GPII 1979 Insegnamenti - Omelia durante la Messa crismale - Città del Vaticano (Roma)

Omelia durante la Messa crismale - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Perseveranza e fedeltà nella vocazione sacerdotale

Testo:

1. Oggi alla soglia di questo Triduo Sacro, desideriamo in modo particolare professare la nostra fede in Cristo, in Colui, del quale dobbiamo rinnovare, nello spirito della Chiesa, la passione, affinché tutti volgano "lo sguardo a Colui che hanno trafitto" (Jn 19,37), e l'attuale generazione degli abitanti della terra pianga su di lui (cfr. Lc 23,27).

Ecco il Cristo: Colui nel quale Dio viene all'umanità come Signore della storia. "Io sono l'Alfa e l'Omega... Colui che è, che era e che viene" (Ap 1,8).

Ecco il Cristo "che mi ha amato e ha dato se stesso per me" (Ga 2,20), Cristo, che è venuto per ottenerci "col proprio sangue... una redenzione eterna" (He 9,12).

Cristo: l'"Unto", il Messia.

Una volta Israele, alla vigilia della liberazione dalla schiavitù di Egitto, segno le porte delle case col sangue dell'agnello (cfr. Ex 12,1-14). Ecco, l'Agnello di Dio è tra noi, Colui che lo stesso Padre ha unto con la forza e con lo Spirito Santo, ed ha mandato nel mondo (cfr. Jn 1,29 Ac 10,36-38).

Cristo: l'"Unto", il Messia.

Durante questi giorni, con la forza dell'unzione dello Spirito Santo, con la forza della pienezza della santità che è in lui, e in lui solo, griderà a Dio "a gran voce" (Lc 23,46), voce di umiliazione, di annientamento, di Croce: "Signore, mia fortezza, mio liberatore; mio Dio, mia rupe, in cui trovo riparo; mio scudo e baluardo, mia potente salvezza" (Ps 17(18),2ss).

Così griderà per sé e per noi.


2. Celebriamo oggi la liturgia del Crisma, mediante la quale la Chiesa vuole rinnovare, alla soglia di questi santi giorni, il segno di quella forza dello Spirito che ha ricevuto dal suo Redentore e Sposo.

Questa forza dello Spirito: grazia e santità, che è in lui, viene partecipata, a prezzo della passione e morte, agli uomini mediante i sacramenti della fede. così si costruisce continuamente il Popolo di Dio, come insegna il Concilio Vaticano II: "...i fedeli, in virtù del regale loro sacerdozio, concorrono all'oblazione dell'Eucaristia, e lo esercitano col ricevere i sacramenti, con la preghiera e il ringraziamento, con la testimonianza di una vita santa, con l'abnegazione e l'operosa carità" (LG 10).

Con questo Olio sacro, Olio dei catecumeni, saranno unti i catecumeni durante il battesimo, per poter poi essere unti col Sacro Crisma. Riceveranno questa unzione una seconda volta nel sacramento della Cresima. La riceveranno anche - se saranno a ciò chiamati - durante le ordinazioni: i diaconi, i presbiteri, i vescovi. Nel sacramento dei malati, tutti gli infermi riceveranno l'unzione con l'olio dei malati (cfr. Jc 5,14).

Vogliamo oggi preparare la Chiesa al nuovo anno di grazia, all'amministrazione dei sacramenti della fede, che hanno il loro centro nell'Eucaristia. Tutti i sacramenti, sia quelli il cui segno è l'unzione, sia quelli che vengono amministrati senza questo segno, come la penitenza e il matrimonio, significano una partecipazione efficace alla forza di Colui, che il Padre stesso aveva unto e inviato nel mondo (cfr. Lc 4,18).

Celebriamo oggi, Giovedì Santo, la liturgia di questa forza, la quale ha raggiunto la sua pienezza nelle debolezze del Venerdì Santo, nei tormenti della sua passione e agonia, perché mediante tutto ciò Cristo ci ha meritato la grazia: "Grazia a voi e pace... da Gesù Cristo, il testimone fedele, il primogenito dei morti e il principe dei re della terra" (Ap 1,4-5).


3. Attraverso il suo abbandono al Padre, attraverso l'ubbidienza fino alla morte ci ha fatti anche "regno di sacerdoti" (Ap 1,6).

