolo, di irrobustirla, aiutandolo nella sua via verso la Trinità Santa. Sia Maria il cammino. A questo vi aiuti la Vergine Immacolata di Zapopan. così sia.

Data: 1979-01-30

Data estesa: Martedì 30 Gennaio 1979.




Ai seminaristi - Guadalajara (Messico)

Titolo: Dedicarsi a Cristo, consacrarsi all'uomo per Cristo
Testo: Cari seminaristi, diocesani e religiosi, di Messico.

La pace del Signore sia sempre con voi! L'entusiasmo traboccante e affettuoso col quale mi avete ricevuto questa sera, mi fa sentire profondamente commosso. E' una gioia immensa quella che provo nel condividere con voi questi momenti, che per vostra parte corroborano, senza lasciar dubbio, l'apprezzamento che voi sentite per il Papa davanti a Dio, e questo mi infonde consolazione e nuovo coraggio (cfr. 2Co 7,13).

Attraverso di voi, la mia allegrezza spirituale si estende ai cari confratelli nell'Episcopato, ai sacerdoti, ai religiosi e a tutti i fedeli. Vada a tutti la mia più cordiale gratitudine per tante attenzioni e per tante cordialità filiali, e più ancora per il loro ricordo nelle preghiere al Signore. Posso assicurarvi che la vostra corrispondenza a questa mia visita pastorale in Messico, ha dato consistenza in me, durante questi giorni, a un grato presentimento. Lo esprimero con le parole dell'Apostolo: "Mi rallegra poter contare su voi in tutto" (2Co 7,16).

1. Per me è un motivo di soddisfazione sapere che i seminari messicani hanno una lunga e gloriosa tradizione, che risale ai tempi del Concilio di Trento, con la fondazione del Collegio "San Pedro" in questa città di Guadalajara, nel 1570. A questo si sono aggiunti nel tempo molti altri centri di formazione sacerdotale, disseminati per tutto il territorio nazionale, come dimostrazione persistente di una fresca e robusta vitalità ecclesiale.

Non voglio tralasciare il già centenario Collegio Messicano di Roma, che ha una missione molto importante: mantener vivo il vincolo tra il Messico e la Cattedra del Papa. Considero dovere ineludibile di tutti aiutarlo e sostenerlo perché possa adempiere questo suo compito primordiale con piena fedeltà alle norme del Magistero e agli orientamenti dati dalla Sede di Pietro.

Questa sollecitudine storica per creare nuovi seminari suscita in me sentimenti di compiacenza e di plauso; ma ciò che in modo speciale mi riempie di speranza, è il continuo fiorire di vocazioni sacerdotali e religiose. Mi sento felice di vedervi qui, giovani traboccanti di gioia, per aver risposto di "si" all'invito del Signore, a servirlo nella Chiesa, anima e corpo, nel sacerdozio ministeriale. Allo stesso modo di san Paolo, desidero aprirvi completamente il mio animo, per dirvi: "Sento il mio cuore allargato... Pagatemi con la medesima moneta!" (2Co 6,11-13).


2. Poco più di due mesi fa, quando avevo appena cominciato il mio pontificato, ho avuto un'udienza eucaristica con i seminaristi romani. Come loro, così oggi invito voi ad ascoltare attentamente il Signore che parla al cuore, specialmente nella preghiera e nella liturgia, per scoprire e radicare nel profondo del vostro essere, il senso e il valore della vostra vocazione.

Dio che è verità e Amore, si è manifestato a noi nella storia della creazione e nella storia della salvezza; una storia ancora incompleta, quella dell'umanità, che "attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio" (cfr. Rm 8,18). Lo stesso Dio ci ha scelti, ci ha chiamati per infondere nuovo vigore in questa storia, già sapendo fin d'ora che la salvezza "è dono di Dio, non viene dalle nostre opere, siamo sua fattura, creati in Cristo Gesù" (Ep 1,8-10). Una storia, pertanto, che è nei disegni di Dio, ed è anche nostra, perché Dio ci vuole operai nella vigna (Mt 20,1-16), ci vuole suoi ambasciatori per andare incontro a tutti e tutti invitare al suo banchetto (Mt 22,1-14), ci vuole buoni samaritani che hanno misericordia del prossimo abbandonato (Lc 10,30ss).

