GPII 1979 Insegnamenti - Messaggio alla Chiesa di Roma - Città del Vaticano (Roma)

Messaggio alla Chiesa di Roma - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Nella croce il richiamo alla conversione

Testo: Cari fratelli e sorelle!

1. La Chiesa inizia la Quaresima. Come tutti gli anni, entriamo in questo periodo, incominciando dal Mercoledì delle Ceneri, per prepararci, durante quaranta giorni, al Sacro Triduo della passione, della morte e della risurrezione di nostro Signore Gesù Cristo. Essa si riferisce pure a quel digiuno di 40 giorni, che nella vita terrestre di Cristo costitui l'introduzione alla rivelazione della sua missione di Messia e di Redentore. La Chiesa, durante la Quaresima, desidera animare se stessa accogliendo con particolare impegno la missione del suo Signore e Maestro in tutto il suo valore salvifico. Perciò ascolta con la massima attenzione le parole di Cristo, il quale, indipendentemente dallo svolgersi delle vicende temporali nei diversi campi della vita umana, annuncia immutabilmente il Regno di Dio. E l'ultima sua parola è la Croce sul monte Calvario: cioè il sacrificio offerto dal suo amore per riconciliare l'uomo con Dio.

Nel tempo di Quaresima tutti dobbiamo con speciale attenzione guardare alla Croce per comprendere di nuovo la sua eloquenza. Non possiamo vedere in essa soltanto un ricordo degli avvenimenti accaduti circa duemila anni fa. Dobbiamo capire l'insegnamento della Croce così come esso parla ai nostri tempi, all'uomo d'oggi: "Gesù Cristo è lo stesso ieri, oggi e sempre" (He 13,8).

Nella Croce di Gesù Cristo si esprime un vivo richiamo alla metanoia, alla conversione: "convertitevi e credete al Vangelo" (Mc 1,15). E questo richiamo dobbiamo accettarlo come indirizzato ad ognuno di noi e a tutti in maniera particolare in occasione del periodo della Quaresima. Vivere la Quaresima significa convertirsi a Dio mediante Gesù Cristo.


2. Cristo stesso ci indica nel Vangelo il ricco programma della conversione.

Cristo - e, dopo di lui, la Chiesa - ci propone pure, nel tempo della Quaresima, i mezzi che servono a questa conversione. Si tratta innanzitutto della preghiera; poi dell'elemosina e del digiuno. Bisogna accettare questi mezzi e introdurci nella vita in proporzione ai bisogni e alle possibilità dell'uomo e del cristiano dei nostri tempi. La preghiera rimane sempre la prima e fondamentale condizione dell'avvicinamento a Dio. Durante la Quaresima dobbiamo pregare, dobbiamo sforzarci di pregare di più; cercare il tempo e il luogo per pregare. E' in primo luogo essa che ci fa uscire dall'indifferenza e ci rende sensibili alle cose di Dio e dell'anima. La preghiera educa pure le nostre coscienze e la Quaresima è un tempo particolarmente adatto a risvegliare e a educare la coscienza. La Chiesa ci ricorda proprio in questo periodo l'inderogabile necessità della confessione sacramentale affinché tutti possiamo vivere la risurrezione di Cristo non soltanto nella liturgia, ma anche nella nostra propria anima.

L'elemosina e il digiuno come mezzi di conversione e di penitenza cristiana sono strettamente legati fra di loro. Il digiuno significa un dominio su se stessi; significa essere esigenti nei confronti di se stessi, essere pronti a rinunciare alle cose - e non soltanto ai cibi - ma anche ai godimenti e ai vari piaceri. E l'elemosina - nell'accezione più larga ed essenziale - significa la prontezza a condividere con gli altri gioie e tristezze, a donare al prossimo, al bisognoso in particolare; a dividere non soltanto i beni materiali, ma anche i doni dello spirito.

Ed è proprio per questo motivo che dobbiamo aprirci agli altri, sentire i loro diversi bisogni, le sofferenze, le sfortune, e cercare non soltanto nelle nostre risorse, ma soprattutto nei nostri cuori, nel nostro modo di comportarci e di agire i mezzi per prevenire i loro bisogni o portare sollievo alle loro sofferenze e sventure.

Così dunque il rivolgersi a Dio mediante la preghiera va di pari passo con il rivolgersi all'uomo. Essendo esigenti con noi stessi e generosi con gli altri, esprimiamo in modo concreto e insieme sociale la nostra conversione.