Lo ha proclamato nel giorno solenne in cui ha condiviso con gli apostoli il pane e il vino, come suo Corpo e Sangue per la salvezza del mondo. Proprio oggi siamo chiamati a vivere questo giorno: festa dei sacerdoti. Oggi parlano nuovamente ai nostri cuori i misteri del cenacolo, dove Cristo, con la prima Eucaristia, ha pronunciato: "Fate questo in memoria di me" (Lc 22,19), istituendo così il Sacramento del sacerdozio. Ed ecco si è compiuto ciò che molto tempo prima aveva detto il profeta Isaia: "Voi sarete chiamati sacerdoti del Signore, ministri del nostro Dio sarete detti" (Is 61,6).

Oggi sentiamo il vivissimo desiderio di trovarci presso l'altare per questa concelebrazione eucaristica e rendere grazie per il dono particolare, che il Signore ci ha conferito. Consapevoli della grandezza di questa grazia, desideriamo inoltre rinnovare le promesse che ciascuno di noi, nel giorno della propria ordinazione, ha fatto a Cristo e alla Chiesa, deponendole nelle mani del Vescovo. Rinnovandole chiediamo la grazia della fedeltà e della perseveranza.

Chiediamo anche che la grazia della vocazione sacerdotale cada sul terreno di molte anime giovanili e che vi ponga radici come seme che porta frutto centuplicato (cfr. Lc 8,8).

Lo stesso fanno oggi, come è previsto, i vescovi nelle loro cattedrali in tutto il mondo. Insieme con i sacerdoti essi rinnovano le promesse fatte il giorno dell'ordinazione. Uniamoci a loro, ancor più ardentemente mediante la fratellanza nella fede e nella vocazione, che abbiamo attinto al cenacolo come particolare eredità tramandataci dagli Apostoli.

Perseveriamo in questa grande comunità sacerdotale, come servi del Popolo di Dio, come discepoli e amanti di Colui che si è fatto ubbidiente fino alla morte, che non è venuto al mondo per essere servito, ma per servire! (cfr. Mt 20,28).

Data: 1979-04-12

Data estesa: Giovedì 12 Aprile 1979.





Alla Messa "In Cena Domini" - San Giovanni in Laterano (Roma)

Titolo: La cena supremo gesto d'amore

Testo:

1. E' giunta l'"ora" di Gesù. Ora del suo trapasso da questo mondo al Padre.

Inizia il Triduo Sacro. Il mistero pasquale, come ogni anno si riveste del suo aspetto liturgico cominciando da questa messa che, unica durante l'anno, porta il nome di "Cena Domini".

Dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, "li amo sino alla fine" (Jn 13,1). L'Ultima Cena è appunto testimonianza di quell'amore con cui Cristo, Agnello di Dio, ci ha amato sino alla fine.

In questa sera i figli d'Israele consumavano l'agnello, secondo l'antica prescrizione, data da Mosè alla vigilia dell'uscita dalla schiavitù di Egitto.

Gesù fa lo stesso con i discepoli, fedele alla tradizione che era soltanto l'"ombra dei beni futuri" (He 10,1), soltanto la "sigura" della Nuova alleanza, della nuova Legge.


2. Che cosa significa: "Li amo sino alla fine?".

Significa: fino a quel compimento che doveva avverarsi nella giornata di domani, il Venerdì Santo. In tale giorno si doveva manifestare quanto Dio ha amato il mondo, e come, in quell'amore, sia giunto al limite estremo della donazione, al punto cioè di "dare il suo Figlio unigenito" (Jn 6,16). In quel giorno Cristo ha dimostrato che non c'è "amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici" (Jn 15,13). L'amore del Padre si è rivelato nella donazione del Figlio.

Nella donazione mediante la morte.

Il Giovedì Santo, il giorno dell'Ultima Cena, è in un certo senso il prologo di quella donazione: è l'ultima preparazione. E in un certo modo quel che in questo giorno si compiva va già oltre tale donazione. Proprio nel Giovedì Santo, durante l'Ultima Cena, si manifesta cosa vuol dire: "Amo sino alla fine".

Giustamente, infatti, pensiamo che amare sino alla fine significhi fino alla morte, sino all'ultimo respiro. Tuttavia l'Ultima Cena ci mostra che, per Gesù, "sino alla fine" significa al di là dell'ultimo respiro. Al di là della morte.


3. Tale è appunto il significato dell'Eucaristia. La morte non è la sua fine, ma il suo inizio. L'Eucaristia ha inizio dalla morte, come insegna san Paolo: "Ogni volta infatti che mangiate di questo pane e bevete di questo calice, voi annunziate la morte del Signore finché egli venga" (1Co 11,26).