3. Già questo basterebbe per intravvedere più da vicino quanto grande sia la vocazione. Sperimentarla poi è un avvenimento unico, ineffabile, perché si può percepire solo interiormente, come un soffio soave attraverso il tocco sollecitante della grazia: un soffio dello Spirito che, mentre dà profilo autentico alla nostra fragile realtà umana - vaso d'argilla nelle mani del vasaio (cfr. Rm 9,20-21) -, accende anche, nei nostri cuori, una luce nuova, infonde una forza straordinaria che cementandoci nell'amore, incorpora la nostra esistenza con il lavoro divino, con il suo piano di ri-creazione dell'uomo in Cristo, cioè a dire, la formazione della sua nuova famiglia redenta. Siete quindi chiamati a costruire la Chiesa - comunione con Dio -, qualche cosa di molto superiore a ciò che uno può chiedere o immaginare (cfr. Ep 3,14-21).


4. Cari seminaristi, che un giorno sarete ministri di Dio per piantare e irrigare il campo del Signore: approfittate di questi anni di seminario per riempirvi degli stessi sentimenti di Cristo, nello studio, nella preghiera, nell'obbedienza, nella formazione del proprio carattere. Vedrete così voi stessi come, a misura che la vostra vocazione va maturando a questa scuola, la vostra vita andrà assumendo gioiosamente un marchio specifico, un'indicazione ben precisa: l'orientamento agli altri, come Cristo che "passo facendo del bene e sanando tutti" (Ac 10,38). In questo modo, ciò che umanamente potrebbe sembrare una rovina, si trasforma in un luminoso progetto di vita, già esaminato e approvato da Gesù: non vivere per esser servito ma per servire (Mt 20,28).

Come ben comprendete, nulla è più lontano dalla vocazione, dell'attrattiva di vantaggi terreni, della ricerca di benefici o di onori; e ugualmente la vocazione è molto lontana dall'essere l'evasione da un ambiente d'illusioni frustrate, o che si presenta ostile o alienante. La buona novella, per colui che è chiamato al servizio del popolo di Dio, oltre ad essere una chiamata a cambiare e migliorare la propria esistenza, è anche chiamata a una vita già trasformata in Cristo, che bisogna annunciare e propagare.

E ora, cari seminaristi, basta con questo discorso. Il resto lo saprete aggiungere voi stessi, con il vostro cuore aperto e generoso. Una cosa sola voglio aggiungere: amate i vostri direttori, educatori e superiori. Ad essi incombe il grato e pur difficile compito di condurvi per mano sul cammino che va verso il sacerdozio. Essi vi aiuteranno ad acquisire il gusto della vita interiore, l'abito esigente della rinuncia per Cristo, del disinteresse, e soprattutto vi contageranno del "soave profumo della conoscenza di Cristo" (cfr. 2Co 2,14). Non abbiate timore. Il Signore sta con voi e in ogni momento è la nostra migliore garanzia: "So di chi mi sono fidato" (2Tm 1,12).

Con questa confidenza nel Signore, aprite il vostro cuore all'azione dello Spirito Santo; apritelo in un proposito di impegno che non conosca riserve; apritelo al mondo che vi attende e di voi ha bisogno; apritelo alla chiamata che già vi rivolgono tante anime, alle quali voi un giorno potrete dare Cristo, nell'Eucaristia, nella Penitenza, nella predicazione della Parola rivelata, nel consiglio amichevole e disinteressato, nella testimonianza serena della vostra vita di uomini, che sono nel mondo senza essere del mondo.

Vale veramente la pena dedicarsi alla causa di Cristo, che richiede cuori validi e decisi; vale la pena consacrarsi all'uomo per Cristo, per portarlo a lui, per elevarlo, per aiutarlo nel cammino verso l'eternità; vale la pena fare un'opzione per un ideale che vi procurerà grandi gioie, anche se insieme esige non pochi sacrifici. Il Signore non abbandona i suoi.

Vale la pena vivere per il Regno questo prezioso valore del cristianesimo, che è il celibato sacerdotale, patrimonio plurisecolare della Chiesa; vale la pena viverlo responsabilmente, sebbene esiga non pochi sacrifici.

