GPII 1979 Insegnamenti - Recita dell'Angelus - Città del Vaticano (Roma)

Recita dell'Angelus - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Pregare per la pace dei popoli che soffrono

Testo: Carissimi.

Ancora una volta oggi voglio dedicare il mio pensiero al recente viaggio pastorale compiuto in America Latina, e lo faccio non solo col ricordo della mente, ma anche con l'affetto del cuore. In particolare, desidero abbracciare idealmente tutti coloro che non mi è stato possibile visitare di persona, anche se si trovavano nelle immediate vicinanze dei luoghi in cui mi sono fermato.

Innanzitutto, intendo ricordare e salutare i carissimi fedeli dell'isola di Puerto Rico, così vicina a Santo Domingo, dove ho fatto la prima tappa in terra americana. Là essi vennero subito con una numerosa delegazione, di cui facevano parte il Cardinale Luis Aponte Martinez, Rappresentanti dell'Episcopato, del clero, del laicato e delle autorità locali. Sappiano tutti i Portoricani della benevolenza e della stima grandi che nutro per il loro Paese.

Voglio pure ricordare i Vescovi e i fedeli della vicina Repubblica di Haiti. Poiché fu impossibile la mia presenza sul loro suolo, mi sono premurato di manifestare loro, mediante una lunga e cordiale lettera, la mia sollecitudine pastorale verso di essi e i miei migliori sentimenti di considerazione e di augurio, che ora sono lieto di rinnovare.

Il mio pensiero va anche alla delegazione proveniente da Cuba, che ricevetti con grande affetto, e che mi confermo i sensi dell'assoluta fedeltà di quei cattolici.

A Città del Messico, poi, ho avuto modo di incontrare alte personalità dei vari Paesi dell'America Centrale. Mi duole di non aver potuto accogliere tutti gli inviti, che autorità civili e religiose mi hanno gentilmente rivolto, e che comunque ho sinceramente apprezzato.

A tutti i Vescovi dell'America Centrale e delle Antille, ai quali ho indirizzato un Messaggio prima di lasciare il Messico; a tutti coloro, ai quali ho avuto la felice occasione di rivolgere la parola, sia nelle varie lettere che nei molteplici incontri, sono lieto di rinnovare oggi i miei auguri vivissimi di prosperità umana e cristiana, e di assicurare loro che non dimentico nessuno.

Lo scopo del viaggio era - oltre a partecipare all'inaugurazione della Conferenza di Puebla - quello di rafforzare i legami spirituali, che uniscono in una sola Chiesa di Cristo uomini di nazioni, paesi, isole, razze e continenti diversi: vincoli, che di tutti loro fanno non una semplice aggregazione, ma una comunità, la quale pur essendo straordinariamente composita, costituisce una meravigliosa unità in Cristo Gesù (cfr. Ga 3,28). Penso che questi legami si siano realmente approfonditi e rinsaldati. Per questo ringrazio umilmente il Signore, ben sapendo che il loro rafforzamento è missione e responsabilità peculiare del Vescovo di Roma come successore di Pietro, il cui compito, secondo l'antica definizione di sant'Ignazio di Antiochia, è di "presiedere alla carità" (S. Ignazio di Antiochia, "Ad Romanos", Prol.) cioè alla comunione.

Sono questi sentimenti e questi voti, che intendo affidare alla preghiera comunque di tutti voi, diletti fratelli e sorelle qui radunati in Piazza San Pietro, mentre insieme filialmente ci rivolgiamo alla Madre di Cristo e Madre nostra.

L'attenzione del mondo intero è stata e continua ad essere sollecitata dagli avvenimenti che si svolgono nell'Iran: avvenimenti di portata storica per il presente e per il futuro di quel Paese, con tanti risvolti di carattere umano, che toccano quel grande e caro popolo e il benessere e la vita stessa di numerosi suoi figli.

Il mio augurio si eleva all'Altissimo perché, dopo gli sviluppi che tutti conosciamo, l'Iran possa al più presto trovare la via della pace interna e di un sereno progresso, nell'ordine, nella giustizia e nell'operosa concordia dei suoi cittadini.

Altre parti del mondo sono teatro di eventi, piccoli e grandi, che, al di là delle conseguenze di ordine politico che possono avere, comportano problemi e sofferenze, talvolta drammatiche, per un gran numero di persone - spesso umile gente, in particolare donne, ragazzi, bambini - che da quegli eventi sono travolti, più che esserne protagonisti.

