GPII 1979 Insegnamenti - Udienza generale - Riconoscersi in Cristo

Udienza generale - Riconoscersi in Cristo

Cari fratelli e sorelle.

1. "L'evangelizzazione nel presente e nel futuro dell'America Latina": su questo tema ha lavorato la terza Conferenza Generale dell'Episcopato di quel Continente dal 27 gennaio al 12 febbraio corrente. L'altro ieri la Conferenza ha terminato i suoi lavori. Oggi desidero insieme con i miei fratelli nell'Episcopato, partecipanti a quella Conferenza, con tutti gli Episcopati dell'intero Continente Latino-Americano, ringraziare lo Spirito Santo per l'insieme di quei lavori.

Desidero ringraziare lo Spirito del nostro Signore Gesù Cristo e la Sua Madre, Sposa dello Spirito Santo. Proprio ai suoi piedi, nel Santuario di Guadalupe, abbiamo iniziato insieme la terza Conferenza.

Quando sentiamo la parola "evangelizzazione", ci viene in mente la frase di san Paolo: "Non è infatti per me un vanto predicare il vangelo; è per me un dovere: guai a me se non predicassi il vangelo!" (1Co 9,16). Queste parole, che scaturiscono dal profondo dell'anima dell'Apostolo, sono il grido della Chiesa dei nostri tempi. Sono diventate il testamento di Paolo VI, che ha trovato la sua espressione nell'esortazione apostolica "Evangelii Nuntiandi". Adesso diventano le parole della fede, della speranza e della carità dell'Episcopato latino-americano.

Poiché la fede, la speranza e la carità devono essere tradotte in linguaggio di responsabilità per il Vangelo, per il suo annuncio, così come lo formulo san Paolo apostolo.1


2. L'Evangelizzazione nel continente americano è prima di tutto l'eredità dei secoli. Se parliamo del presente e del futuro di questa evangelizzazione, non possiamo dimenticare il suo "ieri", il suo passato. Di ciò ho parlato nella mia prima omelia, che durante il recente viaggio ho pronunciato alla messa concelebrata a Santo Domingo. "Fin dai primi momenti della scoperta - dicevo - la preoccupazione della Chiesa si manifesta per far presente il Regno di Dio nel cuore dei nuovi popoli, delle razze, delle culture... Il suolo dell'America era preparato da correnti di propria spiritualità a ricevere il nuovo seme cristiano".

Quell'"ieri" dell'evangelizzazione degli uomini e dei popoli del Continente latino-americano si è fatto costantemente notare durante la mia visita nel Messico, e ha creato uno specifico di tutto il viaggio. Dappertutto ho trovato gli splendidi templi, che ricordavano le prime generazioni della Chiesa e del cristianesimo in quella terra. Ma soprattutto ho incontrato gli uomini vivi, che hanno accettato come proprio il vangelo annunziato ad essi nel nuovo mondo, dai missionari provenienti dal vecchio mondo, e ne hanno fatto la sostanza della propria vita. Certamente quell'incontro dei nuovi arrivati dall'Europa con gli indigeni non è stato facile. Si ha l'impressione che questi ultimi non in tutto abbiano accettato ciò che è europeo; che, in qualche maniera, cercassero di nascondersi nella loro propria tradizione e nella cultura natia.

Ma contemporaneamente si ha l'impressione che abbiano accettato Gesù Cristo e il suo Vangelo; che in quella comunità di fede si sia effettuato un incontro del vecchio con il nuovo, e ciò si trova alla base non soltanto della vita della Chiesa ma della stessa società messicana. Quella continuità della fede ha attraversato - come sappiamo tutti - gravi prove e duri esami. E' difficile resistere all'impressione, che si impone con insistenza, che nel crogiolo di quelle prove e di quegli esami la comunità si è rafforzata e approfondita. Porta su di sé i segni di una grande semplicità e della vittoria spirituale della fede, malgrado le circostanze che potrebbero testimoniare contro e che, considerando le cose dal punto di vista umano, potrebbero rattristare.3. "Gesù Cristo è lo stesso ieri, oggi e sempre" (He 13,8).

