GPII 1979 Insegnamenti - Ai giovani studenti Napoletani - Città del Vaticano (Roma)

Ai giovani studenti Napoletani - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Siate forti nella fede

Testo: Carissimi ragazzi e ragazze! Siete venuti numerosi, pieni di vita e di gioia, a trovare il Papa. E il Papa vi accoglie con viva cordialità ed amicizia sincera, perché sa che siete voi, giovani, il germe prezioso, che darà il suo frutto domani nella Chiesa e nella società; egli sa che siete voi l'avvenire e che nelle vostre mani e nei vostri cuori è il destino dell'umanità.

Il Papa desidera, perciò, che voi siate ora e sempre il buon grano in mezzo alla zizzania, la quale - come avverte il Vangelo con sapiente realismo - continuerà purtroppo a crescere nel campo della storia.

Nell'esprimervi, pertanto, la mia riconoscenza per questa vostra visita, tanto bella e gradita, mi è caro rivolgermi a voi con una parola dell'apostolo Pietro, che resti nei vostri cuori come un ricordo e una consegna: "Siate forti nella fede" (1P 5,9).

1. Siatelo innanzitutto mediante la conoscenza approfondita e graduale del contenuto della dottrina cristiana. Non basta essere cristiani per il Battesimo ricevuto o per le condizioni storico-sociali in cui si è nati e si vive. Man mano che si cresce negli anni e nella cultura, si affacciano alla coscienza nuovi problemi e nuove esigenze di chiarezza e di certezza. Bisogna allora mettersi responsabilmente alla ricerca delle motivazioni della propria fede cristiana. Se non si diventa personalmente coscienti e non si ha una adeguata comprensione di ciò che si deve credere e dei motivi di tale fede, ad un certo momento tutto può crollare fatalmente ed essere spazzato via, nonostante la buona volontà di genitori e di educatori.

Perciò, oggi specialmente è tempo di studio, di meditazione, di riflessione. Vi dico pertanto: usate bene della vostra intelligenza, impegnatevi a raggiungere convinzioni esatte e personali, non perdete tempo, approfondite i motivi e i fondamenti della fede in Cristo e nella Chiesa, per essere forti ora e nel vostro avvenire.


2. Si è forti nella fede, inoltre, per mezzo della preghiera.

Già san Paolo raccomandava: "Pregate incessantemente" (1Th 5,17). Si può infatti conoscere perfettamente la Sacra Scrittura, si può essere dotti nella filosofia e nella teologia e non aver fede, o fare naufragio nella fede; perché è sempre Dio che chiama per primo a conoscerlo e ad amarlo nel modo giusto.

Bisogna perciò essere umili di fronte all'Altissimo; bisogna mantenere il senso del mistero, perché tra Dio e l'uomo rimane sempre l'infinito; bisogna ricordare che di fronte a Dio e alla sua Rivelazione non è tanto questione di capire con la propria limitata ragione, ma piuttosto di amare.

Per questo Gesù diceva: "Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenute nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli. Si, o Padre, perché così è piaciuto a te!" (Mt 11,25-26).

Ecco, carissimi giovani, il pensiero che il Papa vi affida stamani: sia esso di guida e di sostegno al vostro impegno generoso.

Con la mia apostolica benedizione.

Data: 1979-03-24

Data estesa: Sabato 24 Marzo 1979.





A un gruppo di lavoratori fiorentini - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Devono rivivere in voi i buoni sentimenti dei tempi gloriosi

Testo: Siate benvenuti, figli carissimi! La vostra visita mi è particolarmente gradita: voi venite da Firenze, città nota e cara in ogni parte del mondo per la nobiltà delle sue tradizioni e per lo splendore della sua arte. La vostra presenza risveglia nel mio animo le emozioni profonde che vi si impressero a suo tempo, quando ebbi occasione di contemplare i prodigi architettonici, che si rivelano allo sguardo del turista ammirato, o quando potei sostare, confuso tra i visitatori, dinanzi agli affreschi delle chiese, alle pale degli altari, ai dipinti conservati nelle pinacoteche, o quando non mi stancavo di osservare con meraviglia sempre nuova le sculture che abbelliscono le piazze ed arricchiscono i musei, o, infine, quando salivo a piazzale Michelangelo per gustare lo spettacolo della città adagiata sulle rive dell'Arno, entro la cerchia delle colline svaporanti nel crepuscolo della sera.