Come potrebbe il mio pensiero non andare con speciale sentimento di affetto e di partecipazione, a tale proposito, alle popolazioni già tanto provate dell'Asia e della Penisola Indocinese? Un nuovo evento improvviso domina da stamane il pensiero di tutti: l'accendersi di una lotta anche ai confini tra il Vietnam e la Cina. Sono popoli che soffrono, sono uomini che muoiono.

Anche per questi nostri fratelli vada la nostra cordiale preghiera! Data: 1979-02-18

Data estesa: Domenica 18 Febbraio 1979.





Omelia nella chiesa della Magliana (Roma)

Titolo: Parrocchia, presenza di Cristo tra gli uomini

Testo:

1. Nel Vangelo di oggi leggiamo che a Cafarnao, nella casa in cui Gesù dimorava, "si radunarono tante persone" (Mc 2,2). La casa non poteva contenerle tutte, tanto grande era il numero di coloro che erano desiderosi di ascoltare "la parola che egli annunziava", e di vedere quello che faceva.

Ed ecco che, in mezzo a questa folla, Gesù fa una cosa molto significativa, quando gli mettono dinanzi un paralitico, il quale per mancanza di altro spazio era stato calato attraverso un'apertura nel tetto. Gesù innanzitutto dice a questo uomo: "Figliolo, ti sono rimessi i tuoi peccati" (Mc 2,5). A queste parole si leva un sussurro tra quelli che hanno seguito l'azione di Cristo con diffidenza. Questi sono scribi che (d'altronde giustamente) affermano: "Chi può rimettere i peccati se non Dio solo?" (Mc 2,7). Era stata, pero, soltanto l'avversione a Cristo che aveva loro dettato questa obiezione: "Perché costui parla così? Bestemmia!" (Mc 2,7). Gesù, in un certo senso, legge i loro pensieri e dà una risposta: "Che cosa è più facile: dire al paralitico: Ti sono rimessi i peccati, o dire: Alzati, prendi il tuo lettuccio e cammina?" (Mc 2,9). "Ora, perché sappiate che il Figlio dell'uomo ha il potere sulla terra di rimettere i peccati: Ti ordino - disse al paralitico - alzati, prendi il tuo lettuccio e va' a casa tua" (Mc 2,10-11). Tutto succede come Gesù ha ordinato.

Gesù guarisce un inguaribile. Fa un miracolo. Con questo dà la prova che ha il potere sulla terra di rimettere i peccati. E siccome gli scribi hanno affermato che tale potere lo ha Dio soltanto, dovrebbero adesso tirare la conclusione di quello che essi stessi hanno verbalmente sostenuto.

Gesù riafferma la presenza di Dio tra la folla.

Gesù riafferma il potere divino di rimettere i peccati, che gli è proprio.

Gesù dimostra, nello stesso tempo, che più pericoloso e preoccupante del male fisico (in questo caso, della malattia grave e cronica) è il male del peccato. Egli è il Salvatore venuto innanzitutto per togliere questo grave male.

La parte viva del Popolo di Dio

2. Che cosa dice a noi qui riuniti questo brano del Vangelo? "Si radunarono tante persone", allora. E anche oggi qui sono radunati molti. E non penso solo alle persone presenti ora in questa chiesa, ma penso a tutti gli abitanti della zona della Magliana. Da un certo tempo, si raduna qui gente che è venuta a Roma da diverse parti. E' sorto un grande quartiere; in pari tempo è sorta una nuova parrocchia, che adesso conta quarantacinquemila persone.

E' una parrocchia molto grande.

Che cosa significa "parrocchia"? Parrocchia vuol dire: la presenza di Cristo tra gli uomini, parrocchia vuol dire un insieme di persone, vuol dire una comunità in cui e con cui Gesù Cristo riconferma la presenza di Dio. La parrocchia è una parte viva del Popolo di Dio.