I rappresentanti dell'Episcopato radunati a Puebla, pensando all'evangelizzazione nel presente e nel futuro dell'America Latina, erano consapevoli del fatto che la Chiesa come Corpo di Cristo e sua fedele Sposa, la Chiesa come Popolo di Dio, non si può staccare mai dal passato, dalla tradizione, ma non può neanche accontentarsi di guardare soltanto al passato: la ecclesia "retro-oculata" sempre deve essere, allo stesso tempo, la Chiesa che guarda al futuro (ecclesia "ante-oculata"). A questo futuro, agli uomini che già esistono e a coloro che verranno, la Chiesa sempre deve rivelare Gesù Cristo, pieno e non diminuito mistero della salvezza. Questo mistero è un mistero eterno in Dio, che vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità.

Il mistero che è diventato nel tempo una Realtà divino-umana, che porta il nome di Gesù Cristo.

E' una Realtà storica, e nello stesso tempo egli è al di sopra della storia, "è lo stesso ieri, oggi e sempre" (He 13,8).

E' una Realtà che non si ferma fuori dell'uomo; la ragione del suo esistere e di essere è di operare nell'uomo; costruire la sorgente e il fermento della nuova vita in ogni uomo.

Evangelizzare significa agire in questa direzione, affinché la sorgente e il fermento della nuova vita risplendano negli uomini e nelle generazioni sempre nuove.

Evangelizzare non vuol dire soltanto raccontare "di Cristo". Annunciare Cristo significa far si che l'uomo - colui a cui si rivolge questo annuncio - "creda", cioè veda se stesso in Cristo; ritrovi in lui l'adeguata dimensione della propria vita; semplicemente, ritrovi se stesso in Cristo.

Esecutore di questa opera è l'uomo che evangelizza, che annunzia Cristo, ma è soprattutto lo Spirito Santo, lo Spirito di Gesù Cristo. La Chiesa, che evangelizza, rimane ancella e strumento dello Spirito.

Il fatto di ritrovare se stesso in Cristo, che è proprio il frutto della evangelizzazione, diventa sostanziale liberazione dell'uomo. Il servizio al Vangelo è servizio alla libertà nello Spirito. L'uomo che ha ritrovato se stesso in Cristo, ha ritrovato la via della conseguente liberazione della propria umanità attraverso il superamento di tutte le sue limitazioni e debolezze; attraverso la liberazione dalla propria situazione di peccato e dalle molteplici strutture del peccato, che gravano sulla vita delle società e degli individui.

A questa verità, così fortemente espressa da san Paolo, dobbiamo far riferimento, con non minor chiarezza, nella missione evangelizzatrice nel continente americano e dappertutto.4. Il futuro dell'evangelizzazione si identifica con la realizzazione di questo grande e molteplice programma delineato dal Concilio Vaticano II.

La Chiesa, affinché possa adempiere la sua missione nei confronti del "mondo", deve profondamente rafforzarsi nel proprio mistero, deve costruire a fondo la propria comunità, la comunità del Popolo di Dio, basata sulla successione apostolica, sul ministero gerarchico, sulla vocazione all'esclusivo servizio a Dio nel sacerdozio e nella vita religiosa, sul laicato consapevole dei propri compiti apostolici.

Il mondo latino-americano aspetta che la Chiesa adempia nei suoi confronti la propria missione. L'aspetta anche quando, nei confronti della Chiesa e del Vangelo, esso manifesta contestazione e indifferenza. Tutto ciò non deve scoraggiare gli apostoli di Cristo e i servi del Vangelo del suo amore.

I miei cari fratelli nell'Episcopato del Continente latino-americano danno testimonianza che "l'amore del Cristo li spinge" (cfr. 2Co 5,14), che sono pronti ad "annunziare la parola, ad insistere in ogni occasione opportuna e non opportuna, ad ammonire, a rimproverare ed esortare con ogni magnanimità e dottrina" (cfr. 2Tm 4,2) - come dice san Paolo - affinché le comunità, affidate alla loro cura di pastori e di maestri, "non rifiutino di dare ascolto alla verità per volgersi alle favole" (cfr. 2Tm 4,4).

I miei fratelli nell'Episcopato del Continente latino-americano sono pronti, insieme con i loro sacerdoti, i religiosi e le religiose, con tutto il laicato zelante, a leggere i segni dei tempi", per formare tutto il Popolo di Dio nella giustizia, nella verità e nell'amore.

Il Signore li benedica in tutto questo loro lavoro. Permetta ad essi di vedere i frutti di questo zelo e di questa cooperazione, la cui prova è stata la III Conferenza Generale a Puebla.

