GPII 1979 Insegnamenti - A giovani diaconi tedeschi - Città del Vaticano (Roma)





Recita dell'Angelus - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Il programma di Cristo nei confronti dell'uomo

Testo:

1. "Noli esse incredulus sed fidelis": "Non essere più incredulo ma credente" (Jn 20,27).

Oggi, domenica dell'ottava di Pasqua, rileggiamo queste parole pronunciate dal Risorto all'Apostolo Tommaso. Queste parole sono, in un certo senso, il programma di Cristo nei confronti dell'uomo.

Ecco il programma della fede: "Beati quelli che pur non avendo visto crederanno" (Jn 20,29).

Si sa perché Tommaso si è opposto. Perché non ha voluto accettare la verità sulla risurrezione. In questo non era differente dagli altri apostoli. Essi avevano analoghe difficoltà. Tanto il fatto della risurrezione superava la consapevolezza della necessità della morte e la irreversibilità delle sue conseguenze. Questo fatto era così difficile ad immaginarsi. L'uomo, una volta morto, non vive più tra gli uomini, non trova il suo posto tra i vivi sulla terra.

Gli apostoli hanno accettato la realtà della risurrezione, basandosi sull'esperienza del Cristo Risorto. Lo hanno visto, dopo la morte, tra i viventi sulla terra, in Gerusalemme, nel Cenacolo, al lago di Galilea. E dovevano arrivare a questa conclusione che "Cristo risuscitato dai morti non muore più...", che "la morte non ha più potere su di lui" (Rm 6,9), che egli è diventato il Padrone della morte.

Tommaso non era con loro, quando per la prima volta Cristo venne nel Cenacolo. Per questo la sua riserva. La sua "incredulità". Ha chiesto una prova.

La stessa prova che avevano già avuto gli altri. Non gli bastavano le loro parole e le loro informazioni. Voleva convincersi personalmente. Voleva vedere con i propri occhi. Voleva toccare. Ed ha ottenuto quello che ha chiesto. La sua "incredulità" è diventata in un certo senso una prova supplementare.

Su questo fatto si è richiamata l'attenzione più di una volta. Proprio perché si opponeva alla notizia sulla risurrezione, ha contribuito, indirettamente, a far si che la notizia acquistasse ancora maggiore certezza.

Tommaso "incredulo" è diventato, in un certo modo, singolare portavoce della certezza della Risurrezione. Come afferma san Gregorio Magno "L'incredulità di Tommaso ha giovato a noi molto di più, riguardo alla fede, che non la fede degli altri discepoli. Mentre infatti Tommaso viene ricondotto alla fede col tatto, la nostra mente viene consolidata nella fede col superamento di ogni dubbio. così il discepolo, che ha dubitato e toccato, è divenuto testimone della realtà della risurrezione" (S. Gregorio Magno, "XL Homiliarum in Evangelia", lib. II, Nomil. 26,7; PL 76, 1201) 2. Viviamo nell'epoca in cui sono molto apprezzati l'intelletto umano e le sue conquiste; e quindi anche i metodi scientifico-consultivi; il suo atteggiamento critico. Ed è anche l'epoca in cui il principio della libertà definisce il fondamentale diritto della persona umana al comportamento secondo le sue fondate convinzioni. Di qui la libertà di coscienza e la libertà religiosa.

La figura di Tommaso è diventata, in qualche modo, particolarmente vicina all'uomo contemporaneo.

La Dichiarazione del Concilio Vaticano II sulla libertà religiosa sottolinea con tutta fermezza che né la fede né la non-fede possono essere imposte all'uomo con la prepotenza; che questo deve essere un atto consapevole e volontario.

"Un elemento fondamentale della dottrina cattolica, contenuto nella Parola di Dio e costantemente predicato dai Padri, è che gli esseri umani sono tenuti a rispondere a Dio credendo volontariamente; nessuno, quindi, può essere costretto ad abbracciare la fede contro la sua volontà. Infatti, l'atto di fede è per sua stessa natura un atto libero, giacché gli esseri umani, redenti da Cristo Salvatore e chiamati in Cristo Gesù ad essere figli adottivi, non possono aderire a Dio che ad essi si rivela, se il Padre non li trae e se non prestano a Dio un ossequio ragionevole e libero. E' quindi pienamente rispondente alla natura della fede che in materia religiosa si escluda ogni forma di coercizione da parte degli esseri umani. E perciò la libertà religiosa non poco contribuisce a creare quell'ambiente sociale, nel quale gli esseri umani possono essere invitati senza alcuna difficoltà alla fede cristiana, e possono abbracciarla liberamente e professarla con vigore in tutte le manifestazioni della vita" (DH 10).

