GPII 1979 Insegnamenti - A esponenti di Organizzazioni ebraiche - Città del Vaticano (Roma)

Sono sicuro che il nostro incontro di oggi, che avete così gentilmente sollecitato, è in sé un'espressione di dialogo ed un nuovo passo verso quella totale comprensione reciproca, che noi siamo chiamati a raggiungere. Nel tendere a questa meta noi tutti siamo certi di agire in sintonia ed obbedienza con la volontà di Dio, il Dio dei patriarchi e dei profeti. A Dio, dunque, io vorrei rivolgermi alla fine di queste riflessioni. Tutti noi, Ebrei e Cristiani, ci rivolgiamo a lui con le stesse preghiere, tratte dal Libro che entrambi noi consideriamo Parola di Dio. E' nel suo nome che siamo chiamati a dare ad entrambe le comunità religiose, così vicine l'una all'altra, la riconciliazione e l'amore effettivo, che sono allo stesso tempo il suo comando e il suo dono (cfr. Lv 19,18 Mc 12,30). In questo senso, io credo, ogni volta che gli Ebrei recitano lo "Shema Israel" e ogni volta che i Cristiani ripetono il primo e il secondo comandamento, noi siamo portati, per grazia di Dio, ad avvicinarci gli uni agli altri.

Come segno di comprensione e di un raggiunto amore fraterno, lasciatemi nuovamente porgere il mio cordiale benvenuto e il mio saluto a voi tutti con quella frase così piena di significato - che abbiamo preso dalla lingua ebraica - che anche noi Cristiani ripetiamo nella liturgia: la pace sia con voi. Shalom, Shalom! Data: 1979-03-12

Data estesa: Lunedì 12 Marzo 1979.





Alle esequie del Cardinale Villot - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Al servizio di Cristo per tutta la sua vita

Testo: Fratelli e figli carissimi.

1. Siamo qui raccolti intorno alla bara del nostro fratello. Se ne è andato così inaspettatamente. Ancora una settimana fa era difficile pensare che egli ci avrebbe lasciati, che la sua ora fosse così vicina. Era difficile pensarlo.

Sembrava ancora pieno di vita e di forze - nella misura della sua età ovviamente - ma ne sembrava pieno... Ci siamo sentiti molto addolorati quando siamo venuti a sapere dai medici che, malgrado queste apparenze, l'organismo risultava esaurito e indifeso.

Ci ha lasciati. Lo ha chiamato a sé il Signore della vita. "Deus, cui omnia vivunt...".

In questo momento, davanti al suo feretro, ci stringiamo attorno all'altare. Celebriamo il Santissimo Sacrificio. Noi che abbiamo vissuto ogni giorno a lui così vicini. La nostra presente liturgia, questa concelebrazione è, in certo senso, una continuazione di tutti i giorni passati insieme a lui, di tutti gli incontri, delle conversazioni, della collaborazione.


2. Io e i Cardinali abbiamo ancora bene in mente quanto egli, come Camerlengo di Santa Romana Chiesa, ci ha detto in due circostanze solenni, durante la celebrazione della Messa votiva allo Spirito Santo "Pro eligendo Summo Pontifice".

Due volte: prima, dopo la morte di Papa Paolo VI e poi, trascorse appena poche settimane, dopo la morte di Papa Giovanni Paolo I. Ha parlato qui, in questo stesso luogo. Ricordiamo quel ch'egli diceva: "In questo momento, grave e delicato, Padri eminentissimi, la sacra liturgia ci raduna tutti insieme e ci fa pregare per l'elezione del Papa, che con l'aiuto del Signore, stiamo per iniziare.

Sappiamo che, secondo la sua ineffabile promessa, Gesù è in mezzo ai noi... Viene spontaneo al pensiero, Padri eminentissimi, che Gesù si rivolga particolarmente a noi, in quest'ora solenne del Conclave - come agli apostoli riuniti nel Cenacolo -, che ci guardi negli occhi, uno per uno, chiedendoci corrispondenza totale (nei limiti, certo, della nostra debolezza umana) alla sua Volontà, al suo amore preveniente, mediante una più profonda unione con lui, una carità fraterna più vera tra di noi, e soprattutto una fedeltà convinta nell'esercizio del compito che ci viene assegnato".

E ancora, il 14 ottobre successivo, commentando la parola di Gesù: "Non c'è amore più grande che dare la vita per gli amici", (Jn 15,13) egli osservava: "Riflettiamo, fratelli, che la vita, sia tutti noi - è certo - ma sia in modo specialissimo Colui che eleggeremo, dobbiamo darla per la moltitudine dei redenti; "ut amici Christi efficiantur". Tutta la mistica missione della Chiesa è racchiusa in questo concetto; e, poiché Dio si serve degli uomini come strumenti ordinari, si vede bene quale sia lo spirito che deve animare coloro che lui sceglie per esercitare un officio di pastore, di guida, come per far conoscere per la prima volta il messaggio evangelico. Noi stessi, in quanto vogliamo considerarci - con tutte le nostre mancanze - suoi amici, tali siamo solo ed esclusivamente in virtù della sua Morte".