Attraverso una più piena solidarietà con gli uomini, con i sofferenti e specialmente con i bisognosi, ci uniamo con Cristo sofferente e crocifisso.


3. Entriamo allora nel tempo quaresimale in conformità alla secolare tradizione della Chiesa. Entriamo in questo periodo in conformità alla particolare tradizione della Chiesa di Roma. Ci guardano le generazioni dei discepoli e dei confessori di Cristo che qui hanno dato a lui una singolare testimonianza di fedeltà, non risparmiando neppure il proprio sangue. Ce li ricordano le loro catacombe e i più antichi santuari di Roma. Li ricorda tutta la storia della Città Eterna. Entriamo in questo periodo, incominciando dal Mercoledì delle Ceneri, giorno in cui la Chiesa mette sul nostro capo, in segno della precarietà del nostro corpo e della nostra temporale esistenza, le ceneri, ammonendoci nella liturgia: "Ricordati che sei polvere, e in polvere tornerai".

Accettiamo con umiltà questo segno penitenziale, affinché possa, con tanta più forza, rinnovarsi, nel cuore e nella coscienza di ognuno di noi, il mistero di Cristo Crocifisso e Risorto, in modo che anche noi possiamo "camminare in novità di vita" (Rm 6,4).

Data: 1979-02-28

Data estesa: Mercoledì 28 Febbraio 1979.





A una rappresentanza di militari - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Cristo risposta adeguata alle domande sulla vita e sulla storia

Testo: Illustrissimi signori e signore, carissimi giovani.

Sono vivamente lieto di accogliervi e di manifestarvi la mia sincera gratitudine per il pensiero gentile e per la fede profonda che vi hanno qui portati.

Rivolgo il mio cordiale saluto alle Autorità, e in primo luogo al Signor Ministro della Difesa, ai Capi di Stato Maggiore, agli Ufficiali, ai Rappresentanti di tutti i rami dell'Esercito, al Personale sanitario, agli addetti ai vari servizi, alle Signore del Patronato, alle Suore degli Ospedali militari e alle Crocerossine, ed intendo estendere il mio pensiero anche a tutte le persone a voi care.

In particolare saluto voi giovani, che prestate il servizio militare, e mi è caro sottolineare che vedo in voi innanzitutto la giovinezza, sempre generosa e ardita nelle sue aspirazioni, nei suoi profondi sentimenti, nei suoi ideali, nelle sue esigenze, di fronte alle grandi scelte della vita; poi, vedo in voi l'Italia, la vostra Patria, questa Nazione suggestiva e privilegiata, amata e visitata da tutte le genti del mondo e a cui le altre nazioni guardano con ammirazione per la Sede di Pietro e per gli incalcolabili tesori di arte, di letteratura, di bellezze naturali, che hanno indotto grandi poeti e pensatori di tutto il mondo a descriverla e a cantarla come "patria" del cuore; vedo ancora in voi, nella divisa che indossate, la testimonianza di un impegno solenne per la difesa dei fondamentali valori della libertà, dell'ordine, della giustizia e della pace.

Riflettendo ora un istante sulla vostra età giovanile e sul vostro attuale compito, e allargando lo sguardo anche a tutti i vostri amici d'Italia che qui rappresentate, voglio esprimere alcuni pensieri che mi sorgono spontanei.

1. La vostra è l'età della domanda suprema: che senso ha la vita? E conseguentemente, che senso ha la storia umana? E' certo la domanda più drammatica ed è anche la più nobile, che qualifica veramente l'uomo nella sua natura di persona, intelligente e volitiva.

Infatti, l'uomo non può rinchiudersi nel limite del tempo, nel cerchio della materia, nel nodo di un'esistenza immanente e autosufficiente; può tentare di farlo, può anche affermare a parole e a gesti che la sua patria è solo il tempo e che la sua dimora è solo il corpo. Ma in realtà la domanda suprema lo agita, lo punge e lo tormenta. E' una domanda che non si può eliminare.

Sappiamo come, purtroppo, gran parte del pensiero moderno, ateo, agnostico, secolarizzato, insista nell'affermare e nell'insegnare che l'interrogativo supremo sarebbe una malattia dell'uomo una montatura di genere psicologico e sentimentale da cui bisogna guarire, affrontando coraggiosamente l'assurdo, la morte, il nulla.

