GPII 1979 Insegnamenti - All'Ufficio di presidenza del Parlamento Europeo - Città del Vaticano (Roma)

All'Ufficio di presidenza del Parlamento Europeo - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Responsabilità e solidarietà nel cammino dell'Europa

Testo: Signor Presidente, Signori.

Vi ringrazio per la vostra visita e sono colpito dall'importanza che attribuite all'incontro con il Papa. Nella parte d'Europa che voi rappresentate, la costruzione di una unità più grande quest'anno entra in una fase importante e ormai in ciascuno dei vostri paesi si sta preparando le elezioni per dotare il Parlamento Europeo di eletti scelti per questo scopo direttamente da tutti i loro concittadini. Questa consultazione è un grande campo dove il Papa interviene solamente nel quadro della sua missione, di origine religiosa e morale, tra gli altri, per invitare i cittadini a svolgere bene il loro dovere elettorale, e si associa volentieri, in questo, alle esortazioni dei Vescovi europei. La sua preoccupazione pastorale raggiunge allora effettivamente i bisogni umani e spirituali di centinaia di milioni di uomini che sono interessati da questa struttura politica.

Ciascun parlamentare europeo cerca evidentemente di orientare questa Europa nel senso che giudica più favorevole all'interesse, al progresso, al benessere dei popoli. In questo si ispira alla sua esperienza, alle sue convinzioni, ai punti di vista del suo partito politico. Se posso esprimere un desiderio, vorrei che ciascuno, superando la posizione di uno spirito partigiano o al contrario di rinuncia, a cui può essere tentato, si ponesse veramente, liberamente, in coscienza, le questioni essenziali: come accedere a una elargita fraternità, senza nulla perdere delle valide tradizioni proprie di ciascun paese e di ciascuna regione? Come sviluppare le strutture di coordinamento senza diminuire la responsabilità della base o dei corpi intermedi? Come permettere agli individui, alle famiglie, alle comunità locali, ai popoli di esercitare i loro diritti e i loro doveri, aprendosi, sia all'interno di questa Comunità europea che al resto del mondo, in particolare al resto dell'Europa e ai paesi più poveri, a un più ampio bene comune e a una più grande armonia? Più l'organismo è vasto e complesso, più occorre moltiplicare la vigilanza volendo determinare una comune linea d'azione. E più bisogna anche tener conto dei reali bisogni di ciascuno dei partners, per evitare di costruire una struttura teorica, che sprezzi questi bisogni o si lasci guidare dagli interessi di parte dei gruppi, Il test è il rispetto dei diritti fondamentali della persona.

Per comprendere bene ciò, bisogna riflettere sul significato dell'istituzione. Le istituzioni, quelle di un'Europa in via di unificazione come quelle di altre entità nazionali o internazionali, devono sempre essere al servizio dell'uomo, e non viceversa. Le istituzioni comunitarie sono sempre strumenti, strumenti certamente importanti; ma esse realizzano un lavoro fecondo solamente mettendo al centro delle loro preoccupazioni l'uomo nella sua integrità.

Le istituzioni, da sole, non faranno mai l'Europa, ma potranno farla gli uomini.

Anche ricercando, come bisogna fare, tutto ciò che potrà far progredire l'unità degli uomini e allo stesso tempo assicurare il loro sviluppo, occorre sempre domandarsi - come ho recentemente indicato - "Questo progresso, il cui autore e fautore è l'uomo, rende la vita umana sulla terra, in ogni suo aspetto, più umana. La rende più degna dell'uomo... L'uomo, come uomo, nel contesto di questo progresso, diventa veramente migliore, cioè più maturo spiritualmente, più cosciente della dignità della sua umanità, più responsabile, più aperto agli altri, in particolare verso i più bisognosi e i più deboli, più disponibile a dare e a portare aiuto a tutti?" (Giovanni Paolo II, RH 15).

Bisogna dunque, in primo luogo, situare la responsabilità morale che ciascun essere umano deve coscientemente assumere davanti alla sfida dei compiti che gli competono come cittadino di una patria, cittadino di una regione segnata da una storia e da un destino comune - e si può qui parlare, per ciò che riguarda l'Europa, di una storia cristiana - o cittadino del mondo.

L'uomo fortificato dal senso della sua responsabilità morale, sarà in grado di entrare in comunione con gli altri, poiché il destino dell'umanità non si gioca mai nell'isolamento ma nella solidarietà, nella collaborazione, nella comunione con gli altri, attraverso gli altri, per gli altri.

