GPII 1979 Insegnamenti - Sabato 31 Marzo 1979

Ad ex alunni del Collegio Belga a Roma - (Roma)

Titolo: Il dono della vocazione sacerdotale

Testo: Cari Amici.

L'Eucaristia che oggi celebriamo insieme è il segno di una particolare unità con Cristo, Sacerdote unico ed eterno, che "entro una volta per sempre nel santuario... con il proprio sangue" (He 9,12).

Lo stesso Cristo è sempre presente nella Chiesa "sino alla fine del mondo" (Mt 28,20). Abita in essa, riunendo il popolo di Dio intorno alla mensa della Parola e dell'Eucaristia. Abita in essa attraverso il nostro servizio sacerdotale.

Poiché oggi ci troviamo così intorno all'altare, in questa comunione che abbiamo formato tempo fa al Collegio belga a Roma, i nostri cuori sono pieni di gratitudine per il dono della vocazione sacerdotale, perché egli ci ha scelti perché noi andassimo e portassimo frutto (Jn 15,16), perché, affidandoci i suoi misteri, ci ha affidato gli uomini che hanno "la redenzione mediante il suo sangue" (Ep 1,7). E guardando tutto ciò con gli occhi della fede, noi avvertiamo tutta la nostra indegnità e siamo sempre pronti a ripetere: "Siamo servi inutili" (Lc 17,10). Noi avvertiamo sempre anche la grandezza del Dono e ringraziamo Dio di questo Dono. "Celebrate il Signore, perché è buono" (Ps 105,1).

Oggi desideriamo ridirci reciprocamente questa gratitudine. Il Signore vuole che noi sappiamo essere riconoscenti verso gli uomini, che guardiamo alla nostra vita sotto l'aspetto dei doni ricevuti attraverso la mediazione degli uomini, dei nostri fratelli. così oggi desidero volgere lo sguardo, insieme a voi, agli anni che ci hanno riunito tra le mura del vecchio Collegio belga posto in Via del Quirinale 26, nelle vicinanze della Chiesa di Sant'Andrea dove mori e riposa san Stanislao Kostka, patrono della gioventù.

Una trentina d'anni ci separano da quel tempo. Si potrebbe cedere alle leggi del tempo che ci portano, tra l'altro, l'oblio. Ma la voce del cuore è più forte e ci chiede di custodire nella memoria le cose e di ripensarle con gratitudine. Noi oggi ringraziamo Cristo che ci ha fatto la grazia di essere insieme, in quel periodo importante della nostra vita, quando eravamo ancora nei primi anni del nostro sacerdozio o ci stavamo preparando ad esso. "Ecce quam bonum et quam iucundum habitare fratres in unum": "Ecco quanto è buono e quanto è soave che i fratelli vivano insieme" (Ps 132,1).

Ringraziamo Dio di averci consentito di essere fratelli gli uni agli altri, e la nostra gratitudine è reciproca anche tra noi. Ci ha permesso di vivere questa fraternità che unisce gli uomini che provengono da famiglie diverse, da nazioni diverse, da continenti diversi, poiché allora ci ha riunito così. Noi ringraziamo per ciò che ognuno è stato per gli altri in quel tempo e per ciò che tutti sono stati per tutti. Grazie per il modo con cui abbiamo condiviso le qualità dell'intelligenza, del carattere, deI cuore. Grazie per il ruolo che hanno avuto gli studi, allora in corso, in questo reciproco scambio, come pure le esperienze apostoliche e pastorali a cui ciascuno di noi già si dedicava. Grazie per ciò che è stata per noi la santa Roma che abbiamo cominciato a conoscere in modo sistematico come capitale dell'antichità e capitale della cristianità. Grazie per l'esperienza dell'Europa, del mondo, di ciascuna delle nostre Patrie che allora si risollevavano dalle sofferenze della seconda guerra mondiale.

Pensiamo infine a cosa sono stati per noi i nostri Superiori: il nostro venerato Rettore, il Cardinale de Furstenberg, che oggi è presente in mezzo a noi; e anche i nostri Vescovi che venivano a trovarci, che ci visitavano al Collegio, insieme ad altri uomini di Chiesa, gli apostoli del loro tempo come l'Abate Cardijn, senza contare i dotti professori, i predicatori degli esercizi, i direttori spirituali: cosa sono stati per noi? Di tutto ciò vogliamo in primo luogo parlare a Cristo stesso, cominciando da questa concelebrazione, da questa liturgia. E questa celebrazione ci permette anche di esprimerci gli uni gli altri. Allo stesso modo desideriamo rinnovare lo spirito che abbiamo ricevuto mediante l'"imposizione delle mani" (cfr. 1Tm 1,6), e l'unione dei cuori di cui il Signore stesso conosce il segreto.