E' una filosofia sottilmente pericolosa, perché soprattutto il giovane, ancora fragile nel pensiero, scosso dalle dolorose vicende della storia passata e presente, dall'instabilità ed incertezza del futuro, a volte tradito negli affetti più intimi, emarginato, incompreso, disoccupato, può sentirsi spinto da essa all'evasione nella droga e nella violenza, o alla disperazione.


2. La vostra è l'età dell'incontro cosciente e voluto con Cristo. Carissimi giovani, solo Gesù Cristo e la risposta adeguata e ultima alla domanda suprema circa il senso della vita e della storia. Pur nel rispetto di quanti hanno altre idee e ben sapendo che la fede in Cristo ha i suoi tempi e le sue stagioni e che esige una maturazione personale, legata alla "grazia" di Dio, io dico a voi con fiduciosa franchezza che, trascorsa l'età ingenua della fanciullezza e l'epoca sentimentale dell'adolescenza, giunti alla giovinezza, cioè alla vostra età esuberante e critica, la più bella ed entusiasmante avventura che vi possa toccare è l'incontro personale con Gesù, il quale è l'unico che dà vero significato alla nostra vita.

Non basta cercare; bisogna cercare per trovare la certezza. E la certezza è Gesù che afferma: "Io sono la via, la verità e la vita!..." (Jn 14,6); "Io sono la luce del mondo; chi viene dietro a me, non cammina nelle tenebre!..."; (Jn 8,12) "Io sono venuto per rendere testimonianza alla verità!..." (Jn 18,37).

Solo Gesù ha parole convincenti e consolanti; solo lui ha parole di vita, anzi di vita eterna: "Dio ha tanto amato gli uomini da dare il suo Figlio Unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia ma abbia la vita eterna; Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui" (Jn 3,16-17).

Non c'è soluzione allo scetticismo e alla disperazione che nella fede in Cristo. Solo Gesù rivela il significato della nostra esistenza nello sconfinato mistero dell'universo, nel vortice oscuro e imprevedibile della storia! Il grande e ben noto filosofo e matematico francese Blaise Pascal, giunto finalmente all'incontro definitivo e gioioso con Cristo, scriveva nei suoi pensieri, con insuperabile lucidità: "Non soltanto noi conosciamo Dio unicamente per mezzo di Gesù Cristo, ma conosciamo noi stessi unicamente per mezzo di Gesù Cristo. Noi non conosciamo la vita, la morte, se non per mezzo di Gesù Cristo. Fuori di Gesù Cristo non sappiamo che cosa sia la nostra vita o la nostra morte, Dio e noi stessi. Per questo, senza la Scrittura che ha per oggetto solo Gesù Cristo, non conosciamo niente e non vediamo che oscurità e confusione nella natura di Dio e nella nostra natura" (Pascal, "Pensieri", 548). E il Concilio Ecumenico Vaticano II ha sottolineato che "solo nel mistero del Verbo Incarnato trova piena luce il mistero dell'uomo" (GS 22).


3. Infine, ed è la conclusione pratica, la vostra è l'età della decisione più importante. Qualunque strada sceglierete nella vita, la decisione più importante è di vivere dappertutto, sempre e con tutti l'ideale cristiano dell'amore a Dio e al prossimo.

Non allontanatevi da Cristo! Decidete per lui! L'umanità ha bisogno soprattutto di buoni samaritani, perché ha bisogno di Cristo! Mi piace ricordare un'esortazione che Paolo VI, mio venerato predecessore, proprio in quest'aula rivolgeva a dodicimila giovani, due anni fa: "Non lasciatevi ingannare da coloro che vorrebbero introdurre nel vostro cuore ideali diversi e addirittura in contrasto con quelli della vostra fede. Solo in Cristo è la soluzione di tutti i vostri problemi. E' Lui che libera l'uomo dalle catene del peccato e di ogni schiavitù: è lui la luce che risplende fra le tenebre; è lui "la verità che tanto ci sublima" (Dante Alighieri, "La Divina Commedia", Paradiso", XXII,43); è lui che dà alla vita le ragioni per cui vale la pena di vivere, amare, lavorare, soffrire; è lui il nostro sostegno e il nostro conforto" (23 aprile 1977: "Insegnamenti di Paolo VI", XV, 375). Per riuscire in questa decisione così sublime e così necessaria, sappiate aprire i vostri cuori e le vostre coscienze al sacerdote, che è ministro di Cristo, ora ai vostri cappellani e poi ai sacerdoti addetti alla vostra cura spirituale. Troverete in essi aiuto e sostegno per la vostra vita cristiana.