Ha preparato due volte, insieme con tutto il Collegio dei Cardinali, il Conclave. Fu il Segretario di Stato di Papa Paolo VI e in seguito di Giovanni Paolo I. Dopo la mia elezione, egli manifesto la propria disponibilità a lasciare questa carica. Gli chiesi pero di rimanere almeno per un certo tempo; ed è rimasto. Ha servito la Chiesa con la sua esperienza, col suo consiglio, con la sua competenza.

Gli sono per questo grato. E non posso non esprimere il mio rammarico che questa cooperazione sia stata interrotta così improvvisamente.


3. In questo momento è difficile considerare tutta la vita del defunto. I nostri frequenti incontri risalgono ai tempi del Concilio Vaticano II, nel quale in qualità di sottosegretario egli era molto attivo. A seguito della morte del suo predecessore, fu chiamato alla sede arcivescovile di Lione, ed entro pure nel Collegio dei Cardinali. Dopo il Concilio gli fu rivolto l'invito ad entrare al servizio della Santa Sede quale Prefetto della Sacra Congregazione per il Clero.

Nel maggio 1969 il Papa Paolo VI lo chiamo all'ufficio di suo Segretario di Stato.

Porto a questo posto-chiave l'esperienza pastorale di Vescovo e prima ancora di sacerdote, maturata in lunghi anni di servizio alla Chiesa in Francia, la quale si vanta del titolo di "figlia primogenita della Chiesa universale".

I biografi ci mostreranno in futuro la vita e l'opera del Cardinale Giovanni Villot in tutta la loro pienezza. Oggi ci sia lecito ripetere solo le parole del Vangelo: "Se uno mi vuol servire mi segua; e dove sono io, là sarà anche il mio servo. Se uno mi serve il Padre lo onorerà" (Jn 12,56). Proprio così.

Questa unica cosa soltanto è importante, anzi è questa la cosa essenziale. Ha seguito Cristo. Fu sempre là dove egli lo chiamo. Ha servito. La misura di tutta la sua vita è in questo servizio.


4. La misura della vita. Si. Questa vita ha già la sua misura. Si è già compiuta, è giunta al suo termine. Noi ci troviamo al cospetto di questo compimento. E in questo consiste la grandezza del momento che ora viviamo; la dignità di quest'incontro in cui si adempiono, sul nostro fratello, le parole del Signore: "Se il chicco di grano caduto in terra... muore, produce molto frutto" (Jn 12,14).

Solo allora. Quando muore... Bisogna morire affinché la vita dell'uomo porti il pieno frutto. E' arrivata l'ora, in cui la vita del Cardinale Giovanni Villot può produrre il suo pieno frutto in Dio. Nessuna vita dell'uomo nelle sue dimensioni terrestri può portare simile frutto; ed è un frutto che supera la vita, esclamando: "Io lo so che il mio Redentore è vivo", così come esclamo Giobbe nella sua prova (cfr. Gb 12,25).


5. La morte è sempre l'ultima esperienza dell'uomo ed è ineluttabile.

Un'esperienza difficile, di fronte alla quale l'anima umana prova paura. Cristo stesso non ha detto: "Ora l'anima mia è turbata; e che devo dire? Padre, salvami da quest'ora". E ha aggiunto subito: "Ma per questo sono giunto a quest'ora! Padre, glorifica il tuo nome" (Jn 12,27).

Padre, glorifica! Rimane quell'ultimo grido dell'anima, tanto contrastante con l'esperienza della morte, con l'esperienza della distruzione del corpo, in cui "tutta la creazione geme o soffre fino ad oggi" (Rm 8,22)! Eppure, gemendo e soffrendo i dolori della morte, non cessa di attendere "con impazienza la rivelazione dei figli di Dio" (Rm 8,19). E sappiamo "che le sofferenze del mondo presente non sono paragonabili alla gloria futura che dovrà essere rivelata in noi" (Rm 8,18).

Anche noi, allora, davanti a questo feretro, nello spirito di quella particolare comunione che ci univa, diamo espressione a questi desideri: Padre, perdona! Padre, assolvi! Padre purifica! Purifica nella misura della santità del tuo volto.

E alla fine: Padre, glorifica! Con tutta umiltà, ma in pari tempo con tutto il realismo della nostra fede e della speranza, innalziamo questa preghiera accanto alla bara del nostro fratello, Cardinale Giovanni Villot, Segretario di Stato.

Data: 1979-03-13

Data estesa: Martedì 13 Marzo 1979.