Firenze è città unica al mondo; chi ha l'onore di abitarvi deve essere consapevole dell'impegno che questo comporta: le inestimabili ricchezze di storia, di arte, di fede, di cui gli antichi hanno arricchito templi, edifici, contrade, restano per le generazioni succedentisi, anche per la vostra dunque, come perenne invito ad un confronto stimolante e creativo. La nobiltà dei sentimenti, la generosità dell'animo, la cortesia dei modi, che distinsero i cittadini migliori di quei tempi gloriosi, devono costituire anche per gli odierni abitanti di Firenze una impegnativa consegna.

Questo vale particolarmente per chi, come voi addetti ai Monopoli di Stato, attende ad un servizio che comporta un assiduo contatto col pubblico eterogeneo dei turisti; e vale in modo specialissimo per voi, addetti all'Azienda della Nettezza Urbana, cui spetta il compito di rinnovare, ogni giorno, tutta la freschezza del suo fascino, il volto meraviglioso della Città. Chi può misconoscere, infatti, il benefico influsso che esercitano sull'animo dell'uomo il decoro, l'ordine, il buon gusto, soprattutto quando essi contribuiscono ad assicurare il limpido assetto di un ambiente che fa da cornice ad inestimabili tesori di bellezza? La familiarità con questi valori diventa per l'uomo una sorta di scuola che lo educa e, a mano a mano, lo apre alla percezione di un mondo di valori più alti, i quali, trascendendo le realtà sensibili, lo introducono alla contemplazione della Bellezza assoluta, che splende sul volto stesso di Dio.

L'augurio del Papa è che questa consapevolezza guidi e sostenga la vostra quotidiana fatica. Affido questi miei voti alla materna protezione di Colei che oggi veneriamo nel mistero della sua Annunciazione, mistero particolarmente caro all'anima mariana della vostra Città che, anticamente, faceva addirittura coincidere l'inizio dell'anno con questo giorno centrale del mistero della salvezza.

Quali capolavori immortali non sono sbocciati dal pennello ispirato dei vostri pittori, quando essi hanno tentato - e quante volte lo hanno fatto - di tradurre nella magia delle linee e dei colori le emozioni provate di fronte a quel dialogo, nel quale si decisero le sorti dell'umanità intera! Nel rinnovare alla Vergine Santa l'espressione della comune gratitudine per quel "fiat" che ha ridato a noi tutti la gioia e la speranza, io concedo di gran cuore a voi e alle vostre famiglie la mia apostolica benedizione, pegno di paterna benevolenza ed auspicio dei più eletti doni del cielo.

Data: 1979-03-24

Data estesa: Sabato 24 Marzo 1979





Recita dell'Angelus - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Annuncio del viaggio in Polonia

Testo:

1. ILaetare, Ierusalem": "Rallegrati, Gerusalemme".

Con queste parole inizia la liturgia della Santa Messa dell'odierna quarta Domenica di Quaresima. Questo invito alla gioia coincide con la data dell'Annunciazione del Signore che di per sé è già sorgente di gioia e di speranza per tutti coloro che insieme con Maria accettano questo annunzio. Benché a causa di tale coincidenza con la domenica di Quaresima la solennità dell'Annunciazione sia stata anticipata alla giornata di ieri, sabato, sarebbe difficile non ricordare questa data odierna: il 25 marzo. Tanto più che la preghiera che reciteremo fra poco, l'"Angelus", ci ricorda costantemente proprio l'Annunciazione. "L'Angelo del Signore reco l'annuncio a Maria, ed ella concepi per opera dello Spirito Santo". E' dunque questa la solennità del Concepimento verginale di Cristo nel seno di Maria per opera dello Spirito Santo. Meditando questa verità centrale della nostra fede, ricordiamo contemporaneamente con quale spirito Maria abbia accolto l'annuncio: "Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto" (Lc 1,38). Vediamo chiaramente da queste parole che lo Spirito Santo ha riempito il suo cuore della fede, speranza e carità, che erano necessarie in quel momento decisivo per la storia della salvezza dell'uomo.


2. Ed ecco che noi tutti qui adunati e coloro che si uniscono a noi per il tramite della radio o della televisione per recitare oggi, come tutte le domeniche, la preghiera dell'"Angelus", ripetiamo le parole di Maria e insieme meditiamo tutto l'evento salvifico. E mediante questo evento accettiamo tanto più volentieri l'odierno invito quaresimale della Chiesa: "Laetare, Ierusalem"! Rallegrati, Gerusalemme! La Chiesa esprime così la sua gioia e, in pari tempo, invita ad essa come frutto di quel lavoro spirituale che si compie durante la Quaresima.