Coltivate la devozione a Maria, la Vergine Madre del Figlio di Dio, perché vi aiuti e spinga a realizzarlo pienamente! Ma vorrei inoltre riservare una parola speciale a voi, educatori e superiori delle case di formazione seminaristica. Voi avete fra le mani un tesoro ecclesiale. Abbiatene cura con la massima attenzione e diligenza, perché possa produrre i frutti sperati. Formate questi giovani a sana allegria, coltivando una ricca personalità adatta al nostro tempo. Pero formate questa personalità ben solida nella fede, nei criteri del Vangelo, nella coscienza del valore delle anime, nello spirito di preghiera, capace di affrontare gli urti del futuro.

Non raccorciate la visione verticale della vita, non ribassate le esigenze che impone l'opzione per Cristo. Se proponiamo degli ideali svuotati, sono per primi i giovani a non volerli, perché desiderano qualcosa che valga la pena, che sia un ideale degno di un'esistenza. Sebbene costi.

Responsabili delle vocazioni, sacerdoti, religiosi, padri e madri di famiglia! Dirigo a voi queste parole. Impegnatevi con generosità nel compito di procurare nuove vocazioni, tanto importanti per il futuro della Chiesa. La scarsezza di vocazioni richiede uno sforzo consistente per porvi rimedio. E questo non si otterrà se non sapremo pregare, se non sapremo dare alla vocazione al sacerdozio, diocesano o religioso, l'apprezzamento e la stima che merita.

Giovani seminaristi! Do a tutti voi la mia benedizione. Cristo vi attende. Non potete defraudarlo.

Data: 1979-01-30

Data estesa: Martedì 30 Gennaio 1979.





Agli universitari cattolici - Santuario di Guadalupe (Messico)

Titolo: Operare la sintesi tra fede e cultura

Testo: Cari fratelli e sorelle del mondo universitario cattolico.1. Con immensa gioia e speranza vengo a questo appuntamento con voi, studenti, professori e assistenti delle Università Cattoliche del Messico, nei quali vedo pure il mondo universitario dell'intera America Latina.

Ricevete il mio più cordiale saluto. E' il saluto di chi si trova così bene tra i giovani, nei quali fonda tante speranze, soprattutto quando si tratta di settori qualificati come quelli che passano attraverso le aule universitarie, preparandosi ad un futuro che sarà determinante nella società.

Permettetemi di ricordare innanzitutto i membri dell'Università Cattolica La Salle, all'interno della quale doveva celebrarsi questo incontro. Non è pero meno cordiale il mio ricordo delle altre Università Cattoliche messicane: Università Ibero-Americana, Università Anahuac, Università di Monterrey, Istituto Superiore di Scienze dell'Educazione in Città del Messico, Facoltà di Pubblica Amministrazione di Vera Cruz, Istituto Tecnologico e di Studi Superiori d'Occidente a Guadalajara, Università Motolinia, Università Femminile di Puebla, Facoltà canonica di Filosofia con sede in questa città e Facoltà - ancora in gestazione - di Teologia, anche in questa metropoli.

Si tratta di giovani università. Avete senza dubbio un'antenata venerabile nella "Reale e Pontificia Università del Messico", fondata il 21 settembre 1551, con la finalità esplicita che in essa "i nativi e i figli degli spagnoli fossero istruiti nelle cose della santa fede cattolica e nelle principali facoltà".

Vi sono inoltre tra di voi - e certamente sono numerosissimi in tutto il territorio messicano - professori e studenti cattolici che insegnano o studiano nelle università di denominazione diversa. Ad essi rivolgo ugualmente il mio affettuoso saluto e manifesto la mia profonda gioia al sapere che sono tutti impegnati nel medesimo modo all'instaurazione del regno di Cristo.

Allunghiamo ora lo sguardo al vasto orizzonte latino-americano. così il mio saluto e pensiero si fermerà compiaciuto su tanti altri Centri Universitari cattolici, che in ogni nazione sono motivo di legittimo orgoglio, dove convergono tanti sguardi speranzosi, di dove si irradiano la cultura e la civiltà cristiana, dove si formano le persone in un clima di concezione integrale dell'essere umano, con rigore scientifico e con una visione cristiana dell'uomo, della vita, della società, dei valori morali e religiosi.2. E cosa posso dirvi ora, in momenti che devono essere necessariamente brevi? Cosa può attendersi il mondo universitario latino-americano dalla parola del Papa? Credo di poterlo riassumere, abbastanza sinteticamente, in tre osservazioni, seguendo la linea del mio venerato predecessore Paolo VI.

a) La prima è che l'Università Cattolica deve offrire un apporto specifico alla Chiesa e alla società, collocandosi a un livello elevato di indagine scientifica, di studio profondo dei problemi, di senso storico adeguato.