Che la Chiesa nel Continente latino-americano, forte della tradizione della prima evangelizzazione, diventi di nuovo forte con la coscienza di tutto il Popolo di Dio, con la forza delle proprie vocazioni sacerdotali e religiose, col profondo senso di responsabilità per l'ordine sociale fondato nella giustizia, nella pace, nel rispetto dei diritti dell'uomo, nell'adeguata distribuzione dei beni, nel progresso dell'istruzione pubblica e della cultura.

Tutto questo ad essi auguriamo.

Per tali finalità dell'America Latina vogliamo continuare a pregare instancabilmente noi tutti qui radunati, e tutta la Chiesa, invocando l'intercessione della Madre di Dio di Guadalupe, ai cui piedi abbiamo iniziato i nostri lavori.

Amen.

Data: 1979-02-14

Data estesa: Mercoledì 14 Febbraio 1979.

Ai ragazzi in San Pietro - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: La testimonianza di unità dei Vescovi latino-americani

Testo: Ragazze e ragazzi carissimi.

Oggi vi vedo molto numerosi ed entusiasti come sempre. Vi saluto tutti insieme con molto affetto. So che provenite da varie scuole e appartenete a diversi gruppi, ma per me siete tutti ugualmente cari. Siate sempre certi che il Papa vi è particolarmente vicino e attende molto da voi, dal gioioso impegno della vostra testimonianza cristiana e dalla serietà con cui vi preparate a partecipare responsabilmente alla costruzione di un avvenire migliore per tutto il mondo.

Voi sapete certamente del viaggio che ho fatto giorni fa in Messico, per incontrare a Puebla i rappresentanti di tutti i Vescovi dell'America Latina.

Ebbene, voglio invitare anche voi a rivolgere il vostro pensiero di giovani cristiani ai lavori, che là quei Vescovi hanno compiuto in questi giorni sul tema della evangelizzazione nel presente e nel futuro di quel Continente.

Evangelizzare vuol dire annunciare il Vangelo, e il Vangelo si riassume tutto nella persona di Gesù Cristo: in quello che egli ha detto e fatto, anzi in quello che egli personalmente significa per noi come radicale liberazione da ogni forma di male.

Cari ragazzi! A voi, come ai popoli dell'America Latina, ho quest'unico messaggio da rivolgere: ponete come stimolo della vostra vita proprio quel Gesù Cristo che, secondo la lettera agli Ebrei, "è lo stesso ieri, oggi e per sempre" (He 13,8).

E' questo Gesù che i primi missionari annunciarono in America, quando vi approdarono per la prima volta più di quattrocento anni fa. E' questo Gesù, che tuttora costituisce la ragion d'essere di milioni di uomini di quei Paesi, i quali in lui non hanno abbandonato, ma hanno nobilitato, le antiche tradizioni dei loro antenati. E' questo Gesù che dà loro forza nell'attuare l'impegno concreto per l'edificazione di una società più giusta e più umana. E sarà ancora sempre questo Gesù, Figlio di Dio e nostro Signore, che nel futuro non abbandonerà mai la sua Chiesa diffusa nel mondo, ma mediante il suo Spirito le infonderà sempre capacità per far scoprire agli uomini ognor più la bellezza di essere cristiani.

Per questo è necessario che tutti noi rafforziamo maggiormente i vincoli della nostra comunione ecclesiale. Tutti insieme dobbiamo sentirci di più "chiesa" e "popolo di Dio". I miei cari fratelli nell'Episcopato del Continente latino-americano danno questa testimonianza di unità: "è l'amore di Cristo che li spinge" (cfr. 2Co 5,14) ad impegnarsi per il Vangelo in favore dei loro popoli; e in questo sono coadiuvati validamente dai membri più maturi di quelle chiese, cioè da un gran numero di preti, di religiosi e di laici che spendono la propria vita, per formare un Popolo di Dio fondato sulla giustizia, sulla verità e sull'amore.

Pero, dobbiamo pregare perché il Signore susciti vocazioni sempre più numerose e qualificate per la promozione evangelica di quelle dilette comunità.