Amen! Data: 1979-03-31

Data estesa: Sabato 31 Marzo 1979.





Lettera al Cardinale Josyf Slipyj - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Per il millennio della conversione della "Rus"

Testo: Al Nostro Venerabile Fratello Cardinale Josyf Slipyj Arcivescovo Maggiore di Leopoli degli Ucraini.

1. Durante l'udienza che il 20 novembre abbiamo accordato a te, Nostro Venerabile Fratello, e agli altri legati della Gerarchia Cattolica Ucraina, tu stesso hai ricordato che ormai si avvicinava il primo millennio del cristianesimo in "Rus".

Nella medesima occasione inoltre ci hai manifestato l'intenzione di preparare nei prossimi dieci anni, voi e la comunità della vostra Chiesa a quel grandissimo Giubileo. Tra le varie manifestazioni per la celebrazione del Giubileo una delle più importanti sarà il pellegrinaggio in Terra Santa, nei luoghi dove il Redentore una volta pronuncio queste parole; "Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo" (Mt 28,19).

Questo proposito che il Vostro Episcopato ci ha manifestato, ci ha commosso profondamente. Infatti riguarda gli eventi del tempo passato e di quello più recente che è legato all'opera di evangelizzazione nella nazione ucraina; tutta questa opera e tutti i tentativi intrapresi ci stanno a cuore in un modo particolarissimo.


2. L'indole stessa di questa commemorazione che ricorderà gli inizi del nome cristiano in "Rus", ci permette ancora oggi di comprendere con un solo sguardo quale sia stato questo millennio e nello stesso tempo ci introduce nel corso e nel movimento degli eventi che sono connessi con la storia del popolo e della nazione nei quali si vede chiaramente la mano della Divina Provvidenza: di quella Provvidenza, intendiamo, che attraverso i giri tortuosi dell'umana sorte ha tutto predisposto e tutto conduce proprio a quel fine che più pienamente risponde ai piani della sua Misericordia. Sollecitati dunque da una fede viva dobbiamo confidare nella Giustizia Divina, che è insieme anche misericordia, e dobbiamo confidare in questa stessa misericordia nella quale si manifesterà alla fine la Giustizia. In essa certamente troverà il proprio senso non solo la vita di ogni uomo "che viene al mondo", ma anche la storia dei popoli e delle nazioni nella quale la Divina Provvidenza iscrive la storia personale di noi tutti.


3. Ritorniamo perciò con il pensiero ai giorni nei quali Vladimir, Principe di Kiev, e tutta la provincia di "Rus" con lui, accolsero il Vangelo di Gesù Cristo e ricevettero la grazia del Battesimo. Certamente Dio nella sua meravigliosa provvidenza aveva già preparato secondo un suo disegno misterioso questo fausto e solenne evento fin dagli inizi del IX secolo, quando la giovane città di Kiev aveva incominciato a stringere legami politici e commerciali con Bisanzio. Queste relazioni con i greci - come con gli altri popoli slavi confinanti che avevano precedentemente abbracciato la fede cristiana - molto contribuirono a gettare il seme religioso tra gli abitanti di "Rus". Le prime conversioni si ebbero tra i soldati - anche se abbastanza rare e singolarmente - del Principe Igor e tra i mercanti che avevano conosciuto le popolazioni straniere. Si converti poi la Principessa Olga, moglie del Principe Igor, che, dopo la morte del marito, gli era succeduta nel comando e fu la prima della casa reale a professare il nome cristiano. Allora parecchi Boiari del suo seguito si convertirono seguendo il suo esempio. Si arriva così all'anno 988 nel quale Vladimir, nipote di Olga, stabili di estendere la fede cristiana a tutti gli abitanti della sua città, e anzi ordino che tutti gli abitanti della capitale pubblicamente e insieme fossero battezzati nel fiume Boristene davanti a sé e alla sua famiglia e al clero greco. In questo modo favori la propagazione della fede, innanzitutto entro i confini del suo principato e poi nelle regioni confinanti intorno alla provincia di "Rus" a oriente e a settentrione. Ci si deve dunque rallegrare dell'imminente ricorrenza del millesimo anniversario di tale evento storico poiché il mandato affidato da Cristo nostro Signore agli Apostoli prima della sua Ascensione ha avuto un felice compimento anche nella santa regione di "Rus". Bisogna ringraziare con tutto il cuore il Dio Uno e Trino nel cui nome sono stati battezzati i vostri antenati.