Pero non è sufficiente per una Università Cattolica. Essa deve trovare il suo significato ultimo e profondo in Cristo, nel suo messaggio di salvezza, che abbraccia l'uomo nella sua totalità, e nell'insegnamento della Chiesa. Tutto ciò suppone la promozione di una cultura integrale, ossia quella che tende allo sviluppo completo della persona umana, nella quale risaltino i valori dell'intelligenza, della volontà, della coscienza, della fraternità, tutti basati in Dio Creatore e che sono stati meravigliosamente esaltati in Cristo (cfr. GS 61): una cultura che si indirizzi in modo disinteressato e genuino al bene della comunità e di tutta la società.

b) La seconda osservazione è che l'Università Cattolica deve essere formatrice di uomini realmente insigni per il loro sapere, disposti ad esercitare funzioni impegnative nella società e a testimoniare la loro fede davanti al mondo (GE 10). Finalità che oggi è indubbiamente decisiva. Alla formazione scientifica degli studenti conviene poi aggiungere una profonda formazione morale e cristiana, non considerata come qualcosa che si aggiunge dall'esterno, ma bensì come un aspetto nel quale l'istituzione accademica risulti, per dir così, specificata e vissuta. Si tratta di promuovere e realizzare nei professori e negli studenti una sintesi sempre più armonica tra fede e ragione, tra fede e cultura, tra fede e vita. Detta sintesi deve conseguirsi non solo a livello di ricerca e di insegnamento, ma anche a livello educativo pedagogico.

c) La terza osservazione è che l'Università Cattolica deve essere un ambito in cui il cristianesimo sia vivo e operante. E' una vocazione insopprimibile dell'Università Cattolica dar testimonianza di essere una comunità seria e sinceramente impegnata nella ricerca scientifica, ma anche caratterizzata visibilmente da una vita cristiana autentica. Ciò suppone, fra l'altro, una revisione della figura del docente, il quale non può essere considerato un semplice trasmettitore di scienza, ma, e soprattutto, un testimone ed educatore di vita cristiana autentica. In questo privilegiato ambiente di formazione, voi, cari studenti, siete chiamati ad una collaborazione cosciente e responsabile, libera e generosa, per realizzare la vostra formazione stessa.3. L'avvio di una pastorale universitaria, sia come pastorale delle intelligenze sia come fonte di vita liturgica, e che deve servire tutto il territorio universitario della Nazione, non mancherà di dare frutti preziosi di elevazione umana e cristiana.

Cari figli, che vi dedicate completamente o parzialmente al settore universitario cattolico dei vostri rispettivi Paesi, e tutti voi che, in qualsiasi ambiente universitario, siete impegnati nell'instaurare il Regno di Dio: - create una vera famiglia universitaria, impegnata nella ricerca, non sempre facile, della verità e del bene, aspirazioni supreme dell'essere razionale e basi di solida e responsabile struttura morale; - perseguite una seria attività di ricerca, orientatrice delle nuove generazioni verso la verità e la maturità umana e religiosa; - lavorate indefessamente per il progresso autentico e completo dei vostri Paesi. Senza pregiudizi di alcun tipo, date la mano a chi si propone, come voi, la costruzione dell'autentico bene comune; - unite le vostre forze di Vescovi, sacerdoti, religiosi e religiose, di laici, nella programmazione e realizzazione dei vostri centri accademici e delle loro attività; - camminate lieti e infaticabili sotto la guida della Santa Madre Chiesa, il cui Magistero, prolungamento di quello di Cristo, è garanzia unica per non smarrire la retta via, e guida sicura verso l'eredità imperitura che Cristo riserva a chi gli è fedele.

Vi raccomando tutti all'Eterna Sapienza: "Splendente e incorruttibile è la Sapienza; facilmente si lascia scorgere da coloro che la amano ed è incontrata da coloro che la cercano" (Sg 6,12).