Mentre io dico queste cose, il vostro pensiero corre istintivamente all'esperienza che voi fate, giorno dopo giorno, qui, nel contesto concreto della vostra parrocchia. Molti di voi, a cominciare dal parroco, don Pietro Cecchelani, questa parrocchia l'hanno vista, per così dire, bambina, quando la comunità si raccoglieva in una piccola cappella, contenente al massimo duecento persone. Non bisogna risalire molto addietro negli anni: l'atto di costituzione della parrocchia porta, infatti, la data del 13 dicembre 19

63.

Quanta strada è stata fatta da allora! Il quartiere è cresciuto vertiginosamente, passando dai quattromila cinquecento abitanti dell'inizio agli attuali quarantacinquemila e oltre. Ma contemporaneamente è cresciuta anche, e non solo di numero, la comunità cristiana: intorno alla Parola di Dio, annunciata dai sacerdoti, riecheggiata dai catechisti, testimoniata dai fedeli nella vita di ogni giorno, si è andata formando una comunità di persone che si conoscono, si aiutano, si amano. Una comunità aperta, vivace, consapevole dell'immensa ricchezza costituita dal Vangelo di Cristo e protesa perciò a portarne l'annuncio alla massa degli indifferenti, dei "lontani".

L'evangelizzazione giustamente sentita come impegno primario occupa i sacerdoti, le religiose delle due comunità presenti in parrocchia, i gruppi giovanili dei catechisti, e si sviluppa non soltanto nelle forme ordinarie, ma anche mediante tentativi nuovi di avvicinamento, quali la lettura e la meditazione del Vangelo nelle case, nei cosiddetti "gruppi di palazzo", in cui più famiglie si riuniscono assieme per un momento di riflessione e di comunione.

Dall'accostamento al Vangelo scaturisce l'impegno concreto di carità verso i fratelli, sia nelle molteplici iniziative in favore degli anziani, dei malati, degli emarginati, a cui si dedicano numerosi giovani, sia nella partecipazione solidale ai problemi del quartiere che, essendo "esploso" piuttosto caoticamente in questi anni, porta il segno di non poche carenze in fatto di servizi sociali primari e soffre dei disagi propri degli agglomerati di periferia di recente formazione.

Molto, ovviamente, c'è ancora da fare, perché la comunità ecclesiale giunga alla sua piena maturità cristiana; ciò che già s'è fatto, tuttavia, e l'intenso pulsare della vita liturgica entro le mura della vostra nuova chiesa, consacrata poco più d'un anno fa, consentono di ben sperare per il futuro della vostra parrocchia. Nel darvi atto del lavoro svolto in questi anni, il Papa desidera incoraggiarvi a perseverare con rinnovato slancio nella vostra testimonianza cristiana all'interno del quartiere: voi dovete sentire la responsabilità e la fierezza di essere lievito in esso (cfr. Mt 13,33), per favorire l'apertura a Cristo e, al tempo stesso, l'elevazione umana, contribuendo così all'instaurazione in esso di una convivenza più giusta e più fraterna.

La forza salvifica del Cristo

3. Gesù Cristo è presente in mezzo a voi tutti per confermare così quotidianamente la presenza salvifica di Dio. Qui ci sono senz'altro immensi bisogni materiali, economici, sociali, ma soprattutto esiste il bisogno di questa forza salvifica, che è in Dio e che solo Cristo possiede. E' questa forza che libera l'uomo dal peccato e lo dirige verso il bene, affinché conduca una vita veramente degna dell'uomo: affinché gli sposi, i genitori diano ai loro bambini non soltanto la vita, ma anche l'educazione, il buon esempio; affinché fiorisca qui la vera vita cristiana, affinché non abbiano il sopravvento l'odio, la distruzione, la disonestà, lo scandalo; affinché sia rispettato il lavoro dei padri e anche delle madri, e affinché questo lavoro crei le condizioni indispensabili per mantenere la famiglia; affinché siano rispettate le fondamentali esigenze della giustizia sociale; affinché si sviluppi la vera cultura incominciando dalla cultura della vita quotidiana.

Per realizzare tutto ciò è necessario tanto lavoro umano, tanta iniziativa, intraprendenza e buona volontà. Ma al di sopra di tutto è necessaria la presenza di Cristo, che ad ognuna di queste quarantacinquemila persone può dire: "ti sono rimessi i tuoi peccati": che può cioè liberare ciascuno dal male interiore e avviarne dall'interno la mente e il cuore verso il bene. L'uomo, infatti, la vita umana e tutto ciò che è umano si forma prima dall'interno. E secondo quello che è "nell'uomo", nella sua coscienza, nel suo cuore si modella poi tutta la sua vita esteriore e la convivenza con gli altri uomini. Se dentro l'uomo c'è il bene, il senso della giustizia, l'amore, la castità, la benevolenza verso gli altri, un sano desiderio di dignità, allora il bene irradia all'esterno, forma il volto delle famiglie, degli ambienti, delle istituzioni.