4. La fede cristiana è giunta a Kiev di "Rus" da Roma attraverso la stessa Costantinopoli. Infatti i missionari cattolici partiti di là portarono per primi il Vangelo ai vostri padri e li battezzarono. Questo avvenne quando la Chiesa in oriente e in occidente manteneva la sua unità, ma attingeva a due diverse tradizioni e aveva a che fare con due diverse culture: da ciò scaturirono meravigliose ricchezze della Chiesa universale. Solo nell'XI secolo si opero la divisione che porto tanto dolore e amarezza sia ai cristiani di quell'epoca sia ai seguaci di Cristo fino ai nostri giorni. Quando poi "Rus" di Kiev - consolidatasi e accresciutasi la fede nel X secolo dopo Cristo - si venne a trovare per la sua posizione geografica nell'ambito dell'autorità della Chiesa orientale, il cui centro era il Patriarcato di Costantinopoli, non c'è da meravigliarsi che nella stessa "Rus" confluirono più tentativi per ripristinare l'unita perduta. Basta in questa lettera ricordare i colloqui tenutisi per l'unità alla fine del secolo XIV e i tentativi fatti - purtroppo senza esito felice nei Concili di Costanza e di Basilea e infine nel Concilio di Firenze quando il Metropolita Isidoro di Kiev si batté strenuamente e ottenne l'unione tanto desiderata della Chiesa orientale e occidentale. Tuttavia si sa che, dopo la chiusura del Concilio, lo stesso Metropolita Isidoro, che il Sommo Pontefice aveva destinato come suo Legato "a latere" per la Lituania, la Livonia e la Russia e aveva elevato alla dignità cardinalizia e che il suo popolo aveva lodato perché aveva ottenuto l'unità delle Chiese, ebbe a soffrire persecuzioni per il suo ardente e fattivo zelo ecumenico, anzi fu rinchiuso in carcere a Mosca e di li riusci a sfuggire e a recarsi a Roma da dove diresse la causa dell'unità. Ma le più gravi condizioni che nella sua patria prevalevano, alla fine resero vane le ottime speranze di unità che erano state il proposito di quel Concilio di Firenze. Tuttavia il desiderio di ritornare alla comunione con la Sede apostolica non venne mai meno tra i Vescovi della "Rus" che tra il dicembre 1594 e il luglio 1595 dichiararono di essere preparati ad iniziare il cammino di unità con Roma e mandarono dei loro delegati per trattare questo argomento. così la fiamma dell'unità, che era stata accesa dal Metropolita Isidoro nel Concilio di Firenze e che per più di centocinquant'anni si era smorzata a causa di spinte più forti dall'esterno, di nuovo si riaccese e apri la via all'unione di Brest-Litovsk di cui parleremo tra poco. Comunque tutti i fatti e gli avvenimenti testimoniano che la Chiesa non è mai rimasta inerte nel triste stato della rottura dell'unità e che lo giudico sempre contrario alla volontà di Cristo Signore. Sebbene la Chiesa tenga molto conto e rispetti pienamente le diverse tradizioni e le differenze di storia e di cultura tra i popoli che essa abbraccia, tuttavia non smette di cercare nuove vie più idonee a ripristinare l'unità. La preghiera sacerdotale di Gesù: "Padre santo, custodiscili... perché siano una cosa sola" (Jn 17,11), fu tale che non può essere mai dimenticata dai discepoli e dai seguaci del Signore che l'aveva pronunciata alla vigilia della sua morte in croce.