Ai ragazzi e giovani in San Pietro - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: E' sempre tempo di conversione

Testo: Cari ragazzi e ragazze! Carissimi giovani! Vi vedo qui, tanto numerosi e tanto pieni di vita, che mi sento veramente meravigliato e commosso! Grazie della vostra visita! Grazie ad ognuno di voi, ai vostri genitori, ai vostri insegnanti ed educatori! Saluto tutti con particolare affetto e tutti intendo stringere al mio cuore di Padre! In special modo voglio ricordare il pellegrinaggio dei Gruppi Ecclesiali Giovanili dell'Azione Cattolica della diocesi di Rieti, organizzato dal Centro di Evangelizzazione Diocesano, con mille e trecento fanciulli e adolescenti, e il pellegrinaggio degli scolari di Montecatini Terme, in diocesi di Pescia, accompagnati dal Vescovo, Monsignor Giovanni Bianchi, i quali per l'ultimo Natale costruirono un grandioso presepio.

Siete venuti a Roma anche per vedere il Papa, per sentire la parola del Vicario di Cristo, per ricevere la sua benedizione. E nella vostra vita, che io auguro lunga e bella, sempre ricorderete certamente questo incontro nella Basilica Vaticana, perché certi avvenimenti non si dimenticano più, data la loro importanza. Ma io vorrei che ricordaste anche sempre ciò che ora desidero dirvi, in questo tempo quaresimale.

Voi sapete che la Quaresima è il tempo liturgico che ci prepara alla Santa Pasqua e dura solo quaranta giorni all'anno. In realtà pero noi dobbiamo sempre tendere a Dio e cioè convertirci continuamente. La quaresima deve lasciare un'impronta forte e indelebile nella nostra vita. Deve rinnovare in noi la coscienza della nostra unione con Gesù, che ci parla della necessità della conversione e ci indica la via per realizzarla.

La prima delle vie indicate da Gesù è quella della preghiera: "sisogna pregare e mai stancarsi" (Lc 18,1). Perché dobbiamo pregare?

1. Dobbiamo pregare prima di tutto perché siamo credenti.

La preghiera è infatti il riconoscimento del nostro limite e della nostra dipendenza: veniamo da Dio, siamo di Dio e a Dio ritorniamo! Non possiamo quindi che abbandonarci a lui, nostro Creatore e Signore, con piena e totale fiducia. Alcuni affermano e cercano di dimostrare che l'universo è eterno e che tutto l'ordine che vediamo nell'universo, compreso l'uomo con la sua intelligenza e libertà, è soltanto opera del caso. Gli studi scientifici e l'esperienza sofferta di tante persone oneste dicono pero che queste idee, benché affermate e magari insegnate, non sono dimostrate e lasciano sempre smarriti e inquieti coloro che le sostengono, perché comprendono benissimo che un oggetto in movimento deve avere la spinta dall'esterno! Comprendono benissimo che il caso non può produrre l'ordine perfetto esistente nell'universo e nell'uomo! Tutto è mirabilmente ordinato, dalle particelle infinitesimali che compongono l'atomo alle galassie che ruotano nello spazio! Tutto indica un progetto, che comprende ogni manifestazione della natura, dalla materia inerte al pensiero dell'uomo! Dove c'è ordine, c'è intelligenza; e dove c'è un ordine supremo, c'è l'Intelligenza Suprema, che noi chiamiamo "Dio" e che Gesù ci ha rivelato essere Amore e ci ha insegnato a chiamare Padre! così, riflettendo sulla natura dell'universo e sulla nostra stessa vita, noi comprendiamo e riconosciamo di essere creature, limitate e tuttavia sublimi, che devono la loro esistenza all'Infinita Maestà del Creatore! Perciò la preghiera è prima di tutto un atto di intelligenza, un sentimento di umiltà e di riconoscenza, un atteggiamento di fiducia e di abbandono a Colui che ci ha dato la vita per amore. La preghiera è un dialogo misterioso ma reale con Dio, un dialogo di confidenza e di amore.


2. Noi pero siamo cristiani, e perciò dobbiamo pregare come cristiani. Infatti la preghiera per il cristiano acquista una particolare caratteristica, che le cambia totalmente l'intima natura e l'intimo valore.

Il cristiano è discepolo di Gesù; è colui che crede veramente essere Gesù il Verbo Incarnato; il Figlio di Dio venuto fra di noi su questa terra.

Come uomo, la vita di Gesù è stata una continua preghiera, un atto continuo di adorazione e di amore al Padre, e poiché la massima espressione della preghiera è il sacrificio, il vertice della preghiera di Gesù è il sacrificio della croce, anticipato con l'Eucaristia nell'Ultima Cena e tramandato con la Santa Messa per tutti i secoli. Perciò il cristiano sa che la sua preghiera è Gesù. ogni sua preghiera parte da Gesù; è lui che prega in noi, con noi, per noi.