L'Eucaristia è frutto di questa morte. La ricorda costantemente. La rinnova di continuo. La significa sempre. La proclama. La morte, che è diventata inizio della nuova Venuta: dalla Risurrezione alla Parusia, "finché egli venga".

La morte, che è "substrato" di una nuova vita. Amare "sino alla fine" significa dunque: per Cristo, amare mediante la morte e oltre la barriera della morte: Amare sino agli estremi dell'Eucaristia!

4. Proprio così Gesù ha amato in quest'ultima cena. Ha amato i "suoi" - coloro che allora erano con lui - e tutti quelli che dovevano ereditarne il ministero.

Le parole che ha pronunciato sul pane, le parole che ha pronunciato sul calice, pieno di vino, le parole che noi ripetiamo oggi con particolare emozione e che ripetiamo sempre quando celebriamo l'Eucaristia, sono proprio la rivelazione di quell'amore attraverso il quale, una volta per sempre, per tutti i tempi e sino alla fine dei secoli, ha distribuito se stesso! Prima ancora di dare se stesso sulla croce, come "Agnello che toglie i peccati del mondo", ha distribuito se stesso come cibo e bevanda: pane e vino, affinché "abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza" (Jn 10,10).

Così Egli "amo sino alla fine".


5. Pertanto Gesù non esito ad inginocchiarsi davanti agli Apostoli per lavare loro i piedi. Quando Simon Pietro vi si oppose, egli lo convinse a lasciar fare. Era quella, infatti, un'esigenza particolare della grandezza del momento. Era necessaria questa lavanda dei piedi, questa purificazione di fronte alla Comunione, alla quale avrebbero partecipato sin da quel momento.

Era necessaria. Cristo stesso senti il bisogno di umiliarsi ai piedi dei suoi discepoli: un'umiliazione che tanto ci dice di lui in quel momento. D'ora in poi, distribuendo se stesso nella comunione eucaristica, non si abbasserà egli continuamente al livello di tanti cuori umani? Non li servirà sempre in questo modo? "Eucaristia" significa "ringraziamento". "Eucaristia" significa anche "servizio", il protendersi verso l'uomo: il servire tanti cuori umani..

"Vi ho dato infatti l'esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi" (Jn 13,15). Non possiamo essere dispensatori dell'Eucaristia, se non servendo!

6. Ecco, è l'Ultima Cena. Cristo si prepara ad andarsene attraverso la morte, e attraverso la stessa morte si prepara a rimanere. così, la morte è diventata frutto maturo dell'amore: ci ha amato "sino alla fine".

Non basterebbe anche solo il contesto dell'Ultima Cena per dare a Gesù il "diritto" di dire a noi tutti: "Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati" (Jn 15,12)? Data: 1979-04-12

Data estesa: Giovedì 12 Aprile 1979.





La "Via Crucis" al Colosseo - Roma

Titolo: Solidarietà con chi soffre discriminazioni e persecuzioni

Testo:

1. Quando percorriamo la "Via Crucis" da una stazione all'altra, col nostro spirito siamo sempre presenti là dove questo cammino ebbe il suo luogo "storico": là dove si è svolta lungo le strade di Gerusalemme, dal pretorio di Pilato fino all'altura del Golgota, ossia del Calvario, fuori le sue mura.

Così, dunque, anche oggi col nostro spirito siamo stati la nella Città del "grande Re", che come segno della propria regalità ha scelto la corona di spine invece della corona regale, e la Croce invece del trono.

Non ha avuto ragione Pilato quando, mostrandolo al popolo, che aspettava la sua condanna davanti al Pretorio "per non contaminarsi e poter mangiare la Pasqua" (Jn 18,28), non disse "Ecco il re", ma "Ecco l'uomo" (Jn 19,5). E così rivelo il programma del suo regno, che vuole essere libero dagli attributi del potere terrestre per svelare i pensieri di molti cuori (cfr. Lc 2,35) e per avvicinare loro la Verità e l'Amore che proviene da Dio.

"Il mio regno non è di questo mondo... Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità" (Jn 18,36-37).

Questa testimonianza è rimasta agli angoli delle vie di Gerusalemme, alle svolte della "Via Crucis" là dove camminava, dove è caduto tre volte, dove ha accettato l'aiuto di Simone di Cirene e il velo della Veronica, là dove ha parlato ad alcune donne che facevano lamenti su di lui.