5. Da queste fonti e da queste sedi è sorta l'unione della Chiesa che si è verificata nel 1596 a Brest-Litovsk. Certamente quella unione si inserisce nel tessuto storico dei popoli della Rus, della Lituania e della Polonia che allora vivevano in un unico regno. Ma sebbene la stessa storia comune appartenga al passato, tuttavia la forza religiosa ed ecclesiale di quella unità raggiunta a Brest permane ancora oggi e produce abbondanti frutti. L'origine della sua fecondità è stata ed è senza dubbio il sangue versato da san Giosafat, Vescovo e Martire, che così segno con un sigillo la difficile opera di riunificazione della Chiesa divisa tra il XVI e il XVII secolo. Inoltre codesta unione ha dato frutti in abbondanza nella vita di tanti Vescovi e sacerdoti e di altri confessori impavidi della fede fino ai nostri giorni. In passato come oggi la Sede Apostolica ha sempre attribuito un'importanza particolare a questa unione che traspare anche nella stessa differenza del rito bizzantino e della tradizione ecclesiale, nella lingua liturgica slava, nel canto ecclesiastico e in tutte le forme di pietà che così profondamente caratterizzano la storia del vostro popolo. Infatti queste mettono in luce il suo animo e in un certo modo ne stabiliscono la peculiarità e nello stesso tempo la diversità. Ciò è dimostrato per esempio quando i figli e le figlie del popolo dell'Ucraina, lasciata la propria città, anche da emigranti rimangono sempre fedeli alla loro Chiesa che per tradizione, lingua e liturgia rimane per loro come una "patria" spirituale nelle nazioni straniere. E' facile in questi singoli fatti scorgere le qualità proprie della Croce di Cristo che tanti di voi hanno portato, o Fratelli carissimi, sulle proprie spalle. Questa stessa Croce ormai è diventata anche una parte di te, Venerabile Nostro fratello, come di molti tuoi Fratelli nell'Episcopato che sopportando dolori e offese per Cristo restarono fedeli alla Croce fino alla fine della vita. Questa stessa cosa si deve dire di moltissimi altri sacerdoti e religiosi e religiose e laici della vostra Chiesa. La fedeltà alla Croce e alla Chiesa dunque offre una testimonianza particolare mediante la quale i fedeli della vostra nazione si preparano a celebrare il primo millennio della conversione della "Rus".


6. Il Concilio Vaticano II ha dato un nuovo impulso alla grande opera dell'ecumenismo. La Chiesa si adopera per ritornare all'unità, mentre tenta nuove strade che sono più consone alla mentalità degli uomini d'oggi. Lo stesso tentativo hanno intrapreso nello stesso tempo altre comunità cristiane tra le quali si trovano le Chiese "sutocefale" o indipendenti in oriente. Ciò è dimostrato da parecchie dichiarazioni, pronunciamenti e delegazioni; ma innanzitutto, dalla preghiera comune alla quale noi tutti ci associamo, perché si compia la volontà di nostro Signore espressa dalla sua stessa preghiera: "Padre... che siano una cosa sola" (Jn 17,11). L'attività ecumenica dei nostri giorni, cioè quella inclinazione al riavvicinamento e alla comunione - soprattutto tra la Chiesa occidentale e quella orientale - non può né mettere da parte né diminuire l'importanza e l'utilità dei singoli tentativi di ripristinare l'unità della Chiesa che sono stati fatti nei secoli passati e che ebbero un felice, anche se parziale, esito. La vostra Chiesa si può considerare come un documento di questa verità, insieme alle altre Chiese cattoliche orientali che hanno un proprio rito.

Senza dubbio lo spirito ecumenico - secondo l'accezione più recente della parola - deve essere dimostrato e comprovato dalla osservanza peculiare verso la vostra Chiesa, come pure verso le altre Chiese cattoliche orientali che hanno propri riti distinti. Ci aspettiamo perciò moltissimo da questa stessa testimonianza e intento ecumenico che porteranno i Nostri Fratelli, Patriarchi e Vescovi, e il clero e tutte le comunità delle Chiese ortodosse alle cui tradizioni e pratiche di pietà la Chiesa cattolica e la Sede apostolica guardano con grande venerazione e stima.

Del resto la medesima esigenza parte dal principio della libertà religiosa che costituisce una delle dottrine specifiche della stessa "Dichiarazione dei Diritti dell'Uomo" (ONU 1948), e che si trova nelle Costituzioni delle singole organizzazioni statali. In forza di tale principio, che la Sede Apostolica spesso ha invocato e ha predicato, ogni credente è libero di professare la propria fede e di partecipare a quella comunità della Chiesa alla quale appartiene. L'osservanza di questo principio di libertà religiosa richiede che vengano riconosciuti i diritti di vita e di azione della Chiesa alla quale i singoli abitanti di uno Stato appartengono.


7. All'approssimarsi dunque della solenne commemorazione del primo millennio della religione cristiana in "Rus", la vastissima comunità della Chiesa cattolica desidera abbracciarvi, carissimi fratelli e sorelle, con un pensiero affettuoso e con la preghiera e lo spirito di carità. Noi stessi, che abbiamo la funzione di essere i primi servi di questa comunità, preghiamo e invitiamo tutti, cioè tutto il popolo di Dio, a fare lo stesso. Con questa sollecita proclamazione dell'anniversario della vostra nascita religiosa e con una fervida esortazione, ci rivolgiamo a tutte le Chiese e alle Comunità cristiane con le quali ancora non siamo in piena comunione, ma alle quali ci unisce tutti l'unico Cristo.

