GPII 1979 Insegnamenti - Alla Fondazione "Pro Oriente" - Città del Vaticano (Roma)





A tipografi e giornalisti del Vaticano - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Il Cristo sconosciuto è la grande tragedia della storia

Testo: Carissimi fratelli e amici nel Signore! Come già gli anni passati, voi dipendenti della Tipografia Poliglotta Vaticana e de "L'Osservatore Romano" vi siete preparati con alcuni giorni di Esercizi Spirituali all'adempimento del Precetto Pasquale; e questa mattina siete qui radunati per incontrarvi comunitariamente e personalmente con Gesù, con l'Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo, con Colui che è la nostra "Pasqua".

E io ben volentieri ho accolto l'invito di trovarmi con voi per partecipare a questo rito mistico e solenne, e per rendere sempre più cordiali e personali i rapporti tra il Vicario di Cristo e i Dipendenti dei vari organismi del Vaticano.

Siete qui per celebrare la "Pasqua", secondo il comando autorevole e materno della Chiesa e, volendo lasciarvi un ricordo che vi serva come riflessione e come esortazione a propositi seri e costanti, prendo lo spunto dalle letture della odierna Liturgia.

1. Nel capitolo settimo del Quarto Vangelo, l'Evangelista Giovanni annota accuratamente la perplessità di molte persone di Gerusalemme circa la vera identità di Gesù. Era la festa delle "Capanne", a ricordo della dimora degli Ebrei nel deserto, c'era gran movimento di gente nella Santa Città, e Gesù insegnava nel tempio. Alcuni dicevano: "Non è costui quello che le autorità religiose cercano di uccidere? Ecco, egli parla liberamente e non gli dicono niente. Che forse i capi abbiano riconosciuto davvero che egli è il Cristo? Ma costui sappiamo di dov'è; il Cristo invece, quando verrà, nessuno saprà di dove sia".

Sono affermazioni che indicano la perplessità degli ebrei di quel tempo: attendono il Messia, sanno che il Messia avrà qualcosa di arcano e di misterioso, pensano che potrebbe anche essere Gesù, dati i prodigi che compie e la dottrina che insegna; ma non ne sono sicuri per il fatto che l'Autorità religiosa ufficiale gli è contro e addirittura vorrebbe eliminarlo.

E Gesù allora spiega il motivo della loro perplessità e della loro non-conoscenza della sua vera identità: essi si basano solo sui connotati esterni, civili e familiari, e non vanno oltre la sua natura umana, non penetrano l'involucro della sua apparenza. "Certo, voi mi conoscete e sapete di dove sono.

Eppure io non sono venuto da me e chi mi ha mandato è veritiero, e voi non lo conoscete. Io pero lo conosco, perché vengo da lui ed egli mi ha mandato".

E' un avvenimento storico, narrato dal Vangelo; ma è anche il simbolo di una realtà perenne: molti non sanno o non vogliono sapere chi è Gesù Cristo, e rimangono perplessi e sconcertati. Anzi, come allora nel Tempio, dopo il suo discorso cercarono di arrestarlo, così talvolta certuni lo impugnano e lo combattono. Voi invece sapete chi è Gesù; voi conoscete di dove è venuto e perché è venuto! Voi sapete che Gesù è il Verbo Incarnato, è la Seconda Persona della Santissima Trinità che ha assunto un corpo umano, è il Figlio di Dio fatto uomo, morto in croce per la nostra salvezza, risorto glorioso e sempre presente con noi nell'Eucaristia.

Ciò che Gesù diceva agli Apostoli nell'Ultima Cena, vale anche per tutti i cristiani illuminati dal Magistero della Chiesa: "Questa è la vita eterna: che conoscano te, l'unico vero Dio, e colui che hai mandato Gesù Cristo... Ho fatto conoscere il tuo nome agli uomini che mi hai dato dal mondo... Essi sanno che tutte le cose che mi hai dato vengono da te perché le parole che hai dato a me, io le ho date a loro; essi le hanno accolte e sanno veramente che sono uscito da te e hanno creduto che tu mi hai mandato... Padre giusto, il mondo non ti ha conosciuto, ma io ti conosco e questi sanno che tu mi hai mandato" (Jn 17,3-9 Jn 17,25).

La grande tragedia della storia è che Gesù non è conosciuto, e perciò non e amato, non è seguito. Voi conoscete il Cristo! Voi sapete chi è! Il vostro è un grande privilegio! Sappiate esserne sempre degni e consapevoli! Di qui nasce la vostra gioia "pasquale" e la vostra responsabilità cristiana. L'incontro "pasquale" con Gesù eucaristico vi dia la forza di approfondire questa conoscenza di Gesù, di fare della vostra fede un punto fermo di riferimento, nonostante l'indifferenza o l'ostilità di gran parte del mondo in cui dobbiamo vivere.


2. Il libro della Sapienza, analizzando le caratteristiche dell'uomo giusto e dell'uomo malvagio, tratteggia in modo pratico come deve essere la testimonianza del cristiano cosciente e coerente. Il giusto - dice il libro della Sapienza - proclama di possedere la conoscenza di Dio e si dichiara figlio del Signore: si vanta di avere Dio per Padre. Possedere la conoscenza di Dio! Avere Dio per Padre! Sono affermazioni enormi, che mettono in crisi i filosofi! Ebbene, il cristiano sa e testimonia di conoscere Dio come Padre, come Amore, come Provvidenza.