La Quaresima deve essere il tempo dell'impegno e dello sforzo spirituale più di qualsiasi altro periodo nell'anno liturgico. Ma proprio questo sforzo, questa fatica dà occasione alla gioia. La Chiesa durante la Quaresima vive nella prospettiva della gioia della Risurrezione. L'odierno invito domenicale alla gioia ci ricorda anche questa prospettiva; ma ancor più è la gioia che proviene dalla fatica.

Tale gioia proviamo ogni volta che dominiamo la nostra pigrizia spirituale, la pusillanimità, l'indifferenza; sempre risentiamo la gioia quando ci risulta che siamo capaci di esigere qualcosa da noi stessi; che siamo capaci di dare qualcosa di noi stessi a Dio e al prossimo. Una vera gioia spirituale è quella che nasce dalla fatica, dallo sforzo.


3. Il periodo di Quaresima ci stimoli perciò a compiere i nostri doveri cristiani.

Ritroviamo la gioia che ci dà la partecipazione all'Eucaristia. La Messa domenicale diventi per noi il punto culminante di ogni settimana. Ritroviamo la gioia che proviene dalla penitenza, dalla conversione: da questo splendido Sacramento di riconciliazione con Dio, che Cristo ha istituito per ristabilire la pace nella coscienza dell'uomo. Intraprendiamo la fatica spirituale che esige da noi la Quaresima per essere capaci di accettare con tutta la profondità dello spirito questo odierno invito della Chiesa: "Laetare, Ierusalem".


4. Desidero infine collegare con questa data dell'Annunciazione l'annuncio del mio viaggio in Polonia. Ringrazio, per l'invito, la Conferenza Episcopale come anche le Autorità civili della Polonia.

Davvero imperscrutabili sono i decreti della Provvidenza che così permette di celebrare il novecentesimo anniversario del martirio di san Stanislao al Papa che fino a poco fa ne era il successore nella sede vescovile di Cracovia.

Affido questo servizio papale nella mia patria a Colei che nel giorno dell'Annunciazione ha detto: "Eccomi, sono la serva del Signore".

Affido questo servizio, al quale mi preparo con l'anima e col cuore, anche alle vostre preghiere.


5. Come sapete, domani dovrà essere firmato l'accordo di pace tra l'Egitto e Israele. Preghiamo intensamente perché questo avvenimento, che sancisce la pace tra due Paesi dopo tanti anni di guerre e di tensioni, segni un impulso decisivo dato al processo dinamico della pace, che tutti auspichiamo per l'intera regione del Medio Oriente, nel rispetto dei diritti e per il bene di tutte quelle popolazioni, e perché la fraternità e la concordia tornino a regnare nella Terra benedetta dove Gesù è nato e ha vissuto.

Data: 1979-03-25

Data estesa: Domenica 25 Marzo 1979.





A un pellegrinaggio di bellunesi - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Nel nome di Giovanni Paolo un segno di intima consonanza

Testo: Carissimi figli della terra bellunese.

Sono lieto di poter finalmente esaudire oggi il vostro desiderio di un incontro col Papa, che già il mio venerato e compianto predecessore e vostro illustre conterraneo di felice memoria, Giovanni Paolo I, aveva gioiosamente accolto, senza poterlo tuttavia realizzare a motivo della sua improvvisa e prematura scomparsa.

Saluto pertanto, con particolare effusione di sentimenti tutti voi, che siete convenuti qui tanto numerosi; in special modo, intendo salutare il Vescovo di Belluno e di Feltre, Monsignor Maffeo Ducoli, l'Ingegner Vincenzo Barcelloni Corte, Presidente dell'Associazione Emigranti Bellunesi e tutte le altre numerose Autorità qui presenti.

Carissimi, vi ringrazio della vostra presenza in questa casa pontificia e della generosa somma che avete voluto mettermi a disposizione per gli emigranti del Terzo Mondo. Vi assicuro di accogliervi con non minore affetto di quanto avrebbe fatto al mio posto l'amato e indimenticabile Papa Giovanni Paolo I, come voi bellunese e figlio di emigranti, e, come me, successore di Pietro su questa Cattedra romana. L'aver voluto io mantenere e continuare lo stesso nuovo nome da lui adottato, è un segno esterno di una consonanza intima, e indice di una medesima intenzione di ministero pastorale.