Che la Sede della Sapienza, che il Messico e tutta l'America Latina venerano nel Santuario di Guadalupe, vi protegga tutti sotto il suo manto materno! così sia. E molte grazie per la vostra presenza.

Data: 1979-01-31

Data estesa: Mercoledì 31 Gennaio 1979.





Ai giornalisti - Città del Messico (Messico)

Titolo: Servire la verità

Testo: Cari amici del mondo dell'informazione.

In molte occasioni, durante queste giornate che l'entusiasmo dei messicani ha reso febbrili ed emozionanti, momenti pieni di bellezza e di significato religioso trascorsi in luoghi e in ambienti indimenticabili, ho avuto l'opportunità di osservarvi mentre andavate da un posto all'altro pieni di determinazione e dell'impegno che distingue il vostro compito informativo.

Mi trovo adesso sul punto di ritornare a Roma, dopo aver assistito all'inizio di questo importante avvenimento ecclesiale, meraviglioso per il suo profondo significato di unità e di creatività per il futuro della Chiesa, che è la Conferenza di Puebla, e aver pellegrinato attraverso le indimenticabili terre della Vergine di Guadalupe. Sono grato alla Provvidenza che in questo momento mi concede la sperata occasione di incontrare i professionisti dell'informazione, che hanno voluto accompagnarmi in questo viaggio.

In molti rimarrete qui, per continuare a portare all'opinione pubblica l'avvenimento di Puebla, altri mi accompagneranno nel mio ritorno, mentre altri ancora si vedranno richiamati da altri compiti. In ogni caso vale la pena togliere qualche minuto al nostro fitto orario per poter essere insieme, riflettere e chiacchierare un poco, questa volta faccia a faccia. Per una volta senza avere come intermediario nessun mezzo di trasmissione o essere in funzione di far presenti spiritualmente auditori lontani. Sfruttiamo senz'altro l'allegria dello stare insieme.

Naturalmente non dimentico che dietro le camere c'è una persona, che è una persona quella che parla attraverso il microfono, che è una persona quella che lima e corregge ogni riga dell'articolo che pubblicherà il giornale domani.

Vorrei, in questo breve incontro, offrire a tutti la mia gratitudine e il mio rispetto, e rivolgermi a ciascuno con il suo nome. Sento il desiderio e la necessità di ringraziare ciascuno per il lavoro di questi giorni e per quello che si continuerà a Puebla, lavoro che rifletterà una Chiesa che accoglie tutte le culture, modi di essere e iniziative, purché siano dirette alla costruzione del Regno di Dio.

Capisco le tensioni e le difficoltà in cui si svolge il vostro lavoro.

So bene lo sforzo che richiede la comunicazione della notizia. Immagino la fatica che suppone il trasferire, montare e smontare, da una parte all'altra, tutta questa vostra complicata attrezzatura. Mi rendo anche conto che il vostro è un lavoro che esige lunghi spostamenti e che vi separa dalla famiglia e dagli amici.

Non è una vita facile; pero, in compenso, come tutte le attività creative, in special modo quelle che significano un servizio agli altri, vi offre uno speciale arricchimento. Sono sicuro che tutti avete esperienza di questo.

Ricordo adesso un'occasione analoga, poche settimane fa, quando ebbi occasione di chiacchierare con i professionisti che erano venuti per informare sulla mia elezione e sull'inaugurazione del pontificato. Mi sono riferito a questa professione come a una vocazione. Uno dei più importanti documenti della Chiesa, sopra le comunicazioni sociali, dichiara che "è necessario che l'uomo del nostro tempo conosca le cose pienamente e fedelmente, adeguatamente e in modo esatto", e proclama che quando una tale informazione viene fornita attraverso i mezzi della comunicazione sociale "tutti gli uomini si fanno partecipi degli affari di tutta l'umanità" ("Communio et Progressio", 34: AAS 63 (1971) 60


6.601).

Con la vostra intelligenza ed esperienza, la vostra competenza professionale, la necessaria inclinazione e i mezzi che sono a vostra disposizione, potete facilitare questo grande servizio all'umanità. E soprattutto, come il meglio di voi stessi, volete essere cercatori della verità, per offrirla a tutti quelli che vogliono sentirla. Servite prima di tutto la verità, ciò che costruisce, ciò che migliora e fa degno l'uomo.