Dio è il Signore della vita e della storia e nel suo amore paterno il cristiano si abbandona con fiducia. La vita del giusto è diversa da quella degli altri, e del tutto diverse sono le sue strade, e così finisce con l'essere di rimprovero e di condanna per coloro che non vivono rettamente, accecati dalla malizia e non vogliono conoscere "i segreti di Dio". Il cristiano infatti è nel mondo, ma non è del mondo (cfr. Jn 17,16); la sua vita deve essere necessariamente diversa da quella di chi non ha fede.

La sua condotta, il suo costume di vita, il suo modo di pensare, di fare scelte, di valutare le cose e le situazioni sono diversi, perché avvengono alla luce della parola di Cristo, che è messaggio di vita eterna.

Infine - sempre secondo la Sapienza - il giusto afferma beata la sua morte, mentre i malvagi "son sperano salario dalla santità e non credono alla ricompensa delle anime pure" (Sg 2,22).

Il cristiano deve vivere nella prospettiva dell'eternità. Talvolta la sua vita autenticamente cristiana può suscitare anche la persecuzione, aperta o subdola: "Vediamo se le sue parole sono vere: mettiamolo alla prova con insulti e tormenti, per conoscere la mitezza del suo carattere e saggiare la sua rassegnazione". La certezza dell'eterna felicità che ci attende rende forte il cristiano contro le tentazioni e paziente nelle tribolazioni. "Hanno perseguitato me - disse il Divin Maestro - perseguiteranno anche voi" (Jn 15,20).

Faccio voti che l'incontro pasquale con Gesù vi porti la gioia e la forza della testimonianza, convinti che dopo il dolore terribile del Venerdì Santo sgorga la letizia gloriosa della Domenica di Risurrezione!

3. Infine, la liturgia ci fa ancora meditare sulla debolezza e fragilità umana, e sulla necessità di confidare totalmente nella misericordia di Dio: "Il Signore è vicino a chi ha il cuore ferito, Egli salva gli spiriti affranti... Chi in lui si rifugia, non sarà condannato" (Ps 33).

Sempre, ma specialmente nella società moderna, così convulsa e violenta, il cristiano sente il bisogno di ricorrere al Signore con la preghiera e mediante i sacramenti.

Continuate allora anche voi ad attingere luce e forza dai Sacramenti della Penitenza e dell'Eucaristia, in cui Dio "ha posto il rimedio alla nostra debolezza"; accogliete con gioia i frutti della Redenzione e manifestateli nella vostra vita quotidiana, in casa, sul lavoro, nel tempo libero, nelle varie attività, convinti che chi riceve Cristo deve trasformarsi in lui: "Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue, dimora in me e io in lui. Come il Padre che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia di me, vivrà per me" (Jn 6,56-57).

Grande onore! Sublime impegno! Con questi voti, chiedendo la particolare assistenza di Maria santissima, auguro di cuore a tutti che la vostra vita e quella dei vostri cari possa sempre godere e far godere la gioia della Pasqua cristiana.

Data: 1979-03-30

Data estesa: Venerdì 30 Marzo 1979.





Ai giovani di Comunione e Liberazione - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: La liberazione di Cristo nella comunione della Chiesa

Testo: Carissimi.

Siate i benvenuti. Questo entusiasmo spontaneo e festoso, con il quale avete accolto il mio arrivo in quest'aula, è testimonianza di affetto sincero ed è anche espressione ben chiara della fede profonda che avete nel ministero ecclesiale, a me affidato da Cristo.

E' una grande gioia per me la vostra presenza oggi. E non posso dire che ci incontriamo per la prima volta; non so quante volte già ci siamo incontrati prima. Io mi ricordo tutti quegli incontri in Polonia. E devo dire che quegli incontri hanno portato i loro frutti, perché oggi non sapevo all'ingresso chi si trovasse in quest'Aula; è gioventù italiana o polacca? mi domandavo.

Tanti incontri: mi ricordo bene quelli in Kroscienko, e poi una volta anche a Cracovia.

Ma si deve parlare adesso del vostro pellegrinaggio. Ho sempre pensato di essere un pellegrino abbastanza fedele, fedele a Czestochowa e a Jasna Gora, ma ho incontrato anche qui persone che hanno fatto il pellegrinaggio da Varsavia a Czestochowa due volte, a piedi. Invece io l'ho fatto solamente una volta e non da Varsavia, ma da Cracovia, che è una strada più breve. Allora voi siete stati pellegrini tante volte in Polonia. Voi venite a Kroscienko, venite un po' dappertutto durante l'estate quando si fanno quelle, cosiddette, oasi, assemblee, esercizi spirituali dei giovani polacchi. Voi venite volentieri e passate quei giorni con loro. E poi venite per partecipare a quel pellegrinaggio da Varsavia a Czestochowa, lungo, se non mi sbaglio, duecentocinquanta chilometri, e la strada non è tanto facile.

L'ultimo anno il numero dei partecipanti italiani era il più elevato e penso che di quei pellegrini il maggior numero fosse costituito da giovani del vostro Movimento.

Una volta mi ricordo, forse è bene che io mi ricordi, non leggo; una volta, ma sarà l'ultimo ricordo per il momento, mi ricordo a Cracovia, dopo quel pellegrinaggio Varsavia-Czestochowa, è venuto un gruppo, un gruppo italiano, sono venuti nella mia Cappella a Cracovia nella casa Arcivescovile e hanno cantato in polacco. Io non ho potuto discernere: sono quelli di Comunione e Liberazione o sono quelli del nostro "Movimento per la Chiesa viva"? E così non ci incontriamo dunque per la prima volta.