Vorrei indirizzarmi a voi come lui avrebbe certamente fatto, con semplicità e sapienza, e con tanta letizia spirituale. Vi esorto, perciò, innanzitutto a essere sempre fieri della vostra terra generosa, in qualunque parte del mondo vi troviate: non per angusto campanilismo, ma con l'affezione che ogni essere vivente e pur mortale deve conservare per le proprie radici terrene. Ma in più, ricordate costantemente che per noi cristiani "la nostra patria è nei cieli" (Ph 3,20) e che quindi non dobbiamo conformarci alla mentalità di questo mondo (cfr. Rm 12,2). Dovunque vi troviate, perciò, vi si offre sempre l'occasione per una testimonianza di limpida fede e di schietta carità, che le vostre native e riconosciute tradizioni di laboriosità e di tenacia possono rendere ancor più forte ed efficace. So che voi Bellunesi siete sparsi nei cinque continenti e avete un notevole spirito di corpo, favorito da opportune attività associative. Ebbene, non posso che incoraggiare le vostre specifiche iniziative, in modo tale che esse promuovano non solo gli indispensabili valori umani, ma anche quelli tipici del Vangelo, nel quale soltanto ogni uomo può trovare la propria salvezza totale.

Carissimi, voi sapete che, se pur le strade del mondo per le quali camminate sono tante e diverse, la meta finale è uguale per tutti. Il mio augurio è che il vostro cammino sia reso ogni giorno più lieto e spedito dalla presenza confortatrice del Signore nostro, al quale paternamente vi raccomando, mentre di gran cuore concedo la particolare benedizione apostolica a tutti voi e a quanti vi sono cari.

Data: 1979-03-25

Data estesa: Domenica 25 Marzo 1979.





Omelia nella parrocchia di Santa Croce in Gerusalemme (Roma)

Titolo: La Croce: rivelazione definitiva di Dio

Testo:

1. Oggi il Papa viene a visitare la parrocchia, la cui chiesa ha il titolo di Santa Croce in Gerusalemme ed è una delle Stazioni quaresimali. Grazie a questo fatto possiamo riferirci alle tradizioni quaresimali di Roma. Tali tradizioni, a cui indirettamente partecipava tutta la Chiesa cattolica, erano legate ai singoli santuari di Roma antica, presso i quali, ogni giorno di Quaresima, si riunivano fedeli, clero e Vescovi. In spirito di penitenza visitavano i luoghi santificati dal sangue dei martiri e dalla memoria orante del Popolo di Dio. Proprio nella quarta domenica di Quaresima la Stazione quaresimale si celebrava in questo santuario, in cui adesso ci troviamo. Le circostanze della vita contemporanea, il grande sviluppo territoriale di Roma esigono che durante la Quaresima si visitino piuttosto le parrocchie situate nei quartieri nuovi della città.

L'odierna liturgia domenicale inizia con la parola: "Laetare", "rallegrati!", con l'invito cioè alla gioia spirituale. Io mi rallegro perché anche questa domenica mi è dato di trovarmi in un luogo santificato dalla tradizione di tante generazioni; nel santuario della Santa Croce, che oggi è Stazione quaresimale e, nello stesso tempo, è la vostra chiesa parrocchiale.


2. Vengo qui per adorare in spirito, insieme con voi, il mistero della Croce del Signore. Verso questo mistero ci orienta il colloquio di Cristo con Nicodemo, che rileggiamo oggi nel Vangelo. Gesù ha davanti a sé uno scriba, un dotto nella Scrittura, un membro del Sinedrio e, nello stesso tempo, un uomo di buona volontà.

Perciò decide di avviarlo al mistero della Croce. Ricorda dunque, prima, che Mosè innalzo nel deserto il serpente di rame durante il cammino di quarant'anni in Israele dall'Egitto alla Terra Promessa. Quando qualcuno, che era stato morso dal serpente nel deserto, guardava quel segno restava in vita (cfr. Nb 21,4-9). Questo segno, che era il serpente di rame, preannunciava un'altra Elevazione: "Bisogna - dice addirittura Gesù - che sia innalzato il Figlio dell'uomo" - e qui parla dell'elevazione sulla Croce - "perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna" (Jn 3,14-15). La Croce: non già più soltanto la figura che preannuncia, ma la realtà stessa della salvezza! Ed ecco, Cristo spiega fino in fondo al suo interlocutore, stupefatto ma nello stesso tempo pronto ad ascoltare e a continuare il colloquio, il significato della Croce: "Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna" (Jn 3,16).

La Croce è una nuova rivelazione di Dio. E' la rivelazione definitiva.

Sulla strada del pensiero umano a Dio, sulla strada dell'intendere Dio si compie un rovesciamento radicale. Nicodemo, l'uomo nobile e onesto e al tempo stesso seguace e intenditore dell'Antico Testamento, ha dovuto risentire una scossa interiore. Per tutto Israele Dio era soprattutto Maestà e Giustizia. Veniva considerato come giudice, che ricompensa e punisce. Dio, di cui parla Gesù, è Dio che manda il proprio Figlio non "per giudicare il mondo ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui" (Jn 3,17). Egli è Dio dell'amore, il Padre che non retrocede davanti al sacrificio del Figlio per salvare l'uomo.