Nella misura in cui perseguite questo ideale, vi assicuro che la Chiesa rimarrà al vostro fianco perché questo è anche il suo ideale. Essa ama la verità e la libertà: libertà di conoscere la verità, di predicarla e di comunicarla agli altri.

E' arrivato il momento di salutarci e di rinnovarvi la mia gratitudine per il servizio prestato alla diffusione della verità che si manifesta in Cristo, e che si sta esprimendo in questi giorni con atti della più grande importanza per la vita della fede in questi paesi americani, tanto vicini alla Chiesa. Ci congediamo con rispetto e amicizia, pronti ad essere coerenti con i nostri migliori ideali. Il Papa si compiace di salutarvi e benedirvi, ricordando i mezzi che rappresentate: giornali, catene televisive, emittenti radiofoniche, e anche le vostre famiglie. Per voi stessi e per esse offro frequentemente la mia preghiera.

Che il Signore vi accompagni.

Data: 1979-02-01

Data estesa: Giovedì 1 Febbraio 1979.





Ai lavoratori - Monterrey (Messico)

Testo: Contadini, impiegati e soprattutto operai di Monterrey.

Grazie per quanto ho potuto udire. Grazie per tutto ciò che posso vedere. A tutti e ad ognuno molte grazie.

Vi ringrazio di cuore per questa accoglienza tanto calorosa e cordiale nella vostra città industriale di Monterrey. Intorno ad essa scorre la vostra esistenza e si sviluppa il vostro lavoro quotidiano per guadagnare il pane per voi e per i vostri figli. Essa è testimone anche delle vostre pene e delle vostre aspirazioni. Essa è opera vostra, opera delle vostre mani e della vostra intelligenza, e in questo senso simbolo del vostro orgoglio di lavoratori e segno di speranza per un nuovo progresso e per una vita sempre più umana. Mi sento felice di trovarmi fra di voi come vostro amico e fratello, come compagno di lavoro in questa città di Monterrey, che è per il Messico qualcosa di simile a ciò che significa Nova Hutta nella mia lontana ed amata Cracovia. Non dimentico gli anni difficili della guerra mondiale, nei quali io stesso ebbi l'esperienza diretta di un lavoro fisico come il vostro, di una fatica giornaliera e della sua dipendenza, pesantezza e monotonia. Ho condiviso le necessità dei lavoratori, le loro giuste esigenze e le loro aspirazioni legittime. Conosco molto bene il bisogno che il lavoro non alieni e frustri, ma che corrisponda alla dignità superiore dell'uomo. Posso testimoniare un fatto: nei momenti di maggiore prova il popolo polacco ha trovato nella sua fede in Dio, nella sua fiducia nella Vergine Maria Madre di Dio, nella comunità ecclesiale unita intorno ai suoi pastori, una luce superiore alle tenebre, e una speranza indistruttibile. So di parlare a lavoratori che sono coscienti della propria condizione di cristiani e che vogliono vivere questa condizione con tutte le proprie energie e conseguenze. Per questo il Papa vuole farvi alcune riflessioni che toccano la vostra dignità come uomini e come figli di Dio. Da questa doppia fonte sorgerà la luce per dare forma alla vostra esistenza personale e sociale. In effetti, se lo spirito di Gesù Cristo abita in noi, dobbiamo sentire la preoccupazione prioritaria per coloro che non hanno cibo sufficiente, vestiti, mezzi per vivere e non hanno accesso ai beni della cultura.

Dato che il lavoro è fonte del proprio sostentamento, è collaborazione con Dio nel perfezionamento della natura, è un servizio ai fratelli che nobilita l'uomo, i cristiani non possono disinteressarsi del problema della disoccupazione di tanti uomini e donne, soprattutto giovani e capi famiglia, che la disoccupazione conduce allo scoraggiamento e alla disperazione. Coloro che hanno la fortuna di lavorare desiderano farlo in condizioni più umane e più sicure, per partecipare più giustamente del frutto dello sforzo comune in ciò che si riferisce al salario, alla sicurezza sociale, alle possibilità di sviluppo culturale e spirituale. Vogliono essere trattati come uomini liberi e responsabili, chiamati a partecipare alle decisioni che concernono la propria vita e il proprio futuro. E' loro diritto fondamentale creare liberamente organizzazioni per difendere e promuovere i propri interessi e per contribuire responsabilmente al bene comune.