Ancora oggi siamo bramosi di questa testimonianza. Vogliamo conoscere tutti i suoi particolari. Seguiamo le orme della "Via Crucis" a Gerusalemme e insieme in tanti altri luoghi del nostro globo, e ogni volta ci sembra di ripetere a questo Condannato, a questo Uomo dei dolori: "Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna" (Jn 6,68)

2. Facendo la "Via Crucis" al Colosseo di Roma, siamo ancora sulle orme di Cristo, la cui Croce si trovo nei cuori dei suoi martiri e confessori. Essi annunciavano Cristo crocifisso come "potenza di Dio e sapienza di Dio" (1Co 1,24). Prendevano insieme a Cristo la Croce ogni giorno (cfr. Lc 9,23), e quando era necessario morivano come lui sulla croce o morivano nelle arene di Roma antica, dilaniati dalle belve, bruciati vivi, torturati. La potenza di Dio e la sapienza di Dio rivelate nella Croce si manifestava così più potentemente nelle debolezze umane.

Non soltanto essi accettavano le sofferenze e la morte per Cristo, ma si decidevano insieme a lui all'amore dei persecutori e dei nemici: "Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno" (Lc 23,34).

Per questo sulle rovine del Colosseo sta la Croce. Guardando questa Croce, la croce degli inizi della Chiesa in questa Capitale e la croce della sua storia, dobbiamo sentire ed esprimere una solidarietà particolarmente profonda con tutti i nostri fratelli nella fede, che anche nella nostra epoca sono oggetto di persecuzioni e di discriminazioni in diversi luoghi della terra. Pensiamo soprattutto a coloro che sono condannati, in un certo senso, alla "morte civile" col rifiuto del diritto di vivere secondo la propria fede, il proprio rito, secondo le proprie convinzioni religiose. Guardando la Croce nel Colosseo chiediamo a Cristo che non manchi loro - così come a quelli che una volta hanno subito qui il martirio - la potenza dello Spirito, di cui hanno bisogno i confessori e i martiri dei nostri tempi.

Guardando la Croce nel Colosseo sentiamo un'unione ancora più profonda con loro, una solidarietà ancora più forte. Come Cristo ha nei nostri cuori un posto particolare mediante la sua Passione, così anche loro. Noi abbiamo il dovere di parlare di questa passione dei suoi confessori contemporanei, e rendere loro testimonianza dinanzi alla coscienza di tutta l'umanità, che proclama la causa dell'uomo come scopo principale di ogni progresso. Come riconciliare queste affermazioni con la lesione recata a tanti uomini guardando la Croce di Cristo confessando Dio e annunziando il suo amore?

3. Cristo Gesù! Stiamo per concludere questo santo giorno di Venerdì Santo ai piedi della tua Croce. così come un tempo a Gerusalemme ai piedi della Croce stavano tua Madre, Giovanni, e Maddalena ed altre donne, così anche noi stiamo qui. Siamo profondamente emozionati dall'importanza del momento. Ci mancano le parole per esprimere tutto ciò che sentono i nostri cuori. Questa sera, quando - dopo essere tolto dalla Croce, ti hanno deposto in un sepolcro ai piedi del Calvario - desideriamo pregarti affinché tu rimanga con noi mediante la tua Croce: tu, che per la Croce ti sei separato da noi. Ti preghiamo perché rimanga con la Chiesa; perché tu rimanga con l'umanità; perché non ti sgomenti se molti, forse, passano indifferenti accanto alla tua Croce, se alcuni si allontanano da essa ed altri non vi arrivano.

Tuttavia, forse, mai più che oggi l'uomo ha avuto bisogno di questa forza e di questa sapienza che sei tu stesso, tu solo: mediante la tua Croce! Allora resta con noi in questo penetrante "mysterium" della tua morte, in cui hai rivelato quanto "Dio ha amato il mondo" (cfr. Jn 3,16). Resta con noi e attiraci a te (cfr. Jn 12,32), tu, che sotto questa Croce sei caduto. Resta con noi mediante la tua Madre, alla quale dalla Croce hai affidato in modo particolare ogni uomo (cfr. Jn 19,37).

Resta con noi! "Stat Crux, dum volvitur orbis!". Si, "la Croce sta alta sul mondo che volge!".

Data: 1979-04-13

Data estesa: Venerdì 13 Aprile 1979.