Vi dico che è per me soprattutto una grandissima gioia quest'incontro oggi, e spero che una tale gioia, una gioia simile ci sarà sempre.

1. Desidero manifestarvi il conforto e la soddisfazione che questo incontro con voi mi procura. Ripetutamente ho già avuto occasione di testimoniare la fiducia che nutro nei giovani e dappertutto: in Polonia, in Messico, in Italia. La fiducia che nutro nel loro entusiasmo generoso per ogni causa nobile e grande, nella loro disponibilità pronta e disinteressata al sacrificio per gli ideali in cui credono.

L'attestazione di questa fiducia io rinnovo a voi stamane, a voi che credete in Cristo, nel quale è posta la vera speranza del mondo, perché è lui "la luce vera, quella che illumina ogni uomo" (Jn 1,9). Voi vi siete proposti di portare in ogni ambiente, nel quale la Provvidenza vi ha posti a vivere, a servire, ad amare, il messaggio rinnovatore della fede perché siete convinti che nel Vangelo è possibile trovare la risposta appagante a tutti gli interrogativi che assillano l'uomo. La vostra proposta ha raccolto consensi, pur tra contrasti e opposizioni e so che anche avete sofferto.

Allora tra contrasti e opposizioni voi avete visto convergere su di voi e a voi affiancarsi altri giovani, ai quali il vostro esempio ha dischiuso nuovi orizzonti di donazione, di autorealizzazione e di gioia.

Avete dunque potuto toccare con mano quanto il nostro mondo abbia bisogno di Cristo. E' importante che continuiate ad annunciare con umile coraggio la sua parola salvatrice. Da questa soltanto può, infatti, venire la vera liberazione dell'uomo. Ha scritto san Giovanni, con espressione incisiva: "Il Verbo ha dato il potere di diventare figli di Dio" (Jn 1,12). In Cristo, cioè, è posta la sorgente della forza che trasforma interiormente l'uomo, il principio di quella vita nuova che non svanisce e non passa, ma dura per la vita eterna (cfr. Jn 4,14).

Solo nell'incontro con lui può quindi trovare appagamento quella inquietudine nella quale - come annotavo nella mia recente Enciclica - "batte e pulsa ciò che è più profondamente umano: la ricerca della verità, l'insaziabile bisogno del bene, la fame della libertà, la nostalgia del bello, la voce della coscienza" (RH 18). E' logico, pertanto, che "la Chiesa, cercando di guardare l'uomo quasi con gli occhi stessi di Cristo, si faccia sempre più consapevole di essere la custode di un grande tesoro, che non le è lecito sciupare".

A tale consapevolezza, e agli impegni che ne derivano, è chiamato a partecipare ogni cristiano. Anche voi dunque, giovani, carissimi giovani, che nel nome stesso prescelto per qualificare il vostro movimento, "Comunione e Liberazione" (devo dire che mi piace molto questo nome, mi piace per molti motivi: per un motivo teologico e per un motivo direi ecclesiologico. E' talmente congiunto tale nome con l'ecclesiologia del Vaticano II. Poi mi piace per la prospettiva che ci apre: la prospettiva personale, interiore e la prospettiva sociale: Comunione e Liberazione. Per la sua attualità, questo è il compito della Chiesa oggi: un compito che si esprime appunto nel nome "Comunione e Liberazione"), con questo nome, dunque, avete mostrato di essere ben consci delle aspettative più profonde dell'uomo moderno. La liberazione, a cui il mondo anela - avete ragionato - è Cristo; Cristo vive nella Chiesa; la vera liberazione dell'uomo avviene dunque nell'esperienza della comunione ecclesiale; edificare questa comunione è perciò l'essenziale contributo che i cristiani possono dare alla liberazione di tutti.

E' una intuizione profondamente vera: non posso che esortarvi a trarne con coerenza tutte le logiche conseguenze. La Chiesa è essenzialmente un mistero di comunione: direi che è un invito alla comunione, alla vita nella comunione.

Nella comunione, diciamo, verticale e nella comunione orizzontale; nella comunione con Dio stesso, con Cristo e nella comunione con gli altri. E' la comunione che spiega una piena relazione tra persona e persona. La Chiesa è essenzialmente un mistero di comunione: comunione intima e sempre rinnovata con la sorgente stessa della vita che è la Santissima Trinità; comunione di vita, di amore, di imitazione, di sequela del Cristo, Redentore dell'uomo, il quale ci inserisce strettamente a Dio; di qui scaturisce l'operante autentica comunione d'amore tra noi, in forza della nostra assimilazione ontologica a lui.

Invito alla comunione. Vivete con generoso slancio le esigenze che scaturiscono da tale realtà. Cercate perciò di fare unità nei pensieri, nei sentimenti, nelle iniziative intorno ai vostri parroci e con essi intorno al Vescovo che è il "visibile principio e fondamento di unità nella Chiesa particolare" (LG 23). Mediante la comunione con il vostro Vescovo voi potete raggiungere la certezza di essere in comunione con il Papa, con tutta la Chiesa; di essere in comunione col Papa che vi ama, che ha fiducia in voi e che molto attende dalla vostra azione al servizio della Chiesa e di tanti fratelli ai quali Cristo non è ancora giunto con la luce del suo messaggio.