Trascorrete con senso di amicizia, di fraternità e con impegno di amore questo periodo di servizio, mantenendo vivi nei vostri cuori la nostalgia dei vostri cari che vi seguono e vi attendono e il rispetto per i vostri Superiori, nella convinzione che la grandezza e l'onore della Patria dipendono dall'onestà e dalla serietà di ogni cittadino.

Con questi voti, mentre invoco per voi e per le vostre famiglie da Dio e dalla Vergine Santissima la continua assistenza e l'abbondanza dei celesti favori, di cuore tutti benedico.

Data: 1979-03-01

Data estesa: Giovedì 1 Marzo 1979.




Ai parroci e al clero di Roma - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Il sacerdote nel mistero di Cristo

Testo:

1. C'incontriamo all'inizio della Quaresima. In questo periodo, ognuno di noi deve rinnovare, cioè ritrovare in qualche modo di nuovo, soprattutto il proprio "essere cristiano", l'identità che scaturisce dall'appartenere a Cristo, per prima cosa mediante il Battesimo. Tutta la tradizione del periodo quaresimale è orientata in questa direzione, e il suo compimento nell'antica pratica della Chiesa era proprio il Battesimo dei catecumeni.

Ricordiamo che il substrato fondamentale del nostro "sacerdozio" è l'"essere cristiano"; la nostra "identità sacerdotale" affonda le sue radici nell'"identità cristiana" ("christianus, alter Christus; sacerdos, alter Christus").

Preparandoci con tutti i nostri fratelli nella fede alla rinnovazione delle promesse battesimali nella veglia del Sabato Santo, ci prepariamo in modo particolare alla rinnovazione delle promesse sacerdotali nella liturgia del Giovedì Santo, la giornata dei sacerdoti. Tutto il tempo di Quaresima deve servire a tale preparazione.


2. Il Concilio Vaticano II ha esposto in modo chiaro e preciso l'essenza della santità propria dei sacerdoti ("Presbyterorum Ordinis"). Dobbiamo cercare le forme concrete di tale santità, esercitando i molteplici compiti che appartengono alla nostra vocazione e al nostro ministero pastorale.

Se ci si chiede quali siano gli elementi che caratterizzano la santità a cui è chiamato il sacerdote, gli elementi che ne costituiscono, per così dire, lo specificum, è legittimo individuarli in due aspetti strettamente complementari, che formulerei così: a) uomo totalmente posseduto dal mistero di Cristo; b) uomo che edifica in modo del tutto particolare la comunita del Popolo di Dio.

a) Il prete è posto al centro stesso del mistero di Cristo, il quale abbraccia costantemente l'umanità e il mondo, la creazione visibile e quella invisibile. Egli agisce, infatti, "in persona Christi", particolarmente quando celebra l'Eucaristia: mediante il suo ministero Cristo continua a svolgere nel mondo la sua opera di salvezza. A ragione, pertanto, ogni sacerdote può esclamare con l'apostolo Paolo: "Ognuno ci consideri come ministri di Cristo ed amministratori dei misteri di Dio" (1Co 4,1).

Non è difficile scorgere le implicazioni, che scaturiscono da tale dato di fatto. Mi limitero ad indicare le seguenti: - Se fine del suo ministero è la santificazione degli altri, è ovvio che il sacerdote debba sentirsi coinvolto in un impegno di santità personale. Egli non può "tenersi in disparte", non può "dispensarsi" da tale impegno, senza condannarsi con ciò stesso ad una vita "inautentica" o, per usare le parole del Vangelo, senza trasformarsi da "buon pastore" in "mercenario" (cfr. Jn 10,11-12).