3. San Paolo, con lo sguardo fisso alla stessa rivelazione di Dio, ripete oggi per due volte nella lettera agli Efesini "Per grazia... siete stati salvati" (Ep 2,5).

"Per grazia... siete salvi mediante la fede" (Ep 2,8). Eppure questo Paolo, così come anche Nicodemo, fino alla sua conversione fu l'uomo della Legge Antica. Sulla strada di Damasco gli si rivelo Cristo e da quel momento Paolo capi di Dio ciò che oggi proclama: "...Dio, ricco di misericordia, per il grande amore col quale ci ha amati, da morti che eravamo per i peccati, ci ha fatti rivivere con Cristo: per grazia infatti siete salvati" (Ep 4,5). Che cosa è la Grazia? "E' un dono di Dio".

Il dono che si spiega col suo Amore. Il dono è là dove è l'amore. E l'Amore si rivela mediante la Croce. così ha detto Gesù a Nicodemo. L'Amore, che si rivela mediante la Croce, è proprio la Grazia. In essa si svela il più profondo Volto di Dio. Egli non è soltanto il giudice. E' Dio di infinita maestà e di estrema giustizia. E' Padre, che vuole che il mondo sia salvato; che capisca il significato della Croce.

Questa è l'eloquenza più forte del significato della Legge e della pena.

E' la parola che parla in modo diverso alle coscienze umane. E' la parola che obbliga in modo diverso dalle parole della Legge e dalla minaccia della pena. Per capire questa parola bisogna diventare un uomo trasformato. L'uomo della Grazia e della Verità. La Grazia è un dono impegnativo! Il dono di Dio vivo, che impegna l'uomo per la vita nuova! E in questo proprio consiste quel giudizio, di cui anche Cristo parla a Nicodemo: la Croce salva e, insieme, giudica. Giudica diversamente.

Giudica più profondamente. "Chiunque infatti fa il male, odia la luce"... proprio questa stupenda luce, che emana dalla Croce!... "Ma chi opera la verità viene alla luce" (Jn 3,20-21). Viene alla Croce. Si sottomette alle esigenze della Grazia.

Vuole che lo impegni quell'indicibile Dono di Dio. Che formi tutta la sua vita.

Quest'uomo sente nella Croce la voce di Dio, che rivolge la parola ai figli di questa nostra terra, allo stesso modo come ha parlato, una volta, agli esuli d'Israele mediante Ciro, re della Persia, con l'invocazione di speranza. La Croce è invocazione di speranza.


4. Bisogna che noi, raccolti presso questa Stazione quaresimale della Croce di Cristo, ci poniamo queste domande fondamentali, che fluiscono verso di noi dalla Croce. Che cosa abbiamo fatto e cosa facciamo per conoscere meglio Dio? Questo Dio, che ci ha rivelato Cristo. Chi è Egli per noi? Quale posto occupa nella nostra coscienza, nella nostra vita? Domandiamoci di questo posto, perché tanti fattori e tante circostanze tolgono a Dio questo posto in noi. Dio non è già diventato per noi solo un margine? Il suo nome non è stato coperto nella nostra anima con un mucchio di altre parole? Non è stato calpestato, come quel seme caduto "lungo la strada" (Mc 4,4)? Non abbiamo rinunciato interiormente alla redenzione mediante la Croce di Cristo, mettendo al suo posto altri programmi puramente temporali, parziali, superficiali?

5. Il Santuario della Santa Croce è luogo in cui dobbiamo farci queste domande fondamentali. La parrocchia è una comunità, rianimata dalla Croce di Cristo.

Cosa dire della vostra comunità parrocchiale? Auspico che essa, viva e operosa fin dal 1910, sia sempre pulsante di vita cristiana, fecondata dalla fervorosa ed assidua frequenza dei sacramenti dell'Eucaristia e della Riconciliazione; illuminata dalla continua catechesi a tutti i livelli, per l'approfondimento della Parola di Dio, e per la conoscenza di Gesù Cristo, si esprima in una fattiva e generosa dedizione verso i fratelli in qualunque modo bisognosi della nostra opera e del nostro affetto.

Cogliendo l'occasione da questa visita odierna, che è nello stesso tempo un pellegrinaggio al Santuario della Croce di Cristo, mi unisco con tutti voi qui presenti.