Agli agenti della Polizia Stradale - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Ognuno ha una vocazione e una responsabilità

Testo: Carissimi!

1. Il sentimento spontaneo che sgorga oggi dal mio cuore è la gioia: ho desiderato questo incontro, che avviene proprio alla vigilia del giorno più santo per la Chiesa, la Pasqua! In essa la Liturgia ci invita alla gioia: "Questo è il giorno fatto dal Signore, rallegriamoci ed esultiamo!". Volevo vedere, salutare personalmente voi, Agenti di Pubblica Sicurezza, che fate la scorta alla mia vettura tutte le volte - e non sono poche! - che esco dalle mura vaticane. Volevo sostare un po' con voi, nella calma serena, lontani dal rapido e stordente sfrecciare delle macchine, per aprirvi con molta semplicità il mio animo.

Sento il dovere di dirvi: "Grazie!". Grazie per l'impegno che mettete in codesto compito, che vi è stato affidato dai Superiori, e che voi adempite con rara abilità, con chiara prontezza, con riconosciuta dedizione; ma "grazie" soprattutto per i sentimenti di affetto verso la mia persona, che animano il vostro comportamento, ammirato da tutti. Ancora una volta, grazie!

2. Tale vostro impegno rientra nel vostro dovere quotidiano di uomini, di cittadini, di cristiani. Ecco la riflessione che desidero proporre alla vostra meditazione e a quella dei vostri cari qui presenti.

Ognuno di noi, nell'ambito della società, ma in particolare nell'ambito della Chiesa, ha una sua vocazione e una sua responsabilità. Ogni cristiano nella comunità del Popolo di Dio, deve contribuire alla costruzione del Corpo di Cristo, che è la Chiesa. E' questo il "servizio regale", di cui parla il Concilio Vaticano II (cfr. LG 36), in forza del quale non soltanto il Papa, i Vescovi, i Sacerdoti, ma tutti i cristiani, vale a dire, gli sposi, i genitori, le donne e gli uomini di condizioni e di professioni diverse debbono costruire la loro vita, come ho già detto nella mia prima Enciclica: "per la fedeltà alla propria vocazione debbono distinguersi gli sposi, come esige la natura indissolubile dell'istituzione sacramentale del matrimonio" (RH 21).

In questa vigilia di Pasqua, quasi sospesi tra la memoria della Passione di Gesù e quella della sua Risurrezione corporea, vi rivolgo pertanto il fervido augurio che sempre "manteniate ferma la professione della fede" (cfr. He 4,14): la fede in Dio Padre, la fede in Gesù Cristo, morto e risorto, la fede nella Chiesa; e che la vostra vita individuale, familiare, sociale, in tutte le sue manifestazioni, sia perfettamente coerente con la vostra fede cristiana, di modo che siate - come raccomandava san Giacomo - "di quelli che mettono in pratica la Parola e non soltanto ascoltatori" (Jc 1,22).

Allora, con san Paolo il Papa potrà dirvi con piena soddisfazione: "Gioisco al vedere la vostra condotta ordinata e la saldezza della vostra fede in Cristo" (Col 2,5).

Buona Pasqua, fratelli e sorelle carissimi! A voi, ai vostri genitori, alle vostre spose, ai vostri figli, a tutti i vostri cari, Buona Pasqua! Con la mia benedizione apostolica.

Data: 1979-04-14

Data estesa: Sabato 14 Aprile 1979.





Omelia durante la veglia Pasquale - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: La nuova vita nella luce di Cristo

Testo:

1. La parola "morte" si pronuncia con un nodo in gola. Sebbene l'umanità durante tante generazioni si sia in qualche modo assuefatta alla realtà della morte e alla sua ineluttabilità, tuttavia essa è ogni volta qualcosa di sconvolgente. La morte di Cristo era entrata profondamente nei cuori dei suoi più vicini, nella coscienza di tutta Gerusalemme. Il silenzio che scese dopo di essa riempi la sera del venerdi e tutta la giornata susseguente del sabato. In questo giorno, conformemente alle prescrizioni giudee, nessuno si era recato al luogo della sua sepoltura. Le tre donne, di cui parla il Vangelo di oggi, ben ricordano la pietra pesante con la quale era stata chiusa l'entrata al sepolcro. Questa pietra, alla quale pensavano e della quale avrebbero parlato il giorno seguente andando al sepolcro, simboleggia anche il peso che aveva schiacciato i loro cuori. La pietra che aveva separato il Morto dai viventi, la pietra limite della vita, il peso della morte. Le donne, che nel primo mattino del giorno dopo il sabato andranno al sepolcro, non parleranno della morte, ma della pietra. Giunte sul posto, constateranno che la pietra non sbarra più l'ingresso al sepolcro. E' stata ribaltata. Non troveranno Gesù nel sepolcro. L'hanno cercato invano! "Non è qui.