Vorrei che i nostri pensieri e le nostre intenzioni - seguendo l'esempio di Cristo che ha mandato i suoi Apostoli "sino ai confini della terra" - si dirigessero ora nella santa regione della "Rus" che mille anni fa accolse il Vangelo e ricevette il Battesimo! Cerchiamo di ripercorrere nell'animo la storia di quella società cristiana. Pieni di ammirazione e di amore, immedesimiamoci con il suo spirito: cioè lo spirito di fede, di preghiera e di costante docilità alla Divina Provvidenza. Fermiamoci con la mente nei singoli luoghi dove si loda Cristo e si onora sua Madre. Infine, mentre affidiamo al nostro divino Salvatore per l'intercessione della Madre di Dio tutti gli eredi di codesto Battesimo che la "Rus" ha ricevuto mille anni fa, rinnoviamo con loro i vincoli di unione spirituale e di comunione davanti a Colui che è "padre del secolo futuro" (Is 9,5).

Vaticano, 19 marzo 1979, Primo del Nostro pontificato.

Data: 1979-03-31

Data estesa: Sabato 31 Marzo 1979.





Recita dell'Angelus - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Dio parla all'uomo con la croce

Testo: "Scindite corda vestra...": "Laceratevi il cuore...".

1. Ripetutamente torna nel periodo di Quaresima questa frase del profeta Gioele: "Laceratevi il cuore e non le vesti" (Jl 2,13). Ricordiamoci quel gesto: quando la notte, fra il giovedi e il venerdi, Gesù si trovo davanti al tribunale del Sinedrio il sommo sacerdote gli pose la domanda: "Ti scongiuro, per il Dio vivente, perché ci dica se tu sei il Cristo, il Figlio di Dio"; e quando Gesù diede la risposta affermativa, Caifa si straccio le vesti (cfr. Mt 26,59-68).

Il gesto di stracciare le vesti esprimeva sdegno, santa ira, ed esprimeva anche il dolore. Manifestava un grande sconvolgimento interiore. Ma poteva anche essere un gesto puramente esterno, che non raggiungeva l'intima verità del cuore. Perciò il profeta ammonisce: "Laceratevi il cuore!".


2. E' un invito di attualità nel tempo di Quaresima e soprattutto in queste due ultime settimane che precedono la Pasqua. L'invito è indirizzato ad ogni uomo, alla sua parte interiore, alla sua coscienza. La coscienza è misura dell'uomo.

Essa testimonia della sua grandezza, della sua profondità.

Perché questa profondità si apra, perché l'uomo non si lasci togliere tale grandezza, Dio parla con la parola della croce. "Verbum Crucis": è questa la parola ultima, definitiva. Dio ha voluto usare nei confronti dell'uomo e usa sempre questa parola che tocca la coscienza, che ha la capacità di lacerare il cuore umano.

L'uomo interiore deve chiedere a se stesso per quale motivo Dio si è deciso a parlare con questa parola. Che significato ha questa decisione di Dio nella storia dell'uomo? Questa è la domanda fondamentale della Quaresima e del periodo liturgico della Passione del Signore.


3. L'uomo contemporaneo sperimenta la minaccia di una impassibilità spirituale e persino della morte della coscienza; e questa morte è qualcosa di più profondo del peccato: è l'uccisione del senso del peccato. Tanti fattori concorrono oggi ad uccidere la coscienza negli uomini del nostro tempo, e ciò corrisponde a quella realtà, che Cristo ha chiamato "peccato contro lo Spirito Santo". Questo peccato incomincia quando all'uomo non parla più la Parola della Croce come l'ultimo grido dell'amore, che ha la potenza di lacerare i cuori. "Scindite corda vestra".

La Chiesa non cessa di pregare per la conversione dei peccatori, per la conversione di ogni uomo, di ognuno di noi, proprio perché rispetta, perché stima la grandezza e la profondità dell'uomo e rilegge il mistero del suo cuore attraverso il mistero di Cristo.

Accettiamo, pertanto, l'ammonimento di san Paolo, che ci esorta "a non accogliere invano la grazia di Dio" (2Co 6,1), anzi a capire e a sperimentare la meravigliosa realtà che "se uno è in Cristo, è una creatura nuova" (2Co 5,17).