Ho detto di fortificare la responsabilità morale degli uomini. Ma in questo caso gli uomini che si riuniscono appartengono già a popoli con una propria storia, proprie tradizioni, propri diritti e in particolare il diritto alla loro identità. Questi popoli sono chiamati ad unirsi più strettamente. L'associazione non dovrà perciò mai tendere a un livellamento; ma al contrario dovrà contribuire a valorizzare i diritti e i doveri di ciascun popolo, nel rispetto delle singole sovranità, e realizzare così un'armonia più ricca rendendo queste nazioni capaci di entrare in rapporto con le altre, con tutti i loro valori, in particolare con i loro valori morali e spirituali.

Del resto, i partners così riuniti non potranno evidentemente dimenticare che da soli non sono tutta l'Europa; saranno coscienti della loro comune responsabilità per il futuro dell'intero continente, questo continente che al di là delle divisioni storiche, delle tensioni e dei conflitti, vive una profonda solidarietà, cui ha largamente contribuito la comune fede cristiana.

Tutta l'Europa deve dunque beneficiare dei passi oggi compiuti, e anche gli altri continenti ai quali l'Europa potrà volgersi con la sua specifica originalità.

Si, un grande servizio, un servizio delicato è affidato al Parlamento Europeo. Prego il Signore di illuminarvi, di assistervi, di darvi il coraggio di cercare, ad ogni costo, la giustizia e la verità il rispetto delle persone, delle situazioni, dei popoli.

Data: 1979-04-05

Data estesa: Giovedì 5 Aprile 1979.



A vescovi, clero e fedeli ungheresi - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Coraggio e coerenza nel lavoro apostolico

Testo: Venerati e cari fratelli!

1. Non posso non manifestarvi la profonda gioia, che provo oggi per il mio primo incontro con un gruppo così cospicuo di Presuli, di Sacerdoti e di Fedeli, con a capo il Cardinale Laszlo Lékai, convenuti a Roma per il quarto centenario della fondazione del Collegio Germanico-Ungarico.

Tale data è già stata solennemente celebrata domenica scorsa alla presenza di Porporati e di Presuli, di alte Autorità ungheresi, degli Ambasciatori della Repubblica Federale di Germania e dell'Austria, e di altre Personalità; ed è stata ricordata, in tale occasione, l'alta missione svolta, per secoli, dal Collegio Germanico-Ungarico nella formazione di Sacerdoti santi e dotti, assurti poi non di rado ad alte responsabilità nella Chiesa.

Come è noto, nel 1579, il mio predecessore Gregorio XIII fondava il Collegio Ungarico. Poco prima, nell'anno 1573, aveva istituito il nuovo Collegio Germanico, collegandosi idealmente a un'intenzione di sant'Ignazio di Loyola.

Poiché il Collegio Ungarico non poteva, esser dotato di mezzi sufficienti, nell'anno seguente alla sua fondazione, cioè nel 1580, il Papa lo uni al Collegio Germanico, e diede disposizioni al Nunzio Apostolico Malaspina di inviare a Roma dall'Ungheria dodici studenti. Ma il Rappresentante Pontificio ne poté mandare soltanto uno, poiché la vostra Nazione in quell'epoca era sotto l'occupazione straniera.

Numerosi e zelanti Sacerdoti, e anche Vescovi di grande prestigio, sono usciti da questo Collegio: basti ricordare le grandi personalità di Emerico Losy, Giorgio Lippay, Giorgio Szelepcsenyi, che nel secolo XVII organizzarono la vita della Chiesa, allora funestata da scissioni. Non voglio passare sotto silenzio la figura di Benedetto Kisdy, i cui mirabili canti ancora risuonano nelle vostre chiese.

Ma su tutti sovrasta il grande pensatore, teologo ed oratore del secolo scorso, Otokar Prolaszka, Vescovo di Szekesfehérvar.

Questa missione, per quanto concerne l'Ungheria, è stata da qualche tempo interrotta; ma si ha notizia che prossimamente essa riprenderà. Formulo pertanto fervidi voti perché i Sacerdoti ungheresi, che saranno formati nel Collegio Germanico-Ungarico, siano di gloria per la Chiesa e per la Patria.

Saluto in modo particolare il già menzionato Cardinale Primate, i Confratelli nell'Episcopato, e tutti gli altri ex alunni del Collegio Germanico-Ungarico, qui presenti o rimasti in Ungheria.

Ma in questi giorni voi celebrate anche il 50° anniversario dell'apertura nell'Urbe dell'Istituto Ecclesiastico Ungherese, che nel 1940 riceveva il sigillo dell'approvazione della Santa Sede.