La parrocchia di San Gregorio Magno alla Magliana esiste affinché questo bene si trovi in ogni uomo, che abita in questo vasto quartiere, e affinché esso si irradi sulla vostra vita familiare, professionale, sociale, sui vostri banchi di lavoro, sulle istituzioni educative, sui luoghi di gioco e di divertimento.

San Paolo ci dice oggi nel brano della Lettera ai Corinzi che "attraverso lui (Cristo) sale a Dio il nostro "Amen" per la sua gloria" (2Co

1,20). Si tratta proprio di questo: dire a Dio "amen", il che vuol dire "si", e non dire mai a Dio "no". Questo è il compito della parrocchia. Auguro a voi tutti, con a capo i vostri pastori, che tutta la parrocchia sempre più coerentemente e sempre più coralmente dica a Cristo e, insieme con Cristo-Redentore, dica a Dio stesso "si". Affinché il "no", la negazione di Dio e di ciò che corrisponde alla sua santa volontà nella nostra vita umana, sia pronunciato qui, nelle parole e nei fatti, sempre di meno.

La comunità cristiana

4. La vostra parrocchia, per quanto riguarda il numero degli abitanti, è cresciuta notevolmente. Alcuni edifici sono così grandi che ognuno di loro potrebbe costituire una "parrocchia" a sé all'interno della vasta parrocchia. Pensateci sopra, per vedere di trovare lezioni pratiche ed efficaci. Abbiamo sentito nel Vangelo di oggi che il Signore insegnava in una casa. Mi pare che ci sia in ciò un incoraggiamento a proseguire nei tentativi che già avete avviato e ai quali ho accennato più sopra. Per tutti voi e per i vostri pastori in particolare, sia di esempio e di guida san Gregorio Papa, che era un grande maestro nell'arte pastorale.

Egli ricordava che il pastore d'anime "deve essere vicino a ciascuno con il linguaggio della compassione e della comprensione", ma ammoniva al tempo stesso che, per far questo, egli "deve in modo singolare essere capace di elevarsi su tutti gli altri per la preghiera e la contemplazione" (cfr. S. Gregorio Papa, "Regula Past.", II, 5). Nell'intimità del colloquio con Dio e nel contatto rigeneratore con la sua grazia, egli può trovare la luce e la saggezza necessarie per "adattare la sua parola al pubblico che lo ascolta, così che essa possa essere accolta dalla mente di ognuno, senza perdere la forza di riuscire edificante per tutti" (S. Gregorio Papa, "Regula Past., "III, prol.). Possa questo avverarsi nella vostra parrocchia! Si realizzerà allora tra voi quanto san Gregorio indicava, con immagine poetica, come l'ideale di ogni comunità cristiana: di essere cioè come una "cetra bene accordata" che, sapientemente toccata dall'artista, eleva a Dio il suono armonioso della sua melodia (S. Gregorio Papa, "Regula Past.", III, prol.).

Prima di concludere, vorrei dirvi la mia gioia nel sapere che nella vostra parrocchia si trova una cappella dedicata al beato Massimiliano Kolbe, il grande apostolo del nostro secolo. Insieme con lui e con san Gregorio Papa, vi affido tutti alla Madonna che è la Madre della Chiesa, e che dagli abitanti di questa nostra Città è invocata fiduciosamente come "Salus Populi Romani".

Nella liturgia di oggi parla il profeta Isaia: "Ecco, faccio una cosa nuova (...) non ve ne accorgete? Apriro anche nel deserto una strada, immettero fiumi nella steppa. Il popolo che io ho plasmato per me celebrerà le mie lodi" (Is 43,19-21).

Avvenga tutto ciò fra di voi.

Questo augura, in occasione della visita di oggi, il Vescovo di Roma, Papa Giovanni Paolo II, alla parrocchia di San Gregorio alla Magliana.