Desidero unirmi col parroco, al cui zelo e alla cui responsabilità è affidata questa porzione del Popolo di Dio; con i sacerdoti che collaborano con lui nella pastorale parrocchiale; con la comunità monastica dei Cistercensi, che fanno rivivere nella preghiera e nel sacrificio lo spirito di san Bernardo; mi unisco con i padri e le madri, che si donano con esemplare abnegazione per il bene dei loro figli; mi unisco con i giovani e le giovani, che vogliono portare il loro contributo di idee e di operosità per la crescita di una società migliore; mi unisco ai ragazzi e ai bambini, che rendono lieto questo mondo con la loro naturale innocenza; mi unisco con le religiose, che svolgono il loro apostolato nell'ambito della parrocchia: le Apostole del Sacro Cuore, le Figlie di Nostra Signora al Montecalvario, le Suore dell'Apostolato Cattolico, le Suore Carmelitane, le Figlie di Nostra Signora della Purità, le Suore Adoratrici del Preziosissimo Sangue, le Suore di San Giuseppe, le Suore dei Poveri di San Vincenzo, le Suore Terziarie Francescane d'Ognissanti, le Suore Figlie della Misericordia, le Figlie del Sacro Cuore, le Suore Oblate Cistercensi della Carità.

Ma, in particolare, mi unisco con i poveri, con i malati, con gli anziani, con tutti coloro che soffrono la solitudine, l'incomprensione, l'emarginazione, la fame di affetto, e chiedo ad essi di unirsi con Cristo sospeso alla Croce, e di offrire le loro sofferenze per la Chiesa e per il Papa.

E con umiltà confessiamo le nostre colpe, le nostre negligenze, la nostra indifferenza nei confronti di questo Amore, che si è rivelato nella Croce.

E contemporaneamente ci rinnoviamo nello spirito con il grande desiderio della Vita, della Vita della Grazia, che eleva continuamente l'uomo, lo rinforza, lo impegna. Quella grazia che dà la piena dimensione alla nostra esistenza sulla terra.

Così sia.

Data: 1979-03-25

Data estesa: Domenica 25 Marzo 1979.





Lettera al Cardinale Cooke (Arcivescovo di New York)

Titolo: Per il centenario della cattedrale di San Patrizio

Testo: All'amato e venerato fratello Cardinale Terence Cooke Arcivescovo di New York.

Celebrando la Chiesa di New York il centenario della Cattedrale di San Patrizio, è una gioia profonda per me comunicarvi la mia spirituale vicinanza in questo momento. Sono unito a te e a tutti i fedeli nella vostra preghiera di lode e di ringraziamento per le molte grazie concesse nel corso di un secolo in questa casa di Dio.

Insieme a voi, rendo grazie per il culto reso alla Santissima Trinità durante gli ultimi cento anni, come Gesù Cristo, "lo stesso ieri, oggi e sempre" (He 13,8) ha fedelmente rinnovato attraverso il ministero sacerdotale della sua Chiesa, il suo Sacrificio d'amore, associando nella sua oblazione l'intero popolo di Dio.

In questo luogo di preghiera, generazioni di cattolici hanno trovato sollievo e forza nella compagnia del Signore Eucaristico, rendendogli il supremo omaggio della loro adorazione. Nei confessionali, migliaia di uomini, donne e bambini hanno incontrato Cristo nel suo Sacramento di Riconciliazione e sono stati riempiti della pace e della gioia di Cristo. Qui, con la parola e con il sacramento, il Signore Gesù ha davvero comunicato con il suo popolo edificando e fortificando la comunità dei credenti, chiamandoli tutti all'apostolato nella Chiesa e manifestando in alcuni il patto del suo amore attraverso il Sacramento del matrimonio, e inviando altri come sacerdoti a proclamare il Mistero Pasquale.

Attraverso molti atti sacri, lo Spirito Santo ha alimentato nei cuori dei fedeli copiosi frutti di giustizia e di santità di vita.

Per una particolare predisposizione della Provvidenza divina, il mio amato predecessore Paolo VI venne nella Cattedrale di San Patrizio ad adorare il Santissimo Sacramento, e proclamo dal santuario il suo messaggio di pace che raggiunse i confini della terra. Io stesso ebbi due volte la gioia di celebrare qui il Sacrificio della Messa.

La mia speranza più profonda, in questa felice ricorrenza, è che la comunità ecclesiale locale, rappresentata da questo edificio di pietra (cfr. 1P 2,5), possa essere rinnovata nella fede di Pietro e Paolo - la fede in Nostro Signore Gesù Cristo - e che ciascuno di voi trovi nuovo vigore per un'autentica vita cristiana. Prego affinché, in questa Chiesa, la parola di Dio, invocata in tutta la sua purezza e integrità, in tutte le sue implicazioni e in tutta la sua forza, produca nuove meraviglie di grazia per la presente e per le future generazioni.