- C'è poi l'implicazione costituita dal vecchio problema teologico dei rapporti tra "opus operatum" ed "opus operantis". L'efficacia soprannaturale dei sacramenti dipende direttamente dall'"opus operatum"; ma il Concilio Vaticano II ha sottolineato con forza l'importanza dell'"opus operantis". Ricordate le parole del Decreto "Presbyterorum Ordinis"? Se è vero che la grazia di Dio può realizzare l'opera della salvezza anche attraverso ministri indegni, ciò nondimeno Dio, ordinariamente, preferisce manifestare le sue grandezze attraverso coloro i quali, fattisi più docili agli impulsi e alla direzione dello Spirito Santo, possono dire con l'Apostolo, grazie alla propria intima unione con Cristo e santità di vita: "Ormai non sono più io che vivo, bensì è Cristo che vive in me" (Ga 2,20)" (PO 12).

- Infine, trova posto qui il problema dello "stile" della vita interiore del sacerdote in cura d'anime. Il Concilio lo ha affrontato con coraggiosa chiarezza: "I Presbiteri - osserva il Decreto or ora citato - immersi e agitati da un gran numero di impegni derivanti dalla loro missione, possono domandarsi con vera angoscia come fare ad armonizzare la vita interiore con l'azione esterna. Ed effettivamente, per ottenere questa unità di vita, non bastano né l'ordine puramente esterno delle attività pastorali, né la sola pratica degli esercizi di pietà, quantunque siano di grande utilità. L'unità di vita può essere raggiunta invece dai Presbiteri seguendo nello svolgimento del loro ministero l'esempio di Cristo Signore, il cui cibo era il compimento della volontà di Colui che lo aveva inviato a realizzare l'opera sua" (PO 12).

Queste parole costituiscono una reinterpretazione specifica delle molte e preziose riflessioni, maturate nei secoli, sui rapporti tra "vita activa" e "vita contemplativa". Una cosa e certa: se la coscienza del sacerdote è penetrata dall'immenso mistero di Cristo, se essa ne è totalmente posseduta, allora tutte le sue attività, anche le più assorbenti ("vita activa") troveranno radice ed alimento nella contemplazione dei misteri di Dio ("vita contemplativa"), di cui egli è "amministratore".

b) Il secondo aspetto della vocazione alla santità del sacerdote l'ho individuato nel suo compito di edificare la comunità del Popolo di Dio. Potrebbe sembrare un aspetto "esteriore", legato alla dimensione istituzionale della Chiesa e quindi poco significativo dal punto di vista della santità personale. Eppure tutto l'insegnamento del Vaticano II, risalente del resto alle fonti più genuine dell'ecclesiologia, indica anche in tale settore il "proprium" della santità sacerdotale. Il prete, conquistato dal mistero di Cristo, è chiamato a conquistare gli altri a tale mistero: questa dimensione "sociale" del suo sacerdozio egli la vive entro le strutture della Chiesa-istituzione. Il sacerdote non è soltanto l'uomo "per gli altri"; egli è chiamato ad aiutare "gli altri" a diventare comunità, a vivere cioè la portata sociale della loro fede. In tal modo l'impegno con cui il prete "raduna" (e non "disperde" (cfr. Mt 12,30), l'impegno con cui "edifica" la Chiesa, diventa la misura della sua santità.

Il saluto, col quale egli inizia la liturgia eucaristica: "la comunione dello Spirito Santo sia con tutti voi", diventa il suo programma: il prete è il portavoce e il tramite di questa comunione. Egli deve perciò coltivare in se stesso un atteggiamento di fraternità e di solidarietà, deve imparare l'arte della collaborazione, della messa in comune delle esperienze, dell'aiuto reciproco.

Parte viva del presbiterio, che si stringe attorno al proprio Vescovo, egli deve sentirsi continuamente sollecitato ad una proiezione missionaria verso i lontani, che ancora non fanno parte dell'"unico ovile" (cfr. Jn 10,16).

E infine: siccome i credenti camminano nel tempo sorretti dalla speranza dell'incontro definitivo col Cristo glorioso, il prete edifica la comunità dei fratelli ponendosi all'interno di essa come testimone della speranza escatologica.

I fedeli, a cui egli è inviato, attendono da lui, come suggello decisivo della sua missione, una testimonianza chiara e inequivocabile della vita eterna e della risurrezione della carne. In questa luce deve essere guardato anche l'impegno del celibato, che appare allora come contributo molto importante all'edificazione della Chiesa e, perciò, come elemento caratterizzante la spiritualità del sacerdote.