Cari ragazzi, presto o tardi dovete pensare anche voi a come potervi rendere utili per migliorare la società umana e il mondo in cui viviamo. Allora penserete anche a ciò che potrà servire di più e meglio a questo scopo. Ebbene, ricordatevi che solo col Vangelo di Gesù Cristo sarete in grado di liberare veramente l'uomo da ogni schiavitù e di donargli la felicità più profonda. Infatti il Vangelo pone al centro l'amore e non l'odio, l'uguaglianza di tutti e non l'oppressione da parte di pochi, il dialogo nella pace e non lo scontro nelle lotte, la persona umana e non un'ideologia astratta, la promozione della vita in tutte le sue manifestazioni e non mai la sua mortificazione.

Questo è ciò che, con l'aiuto di Dio e con la protezione della Madonna di Guadalupe, stanno facendo i veri cristiani nell'America Latina in unione e in sintonia con i loro Vescovi. Questo è anche ciò che io auguro a voi di gran cuore, mentre paternamente vi benedico tutti, insieme ai vostri cari.

A un gruppo di Vescovi e di Sacerdoti Il mio cordiale saluto va oggi al gruppo di 40 Confratelli nell'Episcopato, di Continenti e Paesi diversi: si tratta di Vescovi "amici" del Movimento dei Focolari, riuniti in questi giorni nel Centro Mariapoli di Rocca di Papa, per iniziativa del Vescovo di Aquisgrana, Monsignor Klaus Hemmerle, al fine di vivere insieme una esperienza di spirituale comunione.

A voi, venerati fratelli, l'augurio che possiate realizzare - in questo periodo di meditazione, di preghiera, di riflessione comune quella unità di mente e di cuore che, per i suoi discepoli, Gesù invoco intensamente dal Padre durante l'ultima cena: "Tutti siano una sola cosa. Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch'essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato" (Jn 17,21).

Un affettuoso e paterno saluto desidero indirizzare anche ai 350 Sacerdoti di varie diocesi europee, i quali partecipano anch'essi ad un convegno promosso dal Movimento dei Focolari nel Centro di Mariapoli.

Sono certo che questi sono per voi, figli carissimi, giorni di grazie divine, che renderanno più impegnato e più fecondo il vostro ministero. Perciò - con san Paolo - "prego che la vostra carità si arricchisca sempre più in conoscenza e in ogni genere di discernimento, perché possiate distinguere sempre il meglio" (Ph 1,9ss), e possiate portare Gesù alle anime.

Vi benedico paternamente.

Ai malati Desidero riservare una parola speciale e un saluto affettuoso agli infermi qui presenti. Domenica scorsa, nel suggestivo rito pomeridiano in San Pietro, gli ammalati hanno avuto il primo posto. Sempre tutti coloro che soffrono, nel corpo o nell'anima, sono al primo posto nel cuore del Papa.

Per voi, dunque, cari ammalati, la mia preghiera perché la fortezza cristiana non vi venga meno in nessuna circostanza, e perché vi sia sempre di interiore conforto appoggiare la vostra sofferenza sulla croce di Gesù. Con l'augurio di ogni aiuto divino e umano, cordialmente vi benedico, e con voi benedico i vostri congiunti e quanti vi sono vicini.

Al pellegrinaggio della parrocchia di Portomaggiore di Ravenna Sono lieto ancora di esprimere un cordiale benvenuto al folto pellegrinaggio della parrocchia di Portomaggiore, in diocesi di Ravenna, che reca in questa aula la "prima pietra" della erigenda Casa di riposo, che la carità cristiana intende costruire per gli anziani di tale parrocchia.

Carissimi, benedico ben volentieri l'iniziativa della nuova Casa e con essa la prima pietra, che ne è il segno tangibile e che nella allegoria biblica rappresenta il Cristo, divenuto con la sua risurrezione "pietra angolare" del nuovo Popolo di Dio (cfr. 1P 2,4-9).

Vi esprimo il mio plauso per la testimonianza di cristiana solidarietà che voi oggi offrite e, in segno di paterno affetto, benedico voi tutti promotori di questo pellegrinaggio, insieme col vostro zelante Arcivescovo, Monsignor Ersilio Tonini, e col vostro Arciprete, mentre, invocando eletti doni del Signore e la celeste protezione della Madonna, imparto a voi e ai vostri cari rimasti a casa la propiziatrice benedizione apostolica.

Al IX Convegno Nazionale del Centro Nazionale Economi di Comunità Desidero ora rivolgere un particolare saluto ai religiosi e alle religiose qui presenti, che partecipano in questi giorni al loro annuale Convegno, organizzato dal Centro Nazionale Economi di Comunità.