Data: 1979-02-18

Data estesa: Domenica 18 Febbraio 1979.





Nella cappella del Beato Massimiliano alla Magliana (Roma)

Titolo: L'ideale dell'amore cristiano nella testimonianza di padre Kolbe

Testo: Carissimi fratelli e sorelle.

Sono lieto di poter esprimere, al termine della Celebrazione Eucaristica nella Chiesa parrocchiale di San Gregorio Magno a Pian due Torri, il mio cordiale e benedicente saluto anche a voi, giovani, lavoratori, fedeli tutti che vi raccogliete per i vostri incontri liturgici e sacramentali in questa cappella sussidiaria della Magliana, bellamente intitolata al beato Massimiliano Maria Kolbe, mio venerato connazionale.

Vi ringrazio sinceramente per l'entusiasmo, col quale mi avete accolto in questo luogo di culto e, soprattutto, per il fervoroso spirito di fede col quale lo frequentate.

Vi esprimo altresi il mio paterno compiacimento per la significativa scelta del vostro protettore, definito dal sempre compianto e grande Papa Paolo VI "immagine luminosa per la nostra generazione" (Paolo VI, "Gaudete in Dominio").

Com'è a voi noto, durante le prove più tragiche che insanguinarono la nostra epoca, il beato Kolbe si offri spontaneamente alla morte per salvare un fratello a lui sconosciuto (Francesco Gajownicek), che era stato innocentemente condannato a morte per rappresaglia in seguito alla fuga di un prigioniero, nel campo di concentramento di Osviecim. L'eroico martire fu condannato a morire di fame fino a che, il 14 agosto 1941, rese la sua bell'anima a Dio, dopo aver assistito e confortato i suoi compagni di sventura.

Umile e mite figlio di san Francesco, e cavaliere innamorato di Maria Immacolata, egli attraverso le vie del mondo, dalla Polonia all'Italia e al Giappone, facendo del bene a tutti sull'esempio del Cristo, il quale "pertransivit benefaciendo" (cfr. Ac 10,38). Gesù, Maria e Francesco furono i tre grandi amori, cioè il segreto della sua eroica carità: "Solo l'amore crea", ripeteva a quanti lo accostavano. E' questa l'espressione che, come lampada, illumina tutta la sua vita. Fu questo ideale superiore, questo dovere primordiale di ogni cristiano autentico, che gli fece superare la crudeltà e la violenza della sua tremenda prova con la splendida testimonianza del suo amore fraterno e del perdono concesso ai persecutori.

Possano l'esempio e l'aiuto del beato Massimiliano condurre anche noi al vero e disinteressato amore cristiano verso tutti i fratelli in un mondo in cui l'odio e la vendetta non cessano di straziare l'umana convivenza.

Invocando su di voi la sua protezione e il sorriso della Vergine Immacolata, vi benedico tutti, e con voi anche i vostri familiari, congiunti e amici.

Data: 1979-02-18

Data estesa: Domenica 18 Febbraio 1979.





Ai ragazzi e ai giovani in San Pietro - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Evangelizzare è operare perché l'uomo creda

Testo: Carissimi!

1. Ogni incontro è per me e per voi una nuova scoperta, fonte di gioia autentica.

Il Papa vuole conoscere, dialogare, sentire i suoi piccoli e giovani amici; ma anche voi, da parte vostra, avete un gran desiderio di manifestare al Papa la vostra letizia, il vostro entusiasmo e anche, perché no?, i vostri problemi.