Il compito è immenso e complesso. Lo complicano oggi la crisi economica mondiale, il disordine delle associazioni commerciali e finanziarie ingiuste, l'esaurimento rapido di alcune risorse, i rischi di contaminazione irreversibile dell'ambiente biofisico.

Per partecipare realmente allo sforzo solidale dell'umanità i popoli latino-americani esigono con ragione che gli si restituisca la propria giusta responsabilità sui beni che la natura ha loro elargito e le condizioni generali che permettano loro di attuare uno sviluppo in conformità al proprio spirito con la partecipazione di tutti i gruppi umani che li compongono: si rendono necessarie innovazioni ardite e rinnovanti per superare le gravi ingiustizie ereditate dal passato e per vincere la sfida delle trasformazioni prodigiose dell'umanità.

A tutti i livelli, nazionali e internazionali, e da parte di tutti i gruppi sociali e di tutti i sistemi, le realtà nuove esigono nuovi atteggiamenti.

La denuncia unilaterale dell'altro e il facile pretesto di ideologie estranee, qualunque esse siano, sono forzature sempre più irrisorie.

Se l'umanità vuole controllare un'evoluzione che le sfugge di mano, se vuole sottrarsi alla tentazione materialista che guadagna terreno in una fuga disperata in avanti, se vuole assicurare lo sviluppo autentico agli uomini e ai popoli, deve rivedere radicalmente i concetti di progresso che sotto nome diverso hanno lasciato atrofizzare i valori spirituali.

La Chiesa offre il suo aiuto. Essa non teme la vigorosa denuncia degli attentati alla dignità umana.

Pero riserva le sue essenziali energie per aiutare gli uomini e i gruppi umani, gli imprenditori e i lavoratori affinché prendano coscienza delle immense riserve di bontà che hanno dentro di sé, e che essi hanno già fatto fruttificare nella loro storia, e che oggi devono dare nuovi frutti.

Il movimento operaio, al quale la Chiesa e i cristiani hanno portato un contributo originale e diverso, particolarmente in questo continente, rivendica la sua giusta parte di responsabilità alla costruzione di un nuovo ordine mondiale.

Esso ha raccolto le comuni aspirazioni di libertà e di dignità. Ha sviluppato i valori di solidarietà, fraternità e amicizia. Nell'esperienza comunitaria ha suscitato forme originali di organizzazione, migliorando sostanzialmente la sorte di numerosi lavoratori e contribuendo, anche se non sempre lo si vuole dire, a lasciare una traccia nel mondo industriale. Appoggiandosi a questo passato, dovrà impegnare la sua esperienza alla ricerca di nuove vie, rinnovare se stesso e contribuire in modo ancor più decisivo a costruire l'America Latina del domani.

Sono dieci anni che il mio predecessore Paolo VI ando in Colombia.

Voleva portare ai popoli dell'America Latina la consolazione del Padre comune.

Voleva mostrare alla Chiesa universale le ricchezze delle Chiese di questo continente. Alcuni anni dopo celebrando l'80° anniversario della prima enciclica sociale, la "Rerum Novarum", scriveva: "L'insegnamento sociale della Chiesa accompagna con tutto il suo dinamismo gli uomini nella loro ricerca. Se anche non interviene per dare autenticità a una determinata struttura o per proporre un modello prefabbricato, esso non si limita semplicemente a ricordare alcuni principi generali. Si evolve per mezzo di una riflessione maturata a contatto con situazioni mutevoli di questo mondo, sotto l'impulso del Vangelo come fonte di rinnovamento, dal momento che il suo messaggio è accettato nella sua totalità e nelle sue esigenze. Si sviluppa con la sensibilità propria della Chiesa, caratterizzata da una volontà disinteressata di servizio, e un'attenzione ai più poveri. Si alimenta infine di una esperienza ricca di molti secoli, il che le permette di assumere nella continuità delle sue preoccupazioni permanenti l'ardita innovazione creatrice che la situazione attuale del mondo richiede". Sono parole di Paolo VI.