Conosco bene i gravosi compiti a voi affidati nella delicata amministrazione delle vostre Case religiose, degli ospedali, dei ricoveri per anziani, degli asili infantili, dei centri per handicappati, eccetera. Vi assicuro la mia comprensione e, soprattutto, la mia preghiera perché sappiate unire l'azione alla contemplazione e così compiere sempre meglio il vostro dovere, tanto ricco di benemerenze e di utilità davanti agli uomini, e tanto prezioso davanti a Dio.

A questo fine vi sia di conforto la mia speciale benedizione, che di cuore ora imparto a voi convegnisti e a ciascun membro dei vostri Istituti.

Data: 1979-02-14

Data estesa: Mercoledì 14 Febbraio 1979.





Messaggio ai cattolici della Bolivia - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: In occasione dell'inaugurazione di una stazione radiofonica

Testo: Amatissimi figli boliviani.

Sento in questi momenti la grande gioia di stare tra voi, per l'inaugurazione di questa nuova stazione di comunicazioni via satellite di Tiwanacu. Ciò mi permette di esprimervi le mie più sincere congratulazioni, perché essa presuppone un progresso tecnico, destinato ad accrescere sempre più lo scambio fraterno e pacifico con gli altri popoli, rendendovi reciprocamente partecipi della vostra ricchezza umana e spirituale.

Ma soprattutto mi permette di testimoniare da vicino il mio affetto di padre e Pastore universale; un affetto profondo, che si affianca nel mio cuore a una gioiosa fiducia, sicuro che, in conformità alla vostra secolare adesione al messaggio evangelico, continuerete ad offrire al mondo, e particolarmente alla Chiesa, l'immagine schietta di una comunità piena di vitalità, strettamente unita dai vincoli della fede, della carità e della pace cristiana.

Sia questa comunione, frutto della presenza dello Spirito nelle vostre anime, a donare sempre al vostro popolo una fisionomia inconfondibile e a dare quotidianamente impulso alla ricerca di mete ulteriori di progresso e di benessere.

So che state preparando o sviluppando una crociata a favore della preghiera in famiglia, cosa che veramente dà speranza. La preghiera rende nobile e degno il cristiano, ponendolo in sintonia con la sottomissione e la gratitudine a Dio, che si e interamente donato agli uomini, rendendoci partecipi, mediante il suo Figlio, della sua stessa vita divina.

Può esistere una comunicazione più grande e più intima? Attraverso la preghiera personale, attraverso l'orazione compiuta nel focolare domestico e ancor più attraverso l'orazione liturgica, l'uomo rinasce ogni giorno, nella misura in cui, con la sua condotta, assimila e dà vita ai doni divini, fino a convertirsi davvero in un prossimo familiare, in figlio di Dio. Pregare significa creare una famiglia, edificare la comunità, inserirsi felicemente nella nuova e definitiva alleanza, suggellata da Cristo nel sacramento dell'amore: l'Eucaristia.

Vi esorto pertanto, amatissimi figli, ad intensificare l'orazione in famiglia e l'orazione liturgica intorno all'Eucaristia: che siano la linfa che alimenta tutta la vostra vita individuale e comunitaria. Grazie a queste scoprirete e gusterete la ricompensa della solidarietà compiuta, che si esercita in modo istintivo e genuino là dove esistono poveri, malati, persone che soffrono per le ingiustizie o che non trovano una mano amica che li aiuti a superare i propri limiti. Unite sempre la vostra preghiera perseverante ed unanime a Maria, Madre di Dio e Madre nostra, che, con il nome di Vergine di Copacabana, è avvocata sicura dei vostri aneliti di fronte al Signore.

Vi benedico di cuore nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.

Data: 1979-02-16

Data estesa: Venerdì 16 Febbraio 1979.

Alla Sacra Romana Rota - Funzione giudiziaria al servizio dell'equità e della carità



Vi sono grato di questa visita e, in particolare, ringrazio il vostro venerato Monsignor Decano, che si è reso interprete dei vostri sentimenti.