3. Figli carissimi, mi sono attardato a delineare i principali tratti della nostra identità sacerdotale, perché il periodo della Quaresima è veramente il "momento favorevole" (2Co 6,2) per un'opportuna revisione di vita di fronte al dono straordinario della vocazione. E' una revisione che ognuno deve condurre all'interno della comunità e presbiteriale e parrocchiale, così che essa si traduca in un rinnovato impegno di vita cristiana da parte di tutti. La Quaresima ha sempre segnato un rilancio delle attività pastorali all'interno delle parrocchie: un tempo si facevano missioni parrocchiali, speciali pratiche di pietà, esercizi penitenziali comunitari. Oggi, nelle mutate condizioni ambientali, l'impegno di rinnovamento della vita cristiana dovrà esprimersi in altre forme.

Gli incontri, che già ho potuto avere con i responsabili del presbiterio diocesano, mi hanno permesso di rendermi conto della promettente fioritura di iniziative, programmate per questa Quaresima, nei settori della catechesi, delle celebrazioni liturgiche, dell'impegno di carità. Desidero profittare di questa circostanza per esprimervi il mio sincero apprezzamento e il mio cordiale incoraggiamento. Lavorate, figli carissimi, senza lasciarvi abbattere dalle difficoltà e dagli insuccessi. Fate frutto dell'esperienza per mettere a punto nuove iniziative, per cercare nuove strade sulle quali camminare incontro agli uomini, nostri fratelli, e portar loro la "parola che salva", Parola di cui sono affamati magari senza saperlo. Il sacerdote come pastore deve sempre imitare Cristo, Pastore che cerca.

Tale ricerca, condotta insieme al Buon Pastore in modo disinteressato e spesso sofferto, conferisce al suo sacerdozio quell'autentico profilo, così essenziale sia dal punto di vista della sua personalità sacerdotale, sia da quello più semplicemente umano, che si impone alla considerazione e alla stima di quanti lo avvicinano.

Dobbiamo guardarci molto dallo "scindere" la nostra personalità di sacerdoti. Dobbiamo guardarci molto dal permettere che il nostro sacerdozio cessi di essere per noi la cosa "più essenziale", l'elemento "unificante" di tutto ciò di cui noi ci occupiamo. Esso non deve mai diventare qualcosa di "secondario" e di "supplementare".


4. Questo è l'oggetto fondamentale del nostro lavoro su noi stessi, della nostra vita interiore, in una parola, della formazione sacerdotale permanente nel suo triplice aspetto: spirituale, pastorale, intellettuale.

Ci formiamo "per" svolgere l'attività sacerdotale e ci formiamo "attraverso" l'attività sacerdotale. Dobbiamo in questo campo avere un'autentica sana ambizione. Ci deve stare a cuore eseguire nel modo più efficace il servizio della parola (come predico? come faccio la catechesi?). Deve essere nostra sollecitudine arrivare alle anime, per aiutare gli uomini nei loro problemi di coscienza: confessione, direzione spirituale, particolarmente delle persone consacrate a Dio (talvolta si sentono lamentele sulla mancanza di buoni direttori).

Dobbiamo - senz'altro - stare con i sofferenti e i bisognosi. Dalla loro parte. Ma dobbiamo sempre essere con loro "da sacerdoti".


5. Solo da pochi mesi sono Vescovo di Roma. Comincio a poco a poco a conoscere la mia nuova diocesi. Mi rendo conto che la mia missione "universale" si basa su quella "particolare", e perciò cerco di dedicarmi a quest'ultima per quanto posso, giovandomi del grande aiuto del Cardinale Vicario di Roma, di Monsignor Vicegerente e dei Vescovi ausiliari. In questi mesi ho avuto occasione di visitare alcune parrocchie, mettendomi prima in contatto con i pastori di ciascuna di esse.

Sono state esperienze molto belle, nelle quali ho avuto la conferma della simpatica spontaneità della popolazione, dell'aperta e fiduciosa disponibilità dei sacerdoti, della vivacità generosa dei laici, soprattutto dei giovani. A questo proposito, colgo volentieri l'occasione per ringraziare il Signor Cardinale Vicario, gli Eccellentissimi Vescovi delle zone, il clero e i fedeli per la cordialità e il calore della loro accoglienza.