Mi è caro ricordare che, anche in tale Istituto, sono state educate e formate schiere di sacerdoti per il bene della Chiesa e della Patria. Mi piace salutare i Presuli, già alunni od anche rettori dell'Istituto; e con loro intendo salutare, con stima ed affetto, tutti i sacerdoti che hanno frequentato l'Istituto Ecclesiastico Ungherese di Roma.

La Chiesa, Madre e Maestra, ha il diritto e il dovere di fondare e dirigere Istituti nei quali essa con piena libertà, possa formare ed educare i suoi figli.

"La Santa Madre Chiesa - afferma il Concilio Vaticano II - nell'adempimento del mandato ricevuto dal suo divin Fondatore, che è quello di annunziare il mistero della salvezza a tutti gli uomini e di instaurare tutto in Cristo, ha il dovere di occuparsi dell'intera vita dell'uomo, anche di quella terrena, in quanto connessa con la vocazione al cielo, e perciò ha un suo compito specifico in ordine al progresso ed allo sviluppo dell'educazione" (GE 1Intr.). Ed ancora: "...Questo Santo Sinodo ribadisce il diritto della Chiesa a fondare liberamente e a dirigere le scuole di qualsiasi ordine e grado, già dichiarato in tanti documenti del Magistero, e ricorda che l'esercizio di un tale diritto moltissimo contribuisce anche alla tutela della libertà di coscienza e dei diritti dei genitori come pure allo stesso progresso culturale" (GE 8).


La fausta ricorrenza del 50° anniversario di apertura nell'Urbe del vostro Istituto dà occasione, a me e a voi, per una breve riflessione circa l'importanza fondamentale e primaria, per la vita stessa della Chiesa, della formazione di Sacerdoti che siano, ad un tempo, santi, che vivano cioe intensamente in unione con Cristo (cfr. Jn 15,9ss), modellando la loro vita sulla sua (Ga 2,20 Ph 1,21) e realizzando giorno per giorno le esigenze, talvolta dure, del Vangelo (cfr. Mt 16,24 Mc 8,34); e siano altresi dotti, cioè profondi conoscitori della Parola di Dio, della Sacra Dottrina, dell'insegnamento del Magistero della Chiesa, e capaci di comunicare tale insegnamento per illuminare e orientare i fedeli, mostrandosi così autentici "ministri della Parola" (cfr. Lc 1,2 Ac 6,4 Ac 20,24 2Co 6,7 2Tm 2,15).

Auspico sinceramente che i dirigenti e i professori dei due menzionati Istituti, nonché i loro alunni, tendano con tutte le loro energie a queste finalità, realizzando quello che raccomanda vivamente il Concilio Vaticano II, quando parla dei Seminari Maggiori e, quindi, anche degli Istituti Ecclesiastici: "In essi tutta l'educazione degli alunni deve tendere allo scopo di formarne veri pastori d'anime, sull'esempio di Nostro Signore Gesù Cristo, Maestro, Sacerdote e Pastore. Gli alunni perciò vengano preparati: al ministero della Parola, in modo da penetrare sempre meglio la Parola di Dio rivelata, rendersela propria con la meditazione e saperla esprimere con il linguaggio e la vita; al ministero del culto e della santificazione, in modo che, pregando e celebrando le azioni liturgiche, sappiano esercitare il ministero della salvezza per mezzo del Sacrificio eucaristico e dei Sacramenti; all'ufficio di Pastori, per essere in grado di presentare agli uomini il Cristo" (cfr. OT 4).


2. Dinanzi a questo qualificato gruppo di Presuli, di Sacerdoti e di Fedeli della nobilissima Ungheria, vengono spontanei il ricordo, l'ammirazione e la venerazione verso il Santo Re Stefano che, tra il X e l'XI secolo, ottenendo dal mio predecessore Silvestro II il riconoscimento del regno, dava inizio alla vostra gloriosa storia e diventava, a buon diritto, il padre della Patria, l'apostolo della fede cattolica e il fondatore della Chiesa in Ungheria. Siate sempre fieri di questo grande Santo, che seppe sintetizzare, in perfetta armonia, la coerenza alla fede cristiana, la fedeltà alla Chiesa e l'amore alla propria Nazione! I miei sentimenti di benevolenza e di affetto nei vostri riguardi li ho manifestati nella mia lettera indirizzata il 2 dicembre scorso al Cardinale Primate, ai Presuli e, con ciò stesso, anche a tutti i cari fratelli e figli d'Ungheria. In tale lettera scrivevo di essere persuaso che la Chiesa Cattolica, la quale ha avuto una parte di si grande importanza nella storia ungherese, possa anche nel futuro continuare, in un certo senso, a plasmare il volto spirituale della vostra Patria, irradiando sui suoi figli e sulle sue figlie quella luce del Vangelo di Cristo, che per tanti secoli ha illuminato la vita dei vostri concittadini.