Cari amici: in ossequio a questi principi la Chiesa vuole oggi richiamare l'attenzione su un fenomeno grave e di grande attualità: il problema dei migranti. Non possiamo chiudere gli occhi sulla situazione di milioni di uomini, che nella loro ricerca di lavoro e di pane devono abbandonare la patria e molte volte la famiglia, affrontando le difficoltà di un nuovo ambiente non sempre gradevole e accogliente, una lingua sconosciuta e condizioni generali che li sommergono nella solitudine e a volte nell'emarginazione per loro, per le loro mogli e figli, quando non si giunge ad approfittare di queste circostanze per offrire salari più bassi, ridurre i benefici della sicurezza sociale e assistenziale, a dare condizioni di abitazione indegne di un essere umano. Vi sono occasioni, in cui il criterio posto in pratica è quello di procurare il massimo rendimento del lavoratore emigrante senza guardare alla persona. Di fronte a questo fenomeno la Chiesa continua a proclamare che il criterio da seguire in questo, come in altri campi, non è quello di far prevalere l'economico, il sociale, il politico, sopra l'uomo, ma invece la dignità della persona umana sopra ogni cosa, e a questo occorre condizionare il resto.

Creeremmo un mondo poco abitabile, se solo mirassimo ad avere di più e non si pensasse anzitutto alla persona del lavoratore, alle sue condizioni di essere umano e di figlio di Dio, chiamato ad una vocazione eterna, se non si pensasse ad aiutarlo ad essere di più.

Certamente, d'altra parte, il lavoratore ha degli obblighi da compiere con lealtà, giacché senza di essi non può esservi un giusto ordine sociale.

Ai poteri pubblici, agli imprenditori e ai lavoratori rivolgo un appello con tutte le mie forze, affinché riflettano su questi principi e deducano le conseguenti linee d'azione. Non mancano esempi, bisogna anche riconoscerlo, di coloro che mettono in pratica esemplarmente questi principi della dottrina sociale della Chiesa. Mi compiaccio di questo. Lodo i responsabili, e incoraggio a imitare il loro esempio. Si avvantaggerà con ciò la causa della convivenza e fratellanza fra gruppi sociali e nazionali. Potrà guadagnarne la stessa economia. Soprattutto ne guadagnerà la causa dell'umanità.

Pero non fermiamoci solo all'uomo. Il Papa vi porta un altro messaggio che è per voi, lavoratori del Messico e dell'America Latina: apritevi a Dio. Dio vi ama, Cristo vi ama. La Madre di Dio, la Vergine Maria, vi ama. La Chiesa e il Papa vi amano e vi invitano a seguire la forza travolgente dell'amore, che tutto può superare e costruire. Quando quasi duemila anni fa Dio ci invio suo Figlio egli non aspetto che gli sforzi umani avessero eliminato prima tutti i tipi di ingiustizia. Gesù Cristo venne a condividere la nostra condizione umana con la sua sofferenza, con le sue difficoltà, con la sua morte. Prima di trasformare l'esistenza quotidiana, egli seppe parlare al cuore dei poveri, liberarli dal peccato, aprire i loro occhi a un orizzonte di luce e colmarli di gioia e speranza. Lo stesso fa oggi Gesù Cristo che è presente nelle vostre Chiese, nelle vostre famiglie, nei vostri cuori, nella vostra vita tutta. Apritegli tutte le porte. Celebriamo tutti uniti in questi momenti e con letizia l'amore di Gesù e di sua Madre. Nessuno si senta escluso, in particolare i più diseredati, poiché questa gioia proviene da Gesù Cristo e non è offensiva per alcuna pena. Ha il sapore e il calore dell'amicizia, che ci offre Colui che soffri più di noi, che mori in croce per noi, che ci prepara un'eterna dimora al suo fianco, e che già in questa vita proclama e afferma la nostra dignità di uomini, di figli di Dio.

Sono con amici lavoratori e mi tratterrei con voi molto più a lungo. Ma devo concludere. A voi qui presenti, ai vostri compagni nel Messico, e a quanti vostri compatrioti lavorano fuori del suolo patrio, a tutti gli operai dell'America Latina lascio il mio saluto di amico, la mia benedizione e il mio ricordo.

A tutti, ai vostri figli e familiari, il mio fraterno abbraccio.

Data: 1979-02-01

Data estesa: Giovedì 1 Febbraio 1979.


GPII 1979 Insegnamenti - Omelia santuario nostra Signora di Zapopan