4. Gli episodi di violenza criminale, avvenuti recentemente, qui a Roma stessa, a Londra, in Olanda, in Spagna e altrove, hanno recato viva amarezza al mio animo, così come a quanti nutrono sentimenti cristiani e umani di rispetto alla vita, sacro dono di Dio. Desidero esprimere la mia profonda deplorazione per la ormai troppo lunga catena di efferati delitti, che offendono vivamente la dignità e l'onore dell'uomo.

Prego e auspico che tutti comprendano che non mediante l'odio e la violenza si può instaurare una società giusta e ben costituita.

L'avvicinarsi dei giorni della Passione del Signore, il quale è morto per la nostra salvezza, riconciliandoci a Dio e a noi ottenendo il suo perdono, ci sia di stimolo a rinnovato impegno per promuovere tra gli uomini la fratellanza e l'amore.

Invochiamo ora dal Signore, per intercessione della Madonna, quella tranquillità nell'ordine senza la quale non vi può essere pacifica convivenza civile.

Data: 1979-04-01

Data estesa: Domenica 1 Aprile 1979.





Omelia nella parrocchia di Torre Spaccata (Roma)

Titolo: Il ruolo della famiglia nella società e nella Chiesa

Testo: "Signore, vogliamo vedere Gesù" (Jn 12,21).

1. così dice a Filippo, che era di Betsaida, la gente venuta a Gerusalemme da diverse parti. Quando qui, in questo luogo, ai confini della grande Roma, dove fino a qualche tempo fa c'era solo campagna, giunse la gente dalle varie parti d'Italia, sembrava dicesse lo stesso: Vogliamo vedere in mezzo a noi Cristo! Vogliamo che egli abiti con noi; che qui si alzi la sua casa. Ci conosciamo poco tra noi. Vogliamo che egli ci faccia conoscere gli uni gli altri, che ci faccia reciprocamente avvicinare, affinché non siamo più estranei, ma diventiamo una comunità.

Così ha parlato la gente venuta qui dalle diverse parti d'Italia. così avete parlato voi stessi, cari parrocchiani di questa giovane parrocchia di San Bonaventura da Bagnoregio. E tali, o simili discorsi, sono tuttora attuali: si ascoltano anche adesso.

La vostra parrocchia è molto giovane. Essa è nata qui dalla vostra fede, su questo terreno poco fa ancora incolto.

E' nata qui dalla vostra ferma volontà di fare abitare Gesù in mezzo a voi.

E' nata dall'iniziativa che avete manifestato davanti alle autorità ecclesiastiche, e anche davanti alle autorità civili. Grazie a ciò è sorta questa chiesa che serve già alla vostra comunità cristiana. E sono stati messi in opera gli altri strumenti utili alla vita parrocchiale.

So bene che molto lavoro e stato già compiuto con metodo ed abnegazione, nonostante le molte difficoltà incontrate, e che avete in animo di continuare la bella opera sviluppandola secondo le linee di un progressivo incremento che si allarghi, ogni giorno più, per raggiungere tutte le necessità di questa famiglia parrocchiale. Il Papa vi segue con la sua benevolenza e il suo paterno auspicio: vogliamo vedere Gesù!

2. Con tanta maggiore gioia vengo oggi da voi come Vescovo di Roma, trattandosi della mia prima visita canonica. Mi rallegro di poterla compiere, oggi nella quinta Domenica di Quaresima; ma altresi mi compiaccio che sia presente il Cardinal Vicario di Roma ed anche il Vescovo Ausiliare Monsignor Salimei, il quale durante questa settimana attuerà nella Vostra parrocchia una visita pastorale più dettagliata. Cordialmente saluto tutti i parrocchiani. Mi congratulo con voi di questo buono e coraggioso inizio. Saluto i vostri Pastori, i Padri Francescani Conventuali, con i quali ho avuto già l'occasione d'incontrarmi e di informarmi sui problemi essenziali della vita parrocchiale. Desidero rivolgere una parola di plauso e d'incoraggiamento ai numerosi gruppi che operano con zelo e dedizione nei vari settori dell'apostolato, auspicando per essi un'attività sempre più prospera e ricca di bene.

Voglio anche attestare la mia viva riconoscenza e la mia sincera benevolenza ai Padri Carmelitani della vicina parrocchia di Santa Maria "Regina Mundi", che hanno avuto il merito di dare inizio, in mezzo ad intuibili e gravi difficoltà, alla cura pastorale di questa zona che andava sempre più popolandosi.