Tutto ciò pero non annulla in alcun modo il programma di Cristo. Non è uguale all'indifferenza. Non significa indifferentismo. Tutto ciò dimostra solo che la religione attinge la sua importanza, la sua propria grandezza, sia dalla oggettiva Realtà alla quale si riferisce, cioè da Dio rivelante la verità e l'amore, sia anche dal soggetto: dall'uomo, che la confessa in maniera degna di se stesso: in modo ragionevole, consapevole e libero.

Oggi è il Giorno in cui la Chiesa accentua in modo particolare questa maturita della fede.

Cristo dice a Tommaso: "Noli esse incredulus sed fidelis: "Non essere più incredulo ma credente". La fede è - e non cessa mai di essere - il programma di Cristo nei confronti dell'uomo. "Beati quelli che pur non avendo visto (come Tommaso)... crederanno" (Jn 20,29).

La fede è lo scopo della Risurrezione. E' il suo frutto.

Un grazie per gli auguri Nei giorni scorsi, in occasione delle festività pasquali, mi sono pervenuti da ogni parte del mondo numerosissimi messaggi: persone di ogni età, condizione e lingua, anche bambini, hanno voluto esprimere al Papa la loro gioia, i loro ringraziamenti, i loro auguri. Sono veramente rimasto commosso per tante voci che ho così potuto ascoltare attraverso le lettere, i telegrammi, che mi sono giunti.

La Segreteria di Stato sta facendo di tutto per poter rispondere, nel più breve tempo possibile, a tutti e ai singoli. Ma fin da adesso, e pubblicamente, desidero dire a tutti coloro, che mi hanno scritto, il mio "grazie" sentito e sincero: grazie per il vostro affetto; grazie per il vostro gesto così delicato; grazie specialmente per le vostre preghiere, che ricambio con tutto il cuore, augurandovi la serenità e la pace di Cristo! Data: 1979-04-22

Data estesa: Domenica 22 Aprile 1979.





Omelia nella parrocchia di San Pancrazio - Roma

Titolo: La catechesi battesimale nella vita della parrocchia

Testo:

1. Oggi siamo sulle orme dell'antichissima tradizione della Chiesa, quella della seconda Domenica di Pasqua chiamata "in Albis" che è legata alla liturgia della Pasqua e soprattutto alla liturgia della Veglia Pasquale. Questa Veglia, come testimonia anche la sua forma contemporanea, rappresentava un grande giorno per i catecumeni, i quali durante la notte pasquale, per mezzo del Battesimo, venivano sepolti insieme a Cristo nella morte per poter camminare in una vita nuova, così come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre (cfr. Rm 6,4).

In questa immagine suggestiva san Paolo ha presentato il mistero del Battesimo. I catecumeni ricevevano il Battesimo proprio durante la Veglia pasquale, come abbiamo avuto la fortuna di avere anche quest'anno, quando ho conferito il Battesimo a bambini e ad adulti dell'Europa, dell'Asia e dell'Africa.

In questo modo la notte che precede la domenica della Risurrezione è diventata veramente per loro "Pasqua", vale a dire il Passaggio dal peccato ossia dalla morte dello spirito alla Grazia, cioè alla Vita nello Spirito Santo. E' stata la notte di una vera Risurrezione nello Spirito. Come segno della grazia santificante, i neobattezzati ricevevano durante il Battesimo una veste bianca che li distingueva per tutta l'ottava di Pasqua. In questo giorno della domenica seconda di Pasqua, deponevano tale veste; onde l'antichissimo nome di questo giorno: Domenica "in Albis depositis".

Questa tradizione a Roma è legata alla chiesa di San Pancrazio. Proprio qui è oggi la stazione liturgica. Abbiamo perciò la fortuna di unire la visita pastorale della parrocchia alla tradizione romana della stazione di Domenica in Albis.