Tutti coloro che credono in Dio, pregano; ma il cristiano prega in Gesù Cristo: Cristo è la nostra preghiera! La massima preghiera è la Santa Messa, perché nella Santa Messa è Gesù stesso presente realmente, che rinnova il sacrificio della croce; ma ogni preghiera è valida, specialmente il "Padre nostro", che lui stesso volle insegnare agli Apostoli e a tutti gli uomini della terra.

Pronunciando le parole del "Padre nostro", Gesù creo un modello concreto e assieme universale. Difatti, tutto ciò che si può e si deve dire al Padre è racchiuso in quelle sette richieste, che tutti conosciamo a memoria. C'è in esse una tale semplicità che anche un bambino le impara, ma al tempo stesso una tale profondità che si può consumare un'intera vita nel meditarne il senso.


3. Infine, dobbiamo ancora pregare perché siamo fragili e colpevoli. Bisogna riconoscere umilmente e realisticamente che siamo povere creature, confuse nelle idee, tentate al male, fragili e deboli, nella continua necessità di forza interiore e di consolazione.

- La preghiera dà la forza per i grandi ideali, per mantenere la fede, la carità, la purezza, la generosità.

- La preghiera dà il coraggio di emergere dall'indifferenza e dalla colpa, se per disgrazia si è ceduto alla tentazione e alla debolezza.

- La preghiera dà la luce per vedere e per considerare gli avvenimenti della propria vita e della stessa storia nella prospettiva salvifica di Dio e dell'eternità. Perciò, non lasciate di pregare! Non passi giorno senza che abbiate pregato un poco! La preghiera è un dovere, ma è anche una grande gioia, perché è un dialogo con Dio per mezzo di Gesù Cristo! Ogni domenica la Santa Messa, e se vi è possibile talvolta anche durante la settimana; ogni giorno le preghiere del mattino e della sera e nei momenti più opportuni.

San Paolo scriveva ai primi cristiani: "siate perseveranti e insistete nella preghiera" (Col 4,2). "Con ogni sorta di preghiera e di supplica, pregate senza interruzione" (Ep 6,18). Invochiamo Maria Santissima che vi aiuti a pregare sempre e a pregare bene, e raccomandando anche la mia Persona e la mia Missione alle vostre fervorose preghiere, tutti con grande affetto e benevolenza vi benedico.

Data: 1979-03-14

Data estesa: Mercoledì 14 Marzo 1979.





Al congresso Mondiale sulle Migrazioni - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Migrazioni: l'impegno della Chiesa

Testo: Cari fratelli, cari figli e figlie, cari amici.

Vi ringrazio dell'invito. Ho preso visione del tema del vostro Congresso e dei diversi interventi previsti. C'è bisogno di dirvi che io sono molto sensibile ai problemi pastorali che voi studiate: come assicurare alle comunità cattoliche degli emigrati l'aiuto ecclesiale, e in particolare il ministero sacerdotale, di cui hanno bisogno? Voi sapete che io ho visitato molte volte le comunità polacche all'estero; c'è al riguardo un'intera pastorale interessante e delicata da promuovere. E più generalmente, bisogna chiederci: che atteggiamento deve assumere la Chiesa locale a contatto con i migranti qualunque essi siano?.

1. Poiché l'emigrazione è un fenomeno di massa del nostro tempo, un fenomeno permanente, che assume anche nuove forme, che tocca tutti i continenti, e quasi tutti i paesi. Essa solleva gravi problemi umani e spirituali. E' una prova, vale a dire un rischio e un'occasione, per gli immigrati e per coloro che li accolgono.

Si, essa implica per i primi un grave rischio di sradicamento, di disumanizzazione e, a volte, di scristianizzazione; per i secondi un rischio di chiusura, di irrigidimento. Ma essa implica anche un'occasione di arricchimento umano e spirituale, di apertura, di accoglienza degli stranieri e di reciproco rinnovamento a contatto con essi. E per la Chiesa, è un invito ad essere più missionaria, a porsi davanti al fratello straniero, a rispettarlo, a testimoniare, in questo contesto, la sua fede e la sua carità, e ad accogliere l'apporto positivo dell'altro. La Chiesa sa cogliere questa opportunità? Fin dai primi secoli, l'ospitalità caratterizzava profondamente tutte le comunità ecclesiali. La Chiesa, che ama definirsi cattolica, cioè universale, ritrova qui una caratteristica fondamentale della sua missione.