Vi saluto tutti di vero cuore e sono lieto di questa occasione che mi permette di incontrare, per la prima volta, coloro che incarnano per eccellenza la funzione giudiziaria della Chiesa al servizio della verità e della carità per l'edificazione del Corpo di Cristo, e di riconoscere in essi, come pure in tutti gli amministratori della giustizia, e nei cultori del diritto canonico, i professionisti di un compito vitale nella Chiesa, i testimoni infaticabili di una superiore giustizia in un mondo segnato dalla ingiustizia e dalla violenza e, pertanto, i preziosi collaboratori della Chiesa stessa.1. Come ben sapete, rientrano nella vocazione della Chiesa anche l'impegno e lo sforzo di essere interprete della sete di giustizia e di dignità che gli uomini e le donne vivamente sentono nell'epoca odierna. E in questa funzione di annunciare e sostenere i diritti fondamentali dell'uomo in tutti gli stadi della sua esistenza, la Chiesa è confortata dalla comunità internazionale che ha recentemente celebrato con particolari iniziative il trentennale della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, e che ha proclamato il 1979 anno internazionale del fanciullo.

Forse il XX secolo qualificherà la Chiesa come il principale baluardo a sostegno della persona umana in tutto l'arco della sua vita terrena fin dal suo concepimento. Nell'evoluzione dell'autocoscienza ecclesiale, la persona umano-cristiana incontra non solo un riconoscimento, ma anche e soprattutto una tutela aperta, attiva, armonica dei suoi diritti basilari in sintonia con quelli della comunità ecclesiale. Anche questo è un compito irrinunciabile della Chiesa, la quale sul terreno delle relazioni persona-comunità offre un modello di integrazione tra lo sviluppo ordinato della società e la realizzazione della personalità del cristiano in una comunità di fede, speranza e carità (cfr. LG 8).

Il diritto canonico adempie ad una funzione sommamente educativa, individuale e sociale, nell'intento di creare una convivenza ordinata e feconda, in cui germini e maturi lo sviluppo integrale della persona umano-cristiana.

Questa infatti si può realizzare solo nella misura in cui si nega come esclusiva individualità, essendo la sua vocazione insieme personale e comunitaria. Il diritto canonico consente e favorisce questo caratteristico perfezionamento, in quanto conduce al superamento dell'individualismo: dalla negazione di sé come esclusiva individualità porta all'affermazione di sé come genuina socialità, mediante il riconoscimento e il rispetto dell'altro come "persona" dotata di diritti universali, inviolabili e inalienabili, e rivestita di una dignità trascendente.

Ma il compito della Chiesa, e il merito storico di essa, di proclamare e difendere in ogni luogo e in ogni tempo i diritti fondamentali dell'uomo non la esime, anzi la obbliga ad essere davanti al mondo "speculum iustitiae". La Chiesa ha al riguardo una propria e specifica responsabilità.

Questa opzione fondamentale, che rappresenta una presa di coscienza da parte di tutto il Popolo di Dio, non cessa di interpellare e stimolare tutti gli uomini della Chiesa e in particolare coloro che, come voi, hanno un compito speciale al riguardo ad "amare la giustizia e il diritto" (Ps 33,5).

Anzi, esso si addice soprattutto agli operatori dei tribunali ecclesiastici, a coloro cioè che debbono "giudicare con giustitia" (Ps 7,9 Ps 9,8 Ps 67,5 Ps 96,10 Ps 96,13 Ps 98,9). Come affermava il mio venerato predecessore Paolo VI, voi che vi dedicate al servizio della nobile virtù della giustizia, potete essere chiamati, secondo il bellissimo appellativo già usato da Ulpiano, "Sacerdotes iustitiae" perché si tratta infatti di "un nobile e alto ministero, sulla cui dignità si riverbera la luce stessa di Dio, giustizia primordiale e assoluta, fonte purissima di ogni giustizia terrena. In questa luce divina è da considerare il vostro "ministerium iustitiae". che deve essere sempre fedele e irreprensibile; in questa luce si comprende come esso debba rifuggire da ogni più piccola macchia di ingiustizia, per conservare a tale ministero il suo carattere di purezza cristallina" (Insegnamenti di Paolo VI, III (1965) 29-30).2. Il grande rispetto dovuto ai diritti della persona umana, i quali devono essere tutelati con ogni premura e sollecitudine, deve indurre il giudice all'osservanza esatta delle norme procedurali, che costituiscono appunto le garanzie dei diritti della persona.

Il giudice ecclesiastico, poi, non solo dovrà tenere presente che l'"esigenza primaria della giustizia è di rispettare le persone" (L. Bouyer," L'Eglise de Dieu, Corps du Christ et temple de l'Esprit", Paris 1970, p. 599), ma, al di là della giustizia, egli dovrà tendere all'equità, e, al di là di questa, alla carità (cfr. P Andrieu Guitrancourt, "Introdution sommaire à l'étude du droit en général et du droit canonique en particulier", Paris 1963, p. 22).