Tra i criteri di autenticità che il mio grande predecessore Paolo VI poneva ai movimenti ecclesiali nell'esortazione apostolica "Evangelii Nuntiandi" (EN 58), ve n'è uno che merita di essere attentamente meditato: le "comunità di base", Paolo VI diceva, saranno "luogo di evangelizzazione" e "speranza per la Chiesa" se resteranno "fermamente attaccate alla Chiesa particolare, nella quale si inseriscono e alla Chiesa universale, evitando così il pericolo di isolarsi in se stesse, di credersi poi l'unica autentica Chiesa di Cristo, e quindi di anatemizzare le altre comunità ecclesiali".

Sono parole dettate da una vasta esperienza pastorale, e voi siete in grado di apprezzarne tutta la saggezza. Abituatevi a confrontare con esse ogni vostra iniziativa concreta: da tale costante impegno di verifica dipende l'efficacia apostolica della vostra attività, che sarà allora espressione autentica della missione salvatrice della Chiesa nel mondo.


2. Io ho detto che quel nome, Comunione e Liberazione, ci apre una prospettiva interiore insieme e sociale. Interiore perché ci fa vivere nella comunione con gli altri, con i più vicini; ci fa cercare questa comunione nella nostra strada personale, nella nostra amicizia, nel nostro amore, nel nostro matrimonio, nella nostra famiglia. Poi nei diversi ambienti: è molto importante mantenere quel livello di comunione nei rapporti intraumani, interpersonali. Quel livello della comunione nei rapporti fra gli uomini, fra le persone. Esso ci permette di creare una liberazione autentica, perché l'uomo si libera nella comunione con gli altri, non nell'isolamento; non individualmente, ma con gli altri, tramite gli altri, per gli altri. Questo è il pieno senso della comunione da cui scaturisce la liberazione. E la liberazione, come ho detto anche in un discorso del Mercoledì in quest'Aula, la liberazione comporta diversi significati. Molto dipende dall'ambiente sociale e culturale: liberazione vuol dire cose diverse. Altra cosa è in America Latina, altra cosa in Italia, altra cosa è in Europa ed ancora altra cosa in Europa Occidentale o in Europa Orientale, altra cosa nei Paesi africani, ecc. Si deve cercare quella incarnazione della liberazione che è giusta nel particolare contesto nel quale viviamo noi. Ma la liberazione si ottiene sempre nella comunione e mediante la comunione.

Carissimi, concludendo questo incontro e queste parole so che non hanno

toccato tutti gli argomenti possibili; hanno toccato, direi, solamente i punti più essenziali: il significato del vostro nome; ma speriamo che ci siano altre occasioni per andare avanti e per approfondire; non si può dire tutto in una volta; è meglio che gli uditori rimangano un po' affamati; ebbene, nel concludere questo incontro desidero lasciarvi una consegna: con la Chiesa andate fiduciosamente verso l'uomo. Nell'Enciclica ho indicato precisamente nell'uomo la principale via sulla quale deve camminare la Chiesa, "perché l'uomo - ogni uomo senza eccezione alcuna - è stato redento da Cristo, liberato da Cristo, perché con l'uomo - ciascun uomo senza eccezione alcuna - Cristo è in qualche modo unito, anche quando quell'uomo non è di ciò consapevole" (RH 14). A tale certezza si alimenti la vostra testimonianza cristiana e da essa tragga ogni giorno nuovo slancio e nuova freschezza.

Facciamo adesso un piccolo intervallo, per impartire la benedizione.

Sono sicuro che non si deve dire niente altro, soltanto accogliere questa benedizione e lasciarla ascoltare nei nostri cuori. Ma prima della benedizione voglio ancora indirizzarmi al vostro Padre Spirituale. E poi voglio indirizzarmi anche al vostro Presidente che mi ha parlato all'inizio, che mi ha introdotto e che mi ha offerto anche quel quadro brasiliano. Sono grato del vostro dono, sono grato all'artista, al pittore; sono gratissimo al pittore che l'ha fatto. E adesso possiamo pregare, dare la benedizione. Dopo ci verranno alcune idee ed alcune parole.

(...) Adesso alcune parole che ci sono venute durante la preghiera.

Parola prima: voglio ringraziarvi per il fatto che mi avete introdotto nel pontificato: il primo giorno siete venuti portando anche un'iscrizione in polacco. Ma io ho subito pensato: non sono polacchi quelli che la portano, perché - vi spiego perché no - perché c'era uno sbaglio, un errore ortografico. La prima parola che ci è venuta durante la preghiera.

La seconda: allora, se le cose stanno come stanno, dobbiamo cantare adesso "Otojes gen". Dobbiamo cantare insieme, perché è vero ciò che esprime quel canto.

C'è ancora una idea, una parola. Perché io vi lascio così un po' affamati, non toccando tutti gli argomenti? Perché ho previsto nella prossima settimana, giovedi, di incontrarmi con gli studenti di Roma per un'adunanza pasquale, per una celebrazione eucaristica nella Basilica di San Pietro, una celebrazione pasquale. Il Cardinale Vicario ha detto: Pasqua con gli studenti.

Allora non devo dire troppo oggi, per lasciare un po' da dire nella prossima settimana.

Basta così.

Data: 1979-03-31

Data estesa: Sabato 31 Marzo 1979.