3. E adesso permettete che mi riferisca di nuovo alle letture liturgiche di questa domenica. Il profeta Geremia parla nella prima lettura dell'alleanza che Dio vuole stringere ancora una volta, con la casa di Israele. Dal momento che il popolo d'Israele non ha mantenuto la precedente alleanza, Dio ne vuole costituire un'altra più solida ed interiore: "Porro la mia legge nel loro animo, la scrivero sul loro cuore. Allora io saro il loro Dio ed essi il mio popolo" (Jr 31,33).

Cari fratelli e sorelle! Dio ha concluso con noi la nuova e insieme definitiva alleanza in Gesù Cristo, il quale, come dice oggi san Paolo, "divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono" (He 5,9).

Questa alleanza si basa sulla perfetta obbedienza del Figlio riguardo al Padre. In virtù di quest'obbedienza, Cristo "fu esaudito" (He 5,7) e viene esaudito sempre; egli mantiene ininterrottamente questa unione dell'uomo con Dio che si è stabilita sulla sua Croce. La Chiesa - come afferma il Concilio - "è sacramento o segno e strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano" (LG 1).

Voi che avete qui formato una viva particella della Chiesa, cioè la vostra parrocchia, avete espresso in modo particolare quest'alleanza con Dio, nella quale volete perseverare con la grazia di Gesù Cristo.

Se qualcuno vi chiedesse perché lo avete fatto, gli potreste rispondere così, come dice oggi il profeta: noi vogliamo che egli sia il nostro Dio e noi il suo popolo; noi vogliamo che le sue leggi siano inscritte nel nostro cuore.

Voi cercate un appoggio per questi vostri cuori e per le vostre coscienze. Voi cercate un appoggio per le vostre famiglie. Volete che esse siano stabili, che non si dissolvano; che costituiscano quei vivi focolari dell'amore, vicino ai quali l'uomo può riscaldarsi ogni giorno. Perseverando nel sacramentale vincolo matrimoniale, voi volete trasmettere la vita ai vostri figli e insieme con la vita l'umana e cristiana educazione. Ognuno di voi, cari genitori, avverte profondamente questa grande responsabilità che è legata alla dignità del padre e della madre. Sapete che da ciò dipende la vostra propria salvezza, e la salvezza dei vostri figli. Come faccio, io, il padre? Quale madre sono io? Ecco le domande che vi ponete più di una volta. Voi vi rallegrate, e io con voi, di ogni bene che si manifesta in voi, nelle vostre famiglie, nei vostri figli; gioisco con voi dei loro progressi nella scuola, dello sviluppo delle loro giovani coscienze. Volete che essi diventino veramente "uomini". E questo, in grande misura, dipende da ciò che essi acquistano nella casa paterna. In quest'opera nessuno può sostituirvi. La società, la nazione, la Chiesa si costruiscono in base ai fondamenti che gettate voi.

Guardo questi vostri bambini, la gioventù della vostra parrocchia. Sono presenti qui numerosi. E' giovane, veramente giovane questa parrocchia. I bambini, i giovani, quante speranze ripongono essi nella vita! E quanta speranza abbiamo noi in loro! Proprio per questo bisogna che noi appoggiamo fortemente tutta la nostra vita, e anzitutto la vita familiare, su Gesù Cristo. Perché egli, che "divenne causa di salvezza eterna per tutti..." (He 5,9), ci indica ogni giorno le vie di questa salvezza. Con la parola e con l'esempio ci insegna come dobbiamo vivere. Ci mostra qual è il profondo e ultimo senso della vita umana.

E se l'uomo diventa sicuro di questo senso della vita, allora tutti i problemi, anche quelli ordinari e quotidiani si risolvono in concordanza con esso.

La vita si sviluppa, allora, in pari tempo, sul piano umano e divino.

Oggi sentiamo che il Signore Gesù preannunzia la sua morte. Questa è già la quinta Domenica di Quaresima; ci siamo avvicinati molto alla Settimana Santa, al Triduo Sacro che ci ricorderà di nuovo in modo particolare la sua passione, morte e risurrezione. Perciò le parole con cui il Signore annuncia la sua fine ormai vicina parlano della gloria. "E' giunta l'ora che sia glorificato il Figlio dell'uomo... Ora l'anima mia è turbata; e che devo dire?... Padre, glorifica il tuo nome" (Jn 12,23 Jn 12,27-28). E infine pronuncia le parole che così profondamente manifestano il mistero della morte redentrice: "Ora è il giudizio di questo mondo... Io quando saro elevato da terra, attirero tutti a me" (Jn 12,31-32).

Quell'elevazione di Cristo da terra è anteriore alla elevazione nella gloria: elevazione sul legno della Croce, elevazione di martirio, elevazione mortale.