2. Bisogna dunque, senza lasciarsi condizionare dai bisogni dei migranti, interrogare le Chiese d'origine e le Chiese di accoglienza. Le Chiese d'origine si preoccupano di accompagnare la loro "diaspora", di preparare dei "missionari" per essa, di sostenerli? E le Chiese di accoglienza, talora sopraffatte, prestano una sufficiente attenzione alla presenza degli immigrati? Prendono le necessarie misure che questa pastorale esige? Vegliano in modo particolare perché vi siano sacerdoti, religiosi, laici che si consacrino con priorità a questi ambienti che spesso rimangono marginali alla società?

3. Intendiamoci bene: la pastorale dei migranti non è solo opera di questi "missionari" distaccati: è opera di tutta la Chiesa locale, sacerdoti, religiosi e laici; è tutta la Chiesa locale che deve tener conto dei migranti, essere in atteggiamento di accoglienza, di scambio reciproco. In particolare, quando si tratta di favorire l'inserimento degli stranieri, di provvedere ai loro bisogni umani e alla loro promozione sociale, di consentire loro di esercitare le loro responsabilità civili, i sacerdoti non devono prendere il posto dei laici del paese di accoglienza, né, d'altro canto, il posto degli immigrati. Ma i "missionari" rivestono un ruolo capitale, cioè quello di educare gli uni e gli altri al proprio compito, ed hanno un contributo speciale da portare per la vitalità religiosa delle comunità dei migranti. Il loro compito, d'altra parte, è difficile e il vostro Congresso mondiale ha ragione di insistere sulla formazione e sui doveri di questi "missionari".


4. Infatti, essi devono in primo luogo raggiungere la sensibilità e la lingua dei migranti. Se sono loro compatrioti è evidentemente più facile, ma non possono nemmeno accontentarsi di trapiantare totalmente e semplicemente i metodi e i modi dell'apostolato del loro paese d'origine; mai più fare "tabula rasa". Occorre una continuità e un adattamento. Il loro cuore di pastori deve considerare gli emigrati nelle differenti dimensioni della loro complessa vita. Da una parte essi devono aiutarli a salvaguardare, diciamo piuttosto a fortificare, i loro valori religiosi, familiari, culturali, quando essi siano frutto di generazioni cristiane, perché essi rischiano di essere seriamente minacciati, senza essere veramente sostituiti. D'altra parte, non possono dimenticare che questi emigrati sono ormai segnati anche dal loro paese di accoglienza, dove del resto hanno un ruolo da giocare: i rapporti che gli adulti allacciano sul posto di lavoro, forse ancor di più i loro figli e i giovani a scuola e nel tempo libero, i mezzi di comunicazione che usano sul luogo, come la televisione, evidentemente suscitano in essi delle nuove domande, perfino una nuova mentalità, con un nuovo bisogno di espressione e di partecipazione: la pastorale deve aiutarli a far fronte a tutto ciò, a integrare armoniosamente il "nuovo" senza dimenticare l'"antico". Il sacerdote, o piuttosto i sacerdoti che sono chiamati a lavorare in équipe, con religiosi e laici, devono essere allo stesso tempo prudenti e aperti, nell'unire le due culture, soprattutto per preparare le nuove generazioni che rimarranno nel paese di accoglienza. Questo sottolinea la necessità dell'equilibrio di questi missionari, equilibrio umano, equilibrio spirituale, e anche la necessità della loro preparazione, della loro formazione permanente. Essi devono rimanere, prima di tutto, uomini di Dio e apostoli, per permettere agli emigrati di vivere pienamente la loro fede, in tutte le sue conseguenze.

Termino qui queste considerazioni che l'intero Congresso vi consente di approfondire con i Pastori e gli esperti competenti di questi problemi. I metodi, i mezzi hanno la loro importanza, ma determinante, in definitiva, è l'anima pastorale, lo zelo illuminato, la fede e la carità di chi ha una responsabilità presso i migranti. Questi deve comunicare con lo spirito del nostro unico Pastore, Gesù Cristo, che noi tutti cerchiamo di servire. Egli vi illumini e vi fortifichi, voi tutti che lavorate nella Commissione per la Pastorale dell'Emigrazione e del Turismo o in collegamento con essa. Egli sostenga lo zelo di chi, oltre questo Congresso, lavora quotidianamente alla base, al servizio diretto dei migranti, facendosi "tutto a tutti", come l'Apostolo Paolo. Li benedico tutti nel nome del Signore e benedico voi di tutto cuore.

Data: 1979-03-15

Data estesa: Giovedì 15 Marzo 1979.





Ai Rettori di Collegi Ecclesiastici - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Collegi e seminari come veri cenacoli

Testo: Fratelli carissimi! A conclusione del vostro annuale Convegno avete voluto incontrarvi col Papa, per riceverne una parola di incoraggiamento e di orientamento. Debbo dirvi che anch'io ho desiderato questo incontro per conoscervi personalmente, per esprimervi la mia viva gratitudine per il delicato ministero che svolgete come Rettori dei Collegi Ecclesiastici di Roma, e per comunicarvi, con semplicità e sincerità, alcune riflessioni.