2. Oggi dunque desideriamo qui cantare insieme la gioia della Risurrezione del Signore così come l'annunzia la liturgia di questa domenica: Celebrate il Signore perché è buono, perché eterna è la sua misericordia... Questo è il giorno fatto dal Signore: rallegriamoci ed esultiamo in esso (Ps 1 Ps 24).

Desideriamo anche ringraziare per l'indicibile dono della fede, che è scesa nei nostri cuori e si rinforza costantemente mediante il mistero della Risurrezione del Signore. Della grandezza di questo dono ci parla oggi san Giovanni nelle potenti parole della sua lettera: "Tutto ciò che è nato da Dio vince il mondo; e questa è la vittoria che ha sconfitto il mondo: la nostra fede.

E chi è che vince il mondo se non chi crede che Gesù è il Figlio di Dio?" (1Jn 5,4-5).

Noi ringraziamo dunque Cristo Risorto con una grande gioia nel cuore, poiché ci fa partecipare alla sua vittoria. Nello stesso tempo, lo supplichiamo umilmente perché non cessiamo mai di essere partecipi, con la fede, di questa vittoria: particolarmente nei momenti difficili e critici, nei momenti delle delusioni e delle sofferenze, quando siamo esposti alla tentazione e alle prove.

Eppure conosciamo quanto scrive san Paolo: "Tutti quelli che vogliono vivere piamente in Cristo Gesù saranno perseguitati" (2Tm 3,12). Ed ecco ancora le parole di san Pietro: "...Siete ricolmi di gioia, anche se ora dovete essere per un po' di tempo afflitti da varie prove, perché il valore della vostra fede, molto più preziosa dell'oro, che, pur destinato a perire, tuttavia si prova col fuoco, torni a vostra lode, gloria e onore nella manifestazione di Gesù Cristo" (1P 1,6-7).


3. I cristiani delle prime generazioni della Chiesa si preparavano al Battesimo a lungo e a fondo. Era questo il periodo di catecumenato. le cui tradizioni sono riflesse ancora oggi nella liturgia della Quaresima. Queste tradizioni erano vive quando al Battesimo si preparavano gli adulti. Nella misura in cui si ando sviluppando la tradizione del Battesimo dei bambini il catecumenato in tale forma doveva sparire. I bambini ricevevano il Battesimo nella fede della Chiesa, di cui era garante tutta la comunità cristiana (che si chiama oggi "parrocchia"), e prima di tutto lo era la loro propria famiglia. La liturgia rinnovata del Battesimo dei bambini mette ancora più in risalto questo aspetto. I genitori con i padrini e le madrine professano la fede, fanno le promesse battesimali e si prendono la responsabilità dell'educazione cristiana del loro bambino.

In questo modo, il catecumenato si trasferisce in un certo modo in un periodo posteriore, al tempo del progressivo crescere e diventare adulti; allora il battezzato deve acquistare dai suoi più vicini e nella comunità parrocchiale della Chiesa una coscienza viva di quella fede, di cui già prima, mediante la grazia del Battesimo, è diventato partecipe. E' difficile chiamare questo processo "catecumenato" nel senso primo e proprio della parola. Non di meno è l'equivalente dell'autentico catecumenato e deve svolgersi con la stessa serietà e lo stesso zelo di quello che una volta precedeva il Battesimo. In questo punto convergono e si uniscono i doveri della famiglia cristiana e della parrocchia. E' necessario che, in questa odierna occasione, noi ce ne rendiamo conto con una chiarezza e forza particolari.


4. La parrocchia, come comunità fondamentale del Popolo di Dio e come parte organica della Chiesa, in un certo senso ha la sua origine nel Sacramento del Battesimo. E' infatti la comunità dei battezzati. Mediante ogni Battesimo, la parrocchia partecipa in modo particolare al mistero della morte e della risurrezione di Cristo. L'intero suo sforzo pastorale e apostolico mira a che tutti i parrocchiani abbiano coscienza del Battesimo, affinché perseverino nella Grazia, cioè nello stato di Figli di Dio, e godano i frutti del Battesimo così nella vita personale come in quella familiare e sociale. Perciò è particolarmente necessario il rinnovamento della consapevolezza del Battesimo. Nella vita della parrocchia è un valore fondamentale l'intraprendere questo catecumenato - che manca adesso nella preparazione al Battesimo - e realizzarlo nelle diverse tappe della vita.