Desidero, in questo nostro incontro, rinnovarvi l'espressione dei miei sentimenti e raccomandarvi di proseguire a lavorare, con zelo e dedizione, sempre in armonia tra di voi. Ho appreso con viva soddisfazione che vi dedicate con particolare ed accresciuto impegno, alla formazione della gioventù E' questo un primario dovere della Chiesa, la quale è consapevole che "i giovani esercitano un influsso di somma importanza nella società odierna" ("Apostolicam Actusitatem", 12). Essi cercano la verità, la solidarietà, la giustizia; sognano e vogliono contribuire alla costruzione di una società migliore, dalla quale siano banditi gli egoismi, ma nella quale siano rispettate l'originalità e l'irripetibilità delle persone umane; cercano una risposta globale ed esauriente ai problemi fondamentali dell'uomo, quali sono quelli concernenti il significato essenziale ed esistenziale della vita. A tali esigenze, a tali interrogativi dei giovani rispondete, con zelo costante, presentando loro il Cristo, la sua persona, la sua vita, il suo messaggio esigente si, ma carico di speranza e di amore. "L'unico orientamento dello spirito - scrivevo recentemente - l'unico indirizzo dell'intelletto, della volontà, del cuore è per noi questo: verso Cristo, Redentore dell'uomo; verso Cristo, Redentore del mondo. A lui vogliamo guardare, perché solo in lui, Figlio di Dio, c'è salvezza, rinnovando l'affermazione di Pietro: "Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna" (Jn 6,68 cfr. Ac 4,8-12)" (RH 7). Continuate in questi vostri sforzi. Il Signore vi aiuterà in ogni circostanza con il suo conforto e con la sua grazia.


3. A conclusione di questo incontro, rivolgo un affettuoso saluto a voi, qui presenti, ai vostri Sacerdoti e Fedeli, e a tutti gli altri Presuli, Sacerdoti e Fedeli di Ungheria, Regno di Maria. Siate sempre saldi nella fede in Dio e in Cristo (cfr. 1Co 16,13 Col 1,23 Col 2,7 He 4,14 1P 5,9) e tramandate con chiarezza alle future generazioni questo incomparabile dono del Signore! (cfr. Rm 6,17 1Co 11,23 1Co 15,3 2Tm 2,2).

Invoco sulla vostra Nazione la protezione materna della Vergine Santissima, sua celeste Regina; del santo Re Stefano; di santa Elisabetta d'Ungheria, "pauperum consolatrix" e "famelicorum reparatrix"; della Beata Edvige, regina di Polonia, lo splendido dono che il vostro Popolo nel XIV secolo ha fatto alla mia Patria d'origine; di tutti i santi e le sante che l'Ungheria, per la gloria di Dio, ha donato alla Chiesa e al mondo.

Il mio deferente saluto ed augurio si rivolge anche alle Autorità civili, così come a tutti gli Ungheresi che non condividono la vostra fede.

A voi tutti, ai Presuli, ai Sacerdoti, ai Religiosi, alle Religiose, ai Fedeli di Ungheria imparto una copiosa benedizione apostolica.

Data: 1979-04-06

Data estesa: Venerdì 6 Aprile 1979.





Ai partecipanti al congresso UNEBA - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: La carità: il necessario completamento della giustizia

Testo: Signor Presidente e voi tutti partecipanti all'VIII Congresso dell'Unione Nazionale degli Enti di Beneficenza e Assistenza.

Un sentimento di vivo compiacimento e di consolazione mi invade l'animo nell'incontrarmi stamane, per la prima volta, con voi, convenuti a Roma per discutere gli importanti problemi che interessano la vostra Associazione; essa, come sappiamo, da quasi un trentennio opera nel campo caritativo, rappresentando, tutelando e promuovendo le iniziative assistenziali di tutti gli enti di ispirazione cattolica, che si adoperano per sovvenire alle necessità di tutti i cittadini in gravi condizioni di disagio morale, materiale e sociale. Opera multiforme, irrinunciabile, provvidenziale la vostra, che abbraccia tutti i settori della carità, la quale non ha confini, o ha quelli sconfinati ed universali della sofferenza umana. E' ben nota l'importanza, la validità e l'attualità della vostra istituzione, che agisce in collegamento con la Conferenza Episcopale Italiana e si avvale della collaborazione di vari organismi cattolici, presenti nel settore dell'assistenza sociale.

Anche se l'assistenza pubblica viene man mano a coprire uffici assolti per secoli dalla carità della Chiesa, ed anche se la società moderna cerca di soddisfare in forma istituzionale ed organica certe esigenze di previdenza e di assistenza, l'azione assistenziale e benefica della Chiesa non ha perduto per nulla nel mondo contemporaneo la sua funzione insostituibile.