Conto molto su questi incontri, che è mia intenzione di far coincidere, per quanto è possibile, con le visite più approfondite, svolte dai singoli Vescovi delle zone pastorali. Ritengo molto utile, in tali circostanze, il prendere contatto direttamente con i gruppi di laici, apostolicamente impegnati nella parrocchia. Tra questi, vorrei sottolineare in particolare i gruppi catechistici formati sia di genitori che di giovani la cui opera specialmente in questo tempo nel quale scarseggiano i sacerdoti, si rivela sempre più necessaria. Solo l'impegno di gruppi scelti e ben preparati, i quali sappiano coinvolgere anche le famiglie dei ragazzi in quello sforzo di maturazione nella fede che dev'essere la catechesi, può far fronte ai gravi problemi posti da una società secolarizzata.

Sulla base della collaborazione con le famiglie e nel contesto di un dialogo approfondito con i giovani, deve svilupparsi la pastorale delle vocazioni, sulla cui urgenza non è davvero il caso che io spenda qui parole. Naturalmente, non deve meravigliare che questa specifica azione pastorale si riveli più difficile in una città con milioni di abitanti. Essa tuttavia, se condotta con metodo e impegno, potrebbe alla lunga dimostrarsi, in un ambito di così largo respiro, anche più efficace. Insisterei, comunque, soprattutto sulla necessità che i sacerdoti chiedano al Signore della messe di aiutarli ad essere mediatori efficaci, con la propria vita e con il proprio insegnamento, in quest'opera di promozione delle vocazioni.


6. Nel concludere questo incontro con voi, il mio pensiero corre avanti al prossimo Giovedì Santo, quando tutto il "presbyterium", sacerdoti secolari e religiosi, si ritroverà nuovamente raccolto attorno al suo Vescovo. Quello è il giorno della nostra unità sacerdotale. Dobbiamo cercare una forma concreta di questa unità, soprattutto qui a Roma, dove - com'è noto - il clero è particolarmente differenziato. Dobbiamo pensare a ciò che può servire ad approfondire questa unità e anche a ciò che si può fare per cogliere ciò che potrebbe ostacolarla.

Dalla relazione che è stata presentata alla vostra assemblea del 15 febbraio scorso, il cui tema era "Il clero di Roma di fronte alle esigenze della diocesi", ho potuto rendermi conto dello sforzo che state conducendo per ravvivare ed incrementare le strutture di partecipazione e di collegialità, come anche per consolidare i vincoli di solidarietà e di comunione. E' un programma che merita ogni incoraggiamento, perché risponde responsabilmente a quelle esigenze di fraternità, che derivano dalla comune ordinazione sacerdotale, dal comune servizio, dalla comune missione. Coltivate, come atteggiamento abituale e consapevole del vostro spirito un vero "affectus collegialis", come lo chiamerei per analogia con il vincolo della collegialità, che unisce i Vescovi. Fa parte anche questo della vostra specifica spiritualità.

Nell'accomiatarmi da voi, tutti stringo a me in un unico spirituale abbraccio e tutti di gran cuore benedico. Quando, nel tempo pasquale, visiterete le famiglie delle vostre parrocchie, portate loro il saluto e la benedizione del Vescovo di Roma, dell'umile successore di Pietro, il Papa Giovanni Paolo II.

Data: 1979-03-02

Data estesa: Venerdì 2 Marzo 1979.


Ai Rettori dei Seminari di lingua inglese in Roma - Annunciare la Parola



Testo: La presenza qui questa mattina di un gruppo di Rettori di seminari, compresi gli importanti Collegi Pontifici, mi induce a varie considerazioni. Come Vescovo di Roma e Pastore della Chiesa universale, vi vorrei partecipi di molte mie riflessioni, miei amati fratelli e figli nel sacerdozio di Nostro Signore Gesù Cristo. Ma io spero altrettanto che le mie parole di oggi possano essere ascoltate da altri Rettori di seminari in tutto il mondo e che attraverso di loro il mio messaggio cordiale raggiunga tutti i loro studenti.

Oggi, dunque, il mio primo pensiero va a tutti i seminaristi. Vi chiedo di rivolgere loro il mio saluto, assicurandoli, nel mio nome, di quanto sia importante la loro fedeltà per la Chiesa e la loro generosità per il futuro dell'evangelizzazione e il grande ruolo cui essi sono chiamati nell'autentico rinnovamento del Popolo di Dio voluto Concilio Vaticano II. Esprimo con questo messaggio ai seminaristi il mio profondo interesse per il loro benessere e il mio profondo affetto verso di loro quali futuri collaboratori al Vangelo di Cristo.