Proprio in questo consiste la funzione della catechesi, che deve estendersi non solo al periodo della scuola elementare, ma anche alle scuole superiori e ad ulteriori periodi della vita.

In particolare è indispensabile la catechesi sacramentale come preparazione alla Prima Comunione e alla Cresima; di grande importanza è la preparazione al Sacramento del Matrimonio.

Inoltre, l'uomo battezzato, se vuole essere cristiano nelle opere e nella verità, deve, nella sua esistenza, rimanere costantemente fedele alla catechesi ricevuta: essa infatti gli dice in che modo deve comprendere e attuare il suo cristianesimo nei diversi momenti e ambienti della vita professionale, sociale, culturale. Questo è il vasto compito della catechesi agli adulti.

Grazie a Dio, questa attività si sviluppa ampiamente nella vita della diocesi di Roma e della vostra parrocchia.


5. Sono al corrente, infatti, delle numerose iniziative di catechesi e di vita associativa, che le istituzioni parrocchiali svolgono con l'aiuto di numerose Famiglie Religiose, femminili e maschili, e di vari movimenti ecclesiali. Una particolare menzione spetta ai benemeriti Padri Carmelitani Scalzi, che si spendono per il progresso spirituale di questa parrocchia di San Pancrazio. La numerosa popolazione qui concentrata è solo uno stimolo in più per un indefesso impegno apostolico. La mia parola, pertanto, si fa esortazione e incoraggiamento sia ai responsabili parrocchiali perché proseguano gioiosamente nel loro servizio al Corpo di Cristo, sia a tutti i membri della Comunità, perché ritrovino sempre e coscientemente in essa il luogo migliore per la loro crescita nella fede, nella speranza e nell'amore da testimoniare al mondo.


6. Nella domenica "in Albis" la liturgia della Chiesa fa di noi dei testimoni dell'incontro del Cristo Risorto con gli apostoli nel Cenacolo di Gerusalemme. La nostra particolare attenzione attira sempre la figura dell'apostolo Tommaso e il colloquio di Cristo con lui. Il Maestro Risorto permette a lui in modo singolare di riconoscere i segni della sua passione e così convincersi della realtà della Risurrezione. Allora san Tommaso, che prima non voleva credere, esprime la sua fede con le parole: "Mio Signore e mio Dio" (Jn 20,28). Gesù gli risponde: "Perché mi hai veduto, hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto crederanno!" (Jn 20,29).

Mediante l'esperienza della Quaresima, toccando in un certo senso i segni della Passione di Cristo, e mediante la solennità della sua Risurrezione si rinnovi e si rafforzi la nostra fede - e anche la fede di coloro che sono diffidenti, tiepidi, indifferenti, lontani.

E la benedizione che il Risorto ha pronunciato nel colloquio con Tommaso, "Beati quelli che hanno creduto!", rimanga con tutti noi.

Data: 1979-04-22

Data estesa: Domenica 22 Aprile 1979.





A un gruppo di pellegrini di Brescia - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Nel ricordo di Paolo VI seminiamo la verità

Testo: Carissimi fedeli di Brescia!

1. Il vostro cuore e la vostra fede vi hanno condotti qui a Roma, nella Casa del successore di Pietro, insieme col vostro amatissimo Vescovo e con numerose Autorità civili. Siete venuti per elevare preghiere di suffragio nella Basilica Vaticana, che custodisce -non lontano dalla tomba di san Pietro - le spoglie di Papa Paolo VI, e, inoltre, per incontrare Colui che oggi è il suo successore.

Vi accolgo con profondo affetto e vi saluto a uno a uno con particolare benevolenza, e in voi intendo salutare tutta la diocesi di Brescia, che voi rappresentate.

Sappiate che nell'animo del Papa è riservato uno speciale posto per voi, concittadini del mio indimenticabile predecessore. Brescia, diocesi di grandi tradizioni cattoliche e di una popolazione profondamente religiosa, è, e rimane, nel mio cuore, come lo era nel cuore di Papa Paolo VI.


2. Mentre vi esprimo il mio ringraziamento per la visita, desidero dirvi, innanzitutto, il mio sincero compiacimento per il primo scopo che caratterizza questo pellegrinaggio: onorare cioè la memoria di Papa Paolo VI.