E' risorto, come aveva detto" (Mt 28,6). Devono ritornare in città ed annunziare ai discepoli che egli è risuscitato e che lo vedranno in Galilea. Le donne non sono capaci di pronunciare una parola. La notizia della morte si pronuncia con la voce attenuata. Le parole della risurrezione erano per esse addirittura difficili da afferrare. Difficili da ripetere, tanto la realtà della morte ha influito sul pensiero e sul cuore dell'uomo.


2. Da quella notte e più ancora da quella mattina, che l'ha seguita, i discepoli di Cristo hanno imparato a pronunciare la parola "risurrezione". Ed essa è diventata nel loro linguaggio la parola più importante, la parola centrale, la parola fondamentale. Da essa tutto prende di nuovo origine. Tutto viene confermato e si costruisce di nuovo: "La pietra scartata dai costruttori è divenuta testata d'angolo, ecco l'opera del Signore: una meraviglia ai nostri occhi. Questo è il giorno fatto dal Signore: rallegriamoci ed esultiamo in esso" (Ps 117(118),22-24).

E' appunto perciò che la vigilia pasquale - il giorno successivo al Venerdì Santo - non è più solo il giorno in cui si pronuncia con la voce attenuata la parola "morte", in cui si ricordano gli ultimi momenti della vita del Morto: è il giorno di una grande Attesa. E' la Vigilia pasquale: il giorno e la notte dell'attesa del Giorno che ha fatto il Signore. Il contenuto liturgico della Vigilia si esprime mediante le varie ore del breviario per concentrarsi poi con tutta la sua ricchezza in questa liturgia della notte, che raggiunge il suo vertice, dopo il periodo della Quaresima, nel primo "Alleluia".

Alleluia: il grido che esprime la gioia pasquale! L'esclamazione che risuona ancora nel mezzo della notte dell'attesa e porta già con sé la gioia del mattino. Porta con sé la certezza della risurrezione. Ciò che, in un primo momento, non hanno avuto coraggio di pronunciare davanti al sepolcro le labbra delle donne, o la bocca degli apostoli, adesso la Chiesa, grazie alla loro testimonianza, lo esprime con il suo Alleluia.

Questo canto di gioia, cantato pressoché a mezzanotte, ci annuncia il Giorno Grande. (In alcune lingue slave, la Pasqua si chiama la "Notte Grande", dopo la Notte Grande, arriva il Giorno Grande: "Giorno fatto dal Signore").


3. Ed ecco che stiamo per andare incontro a questo Grande Giorno con acceso il fuoco pasquale; abbiamo acceso da questo fuoco la candela luce di Cristo e proclamato accanto ad essa la gloria della sua Risurrezione nel canto dell'"Exsultet". In seguito, siamo entrati mediante una serie di letture nel processo del grande annuncio della creazione, del mondo, dell'uomo, del Popolo di Dio; siamo entrati nella preparazione dell'insieme del creato a questo Grande Giorno, al giorno della vittoria del bene sul male, della Vita sulla morte. Non si può afferrare il mistero della Risurrezione se non ritornando alle origini e seguendo, poi, tutto lo sviluppo della storia dell'economia salvifica fino a quel Momento! Al momento in cui le tre donne di Gerusalemme, fermatesi alla soglia del sepolcro vuoto, hanno sentito il messaggio di un giovane vestito di una veste bianca: "Non abbiate paura! voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. E' risorto, non è qui" (Mc 16,5-6).


4. Quel grande Momento non ci consente di restare fuori di noi stessi; ci costringe ad entrare nella nostra propria umanità. Cristo non soltanto ci ha rivelato la vittoria della vita sulla morte, ma ci ha portato, con la sua Risurrezione, la Nuova Vita. Ci ha donato tale nuova vita.

Ecco come si esprime san Paolo: "O non sapete che quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella sua morte? Per mezzo del battesimo siamo dunque stati sepolti insieme a lui nella morte, perché come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della Gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova" (Rm 6,3-4).