Lettera all'Arcivescovo di Praga - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: A 250 anni dalla canonizzazione di san Giovanni Nepomuceno

Testo: Al Venerabile Fratello Francesco Cardinale Tomasek Arcivescovo di Praga.

Venerabile e diletto Fratello, il 19 marzo prossimo cadrà il 250° anniversario della canonizzazione di san Giovanni Nepomuceno; pertanto celebreremo anche il 16 maggio la sua festa liturgica in un modo più solenne degli altri anni.

Se di questi avvenimenti ti rallegri tu, Arcivescovo della stessa città che il glorioso Martire illustro con la sua costanza e rese più illustre con il suo martirio; e se tutto il Popolo di Dio gode con te al ricordo di un sacerdote così venerabile, non meno mi rallegro io, che sempre ho amato con profonda pietà questo eroe della fede, e che ho sentito crescere la mia venerazione verso di lui da quando Dio, nel suo misterioso consiglio, mi ha scelto ad essere Vescovo di Roma e Pastore della Chiesa universale.

In questa eterna città, infatti, il Santo venne come pellegrino nel giubileo del 1390. Qui, nella Basilica Lateranense, fu dichiarato Santo dal mio predecessore Benedetto XIII nel 1729. Qui un cinquantennio fa venne fondato in suo onore il Pontificio Collegio Nepomuceno. Qui, infine, immagini e statue testimoniano amore, culto e venerazione tributatigli sia da parte dei Sommi Pontefici, che del semplice popolo fedele.

Tutto ciò apre il mio cuore alla lode, all'ammirazione e alla preghiera per ottenere la sua intercessione sul suo popolo e sulla Chiesa intera. Infatti il culto del Vostro patrono si è diffuso oltre le frontiere della Boemia e specialmente fra le nazioni vicine. In Polonia dalla quale provengo, e in particolare nell'arcidiocesi di Cracovia, incontriamo spesso le sue immagini e soprattutto le statue collocate di solito vicino ai ponti o ai fiumi per ricordarne il martirio.

Se ora vogliamo considerare brevemente la nobile figura del Santo, la storia ce lo presenta prima come dedito allo studio e alla preparazione al sacerdozio: consapevole com'era che, secondo l'espressione di San Paolo, sarebbe stato trasformato in altro Cristo, egli trasformo l'anima in tempio casto dello spirito. Con uguale pietà fu parroco di San Gallo, nella città di Praga; poi canonico; poi Vicario Generale. In questo ufficio, che lo rendeva in qualche modo corresponsabile del governo della sua chiesa, egli trovo il suo martirio e insieme la sua gloria. E poiché egli, più che altri, difese i diritti e la legittima libertà della Chiesa di fronte ai voleri del Re Venceslao IV, più degli altri si attiro l'ira del monarca. Questi partecipo personalmente alla sua tortura, che ne causo la morte; poi lo fece gettare dal ponte nel fiume Moldava. così le sue acque furono santificate dal corpo e sangue del Martire e divennero il suo primo sepolcro. Ciò avvenne la notte del 20 marzo 1393. La luce di quella notte si diffuse in tutto il mondo, e dura ancora, vivissima. Qualche decennio dopo la morte dell'uomo di Dio, si diffuse la voce che il Re l'avesse fatto uccidere per non aver voluto violare il segreto della confessione. E così il martire della libertà ecclesiastica fu venerato anche come testimone del sigillo sacramentale.

A ragione, mio venerabile e diletto Fratello, il tuo predecessore, Arcivescovo di Praga di allora, il popolo e poi la Chiesa lo acclamarono santo.

Del resto, l'esame delle sue reliquie fatto da una Commissione di Dotti negli anni 1971-1973 ha confermato le torture subite da Giovanni Nepomuceno, i cui vestigi restano ancora come sigillo nelle sue ossa, custodite a Praga come cosa santa e venerabile.

A questo punto, venerabile e diletto Fratello, non posso fare a meno di esortare me stesso, te, i tuoi sacerdoti, il tuo popolo a considerare con profonda umiltà di cuore le eccelse virtù del vostro santo patrono, sia per ammirarle, sia per imitarle.

E prima di tutto la sua fede, viva come fiamma ardente. Essa è non solo principio e radice di ogni giustificazione, ma sviluppa in noi tali certezze, da renderci impavidi nella confessione e nella pratica della nostra religione.

Additandoci i beni eterni, oggetto della nostra speranza, e vedendo le cose "sub specie aeternitatis", essa rende più facile un equo giudizio sui beni di questo mondo e sul loro uso.

La fede, inoltre, rendendoci presente Dio, è anche fonte di perfezione morale. Il cristiano sa per fede che l'attività d'ogni giorno è ostia gradita al Signore, quando sia accompagnata dalla purezza delle intenzioni, dalla carità, dalla donazione di sé.

La viva fede, quindi, ci indurrà sempre più servire ai nostri fratelli, così come dice il Signore Gesù nella descrizione del Giudizio universale (Mt 25,31ss). In tal modo sarà dimostrato che la fede non soltanto nutre le virtù nel cuore dell'individuo, ma contribuisce anche notevolmente all'edificazione della società, ispirando i credenti all'onestà, fedeltà, sincerità, lealtà, amore per la famiglia e al senso della giustizia.