1. In questi due giorni di riunione avete meditato e studiato insieme il tema: "I nostri giovani nel contesto giovanile di oggi", analizzandolo secondo un'articolata prospettiva.

Gli alunni dei vostri Collegi - seminaristi o giovani sacerdoti - provenienti da tutti i Continenti siano anzitutto formati ad un profondo senso della Chiesa. Essi debbono amare intensamente la Chiesa come "Cristo l'ha amata e ha dato se stesso per lei" (cfr. Ep 5,25). Il Concilio Vaticano II non ha mancato di inculcare questo elemento fondamentale per la formazione dei sacerdoti: "Gli alunni siano penetrati dal mistero della Chiesa... in maniera che, uniti in umile e filiale amore al Vicario di Cristo, e domani come sacerdoti, aderendo al proprio Vescovo come fedeli collaboratori ed aiutando i propri confratelli, sappiano dare testimonianza di quella unità con cui gli uomini vengono attirati a Cristo" (OT 9). Amore alla Chiesa, nostra Madre, che si manifesta concretamente in una responsabile e fattiva azione personale, perché essa si mostri e sia sempre "tutta gloriosa, senza macchia né ruga né alcunché di simile, ma santa e immacolata" (Ep 5,27). Quanto più i seminaristi e i sacerdoti saranno santi, tanto più santa sarà la Chiesa.


2. I vostri alunni provengono da tutte le parti del mondo in questa città di Roma, centro geografico del Cattolicesimo. Essi portano dentro di sé il loro temperamento, la loro cultura originale, le loro diversificate esperienze storiche, il loro desiderio di prepararsi, nella diocesi del successore di Pietro, al futuro ministero, che svolgeranno nelle loro diocesi e nelle loro nazioni, dopo essersi arricchiti dei grandi valori religiosi e culturali che l'Urbe ha accumulato nei secoli e continua ad offrire alle anime desiderose di verità, di bontà, di bellezza. L'esperienza del soggiorno a Roma è per un seminarista o per un giovane sacerdote un vero dono della Provvidenza: la visita orante alle sue splendide Basiliche, alle Catacombe, ai sepolcri degli innumerevoli Martiri e Santi, ai monumenti della sua plurisecolare storia, complessa e singolare, lo studio specializzato presso le Pontificie Università, la permanenza nei Collegi Ecclesiastici: tutto ciò incide profondamente nella personalità e nella maturazione di un giovane.

Auspico che i vostri alunni sappiano, con sano discernimento, cogliere e far tesoro di tutti questi elementi per la propria formazione umana e sacerdotale.

Ma, d'altra parte, auspico anche che Roma sappia sempre offrire queste ricchezze spirituali e non deluda mai le attese e le speranze di questi giovani e non deformi o distrugga l'immagine che se n'erano fatta. Possano essi far proprie e ripetere della diocesi di Roma le parole che, con fervido entusiasmo, le rivolgeva sant'Ignazio d'Antiochia: "La Chiesa amata e illuminata nella volontà di Colui che ha voluto tutte le cose che esistono... degna di Dio, di venerazione, di lode" ("Ad Romanos", Introd.).


3. Vorrei infine rivolgere il sincero augurio perché la vita comune che si pratica nei Collegi Ecclesiastici non si riduca ad un semplice complesso di rapporti esteriori, ma sia plasmata sullo spirito, che animava quella degli Apostoli e dei primi discepoli nel Cenacolo: "Tutti... erano assidui e concordi nella preghiera insieme con... Maria, la Madre di Gesù" (Ac 1,14). Ecco. Proprio questo debbono essere i Seminari, i Collegi, i Convitti Ecclesiastici di Roma: dei veri Cenacoli, in cui si respiri una vita di intensa preghiera, personale e comunitaria; una vita di carità vicendevole, fattiva ed operosa; una vita di reciproco aiuto spirituale ad esser sempre fedeli alla vocazione, e ai sacri impegni assunti davanti a Dio, alla Chiesa, alla propria coscienza.

E in voi Rettori i giovani sappiano scorgere e scoprire non soltanto il Superiore che deve preoccuparsi del buon andamento, ordinato e disciplinato, di una casa, ma la guida serena, il padre, il fratello, l'amico, e soprattutto il Sacerdote, che nel suo comportamento irradia la presenza di Cristo (cfr. Ga 2,20).

Con questi voti, a voi tutti e ai giovani dei vostri Collegi imparto di gran cuore una speciale benedizione apostolica.

Data: 1979-03-16

Data estesa: Venerdì 16 Marzo 1979.