La carità sarà sempre necessaria, come stimolo e completamento della giustizia stessa; essa resterà sempre per la Chiesa il segno della sua testimonianza e della sua credibilità (cfr. Jn 13,35).

Siate interiormente convinti della necessità della vostra opera, del diritto e del dovere che vi compete di svolgerla; opera che voi vorrete promuovere instancabilmente, difendendone il senso e l'urgenza, e il libero esercizio; perfezionandone i metodi ed i servizi, impegnandovi altresi per uno sforzo armonico ed unitario, in maniera che le varie istituzioni assistenziali, senza perdere la propria natura ed autonomia, sappiano agire in spirito di sincera collaborazione fra di loro, così da facilitare gli opportuni e provvidi interventi delle autorità pubbliche e un'adeguata legislazione.

In questi ultimi tempi la Chiesa ha più volte manifestato il proprio insegnamento in materia di assistenza sociale, anche alla luce di quanto il Concilio Ecumenico Vaticano II ha espresso circa l'azione caritativa dei cristiani nel decreto "Apostolicam Actuositatem" sull'apostolato dei laici. Ritengo utile richiamare alla vostra attenzione alcuni principi fondamentali su tale insegnamento.

Innanzitutto bisogna affermare che il centro e l'unità di misura di ogni sistema di assistenza sociale è la persona umana, la sua dignità, i suoi diritti e doveri; persona umana, la quale dovrà ricevere dalla società gli ausili che sono necessari al suo sviluppo e alla sua realizzazione. Sul piano giuridico, tale affermazione si concreta nel diritto del cittadino all'assistenza, diritto che ogni moderno ordinamento statuale non può non espressamente riconoscere.

E' opportuno precisare che non è sufficiente il riconoscimento teorico di questo diritto, ma è necessario che esso sia reso effettivamente operante attraverso una adeguata organizzazione di servizi sociali, promossi e gestiti da tutti coloro che sono chiamati ad operare il bene comune della società.

A tale riguardo, è utile rilevare che la realizzazione del bene comune nel campo dell'assistenza, come in ogni altro settore della vita associata, è congiuntamente compito dei pubblici poteri, dei corpi intermedi, delle libere istituzioni ed associazioni, delle famiglie, delle singole persone; tutti insieme devono collaborare a garantire al cittadino quanto gli è necessario per uscire dalla condizione di bisogno nella quale versa, e per meglio realizzare e sviluppare la sua stessa personalità umana. In questo modo e con l'apporto di tutti si realizza nella società quella sana armonizzazione tra iniziative pubbliche e iniziative private capace di dare a tutte le energie il giusto spazio di azione.

L'opportuno coordinamento delle iniziative assistenziali pubbliche e private, tale da garantire un armonico sistema di sicurezza sociale, può essere realizzato oggi attraverso il moderno strumento della programmazione territoriale, regionale e nazionale, purché questa sia veramente democratica, nel senso che tutti gli interessati, operatori sociali, pubblici e privati, nonché gli stessi assistiti, possano dare il loro libero apporto, nella superiore prospettiva del bene comune.

In particolare, per quanto riguarda la Chiesa, la possibilità di promuovere iniziative assistenziali si configura come componente non secondaria della libertà religiosa, poiché le opere di carità, nelle loro molteplici forme, sono esigenze fondamentale ed originaria della fede cristiana, come testimonia la storia millenaria del Cristianesimo, che è anche la storia della città. così infatti si esprime il citato decreto conciliare sull'apostolato dei laici: "Sebbene ogni esercizio di apostolato nasca ed attinga il suo vigore dalla carità, tuttavia alcune opere per natura propria sono atte a diventare vivida espressione della stessa carità; e Cristo Signore volle che fossero segni della sua missione messianica" (AA 8).

Sulla base di questo insegnamento, lo stesso Concilio Ecumenico, nel medesimo documento afferma che "la santa Chiesa... in ogni tempo si riconosce da questo contrassegno della carità, e, mentre gode delle iniziative altrui, rivendica le opere di carità come suo dovere e diritto al quale non può rinunciare" (AA 8).

Alla luce di questi principi desidero incoraggiare la benemerita azione che la vostra Unione svolge da circa un trentennio a sostegno di tutte le libere istituzioni di assistenza e beneficenza, tra le quali quelle promosse dall'impulso caritativo dei cristiani costituiscono in Italia una notevolissima parte.