In questa linea, storicamente assodata ed esperienzialmente vissuta, nel Concilio Vaticano II si era dichiarato che "con tutti si è tenuti ad agire secondo giustizia e umanità" (DH 7) e sia pure per la società civile, si era parlato di un "ordinamento giuridico positivo, che organizzi un'opportuna ripartizione delle funzioni e degli organi del potere, insieme ad una protezione efficace e indipendente dei diritti" (GS 73). Su tali presuposti, in occasione della riforma della Curia, la costituzione "Regimini Ecclesiae Universae" ha stabilito che fosse istituita una seconda sezione nel Supremo Tribunale della Segnatura apostolica, con la competenza di dirimere le "contentiones... ortas ex actu potestatis administrativae ecclesiasticae, et ad eam, ob interpositam appellationem seu recursum adversus decisionem competentis Dicasterii, delatas quoties contendatur actum ipsum legem aliquam violasse" (AAS 59 (1967) 921-922).

Per ricordare infine l'insuperabile profilo che ne ha tracciato Papa Paolo VI, "il giudice ecclesiastico è, per essenza, quella "quaedam iustitia animata" di cui parla san Tommaso citando Aristotele; egli deve perciò sentire e compiere la sua missione con animo sacerdotale, acquistando, insieme con la scienza (giuridica, teologica, psicologica, sociale, ecc.), una grande ed abituale padronanza di sé, con uno studio riflesso di crescere nella virtù, si da non offuscare eventualmente con lo schermo di una personalità difettosa e distorta i superni raggi di giustizia di cui il Signore gli fa dono per un retto esercizio del suo ministero. Sarà così, anche nel pronunziare il giudizio, un sacerdote ed un pastore di anime, "solum Deum prae oculis habens"" (Insegnamenti di Paolo VI, IX (1971) 65-66).3. Desidero accennare ad un problema che si pone immediatamente all'osservatore della fenomenologia della società civile e della Chiesa: cioè il problema del rapporto che intercorre tra tutela dei diritti e comunione ecclesiale. Non c'è dubbio che il consolidamento e la salvaguardia della comunione ecclesiale è un compito basilare che dà consistenza all'intero ordinamento canonico e guida le attività di tutte le sue componenti. La stessa vita giuridica della Chiesa, e perciò anche l'attività giudiziaria è in se stessa - per natura sua - pastorale: "inter subsidia pastoralia, quibus Ecclesia utitur, ut homines ad salutem perducat, est ipsa vita iuridica" (Insegnamenti di Paolo VI, XV (1977) 124). Essa, pertanto, nel suo esercizio deve sempre essere profondamente animata dallo Spirito Santo, alla voce del quale devono aprirsi le menti e i cuori.

D'altra parte, la tutela dei diritti e il controllo relativo degli atti della pubblica amministrazione costituiscono per gli stessi pubblici poteri una garanzia di indiscusso valore. Nel contesto della possibile rottura della comunione ecclesiale e dell'esigenza inderogabile della sua ricomposizione, insieme ai vari istituti preliminari (come l'"aequitas", la "tolerantia", l'arbitrato, la transazione, ecc.) il diritto processuale è un fatto di Chiesa, come strumento di superamento e di risoluzione dei conflitti. Anzi, nella visione di una Chiesa che tutela i diritti dei singoli fedeli, ma, altresi, promuove e protegge il bene comune come condizione indispensabile per lo sviluppo integrale della persona umana e cristiana, si inserisce positivamente anche la disciplina penale: anche la pena comminata dall'autorità ecclesiastica (ma che in realtà è un riconoscere una situazione in cui il soggetto stesso si è collocato) va vista infatti come strumento di comunione, cioè come mezzo di recupero di quelle carenze di bene individuale e di bene comune che si sono rivelate nel comportamento, antiecclesiale, delittuoso e scandaloso, dei membri del popolo di Dio.

Chiarisce ancora Papa Paolo VI: "Sed iura fundamentalia baptizatorum non sunt efficacia neque exerceri possunt, nisi quis officia ipso baptismate cum illis connexa agnoscat, praesertim, nisi persuasum sibi habeat eadem iura in communione Ecclesiae esse exercenda; immo hae iura pertinere ad aedificationem Corporis Christi, quod est Ecclesia, ideoque eorum exercitium ordinis et paci convenire, non autem licere, ut detrimentum afferant" (Insegnamenti di Paolo VI, XV 1977)

125).