Le parole: "siamo stati battezzati nella sua morte" dicono molto. La morte è l'acqua nella quale si riconquista la Vita: l'acqua "che zampilla per la vita eterna" (Jn 4,14). Bisogna "immergersi" in questa acqua, in questa Morte, per emergere poi da essa come Uomo Nuovo, come Nuova Creatura, come essere nuovo, cioè vivificato dalla Potenza della Risurrezione di Cristo! Questo è il mistero dell'Acqua, che stanotte benediciamo, che facciamo penetrare con la "luce di Cristo", che facciamo penetrare con la Nuova Vita: è essa il simbolo della potenza della Risurrezione! Questa Acqua diventa, nel Sacramento del Battesimo, il segno della vittoria su Satana, sul peccato; il segno della vittoria che Cristo ha riportato mediante la croce, mediante la Morte e che riporta poi in ognuno di noi: "Il nostro uomo vecchio è stato crocifisso con lui perché fosse distrutto il corpo del peccato, e noi non fossimo più schiavi del peccato" (Rm 6,6).


5. Ecco la notte della Grande Attesa. Attendiamo nella fede, attendiamo con tutto il nostro essere umano Colui, che all'alba ha spezzato la tirannia della morte e rivelato la Divina Potenza della Vita: egli è la nostra Speranza.

Data: 1979-04-14

Data estesa: Sabato 14 Aprile 1979.





Messaggio pasquale - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Nel giorno della Risurrezione l'esordio della nuova Speranza

Testo:

1. "Resurrexit tertia die...". Il terzo giorno è risuscitato...

Oggi, insieme con tutta la Chiesa, noi ripetiamo queste parole con una particolare emozione. Le ripetiamo con la stessa fede, con la quale - proprio in questo giorno - furono pronunciate per la prima volta. Le pronunciamo con la stessa certezza, che hanno messo in questa frase i testimoni oculari dell'evento.

La nostra fede proviene dalla loro testimonianza, e la testimonianza è nata dalla visione, dall'ascolto, dall'incontro diretto, dal tocco delle mani, dei piedi e del costato trafitti.

La testimonianza è nata dal Fatto; si, il terzo giorno Cristo è risuscitato. Oggi ripetiamo queste parole con tutta semplicità, perché esse provengono dagli uomini semplici. Esse provengono dai cuori che amano e che hanno così amato Cristo, da esser capaci di trasmettere e di predicare niente altro che la verità su di lui: "Crucifixus sub Pontio Pilato, passus et sepultus est": Fu Crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato, mori e fu sepolto.

Così suonano le parole di questa testimonianza. E con la stessa semplicità della verità continuano a proclamare: "et resurrexit tertia die": e il terzo giorno è risuscitato.

Questa verità, sulla quale, come su "sietra angolare" (cfr. Ep 2,20) si basa tutta la costruzione della nostra fede, vogliamo oggi di nuovo condividerla tra noi, reciprocamente, come pienezza del Vangelo, noi: confessori di Cristo, noi cristiani, noi Chiesa. E, nello stesso tempo, vogliamo condividerla con tutti coloro che ci ascoltano, con tutti gli uomini di buona volontà.

Noi la condividiamo nella gioia, perché come potremmo non esultare di gioia per la vittoria della Vita sulla Morte? "Mors et vita duello conflixere mirando! Dux vitae, mortuus, regnat vivus!": "Il Signore della vita era morto; ma ora, vivo trionfa" (Sequenza di Pasqua).


2. Come non rallegrarsi della vittoria di questo Cristo, che passo per il mondo beneficando tutti (cfr. Ac 10,38) e predicando il Vangelo del Regno (cfr. Mt 4,24), in cui si è espressa tutta la pienezza della bontà redentrice di Dio? In essa l'uomo è stato chiamato alla più grande dignità.

Come non rallegrarsi della vittoria di Colui, che così ingiustamente è stato condannato alla passione più terribile e alla morte sulla Croce; della vittoria di Colui che prima è stato flagellato, schiaffeggiato, imbrattato di sputi, con tanta inumana crudeltà? Come non rallegrarsi della rivelazione della potenza di Dio solo, della vittoria di questa potenza sul peccato e sull'accecamento degli uomini? Come non rallegrarsi della vittoria che riporta definitivamente il bene sul male? Ecco il Giorno che ha fatto il Signore! Ecco il Giorno dell'universale speranza. Il Giorno in cui intorno al Risorto si uniscono e si associano tutte le sofferenze umane, le delusioni, le umiliazioni, le croci, la dignità umana violata, la vita umana non rispettata, l'oppressione, la costrizione, tutte cose che gridano a voce alta: "Victimae paschali laudes immolent christiani" ("Alla vittima pasquale s'innalzi oggi il sacrificio di lode").