La figura grandiosa di san Giovanni, venerabile Fratello, ha esempi e doni per tutti. Ma poiché egli fu sacerdote, parroco e Vicario Generale, sembra naturale che per primi i sacerdoti debbano bere alla sua fontana. E' vero, il modello dei modelli è Gesù, a cui la voce del Padre rimanda, ma anche i santi sono nostri modelli, avendo amato Dio sopra ogni cosa. Ebbene, san Giovanni incarna in sé sia l'ideale del conoscitore dei Misteri di Dio, teso come fu alla perfezione delle virtù, allo studio, alla disciplina; sia del parroco, che santifica i suoi fedeli con l'esempio della sua vita e con lo zelo delle anime; sia del Vicario Generale, scrupoloso esecutore dei suoi doveri in armonia con la volontà del suo Arcivescovo nello spirito dell'ubbidienza ecclesiale.

La lezione che ne scaturisce, venerabile e diletto Fratello, è che anche noi tutti, e cioè i sacerdoti, dobbiamo rivestirci delle sue virtù, ed essere degli eccellenti pastori. Il buon pastore conosce le sue pecore, le loro esigenze, le loro necessità. Le aiuta a districarsi dal peccato, a vincere gli ostacoli e le difficoltà che incontrano. A differenza del mercenario, egli va in cerca di esse, le aiuta a portare il loro peso e sa sempre incoraggiarle. Medica le loro ferite e le cura con la grazia, soprattutto attraverso il sacramento della riconciliazione.

Le nutre con la parola di Dio, preparando accuratamente le sue omelie; le forma alla pietà e al rispetto per la verità; insegna loro a evitare ogni ipocrisia e ogni menzogna. Sa incoraggiarle con il suo esempio personale, con la sua forza d'animo e con la sua saggezza. Non pensa a se stesso ma solo alla salvezza delle anime, sapendo che anche le più belle parole sono inefficaci se non sono fondate sulla testimonianza della vita (cfr. LG 29).

Infatti, il Papa, il Vescovo e il Sacerdote non vivono per se stessi ma per i fedeli, così come i genitori vivono per i figli e come Cristo si diede al servizio dei suoi Apostoli: "Il Figlio dell'uomo non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita in riscatto per molti" (Mt 20,28).

Tali sacerdoti, fedeli alla consegna del loro Signore, il quale venne "per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi" (Jn 11,52), sono anche costruttori di una vera comunione che diventa terreno fertile per le vocazioni spirituali. Queste devono essere oggetto della sollecitudine di noi tutti, diletto Fratello, e noi tutti ne siamo responsabili (cfr. PO 11).

Le vocazioni maturano poi nei seminari. Qui si insegna la sacra Dottrina; qui i futuri messaggeri della Buona Novella l'assimilano; qui si accende la fiamma della loro devozione, si fortifica il loro carattere e si tempra la loro indole. Dai seminari devono uscire uomini di Dio dei quali il nostro tempo ha bisogno, apostoli di Cristo il quale venne per rendere testimonianza alla verità e alla carità. Il seminario è il cuore della diocesi e la speranza della Chiesa.

Voglia san Giovanni Nepomuceno essere sempre modello e protettore dei seminaristi della sua patria terrena! Ed ora, mio venerabile Fratello, nella gioia che proviene dalla comune fede e grazia, con effusissimo cuore invio a te, ai tuoi sacerdoti e seminaristi, ai religiosi e alle religiose, a tutti i fedeli e all'intera Cecoslovacchia la benedizione apostolica, pregando umilmente il Padre dei cieli che per intercessione di san Giovanni Nepomuceno apra i cuori alla preziosa eredità che egli ha lasciato e vi ricolmi di ogni bene.

Dal Vaticano, 2 marzo dell'anno del Signore 1979.

Data: 1979-03-31

Data estesa: Sabato 31 Marzo 1979.



Ai fisici europei - Scienza e problemi dell'uomo

Sabato 31 Marzo 1979

Vorrei anzitutto esprimere la mia gratitudine a lei, Professore, per questa iniziativa di far visita oggi a me; non posso esprimere quanto sia grato per questa iniziativa, e per questa vostra presenza; essa è per me una continuazione delle mie esperienze che io ho fatto prima, quando ero ancora in Polonia, a Cracovia, quando per me era una cosa consueta incontrare gli scienziati, e specialmente i fisici, per diversi colloqui. Allora la giornata di oggi, e il nostro incontro, è per me una prima promessa che questo modo di agire, che questi incontri, avranno un loro futuro, che non appartengono solamente al mio passato, ma avranno un futuro su un altro piano. Sono inoltre tanto grato per quanto lei ha detto, e io penso che tutto quello che lei ha detto è stato piuttosto il discorso essenziale del nostro incontro. Ciò che posso dire io adesso sarà piuttosto qualche allusione, qualche riferimento. In verità, avendo la fortuna di incontrarmi oggi con voi, ho pensato che non ero preparato. Vorrei essere preparato maggiormente, ma mi sono detto: allora andiamo come è, come stiamo bisogna prendere un passo, una tappa e poi forse ci prepareremo insieme con incontri futuri. Ma devo dire che le cose che lei ha espresso sono veramente essenziali per il contenuto di questo nostro incontro perché sono i problemi fondamentali, i problemi della natura stessa della scienza, e poi i problemi della relazione della scienza e della fede, della religione; si tratta di problemi che non sono solamente problemi, diciamo interni della scienza, ma problemi di colui che è il soggetto, e che è il portatore, l'autore della scienza, e che con la scienza crea a se stesso un ambiente suo, crea poi un cosmo suo, un cosmo umano ai problemi dell'uomo. E così sono essenziali tutte le altre cose che lei ha espresso; ma sono specialmente felice che lei abbia detto che lo sforzo, che fa la scienza, forse sarà più felice che non lo sforzo che fanno altri, come per esempio i politici, i quali non hanno saputo ricostituire l'unità dell'Europa, del nostro continente, mentre invece gli scienziati, voi, siete convinti che la potrete ottenere. Allora io sono con gli scienziati, io sono con voi.