Ora, voi siete particolarmente sensibili al grande problema della "libertà", della "liberazione". Ma, ci chiediamo, voi e io, "libertà" in che senso?, "liberazione" da chi, da che cosa, da quale condizionamento, da quale schiavitù? Ancora una volta mi riferisco oggi al tema della III Conferenza dell'Episcopato latino-americano, dedicata all'evangelizzazione, nel presente e nel futuro della Chiesa. Evangelizzare significa far di tutto, secondo le nostre capacità, perché l'uomo "creda", perché l'uomo ritrovi se stesso in Cristo, perché ritrovi in lui il senso pieno e la dimensione adeguata della propria vita. Questo "ritrovamento" è, allo stesso tempo, la fonte più profonda della liberazione dell'uomo. "Cristo ci ha liberati perché restassimo liberi", ci dice sn Paolo (Ga 5,1). La liberazione è certamente una realtà di fede, inscritta profondamente nella missione salvifica del Cristo, nella sua opera, nel suo insegnamento.2. Gesù stesso collega la "liberazione" con la conoscenza della verità: "conoscerete la verità e la verità vi farà liberi" (Jn 8,32). C'è in questa affermazione l'intimo significato della libertà che ci dona Cristo. La liberazione è una trasformazione interiore dell'uomo, quale conseguenza proveniente dalla conoscenza della verità; si tratta di un processo spirituale di maturazione, mediante il quale l'uomo diventa rappresentante e portavoce della giustizia e della santità vera" (Ep 4,24) ai diversi livelli della vita personale, individuale e sociale. Ma questa verita non è la semplice verità di carattere scientifico o storico, è Cristo stesso - Parola del Padre incarnata - che può dire di se stesso: "Io sono la via, la verità, la vita" (Jn 14,6). Per questo Gesù, ripetutamente e con forza, nella sua vita terrena si è opposto con fermezza e con decisione alla "non-verità", pur consapevole di ciò che lo aspettava.

Questo servizio alla verità, partecipazione al servizio profetico di Cristo, è un compito della Chiesa, che cerca di adempierlo nei diversi contesti storici. Bisogna chiamare chiaramente per nome l'ingiustizia, lo sfruttamento dell'uomo da parte dell'uomo, lo sfruttamento dell'uomo da parte dello stato, o da parte dei meccanismi insiti nei sistemi e nei regimi. Bisogna chiamare per nome ogni ingiustizia sociale, ogni discriminazione, ogni violenza inflitta all'uomo nei confronti del suo corpo, del suo spirito, della sua coscienza, della sua dignità di persona, della sua vita.

La liberazione, anche nel significato sociale, prende inizio dalla conoscenza e dalla proclamazione coraggiosa della verità, senza manipolazioni e senza falsificazioni di sorta.3. Anche voi, giovani e ragazzi, siate sempre intensamente uniti a Cristo-Verità, siate testimoni della Verità, che è lui stesso e il suo messaggio, affidato all'uomo, fragile e forte allo stesso tempo. Ricordate l'illuminante meditazione di Pascal sull'uomo? "L'uomo non è che una canna, la più debole della natura; ma è una canna pensante. Non occorre che l'universo intero si armi per schiacciarlo: un vapore, una goccia d'acqua bastano per ucciderlo. Ma, quand'anche l'universo lo schiacciasse, l'uomo sarebbe ancor più nobile di ciò che lo uccide, perché sa di morire e conosce la superiorità che l'universo ha su di lui: l'universo non ne sa nulla" (Pascal, "Pensieri", 347).

Ecco, questa fragile canna proprio perché "pensante" supera se stessa; porta dentro di sé il mistero trascendentale e quella "inquietudine creativa", che da esso proviene. Eppure, proprio in questi tempi si annunzia che la condizione per la "liberazione dell'uomo" sarebbe la sua liberazione "da Cristo", dal suo messaggio, dalla sua legge di amore, cioè dalla religione, che viene definita "alienazione dell'uomo".

Carissimi! Cristo vi attende per liberarvi dal male, dal peccato, dall'errore, cioè dalle vere radici da cui provengono le miserie che degradano edavviliscono l'uomo. Siate sempre i profeti e i testimoni della Verità! Con la mia benedizione apostolica.

Amen.

Data: 1979-02-21

Data estesa: Mercoledì 21 Febbraio 1979.









Al "Gruppo misto" di lavoro - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Augurio di proficua collaborazione

Testo: A Sua Eccellenza Monsignor Ramon Torrella Cascante, Vice-Presidente del Segretariato per l'Unione dei Cristiani.

Mentre il Gruppo misto di lavoro tra il Consiglio ecumenico delle Chiese e il nostro Segretariato per l'Unione dei Cristiani si accinge a tenere la sua prima riunione dopo la mia elezione alla sede di Roma, mi preme manifestargli, per vostro tramite, il mio desiderio di vedere intensificati gli sforzi tesi ad affrettare il ristabilimento dell'unità fra tutti i cristiani. E' urgente infatti che noi possiamo, in pieno accordo, rendere testimonianza della nostra fede a Cristo e alla sua opera di salvezza. Ma già nel presente, ancor prima che questa unità di fede, di vita sacramentale e di legami gerarchici sia ristabilita, dobbiamo trovare, in perfetta lealtà con la nostra situazione reale attuale, le vie che permetteranno di testimoniare la fede che già abbiamo in comune e la comunione incompleta ma reale che già ci unisce nel Cristo e nel mistero della sua Chiesa. A questo scopo, auspico che possiate trovare il modo di assicurare una crescente collaborazione in tutti i campi nei quali ciò è ora possibile tra la Chiesa cattolica e il Consiglio ecumenico delle Chiese.