Voi, così operando, non solo incrementate, sul piano civile, un più vasto pluralismo di quelle libere istituzioni che costituiscono il tessuto connettivo di una società veramente democratica, nella quale si realizza la responsabile partecipazione dei cittadini in ordine al conseguimento del bene comune, ma nello stesso tempo voi favorite i diritti propri dell'uomo e delle sue libertà, e segnatamente della libertà religiosa, che nel nostro tempo assume un particolare valore e significato, in quanto qualifica lo stesso ordinamento politico di una società.

A voi, dunque, la mia viva esortazione a non stancarvi, a non lasciarvi abbattere dalle difficoltà, ma a progredire e ad avanzare con la stessa dedizione, con lo stesso coraggio e con accresciuto amore verso Cristo e la sua Chiesa.

Con tale fiducia, benedico affettuosamente voi, le istituzioni che rappresentate, le persone che svolgono in esse la loro opera e gli assistiti, implorando per tutti il conforto degli aiuti celesti.

Data: 1979-04-07

Data estesa: Sabato 7 Aprile 1979.





Lettera all'Arcivescovo di Birmingham - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: A cent'anni dall'elevazione a cardinale di John Henry Newman

Testo: Al Venerabile Fratello George Patrick Dwyer Arcivescovo di Birmingham, Presidente della Conferenza Episcopale d'Inghilterra e Galles.

In comunione spirituale e pastorale sollecitudine, rispondo con gioia al Suo invito di celebrare insieme con tutta la Chiesa sparsa nell'Inghilterra, il centenario dell'elevazione alla porpora cardinalizia di uno dei suoi grandi figli e testimoni della fede, John Henry Newman, creato cardinale di Santa Romana Chiesa, dal mio venerabile predecessore Leone XIII il 12 maggio 1879, con il titolo di San Giorgio in Velabro.

L'elevazione di Newman a cardinale, come la sua conversione alla Chiesa Cattolica, è un avvenimento che trascende il semplice fatto storico, e l'importanza che ciò ha avuto per il suo stesso paese. I due eventi in seguito sono stati incisi profondamente nella vita della Chiesa, molto al di là dei confini dell'Inghilterra. Il significato provvidenziale e l'importanza di questi eventi per la Chiesa in generale, sono stati più chiaramente compresi nel corso di questo nostro secolo. Lo stesso Newman, con visione quasi profetica, era convinto che egli stava lavorando e soffrendo per la difesa e l'affermazione della causa della religione e della Chiesa non solo nel periodo a lui contemporaneo ma anche per quello futuro. La sua influenza ispiratrice di grande maestro della fede e di guida spirituale viene percepita sempre più chiaramente proprio nei nostri giorni, come e stato indicato dal Sommo Pontefice Paolo VI nel suo messaggio rivolto al simposio Accademico del Cardinale Newman durante l'Anno Santo 1975. "Egli che era convinto di essere fedele in tutta la sua vita e con tutto il suo cuore votato alla luce della verità, diventa oggi un faro sempre più luminoso per tutti quelli che sono alla ricerca di un preciso orientamento e di una direzione sicura attraverso le incertezze del mondo moderno, un mondo che egli stesso profeticamente aveva preveduto" (Paolo VI, "Discorso" del 7 aprile 1975).

Nell'elevare John Henry Newman alla porpora cardinalizia, Leone XIII ha inteso difendere ed onorare la sua attività e la sua missione in seno alla Chiesa.

Venendo incontro al desiderio ardente manifestato da membri del laicato inglese, sotto la direzione del Duca di Nodolk, il Papa ha voluto rendere omaggio al genio di Newman ed esternare pubblicamente il suo personale apprezzamento per i meriti di Newman. Egli ha inteso riconoscere il valore dei molti scritti di Newman in difesa di Dio e della Chiesa. In questo senso Papa Leone XIII sostenne e incoraggio tutti coloro che - dentro e fuori la Chiesa Cattolica - hanno guardato a Newman come al loro maestro spirituale e guida nel cammino verso la santità.

Newman stesso commento il pensiero del Papa: "Egli ha pensato che un certo riconoscimento datomi da parte sua avrebbe fatto piacere ai cattolici inglesi, e alla stessa Inghilterra protestante" (Discorso al ricevimento del "biglietto", 12 maggio 1879).