Mi permetta, Professore, che io faccia adesso un cambio di lingua. Io voglio adesso esprimere il discorso mio in francese perché sarà forse più facile per tutti i partecipanti tradurre i miei sentimenti e poi alcune idee.

Signore e Signori, son lieto di salutare in voi un gruppo di illustri scienziati, membri della Società Europea per la Fisica, della quale è presidente il prof. Antonino Zichichi. Questo incontro mi è particolarmente piacevole: giacché, pur essendo la mia formazione personale piuttosto umanistica, imperniata sulle questioni filosofiche, teologiche e morali, e pur dovendo dire che conosco ben poco la vostra disciplina, tuttavia le vostre preoccupazioni non mi sono estranee. Sarà stato forse un po' strano, ma io ero sempre ben accolto dai fisici, dalle persone e dai professori che rappresentano la vostra professione, la vostra specializzazione; e pur sapendo si poco dei vostri problemi mi trovavo piuttosto bene con loro: abbiamo potuto e saputo comprenderci.

A Cracovia ho sempre cercato e trovato assai fruttuoso il contatto con il mondo scientifico e particolarmente con gli specialisti in scienze fisiche.

Questo dice il significato, per me, dell'attuale momento che mi ricorda tanti altri incontri; in particolare, forse, quello con il "Club Roma" - i risultati dei lavori di questo Club sono assai noti presso di noi, in Polonia -. E' vero che le circostanze non permettono di dare al presente incontro quell'aspetto di scambi personali che io tanto apprezzavo: tuttavia si cercherà di dare maggiormente, in avvenire, ai nostri incontri proprio questa forma di scambi personali.

I problemi che vi siete posti durante questo incontro internazionale sono di grande importanza e attualità: potranno costituire un punto di riferimento per lo sviluppo della fisica moderna. Infatti avete trattato problemi scientifici assolutamente attuali: vanno dalle altissime energie per lo studio dei fenomeni subnucleari alla fusione nucleare, dai radiointerferometri astrofisici alla luce dei sincrotoni. Scusatemi se pronuncio queste parole e se non posso dare un significato personale a tutte queste espressioni, a siffatta terminologia. Ma tale è, penso, la nostra situazione in un mondo così specializzato: si perde la facilità di parlare tutte le lingue possibili, non solo le lingue in senso proprio ma anche le lingue in senso scientifico. Grazie alla conoscenza delle lingue classiche greco e latino si afferra un po' quel che vogliono dire queste parole; ma il significato reale, la corrispondenza con le realtà indicate da tale terminologia, ebbene, siete voi che dovete illustrarla. La stessa vostra società, che comprende varie migliaia di fisici di ventotto nazioni d'Europa, costituisce un invito all'unità culturale di tutta la comunità dei paesi europei.

Io non intendo, oggi, rivolgervi un profondo discorso, ma soltanto alcune osservazioni su un problema sempre nuovo e attuale: la reciproca posizione del sapere scientifico e della fede. Voi siete anzitutto dei ricercatori; devo dirvi che è una parola a me particolarmente cara. Ricercatori! Conviene sottolineare questa caratteristica della vostra attività e incoraggiare la giusta libertà della vostra ricerca, quanto al suo oggetto e al suo metodo, secondo "la legittima autonomia della cultura e specialmente della scienza". così si esprime il Concilio Vaticano II. Devo dirvi che questo paragrafo della "Gaudium et Spes" (GS 59) è per me davvero importante. La scienza, in se stessa, è buona giacché è conoscenza del mondo che è buono: la Genesi dice che Dio l'ha creato e guardato con soddisfazione: "Dio vide che quanto aveva creato era buono" (Gn 1,31). Io son molto affezionato al primo capitolo della Genesi. Il peccato originale non ha davvero alterato completamente quella bontà iniziale; e la conoscenza umana è un modo di partecipare al sapere del Creatore: essa costituisce, dunque, un primo gradino nella somiglianza dell'uomo con Dio, un atto di rispetto verso lui, giacché tutto ciò che scopriamo rende omaggio alla verità iniziale.

Lo scienziato scopre ignote energie dell'universo e le pone a servizio dell'uomo: dunque con il suo lavoro deve far crescere ad un tempo l'uomo e la natura; deve umanizzare ancora più l'uomo rispettando e perfezionando la natura.

L'universo è armonico in tutte le sue parti e ogni squilibrio ecologico comporta un danno per l'uomo: lo scienziato, perciò, non tratterà da schiava la natura, ma quasi ispirandosi al Cantico delle creature di san Francesco d'Assisi la guarderà piuttosto come una sorella invitata a cooperare con lui nell'aprire nuove vie al progresso dell'umanità.

Tuttavia questo cammino non può percorrersi senza il concorso della tecnica, della tecnologia, che rendono efficace la ricerca scientifica.