Chiedo allo Spirito Santo di darvi la lucidità, l'immaginazione, la prudenza e il coraggio necessari per procedere su questa strada.

Data: 1979-02-23

Data estesa: Venerdì 23 Febbraio 1979.





A giovani pellegrini irlandesi - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Tenete desta la preoccupazione per il prossimo

Testo: Cari giovani, voi avete percorso una lunga distanza a piedi: dall'Irlanda fino a Roma! voi avete dedicato il vostro viaggio alla causa della carità con la speranza di arrecare aiuto ai fanciulli bisognosi.

Il Papa è felice di incontrarvi questa mattina, di darvi il benvenuto in Vaticano, di confermarvi nel vostro amore cristiano ed al contempo anche nella fede che sta all'origine di ogni virtù.

Siate sommamente grati della vostra fede cattolica e apostolica. Essa è un grande dono di Dio reso ai vostri antenati e salvaguardato attraverso i secoli con grande sacrificio e generosità.

Adoperatevi sempre di condurre la vita in un modo che sia costantemente aderente alla vostra fede. Tenete desta la vostra preoccupazione per il prossimo, la vostra sollecitudine verso chi soffre edanche il vostro amore per i vostri concittadini, uomini e donne, chiunque essi siano e qualunque siano i loro convincimenti e le loro condizioni di vita.

Voi ricordate infatti come san Giovanni definisce la religione dando una sintesi della volontà divina: "Questo è il suo comandamento, che noi crediamo nel nome del Suo Figlio Gesù Cristo e che ci amiamo gli uni gli altri" (1Jn 3,23).

In altre parole, cari giovani, ciò che voglio chiedervi per il presente è la fedeltà e la coerenza. La vostra chiamata - la vocazione per tutti voi - è per la fedeltà al messaggio della verità di Dio che voi avete ricevuto e che dovete tradurre in azioni coerenti con ciò a cui credete. Ma soprattutto la coerenza si manifesta nell'amore: nell'amore generoso, educato, altruista del prossimo affinché si realizzi il grande comandamento: "Se Dio ci ha amato per primo, pure noi dovremmo amarci gli uni gli altri (1Jn 4,11).

Quando sarete tornati alle vostre case, portate ai vostri cari la mia benedizione. Estendo la mia particolare benedizione apostolica a tutta l'Irlanda.

Data: 1979-02-23

Data estesa: Venerdì 23 Febbraio 1979.



Ai parroci prefetti di Roma - Città del Vaticano (Roma)


Titolo: Catechesi, liturgia, carità nella pastorale quaresimale

Testo: Carissimi.1. Sento il vivo bisogno, al termine di questa fraterna riunione, di manifestarvi cordialmente la mia gioia e la mia soddisfazione per questo nostro incontro: gioia, perché ancora una volta mi trovo insieme con un gruppo qualificato di sacerdoti della mia diocesi di Roma; soddisfazione perché ho potuto constatare di persona la serietà e l'impegno pastorale che animano tutti voi.

Voi, "prefetti", dell'articolata struttura della diocesi, avete il delicato compito di fare da legame di unione tra il "Presbyterium" e l'Ordinario; di assicurare e rafforzare, altresi, la continua ed efficace concordia dei sacerdoti nell'ambito delle rispettive prefetture, perché la pastorale d'insieme sia coordinata ai fini di una sempre più omogenea e spedita efficacia. La cerchia di questa duplice unione si allarga e si salda ancor più negli incontri comunitari, dei prefetti, quale è quello di oggi, per studiare insieme, in un largo giro di orizzonte, i problemi pastorali della Chiesa in Roma, come previsto dalla costituzione apostolica di Paolo VI "Vicariae Potestatis in Urbe" (nn. 7-8).