Nel pronunciare questo nome, il quale rievoca un periodo storico estremamente intenso di avvenimenti, subito si staglia nella mente la figura gigantesca del grande Pontefice che in un periodo non certo facile della storia della Chiesa, ci ha insegnato, con un quotidiano martirio di sollecitudini e di lavoro, che cosa significhi amare e servire veramente Cristo e le anime.

Particolarmente sensibile alle istanze della cultura moderna, conoscitore acuto della molteplice e vasta problematica del mondo attuale, cosciente ad un grado estremo della responsabilità del suo alto ministero, partecipe della sofferenza fisica e morale dell'intera umanità, Paolo VI, innamorato di Cristo e amico di ogni uomo, fedele servitore della verità nella carità, e instancabile difensore dei diritti di Dio e dell'uomo, è stato e sarà per sempre gloria imperitura di Brescia, dell'Italia e della Chiesa! Di fronte alla secolarizzazione che ha investito la società e ai fermenti che hanno turbato all'interno la Chiesa negli anni scorsi, Paolo VI, incompreso e talvolta perfino calunniato, fu sempre un faro di luce per tutti gli uomini, confermando continuamente nella fede i suoi fratelli. Mi piace ricordare ciò che ho scritto di lui nella recente Enciclica "Redemptor Hominis" (RH 4): "Come timoniere della Chiesa, barca di Pietro, egli sapeva conservare una tranquillità e un equilibrio provvidenziali anche nei momenti più critici, quando sembrava che essa fosse scossa dal di dentro, sempre mantenendo una incrollabile speranza nella sua compattezza... Si deve gratitudine a Paolo VI perché rispettando ogni particella di verità contenuta nelle varie opinioni umane, ha conservato in pari tempo il provvidenziale equilibrio del timoniere della Barca".

I discorsi, le Encicliche, le Esortazioni Apostoliche, che egli ci ha lasciato in eredità, sono un monumento di dottrina, una vera "Summa Theologica".

Perciò mi è motivo di gioia e di compiacimento l'opportuna iniziativa intrapresa dalla vostra diocesi, di dare vita all'Istituto "Paolo VI" per uno studio approfondito della personalità e delle opere del grande Pontefice e dei suoi tempi.

So che, con impegno e serietà, si sta strutturando tale Centro Internazionale, il quale ha già pero iniziato di recente la sua attività: esso sarà, tra l'altro, un valido strumento a disposizione degli studiosi di tutto il mondo per le loro ricerche. Di cuore auspico che tale Istituto "vivat, crescat et floreat".


3. Un altro motivo scorgo, poi, nella finalità del vostro odierno incontro con il Papa: avere da lui una parola di conforto e di orientamento per il vostro impegno di testimonianza cristiana.

Allora, insieme con Papa Paolo VI, io vi dico: "Siate fedeli, bresciani, promettete a voi stessi ed assicurate alle nuove generazioni che conserverete saldo, forte, completo, fecondo il patrimonio della fede cristiana" (Paolo VI, "Discorso" del 25 gennaio 1965).

Brescia è celebre per le sue iniziative culturali ed editoriali: desidero pertanto rivolgervi una viva esortazione a seminare sempre e solo il buon grano della verità. Noi dobbiamo dare la certezza e la sicurezza della verità, in nome di Gesù che disse: "Io sono la luce del mondo" (Jn 8,12); "Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità" (Jn 18,37).

Oggi più che mai è necessario, innanzitutto, seminare il buon grano della verità metafisica. Infatti le confusioni teologiche e le crisi morali hanno generalmente come causa una crisi filosofica. Bisogna rimanere fermi alla buona e sana metafisica, che si rapporta all'Assoluto, al Dio unico e trascendente, creatore e ordinatore dell'universo e dell'uomo. Infatti senza l'Assoluto metafisico manca il "fondamento" per ogni costruzione e qualsiasi errore può venire giustificato.

Nell'Enciclica "Humani Generis" Pio XII con saggezza e preoccupazione scriveva: "Tutti sanno quanto la Chiesa apprezzi il valore della ragione umana alla quale spetta il compito di dimostrare con certezza l'esistenza di un solo Dio personale, di dimostrare invincibilmente per mezzo dei segni divini i fondamenti della stessa fede cristiana... Ma questo compito potrà essere assolto convenientemente e con sicurezza se la ragione sarà debitamente coltivata..." (Pio XII, "Humani Generis", 63: AAS 42 (1950) 562).