Affido queste speranze e queste preghiere a Maria, Madre di Dio e Madre della Chiesa, chiedendole di sostenere nella generosità e nella gioia tutto il clero, i religiosi e tutti i laici della città di New York. Nel nome santo di Gesù imparto a tutti voi la mia particolare benedizione apostolica.

Data: 1979-03-25

Data estesa: Domenica 25 Marzo 1979.





Ai ragazzi in San Pietro - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Partecipare agli altri il proprio bene

Testo: Carissimi giovani.

Lo spettacolo grandioso ed esaltante di questa Basilica, eretta sulla tomba del Principe degli Apostoli e del primo Vicario di Cristo, la quale ogni Mercoledì torna a fremere di gioia festosa per la vostra giovanile presenza, è sempre per me motivo di conforto e di speranza, e m'induce ad intraprendere, ogni volta con nuova intensità di affetto, un dialogo semplice e diretto.

Siate tutti i benvenuti. Ad ognuno di voi, personalmente, rivolgo il mio saluto e il mio grazie e, in particolare, desidero ricordare il "pellegrinaggio giovanile" di Civita Castellana e di Caprarola, guidato dal Vescovo Monsignor Marcello Rosina; il Pellegrinaggio di tremila studenti della diocesi di Tursi-Lagonegro, anch'esso presieduto dal Vescovo, Monsignor Vincenzo Franco; e inoltre i duemila alunni e alunne degli Istituti dell'Unione Romana delle Orsoline, provenienti da varie regioni d'Italia.

Cari ragazzi e ragazze, stiamo percorrendo con intensità d'impegno il sacro tempo quaresimale, che ci prepara alla Pasqua e che ci sospinge ad approfondire e a vivere la nostra responsabilità di Cristiani, di battezzati, di membra vive del Corpo Mistico di Cristo. Nei precedenti Mercoledì ho parlato della nostra responsabilità verso Dio, che potremmo sintetizzare nella parola: adorazione, il riconoscimento cioè di Dio nella sua realtà di Assoluto, di Creatore, di Padre, mediante la preghiera; ho ancora accennato al dovere verso noi stessi, che si riassume in un'altra espressione cara alla tradizione ecclesiale: il digiuno, inteso quale rinuncia alle cose, al fine di ottenere un dominio su di esse, che ci renda disposti al bene, atti al sacrificio, aperti all'amore.

Proprio di questo amore, della disponibilità verso il prossimo, verso l'altro - dimensione oggi tanto congeniale alla coscienza giovanile - desidero ora far cenno, nel sottoporre alla vostra attenzione il terzo esercizio ascetico caratterizzante il periodo quaresimale, quello dell'elemosina: "Ravvedetevi... e fate elemosina" (cfr. Mc 1,15 e Lc 12,33).

Nell'ascoltare la parola "elemosina", la vostra sensibilità di giovani amanti della giustizia e desiderosi di un'equa distribuzione della ricchezza potrebbe sentirsi ferita e offesa. Mi sembra di poterlo intuire. D'altra parte, non crediate di essere soli nell'avvertire una simile reazione interiore; essa è in sintonia con l'innata fame e sete di giustizia che ogni uomo reca con sé. Anche i profeti dell'Antico Testamento, quando rivolgono al Popolo d'Israele l'invito alla conversione ed alla vera religione indicano la riparazione delle ingiustizie verso i deboli e gli indifesi, quale via maestra per il ripristino di un genuino rapporto con Dio (cfr. Is 58,6-7). Eppure la pratica dell'elemosina viene raccomandata in tutto il testo sacro, sia nell'Antico che nel Nuovo Testamento: dal Pentateuco ai Libri Sapienziali, dal libro degli Atti alle Lettere Apostoliche. Ebbene, attraverso uno studio dell'evoluzione semantica della parola, sulla quale si sono formate incrostazioni meno genuine, noi dobbiamo ritrovare il significato vero dell'elemosina e soprattutto la volontà e la gioia di fare l'elemosina.

Parola greca, elemosina significa etimologicamente compassione e misericordia. Diverse circostanze e influssi di una mentalità riduttiva hanno svisato e sconsacrato in certo modo il suo primigenio significato, riducendolo talvolta a quello di un atto senza spirito e senza amore.

Ma l'elemosina, in se stessa, va intesa essenzialmente come atteggiamento dell'uomo che avverte il bisogno degli altri, che vuol partecipare agli altri il proprio bene. Chi vorrà dire che non ci sarà sempre un altro, che abbia bisogno di aiuto, anzitutto spirituale, di sostegno, di conforto, di fraternità, di amore? Il mondo è sempre troppo povero di amore.