Il Risorto non si allontana da noi; il Risorto ritorna a noi: "Ora andate, dite ai suoi discepoli e a Pietro che egli vi precede..." (Mc 16,7). Egli viene ovunque, dove i più lo aspettano, dove più grande è la tristezza e lo spavento, dove più grandi sono la sfortuna e le lacrime. Egli viene per irradiare la luce della risurrezione su tutto ciò che è sottoposto al buio del peccato e della morte.


3. Entrando nel Cenacolo a porte chiuse, Cristo risorto saluta i suoi discepoli ivi riuniti con le parole: "Pace a voi" (Jn 20,19).

Questa è la prima parola nel suo messaggio pasquale.

Quanto è grande il bene in questa pace che egli ci dà, e che il mondo non può dare (cfr. Jn 14,27)! Quanto è strettamente legata alla sua venuta e alla sua missione! Quanto è necessaria per il mondo la sua presenza, la vittoria del suo Spirito, l'ordine proveniente dal suo comandamento dell'amore, affinché gli uomini, le famiglie, le nazioni, i continenti possano godere la pace.

Oggi questo saluto del Risorto, espresso agli Apostoli nel cenacolo di Gerusalemme, noi vogliamo ripetere da questo luogo, ed indirizzarlo ovunque esso è particolarmente attuale e particolarmente atteso.

Pace a voi, popoli del Medio Oriente.

Pace a voi, popoli dell'Africa.

Pace a voi, popoli e Paesi dell'Asia.

Pace a voi, fratelli e sorelle dell'America Latina.

E pace a voi, popoli che vivete nei diversi sistemi sociali, economici e politici! Pace! Come frutto del fondamentale ordine; come espressione del rispetto del diritto alla vita, alla verità, alla libertà, alla giustizia e all'amore di ogni uomo.

Pace delle coscienze e pace dei cuori. Questa pace non potrà aversi sino a che ciascuno di noi non avrà la consapevolezza di fare quanto è in suo potere perché a tutti gli uomini - fratelli di Cristo, da lui amati sino alla morte - sia assicurata dal primo momento della loro esistenza una vita degna dei figli di Dio.

Penso in questo momento in particolare a quanti soffrono per la mancanza anche dello stretto necessario per sopravvivere, a quanti soffrono per la fame, e soprattutto ai più piccoli che - nella loro debolezza - di Cristo sono i prediletti e ai quali è dedicato, quest'anno, l'Anno internazionale del fanciullo.

Possa il Cristo Risorto ispirare a tutti, cristiani e non cristiani, sentimenti di solidarietà e di amore generoso verso tutti i nostri fratelli che si trovano nel bisogno.


4. "Surrexit Christus, spes mea!".

O cari fratelli e sorelle! Come è per noi eloquente questo Giorno, che parla con tutta la verità della nostra origine. Pietra angolare di tutta la nostra costruzione e lo stesso Cristo Gesù (cfr. Ep 2,20-21). Questa pietra, scartata dai costruttori, che Dio ha irradiato con la luce della risurrezione, si trova posta al fondamento stesso della nostra fede, della nostra speranza e della nostra carità. Essa è la prima ragione della nostra vocazione e della missione che ognuno di noi riceve già nel Battesimo.

Oggi desideriamo scoprire di nuovo questa vocazione, assumere di nuovo in proprio questa missione. Desideriamo farla penetrare di nuovo dalla gioia della risurrezione. Desideriamo riavvicinarla a tutti gli uomini, a coloro che sono vicini e a quelli che sono lontani.

Condividiamo reciprocamente gli uni con gli altri questa gioia.

Condividiamola con gli Apostoli, con le Donne che per prime portarono l'annuncio della Risurrezione.

Uniamoci a Maria.

"Regina caeli, laetare!".

L'uomo non può mai perdere la speranza nella vittoria del bene.

Questo giorno diventi oggi per noi l'esordio della nuova speranza.

(seguono messaggi augurali nelle varie lingue) Data: 1979-04-15

Data estesa: Domenica 15 Aprile 1979.






GPII 1979 Insegnamenti - Omelia durante la Messa crismale - Città del Vaticano (Roma)