Il pensiero filosofico e teologico e la spiritualità del Cardinale Newman, così profondamente radicati ed arricchiti dalla Sacra Scrittura e dall'insegnamento dei Padri continuano a conservare la loro particolare originalità e valore. Come figura trainante del Movimento di Oxford e più tardi come promotore di un autentico rinnovamento nella Chiesa Cattolica, Newman sembra avere una speciale vocazione ecumenica non solo per il proprio paese, ma anche per l'intera Chiesa. Insistendo "che la Chiesa deve essere preparata per i convertiti così come i convertiti preparati per la Chiesa" (J.H. Newman, "Autobiographical Writings"), egli ha già anticipato in una certa misura nella sua vasta visione teologica uno dei temi fondamentali e degli orientamenti del Concilio Vaticano II, come pure della Chiesa del periodo postconciliare. Nello spirito dei miei predecessori sulla Cattedra di Pietro, voglio esprimere la speranza che sotto questo importantissimo aspetto e sotto altri aspetti non meno importanti, la figura e l'insegnamento del grande Cardinale possano continuare ad essere fonte di ispirazione per un sempre più efficace compimento della missione della Chiesa nel mondo moderno, e che ciò possa contribuire a un rinnovamento di vita spirituale dei suoi membri, e affrettare la restaurazione dell'unità fra tutti i Cristiani.

Ho la speranza che questo centenario sia per tutti noi un'occasione opportuna di studiare più da vicino il pensiero ispiratore del genio di Newman caratterizzato da profonda onestà intellettuale, fedeltà alla coscienza e alla grazia, pietà e zelo sacerdotale, devozione alla Chiesa di Cristo e amore per la sua dottrina, incondizionata fiducia nella divina Provvidenza ed assoluta obbedienza al volere di Dio.

Desidero inoltre manifestare il mio personale interessamento al processo di beatificazione di questo "servo buono e fedele" (cfr. Mt 25,21), di Cristo e della Chiesa. Seguiro con viva attenzione qualunque progresso possa ottenersi a questo riguardo.

Nell'esaltare la sua memoria e il contributo da lui dato alla Chiesa di Dio, invio la mia speciale apostolica benedizione a lei e a tutti i fedeli dell'Inghilterra, e in particolare ai membri della Congregazione Inglese dell'Oratorio di san Filippo Neri, di cui J. H. Newman è stato il fondatore, così come a tutti quelli che lo venerano nel mondo intero.

Data: 1979-04-07

Data estesa: Sabato 7 Aprile 1979.





Omelia della Domenica delle Palme - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Si realizza nella Croce il disegno di amore

Testo:

1. Durante la prossima settimana, la liturgia vuole essere strettamente ubbidiente al susseguirsi degli avvenimenti. Proprio gli avvenimenti, svoltisi a Gerusalemme poco meno di duemila anni fa, decidono che questa è la settimana santa, la Settimana della Passione del Signore.

La domenica odierna rimane strettamente collegata con l'evento che ebbe luogo quando Gesù si avvicino a Gerusalemme, per compiere li tutto ciò che era stato annunziato dai profeti. Proprio in questo giorno i discepoli, per ordine del Maestro, gli condussero un asinello, dopo aver chiesto di poterlo prendere per un certo tempo in prestito. E Gesù vi si pose a sedere sopra, perché si adempisse su di lui anche quel particolare degli scritti profetici. Infatti così dice il profeta Zaccaria: "Esulta grandemente, figlia di Sion, giubila, figlia di Gerusalemme! Ecco, a te viene il tuo re. Egli è giusto e vittorioso, umile, cavalca un asino, un puledro figlio d'asina" (Lc 9,9).

Allora anche la gente che in occasione delle feste si recava a Gerusalemme - la gente che guardava gli atti compiuti da Gesù ed ascoltava le sue parole - manifestando la fede messianica che egli aveva risvegliato, gridava: "Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Benedetto il regno che viene, del nostro padre Davide! Osanna nel più alto dei cieli!" (Mc 11,9-10).

Noi ripetiamo queste parole in ogni Messa quando si avvicina il momento della transustanziazione.


2. così dunque, sulla strada verso la Città Santa, vicino all'entrata in Gerusalemme, sorge davanti a noi una scena dell'entusiasmante trionfo.

"E molti stendevano i propri mantelli sulla strada e altri delle fronde che avevano tagliate dai campi" (Mc 11,8).

Il popolo d'Israele guarda a Gesù con gli occhi della propria storia: questa è la storia che portava il popolo eletto, attraverso tutte le vie della sua spiritualità, della sua tradizione, del suo culto, proprio verso il Messia. Nello stesso tempo questa storia è difficile. Il regno di Davide rappresenta il punto culminante della prosperità e della gloria terrestre del popolo, che dai tempi di Abramo, a più riprese, aveva ritrovato la sua alleanza con Dio-Jahvè, ma anche più di una volta l'aveva infranta. E adesso stringerà questa alleanza in maniera definitiva? O forse perderà di nuovo questo filo della vocazione, che ha segnato dall'inizio il senso della sua storia? Gesù entra in Gerusalemme sull'asinello prestatogli. La folla sembra essere più vicina all'adempimento della promessa per la quale avevano vissuto tante generazioni. Le grida: "Osanna... Benedetto colui che viene nel nome del Signore!" sembrano voler esprimere l'incontro ormai vicino dei cuori umani con l'eterna Elezione. In mezzo a questa gioia che precede le solennità pasquali, Gesù è raccolto e silenzioso. E' pienamente consapevole che quell'incontro dei cuori umani con l'eterna Elezione non avverrà mediante gli "Osanna", ma mediante la Croce.