In questa prospettiva, la funzione e la missione del prefetto e del Consiglio dei prefetti acquistano un grande significato per la pastorale diocesana, in quanto ne condizionano la necessaria ed auspicabile compattezza, come pure l'ordinata e logica metodicità.

A voi, in particolare, incombe la responsabilità che la diocesi di Roma sia veramente, come la primitiva comunità di Gerusalemme, "un cuor solo e un'anima sola" (Ac 4,32).


2. E' la prima volta che mi incontro ufficialmente coi prefetti della diocesi di Roma, e questa felice circostanza mi richiama alla memoria le numerose riunioni con i prefetti della mia diocesi di Cracovia, alle quali ho presieduto e nelle quali, con i miei sacerdoti, ho fraternamente dialogato e discusso sulle nostre comuni responsabilità di pastori, di guide delle anime. La stretta collaborazione, che esisteva tra Vescovo e prefetti, era garanzia di serena disponibilità per la soluzione dei vari e complessi problemi, che la vita ecclesiale presentava giorno dopo giorno.


3. Ho ascoltato con attento interesse le tre relazioni circa la "pastorale quaresimale" a Roma, che intende articolarsi in tre direzioni, di concreta impostazione: la catechesi; le celebrazioni liturgiche; l'impegno di carità.

Auspico di cuore che non soltanto i sacerdoti della diocesi, ma tutti i fedeli siano sensibilizzati a questi tre aspetti fondamentali della vita cristiana, in un tempo liturgico così ricco e pregnante, qual è quello dell'imminente Quaresima.

Con particolare attenzione ho ascoltato la valutazione relativa alla seconda assemblea del clero romano di quest'anno pastorale, svoltasi il 15 febbraio scorso: in essa avete approfondito il tema: "Il clero di Roma di fronte alle esigenze della diocesi", insistendo su quattro punti: le esigenze di una autentica comunione; le strutture di partecipazione e di collegialità; solidarietà e perequazione tra il Clero e le parrocchie; e infine, il problema delle vocazioni.

Sono stato positivamente impressionato per lo spirito che ha animato il convegno, per l'alto numero dei partecipanti, e per l'impegno autenticamente sacerdotale, con cui avete affrontato problemi tanto delicati. Spero che ne maturino frutti spirituali concreti.

Penso inoltre che alcune idee, che ho ascoltato oggi in questa riunione, mi saranno certamente di valido aiuto per la preparazione del discorso, che terro al clero romano nell'udienza prevista per l'inizio della Quaresima. A tale proposito, vi sarei sinceramente grato se voleste aggiungere, o oralmente o per iscritto, qualche altro suggerimento, perché, come nota il libro dei Proverbi: "il saggio... ascolta il consiglio" (Pr 12,15).

A tutti voi la mia stima, il mio affetto. Possano i fedeli di tutta la Chiesa, guardando ai loro fratelli e sacerdoti della diocesi di Roma, sottoscrivere le parole che san Paolo rivolgeva ai Romani: "La fama della vostra fede si espande in tutto il mondo" (Rm 1,8).

Con questo augurio, vi benedico paternamente.

Data: 1979-02-24

Data estesa: Sabato 24 Febbraio 1979.





Ai seminaristi del Seminario Romano Maggiore - Roma

Titolo: La vocazione è un dono di Dio in Gesù Cristo

Testo:

1. Fermiamo oggi la nostra attenzione sul pensiero di san Paolo, che la sacra liturgia ci propone. La seconda lettura della Messa, presa dalla lettera ai Romani, sembra "scritta" per coloro che in modo speciale e approfondito devono meditare il problema della loro vocazione e devono anche responsabilmente prendere delle decisioni circa essa.

Il brano della lettera di san Paolo parla innanzitutto della nostra eterna vocazione: "Poiché quelli che egli da sempre ha conosciuto li ha anche predestinati ad essere conformi all'immagine del Figlio suo" (Rm 8,29). Certamente più di una volta abbiamo riflettuto su questo mistero penetrante. La nostra vocazione ha la sua fonte solamente in Dio che conosce ognuno di noi nel Verbo, suo Figlio, e conoscendo "predestina", affinché diventiamo anche noi suoi figli.


GPII 1979 Insegnamenti - Recita dell'Angelus - Città del Vaticano (Roma)