Agli Alunni della Pontificia Accademia Ecclesiastica - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Un servizio pastorale alle Chiese locali

Testo: Desidero esprimere il mio compiacimento e la mia gioia per questo primo incontro con voi, cari Alunni della Pontificia Accademia Ecclesiastica, che siete qui convenuti, guidati dal vostro Presidente, Monsignor Cesare Zacchi, per manifestare al Vicario di Cristo sentimenti di devozione e la vostra sacerdotale promessa di fedeltà.

Vi ringrazio per il generoso dono della vostra giovinezza alla Chiesa e al suo Capo visibile e mi è caro intrattenermi con voi, cari sacerdoti, come un padre tra i figli, in un'atmosfera di cordialità e di semplicità, con voi che avete iniziato o che avete completato i corsi di preparazione al servizio della Santa Sede nelle Rappresentanze Pontificie. E' naturale che il Papa ami manifestarvi le sue attese e speranze, e voglia incoraggiarvi con ogni vigore ad intraprendere, in spirito di fede e di fiducioso abbandono nel Signore, le fatiche apostoliche che vi attendono.

Il vostro, infatti, sarà un servizio eminentemente pastorale, una "diakonia" diretta al bene delle Chiese locali, in vista di rendere sempre più operante la loro unione con la Sede apostolica. Il Rappresentante Pontificio e i suoi Collaboratori devono essere, nei differenti Paesi, come la testimonianza visibile della presenza di Colui che è stato scelto, nella successione a Pietro, per essere il fondamento di unità e il centro di coesione di tutta la Chiesa, e ha ricevuto il carisma di confermare i fratelli (Lc 22,32).

Quindi, nello svolgimento del vostro lavoro, non scevro di sacrifici, quasi sempre nascosto, talvolta non sufficientemente apprezzato, abbiate presente di essere "ministri di Cristo ed amministratori dei misteri di Dio" (1Co 4,1), nello specifico e delicato compito di dare una voce sensibile, nelle diverse parti del mondo, a Colui che Gesù volle roccia della Chiesa.

E' facile intendere, allora, come la Santa Sede segua con sollecitudine la vostra preparazione culturale, nell'intento di assicurarvi l'agevole possesso di tutti quegli strumenti, nozioni e conoscenze, che saranno necessari all'esercizio del vostro apostolato. Tuttavia, quanto sta, anzitutto, a cuore al Papa e a questa Sede apostolica, è la vostra santificazione, la vostra vita sacerdotale esemplare ed animata da convinzioni profonde di fede, da una visione sempre teologica del mondo e della storia, perché il prete, come ho detto recentemente ai Parroci e al Clero di Roma, "è posto al centro stesso del mistero di Cristo, il quale abbraccia costantemente l'umanità e il mondo, la creazione visibile e invisibile". Non potrete svolgere con frutto il vostro particolare ministero, se non avrete il cuore pieno della dedizione di Cristo, per agire anche voi, "in persona Christi", per la salvezza dei fratelli. Le conoscenze umane, pur necessarie, delle lingue, dei costumi, delle tradizioni e della storia dei popoli che avvicinerete, risulterebbero vane ed inefficaci, se non recate in cuore lo spirito di Cristo che, in adesione al disegno salvifico del Padre, ha dato se stesso per noi.

Un augurio tutto particolare desidero rivolgere a quanti, tra voi, stanno per lasciare l'Accademia per assumere, tra breve, il loro primo incarico nelle diverse Rappresentanze Pontificie: il Signore sostenga con la sua grazia il vostro lavoro; il Papa, siatene certi, vi accompagna con la sua benevolenza, il suo affetto e la sua preghiera.

Invocando su tutti la protezione della Vergine santissima, benedico di cuore e con animo grato il vostro amato Presidente, i suoi Collaboratori, tutto il Corpo insegnante e ciascuno di voi, con particolare effusione, insieme alle vostre famiglie, in pegno di abbondanti doni e consolazioni celesti.

Data: 1979-03-17

Data estesa: Sabato 17 Marzo 1979.





Recita dell'Angelus - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Rievocate la figura e l'opera di Pio XII

Testo:

1. "Ipse liberabit te..." ("Egli ti libererà...").

Queste parole provengono dal Salmo 90 che incomincia: "Qui habitat in adiutorio Altissimi..." ("Tu che abiti al riparo dell'Altissimo"), e loda la misericordiosa Provvidenza Divina. Nel momento della tentazione di Cristo, il tentatore si è riferito alle parole di questo Salmo. Cercando di convincere il Messia a gettarsi giù dal pinnacolo del tempio di Gerusalemme, gli ricordo che "ai suoi angeli darà ordine a tuo riguardo, ed essi ti sorreggeranno con le loro mani, perché non abbia a urtare contro un sasso il tuo piede" (Mt 4,6).