Così definita, l'elemosina è atto di altissimo valore positivo, della cui bontà non è permesso dubitare, e che deve trovare in noi una disponibilità fondamentalmente di cuore e di spirito, senza della quale non esiste vera conversione a Dio.

Anche se non disponiamo di ricchezze e di capacità concrete per sovvenire ai bisogni del prossimo, non possiamo sentirci dispensati dall'aprire il nostro animo alle sue necessità e dall'alleviarle nella misura del possibile.

Ricordatevi dell'obolo della vedova, che getto nel tesoro del tempio solo due spiccioli, ma insieme tutto il suo grande amore: "Essa, infatti, nella sua miseria aveva dato tutto quanto aveva per vivere" (Lc 21,4).

Carissimi, il discorso è attraente, ci porterebbe lontano: lo lascio continuare alla vostra riflessione. Vi accompagnino verso la gioia pasquale il mio affetto, la mia benevolenza, la mia benedizione.

Data: 1979-03-28

Data estesa: Mercoledì 28 Marzo 1979.








Alla Fondazione "Pro Oriente" - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Progredire nel dialogo con le Chiese ortodosse

Testo: Eminenza e Eccellenza Reverendissima, Gentili Signore ed Egregi Signori.

La visita che già lo scorso anno avete fatto a Papa Giovanni Paolo I come delegazione del Consiglio di amministrazione della Fondazione "Pro Oriente" guidati dal vostro Fondatore e Presidente, e che oggi potete ripetere al suo successore, fa parte di uno degli imperscrutabili e imprevedibili disegni di Dio.

Vi ricevo perciò, in certo senso, in rappresentanza del mio indimenticabile predecessore e con ancora più grande gioia vi do il mio cordiale benvenuto.

"Pro Oriente" si occupa da 15 anni (rispettando pienamente il nome della fondazione) del dialogo con le Chiese ortodosse, ed in particolare, negli ultimi anni, del dialogo con le Chiese orientali antiche. Come ho brevemente sottolineato nella mia prima enciclica, la vera attivita ecumenica significa "apertura, avvicinamento, disponibilità al dialogo, comune ricerca della verità nel pieno senso evangelico e cristiano" (RH 6). Le numerose riunioni, i dialoghi, le sedute di studio e le pubblicazioni attraverso cui, sia a livello di contatti personali che di ricerca scientifica qualificata, avete contribuito ad una comprensione più profonda dei diversi sviluppi e delle diverse tradizioni storiche delle singole Chiese d'Occidente e d'Oriente e a una conoscenza più cosciente della ricca e comune eredità e degli insegnamenti, sono serviti alla realizzazione di questo desiderio. Oggi potete essere soddisfatti dei notevoli successi ottenuti.

La creazione della fondazione ecumenica "Pro Oriente" è stata dunque una risposta nobile, e nello stesso tempo adeguata, della Chiesa locale di Vienna al particolare compito ecumenico indicato dal Concilio Vaticano II. Esso, nel suo decreto, ha esortato coloro i quali si vogliono impegnare per il pieno ristabilimento dell'unità tra le Chiese orientali e la Chiesa cattolica "affinché tengano in debita considerazione questa speciale condizione della nascita e della crescita delle Chiese d'Oriente, e la natura delle relazioni vigenti fra esse e la Santa Sede di Roma prima della separazione, e si formino un equo giudizio di tutte queste cose. Se tutto questo sarà accuratamente osservato, contribuirà moltissimo al dialogo inteso" (UR 14).

Ringraziandovi a nome di Nostro Signore e della Chiesa per il lodevole lavoro ecumenico svolto sino ad ora dalla vostra fondazione "Pro Oriente", vi prego di continuare in questo compito e sforzo con costante fervore. Il viaggio di studio a Roma e ad Istanbul possa rafforzarvi ed incoraggiarvi in tal senso.

Attraverso la sua persona, Eminenza Reverendissima, porgo l'espressione della mia devozione e il mio saluto fraterno nel Signore a Sua Santità il Patriarca ecumenico Demetrius I, con il quale vi incontrerete personalmente tra pochi giorni. A voi tutti imparto di cuore la mia benedizione apostolica con i migliori auguri per giorni pieni di successo e per una buona continuazione del vostro viaggio.

Data: 1979-03-29

Data estesa: Giovedì 29 Marzo 1979.


GPII 1979 Insegnamenti - Ai giovani studenti Napoletani - Città del Vaticano (Roma)