Prima che egli venisse in Gerusalemme, accompagnato dalla folla dei suoi conterranei, pellegrini per le feste di Pasqua, un altro lo aveva introdotto ed aveva definito il suo posto in mezzo a Israele.

Fu proprio Giovanni Battista al Giordano. Giovanni pero, quando aveva visto Gesù che aspettava, non aveva gridato "Osanna", ma indicandolo col dito aveva detto: "Ecco l'agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo" (Jn 1,29).

Gesù sente il grido della folla nel giorno dell'ingresso in Gerusalemme, ma il suo pensiero è fisso alle parole di Giovanni presso il Giordano: "Ecco colui che toglie il peccato del mondo" (Jn 1,29).


3. Oggi leggiamo la narrazione della Passione dei Signore secondo Marco. Vi è la completa descrizione degli avvenimenti, che si susseguiranno nel corso di questa settimana. E, in un certo senso, il programma della settimana.

Ci fermiamo in raccoglimento davanti a questa narrazione. E' difficile conoscere questi avvenimenti in modo diverso. Benché li conosciamo tutti a memoria, sempre torniamo ad ascoltarli con lo stesso raccoglimento. Mi ricordo quando ero ancora giovane sacerdote e raccontavo la Passione del Signore ai bambini, con quanta attenzione essi ascoltavano! Questa era sempre una catechesi completamente diversa dalle altre. La Chiesa quindi non cessa di rileggere la narrazione della Passione di Cristo, e desidera che questa descrizione rimanga nella nostra coscienza e nel nostro cuore. In questa settimana siamo chiamati ad una solidarietà particolare con Gesù Cristo, "Uomo dei dolori" (Is 53,3).


4. così dunque insieme all'immagine di questo Messia, che l'Israele della vecchia alleanza aspettava, e che anzi sembrava avere ormai quasi raggiunto con la propria fede nel momento dell'ingresso in Gerusalemme, la liturgia odierna presenta a noi contemporaneamente un'altra immagine. E' l'immagine descritta dai Profeti, in modo particolare da Isaia: "Ho presentato il dorso ai flagellatori... sapendo di non restare deluso" (Is 50,6).

Cristo viene in Gerusalemme perché si adempiano su di lui queste parole, per realizzare la figura del "servo di Jahvè", mediante la quale il profeta, otto secoli prima, aveva rivelato l'intento di Dio. Il "Servo di Jahvè": il Messia, il discendente di Davide, non è quello in cui si adempie l'"Osanna" del popolo, ma quello che è sottoposto alla più terribile prova: "Mi schermiscono quelli che mi vedono... lo liberi, se è suo amico" ().

Invece non mediante la "liberazione" dall'obbrobrio, ma proprio mediante l'obbedienza fino alla morte, mediante la Croce, doveva realizzarsi l'eterno disegno dell'amore. Ed ecco parla ormai non più il profeta, ma l'Apostolo, parla Paolo, nel quale "la parola della Croce" ha trovato una via particolare. Paolo, consapevole del Mistero della Redenzione, rende testimonianza a colui che "pur essendo di natura divina... spoglio se stesso, assumendo la condizione di servo... umilio se stesso, facendosi obbediente fino alta morte, e la morte di croce" (Ph 2,6-8).

Ecco la vera immagine del Messia, dell'Unto, del Figlio di Dio, del Servo di Jahvè. Gesù con questa immagine entrava in Gerusalemme, quando i pellegrini, che lo accompagnavano per via, cantavano: Ossanna". E stendevano i mantelli e i rami degli alberi sulla strada per la quale egli camminava.


5. E noi oggi teniamo nelle nostre mani i rami d'olivo. Sappiamo che poi questi rami seccheranno. Con la loro cenere cospargeremo le nostre teste, nell'anno prossimo, per ricordare che il Figlio di Dio, diventando uomo, ha accettato la morte umana per meritare a noi la Vita.

Data: 1979-04-08

Data estesa: Domenica 8 Aprile 1979.






GPII 1979 Insegnamenti - All'Ufficio di presidenza del Parlamento Europeo - Città del Vaticano (Roma)