In ragione della grande speranza che nutro nei seminaristi di questa generazione, sono particolarmente lieto di riflettere con voi, quali loro Rettori, su di un compito che è propriamente vostro. Voi siete stati incaricati dai vostri Vescovi di esercitare un ruolo di speciale guida spirituale nella Chiesa di Cristo. Oggi vorrei parlarvi di alcune questioni fondamentali per potervi confermare nella vostra missione.

Riconsiderando questa meditazione su tali questioni riconoscerete più chiaramente l'obiettivo del vostro specifico ministero di servizio nell'educazione dei futuri sacerdoti. Potrete inoltre desumere i criteri per capire cosa la Chiesa auspica che vi sia prima di ogni altra cosa, alla base della vita seminariale; potrete individuare delle norme per stabilire delle priorità nei vostri istituti e tutti gli strumenti atti a realizzare queste priorità.

Sinteticamente, la prima necessità per i seminari di oggi è l'insegnamento della parola di Dio in tutta la sua integralità e purezza, con tutte le sue implicazioni e in tutta la sua autorità. La parola di Dio - e soltanto essa - è alla base di ogni ministero, di ogni attività pastorale, di ogni azione sacerdotale. L'autorità della parola divina rappresento il fondamento dinamico del Concilio Vaticano II, e Giovanni XXIII il giorno della apertura sottolineava: "L'obiettivo maggiore del Concilio Ecumenico è il seguente: la maggiore effettiva difesa ed insegnamento del sacro deposito della dottrina cristiana". Se dunque i seminaristi di questa generazione devono essere adeguatamente preparati ad assumere l'eredità e la sfida di questo Concilio, essi devono essere conseguentemente istruiti soprattutto nella Parola di Dio: nel "sacro deposito della dottrina cristiana". Sappiamo tutti quale amore nutriva san Paolo per la parola di Dio e con quale premura egli si rivolgeva a tutti i sacerdoti della Chiesa: "Custodite la verità che vi è stata affidata dallo Spirito Santo" (2Tm 1,14) Nell'adempimento di questa sacra responsabilità, i seminaristi devono svolgere un ruolo primario e dare una testimonianza rilevante.

Una seconda questione di grande importanza che tocca profondamente i seminaristi di oggi è la disciplina ecclesiastica. Con semplicità e franchezza Giovanni Paolo I parlava al clero della "grande disciplina". In quell'occasione egli affermava: "La "grande disciplina" esige un'atmosfera adeguata. Ma soprattutto un'atmosfera di raccoglimento". Io sono convinto che con questa atmosfera adeguata e con la grazia di Dio si otterrà e si manterrà gioiosamente la grande disciplina richiesta per i seminari. Le ragioni per tutto ciò devono essere cercate nell'amore stimolante di Cristo e dei suoi discepoli.

Il sacrificio, lo sforzo e la generosità implicate nella preparazione al sacerdozio hanno senso solo se resi "propter regnum Dei". Sono resi possibili soltanto con la preghiera.

Se la parola di Dio è vista come la base di tutta la vita ed istruzione seminariale e se la grande disciplina della Chiesa viene abbracciata dai seminaristi come un servizio alla carità allora i seminari stessi divengono nelle parole di Paolo VI "case di profonda fede e di autentico ascetismo cristiano, nonché gioiose comunità sostenute dalla misericordia eucaristica" (Discorso del 16 aprile 1975).

Nei prossimi anni tutti noi dovremo lavorare per la purificazione della Chiesa, in sintonia con il Vangelo, e aderendo alle direttive del Concilio Vaticano II. Noi speriamo, così facendo, di poter offrire al Salvatore una Chiesa santa e degna del suo amore: una Chiesa in cui molti giovani, ai quali è istillato il mistero di Cristo, basando la loro vita sulla sua parola, si consegnano in una generosa preparazione per il suo ministero.

Questa preparazione e istruzione dipende ampiamente da voi. Lo ripeto: siete stati chiamati ad esercitare un ruolo di speciale guida spirituale dentro la Chiesa. Cristo dipende da voi ed è con voi.

E anche il Papa è con voi e vi benedice.

Data: 1979-03-03

Data estesa: Sabato 3 Marzo 1979.




Recita dell'Angelus - Città del Vaticano (Roma)


GPII 1979 Insegnamenti - Messaggio alla Chiesa di Roma - Città del Vaticano (Roma)