E allora, come sappiamo, Cristo rimprovero il tentatore, dicendo: "Non tentare il Signore Dio tuo" (Mt 4,7). Lo rimprovero per l'abuso delle parole divine, per la loro perversa interpretazione e per la falsificazione della verità contenuta in esse.

"Ipse liberabit te...".

Nel periodo di Quaresima la Chiesa ogni giorno ritorna a queste parole nella Liturgia delle Ore. Ogni giorno ci ricorda il senso proprio della liberazione dell'uomo, che Dio ha compiuto e continua a compiere in Cristo. Ogni giorno nel periodo di Quaresima la Chiesa ci raccomanda di meditare questa frase del Salmo 90, affinché la liberazione sia da noi partecipata: liberazione dal peccato, liberazione dalla concupiscenza della carne, dalla concupiscenza degli occhi, dalla superbia della vita (cfr. 1Jn 2,16), liberazione da ciò che più coarta l'uomo, anche se gli permette di conservare l'apparenza dell'autonomia.

L'uomo salva queste apparenze a prezzo del possesso e dell'uso delle cose, a prezzo di un potere che non intende come servizio ma come un servirsi degli altri, usando spesso la prepotenza, a prezzo del suo prossimo. La vera liberazione dell'uomo, la liberazione che gli porta Cristo, è anche liberazione dalle apparenze della liberazione, dalle apparenze della libertà, che non sono la vera libertà.

"Ipse liberabit te...".

All'inizio e durante la Quaresima la Chiesa ci chiama ad inchinare il capo davanti a Dio. Quando rialziamo questo capo vediamo Cristo, Redentore dell'uomo, che ci insegna con tutta la sua vita e poi in maniera definitiva con la passione e la morte che cosa significa "essere libero", che cosa vuol dire fare buon uso della libertà che appartiene all'uomo, che cosa significa utilizzare pienamente il dono della libertà.

Questo è l'insegnamento del Vangelo. E' l'insegnamento particolare della Quaresima. Bisogna che noi, in questo periodo, ci rendiamo conto davanti a Cristo quale uso facciamo della nostra libertà. Preparandoci alla confessione pasquale, dobbiamo farne un approfondito esame di coscienza.


2. Desidero, poi, oggi ricordare il grande Papa Pio XII che quaranta anni fa, proprio all'inizio del mese di marzo 1939, fu chiamato alla Sede di Pietro. Si era quasi alla vigilia della seconda guerra mondiale...

Non dimentichero mai la profonda impressione che ho avuto quando mi si offri l'occasione di vederlo per la prima volta da vicino. E' successo durante l'udienza concessa ai giovani sacerdoti e ai seminaristi del Collegio Belga.

Quando Pio XII avvicinandosi a ciascuno dei presenti arrivo a me, il Rettore del Collegio (oggi Cardinale de Furstenberg) disse che provenivo dalla Polonia. Il Papa si fermo un momento, con una evidente emozione ripeté "dalla Polonia", e disse in polacco "Sia lodato Gesù Cristo". Ciò ebbe luogo nei primi mesi dell'anno

1947, poco meno di due anni dopo la fine della seconda guerra mondiale, che fu una prova terribile per l'Europa e specialmente per la Polonia.

In questo 40° anniversario dall'inizio di quel significativo pontificato, non possiamo dimenticare quanto Pio XII contribui alla preparazione teologica del Concilio Vaticano II, soprattutto per quanto riguarda la dottrina circa la Chiesa, le prime riforme liturgiche, il nuovo impulso dato agli studi biblici, la grande attenzione ai problemi del mondo contemporaneo.

Fare memoria di quella grande anima, quindi, è nostro debito naturale nell'odierna preghiera a Maria, di cui egli fu tanto devoto, come tutti ben sappiamo.

(Recita l'Angelus e prosegue:) Desidero rivolgere anche uno speciale saluto ai numerosi pellegrini, che sono oggi qui convenuti in occasione della marcia della "Fiaccola benedettina".

Fra alcuni minuti accendero tale fiaccola, che un gruppo di giovani porterà, attraverso Montecassino, Subiaco e altri luoghi del Lazio e dell'Umbria, fino a Norcia, dove resterà accesa per tutto il tempo delle feste in onore di san Benedetto, del quale ricorre quest'anno il quindicesimo centenario della nascita, e di santa Scolastica.

Saluto poi gli alunni del Collegio Germanico ed Ungarico, che qui a San Pietro terminano il loro pellegrinaggio delle sette Chiese di Roma. E' una pia pratica tanto cara a san Filippo Neri, il grande santo di Roma, e molto sentita durante i secoli.

A tutti il mio compiacimento, i miei voti e la mia benedizione.

Data: 1979-03-18

Data estesa: Domenica 18 Marzo 1979.






GPII 1979 Insegnamenti - A esponenti di Organizzazioni ebraiche - Città del Vaticano (Roma)