Se poi il fedele riconosce, sotto l'impulso dello Spirito, la necessità di una profonda conversione ecclesiologica, trasformerà l'affermazione e l'esercizio dei suoi diritti in assunzione di doveri di unità e di solidarietà per l'attuazione dei valori superiori del bene comune. L'ho ricordato esplicitamente nel messaggio al Segretario dell'ONU per il XXX anniversario della Dichiarazione dei diritti dell'uomo: "Mentre si insiste - e a buon diritto - sulla rivendicazione dei diritti umani, non si dovrebbe perdere di vista gli obblighi e i doveri che si associano a questi diritti. Ogni individuo ha l'obbligo di esercitare i suoi diritti fondamentali in una maniera responsabile e moralmente giustificata. Ogni uomo e ogni donna hanno il dovere di rispettare negli altri i diritti che reclamano per sé. Inoltre, tutti dobbiamo dare il nostro contributo alla costruzione di una società che renda possibile e praticabile il godimento dei diritti e l'adempimento dei doveri inerenti a questi diritti" (Giovanni Paolo II, Messaggio al Segretario Generale dell'ONU, per il XXX Anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo, 2 dicembre 1978: AAS 71 (1979)

124-125).4. Nell'esperienza esistenziale della Chiesa, le parole "diritto", "giudizio" e "giustizia", pur tra le imperfezioni e le difficoltà di ogni ordinamento umano, rievocano il modello di una superiore giustizia, la Giustizia di Dio, che si pone come meta e come termine di confronto ineludibile. Ciò comporta un impegno formidabile in tutti coloro che "esercitano la giustizia".

Nella tensione storica per una equilibrata integrazione dei valori, si è voluto talvolta accentuare maggiormente l'"ordine sociale" a scapito dell'autonomia della persona, ma la Chiesa non ha mai cessato di proclamare "la dignità della persona umana, quale si conosce sia per mezzo della parola di Dio rivelata, che tramite la stessa ragione" (DH 2); essa sempre ha riscattato da ogni forma di oppressione le "miserabiles personas", denunciando le situazioni di ingiustizia, allorché i diritti fondamentali dell'uomo e la sua stessa salvezza lo richiedevano, e chiedendo con rispetto, ma con chiarezza - che a simili situazioni lesive della giustizia, si ponesse rimedio.

In conformità con la sua missione trascendente, il "ministero della giustizia" a voi affidato vi pone in una responsabilità speciale per rendere sempre più trasparente il volto della Chiesa "speculum iustitiae", incarnazione permanente del Principe della giustizia, per trascinare il mondo a un'èra benedetta di giustizia e di pace.

Sono certo che quanti collaborano all'attività giudiziaria nella Chiesa, e specialmente i Prelati Uditori, gli Officiali e tutto il personale del Tribunale Apostolico, nonché i Signori Avvocati e Procuratori, sono pienamente consapevoli dell'importanza della missione pastorale, a cui partecipano, e lieti di svolgerla con diligenza e dedizione, seguendo l'esempio di tanti insigni giuristi e zelanti sacerdoti, che a codesto Tribunale hanno dedicato con ammirevole sollecitudine le loro doti di mente e di cuore.

Mi è caro in questo momento ricordare il Cardinale Boleslao Filipiak, chiamato alla patria celeste nello scorso anno; e desidero altresi rendere onore all'esempio di diligenza e di abnegazione del venerato Monsignor Carlo Lefebvre, della cui preziosa esperienza continua a beneficiare la Santa Sede dopo il servizio da lui prestato fino a pochi mesi fa alla Sacra Romana Rota.

La mia riconoscenza va anche ai Prelati Uditori, che per ragioni di salute non hanno più potuto continuare nel loro servizio.

A tutti voi la mia viva gratitudine e il mio sincero apprezzamento, con l'assicurazione della mia preghiera: il Signore vi accompagni col suo aiuto, e vi siano di sostegno il mio incoraggiamento e la mia benedizione.

Data: 1979-02-17

Data estesa: Sabato 17 Febbraio 1979.






GPII 1979 Insegnamenti - Udienza generale - Riconoscersi in Cristo