Gesù preannunzia la sua morte anche in queste misteriose parole: "In verità, in verità vi dico: se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto" (Jn 12,34). La sua morte è il pegno della vita, è la sorgente della vita per tutti noi. L'Eterno Padre ha preordinato questa morte nell'ordine della grazia e della salvezza, così come è stabilita, nell'ordine della natura, la morte del grano di frumento sotto terra, affinché possa da esso spuntare la spiga portando frutto abbondante. Di questo frutto poi, che diventa pane quotidiano, si nutre l'uomo. Anche il sacrificio compiutosi nella morte di Cristo è diventato cibo delle nostre anime sotto le apparenze del pane.

Prepariamoci a vivere la Settimana Santa, il Triduo Sacro, la Morte e la Risurrezione. Accettiamo questa vita, la cui sorgente è il suo Sacrificio. Viviamo questa vita nutrendoci con il cibo del Corpo del Sangue del Redentore, cresciamo in essa per raggiungere la vita eterna.

Data: 1979-04-01

Data estesa: Domenica 1 Aprile 1979.





A un gruppo di lavoratori genovesi - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Cercare Gesù, sempre

Testo: Miei cari fratelli e sorelle! Non posso nascondere la mia grande gioia e la mia profonda consolazione nel dare il cordiale benvenuto a voi, lavoratori e lavoratrici del Vicariato Foraneo primo di Genova-San Pier d'Arena: mentre preparavo per voi questi pensieri che ora amo confidarvi, vi ero già vicino col cuore e vi ho vivamente attesi.

Vada perciò il mio caloroso saluto a voi tutti, e in particolare al venerato e infaticabile vostro Arcivescovo, Cardinale Giuseppe Siri, il quale insieme con Monsignor Berto Ferrari, Vicario Episcopale per il mondo del lavoro, vi ha qui accompagnati.

Vi sono grato per questa visita e per il vostro devoto omaggio, che apprezzo molto perché è riflesso di una testimonianza cristiana proveniente dalla terra ligure, ricca non solo di rare bellezze naturali, ma anche e soprattutto di antiche e solide tradizioni religiose, nonché di riconosciute virtù umane.

Nell'accogliervi con cuore paterno, che a tutti si apre e con tutti condivide aspirazioni, timori e speranze, desidero lasciarvi, a ricordo di questo familiare incontro, alcune riflessioni ed esortazioni.

1. Il primo pensiero, in questo sacro tempo di Quaresima che ormai volge al termine con la celebrazione degli avvenimenti centrali della Passione, Morte e Risurrezione di Cristo, non può essere altro che un invito a cercare Gesù. Sia la vostra vita una continua, sincera ricerca del Salvatore, senza mai stancarvi, senza mai abbandonare l'impresa, ancorché a un certo momento si facesse buio nel vostro spirito, le tentazioni vi assalissero e il dolore e l'incomprensione vi stringessero il cuore. Son cose, queste, che fanno parte della vita di quaggiù, sono inevitabili, ma possono anche far bene perché maturano il nostro spirito. Non dovete, pero, mai tornare indietro, anche quando vi sembrasse che la luce di Cristo, "luce dei popoli", si vada affievolendo: continuate invece la ricerca, con fede rinnovata e con grande generosità.

Approfondite la conoscenza di Gesù, ascoltando la parola dei ministri del Signore e leggendo qualche pagina del Vangelo. Cercate di scoprire dove egli sia, e da tutti potrete raccogliere un qualche particolare che ve lo indichi, che vi dica dove egli abita: domandatelo alle anime miti, a quelle penitenti, a quelle generose, a quelle umili e nascoste; domandatelo ai vostri fratelli, vicini e lontani, perché in ognuno troverete qualcosa che vi indica Gesù. Domandatelo, soprattutto, alla vostra anima e alla vostra coscienza, perché esse vi potranno indicare, in modo inconfondibile, l'orma del suo passo, l'impronta del suo passaggio, la traccia della sua potenza e del suo amore. Domandatelo pero umilmente: la vostra anima sia cioè disposta a vedere, al di fuori di sé, ciò che Dio ha seminato della sua bontà nelle creature. Cercarlo ogni giorno vuol dire possederlo ogni giorno un po' di più, essere ammessi un po' alla volta all'intimità con lui; e allora potrete intendere meglio il suono della sua voce, il significato del suo linguaggio, il perché della sua venuta sulla terra e della sua immolazione sulla Croce.


GPII 1979 Insegnamenti - Sabato 31 Marzo 1979