Permettetemi di riferirmi alla mia recente enciclica "Redemptor Hominis": là ho ricordato la necessità di una regola morale e dell'etica che permettono all'uomo di trar profitto dalle applicazioni pratiche della ricerca scientifica; là ho parlato della fondamentale questione relativa alla profonda inquietudine dell'uomo contemporaneo: "Questo progresso, di cui l'uomo è autore e difensore, rende la vita umana sulla terra "più umana" sotto tutti i punti di vista? La rende "più degna dell'uomo?" (cfr. RH 15).

Non v'è dubbio che, sotto molti aspetti, il progresso tecnico nato dalle scoperte scientifiche aiuta l'uomo a risolvere problemi gravissimi: l'alimentazione, l'energia, la lotta contro certe malattie diffuse soprattutto nei paesi del terzo mondo. Vi sono anche quei grandi progetti europei dei quali ha trattato il vostro seminario internazionale e che non possono venir risolti senza la ricerca scientifica e tecnica. Ma è anche vero che l'uomo, oggi, è vittima di una grande paura, come se fosse minacciato da quanto egli fabbrica, dai risultati del suo lavoro e dall'uso che ne fa. Per impedire che scienza e tecnica siano asservite alla volonta di dominio di poteri tirannici, sia politici che economici, e per ordinare positivamente scienza e tecnica all'utile dell'uomo occorre un supplemento d'anima, come suol dirsi, un soffio nuovo dello spirito, una fedeltà alle norme morali che regolano la vita dell'uomo.

Tocca agli uomini di scienza delle differenti discipline in particolare a voi, fisici, che avete scoperto energie d'immensa portata utilizzare tutto il vostro prestigio perché le implicanze scientifiche si sottomettano alle norme morali in vista della protezione e dello sviluppo della vita umana.

Una comunità scientifica come la vostra che riunisce scienziati di tutti i paesi d'Europa e di ogni convinzione religiosa, può cooperare in modo singolare alla causa della pace: davvero la scienza oltrepassa le frontiere politiche; l'avete detto voi poco fa e lo esige, soprattutto oggi, una collaborazione di carattere mondiale.

Voi offrite agli specialisti un ideale luogo d'incontri e di scambi amichevoli, che contribuiscono al servizio della pace.

In una concezione sempre più elevata della scienza, dove il conoscere è posto al servizio dell'umanità in una prospettiva etica, mi permetterete di presentare alla vostra riflessione un nuovo gradino di ascesa spirituale.

V'è un legame tra scienza e fede: l'avete affermato anche voi. Il Magistero della Chiesa l'ha sempre affermato; e uno dei fondatori della scienza moderna, Galileo, scriveva che "La Sacra Scrittura e la Natura procedono ambedue dal Verbo divino: l'una perché dettata dallo Spirito Santo, il Santo Spirito, e l'altra fedelissima esecutrice degli ordini di Dio" così scriveva nella sua lettera del 1613 a Benedetto Castelli (Ed. nazionale Opere di Galileo, vol. V, p. 282).

Se la ricerca scientifica procede secondo metodi di assoluto rigore e resta fedele al suo oggetto proprio, e se la Scrittura è letta secondo le sagge direttive della Chiesa, le norme contenute nella costituzione conciliare "Dei Verbum" sono, diciamo, le ultime - prima ve n'erano altre, simili -, allora non può esservi opposizione tra fede e scienza. Nei casi in cui la storia sottolinea una simile opposizione, questa deriva sempre da posizioni erronee che il Concilio ha apertamente rifiutato: infatti esso deplora "certi atteggiamenti verificatisi tra gli stessi cristiani per non aver percepito con sufficiente chiarezza la legittima autonomia della scienza: provocando tensioni e conflitti, han condotto molti spiriti fino a pensare che scienza e fede si oppongano" (GS 36 § 2).

Quando gli scienziati avanzano con umiltà nella loro ricerca dei segreti della natura, la mano di Dio li conduce verso le vette dello spirito. Come notava il mio predecessore, il Papa Pio XI, nel Motu Proprio che istituiva la Pontificia Accademia delle Scienze, gli scienziati chiamati a farne parte "non esitarono a dichiarare, e giustamente, che la scienza in qualsiasi suo ramo apre e consolida la via che porta alla fede cristiana".

La fede non offre risorse alla ricerca scientifica come tale; ma incoraggia lo scienziato a proseguire la sua indagine, giacché egli sa che nella natura egli incontra la presenza del Creatore. Alcuni tra voi camminano per questa via. Tutti, concentrate le vostre forze intellettuali sulla vostra specialità, e scoprite ogni giorno, insieme alla gioia del conoscere, le possibilità infinite che la ricerca fondamentale apre all'uomo: e nel contempo, vi imbattete nelle temibili questioni che essa pone, come talvolta quelle relative al futuro dell'uomo stesso.

Mi piacerebbe che ci fosse possibile in futuro continuare questo nostro conversare, trovando occasioni e modalità di uno scambio indiretto - le mie e le vostre occupazioni non lasciano altra possibilità -, che mi permetta di conoscer meglio le vostre preoccupazioni e quanto vi piacerebbe sentire dal Papa. Penso che siano in qualche modo preliminari le semplici osservazioni di oggi. Auguro, Signore e Signori, che la benedizione dell'Onnipotente scenda sui vostri lavori e sulle vostre persone, e che vi dia il conforto di contribuire al vero progresso dell'umanità, alla salute dei corpi e degli spiriti, alla solidarietà e alla pace tra i popoli.

Grazie.



GPII 1979 Insegnamenti - Alla Fondazione "Pro Oriente" - Città del Vaticano (Roma)