Bisogna poi seminare la verità rivelata, come fu annunziata dal Divino Maestro e come è insegnata dal Magistero della Chiesa, divinamente assistito, convinti di ciò che disse Gesù stesso: "Chi non è con me, è contro di me; e chi non raccoglie con me, disperde" (Lc 11,23).

Solo così si contribuirà ad alimentare e fortificare una fede genuina e profonda, che illumini ed orienti tutta l'attività del cristiano. Oggi non basta una fede vaga e superficiale, ma occorre una fede illuminata e intensamente vissuta, che fiorisca in coerenti opere di bene.

Seminiamo dunque a piene mani la verità e cerchiamo di rendere sempre più convinta e più solida la nostra fede: questa è la consegna che vi lascio nel nome della Chiesa, nel ricordo di Paolo VI, nell'ansia commovente ed esigente del mondo odierno.

Vi assista Maria santissima, la "Madonna delle Grazie", profondamente amata e sovente ricordata con tanta nostalgia da Paolo VI.

Il tenero amore di tale compianto Pontefice verso la Madonna vi sia di esempio, e vi accompagni insieme con la mia cordiale benedizione, che volentieri estendo anche a quanti vi sono cari.

Data: 1979-04-24

Data estesa: Martedì 24 Aprile 1979.





Al Congresso Nazionale Missionario d'Irlanda - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Rendere gli altri partecipi della nostra fede

Testo: Sia lodato Gesù Cristo! A tutti voi riuniti a Knock per celebrare il Congresso Missionario Nazionale: "Grazie a voi e pace da Dio nostro Padre e dal Signore Nostro Gesù Cristo" (1Co 1,3).

So che vi siete dati convegno non soltanto per riflettere sul grande tema della missione, ma anche come pellegrini per pregare nel Santuario Nazionale di Nostra Signora. La vostra meta è davvero significativa: rinnovare la missionarietà e la devozione dell'Irlanda attraverso la grazia dello Spirito Santo.

Per poter fare ciò - per arrivare all'obiettivo - vi state sforzando di promuovere in voi stessi e in tutta la Chiesa d'Irlanda, una nuova coscienza della vocazione missionaria di tutto il popolo di Dio. Il Concilio Vaticano II ci richiama profondamente a questa coscienza.

Da questo punto di vista le famiglie devono comprendere la responsabilità e la grande dignità loro proprie, pregare e lavorare per la causa delle missioni. I bambini, ma anche i malati e tutte le categorie della comunità ecclesiale devono conoscere ed apprezzare il contributo che proviene dalla propria collaborazione al Regno di Dio.

Per rinnovare efficacemente il fervore missionario e la devozione è auspicabile far ascoltare ai giovani, in mezzo alle molte voci discordi della società moderna, il forte e dolce richiamo di Cristo. Essi devono essere incoraggiati ad accocliere il suo meraviglioso invito: seguirlo con generosità ed amore, sacrificio e letizia, lasciando veramente tutte le cose e andando a diffondere il Vangelo della salvezza.

Rinnovare gli ideali missionari significa anche assicurarsi che la natura della evangelizzazione sia chiaramente cristallina. Secondo le parole di Paolo VI: "Non si dà evangelizzazione vera se non sono proclamati il nome, l'insegnamento, la vita, le promesse, il Regno e il mistero di Gesù di Nazaret, il Figlio di Dio" (Paolo VI, EN 22).

Quindi evangelizzazione significa portare la Buona Novella a tutti gli strati dell'umanità; significa trasformare l'umanità dall'interno rinnovandola.

L'evangelizzazione, e dunque tutta l'attività missionaria, comporta la chiara proclamazione che i doni della grazia e della misericordia di Dio si trovano nel suo Figlio diletto, che la salvezza viene da Gesù Cristo. Il missionario parte per diffondere un messaggio di speranza e di amore fraterno, ed egli sa, fin dal principio, nel suo cuore, che non può proclamare il nuovo comandamento di Cristo senza anche adoperarsi, con giustizia e nella pace, per la promozione del vero, autentico progresso dell'uomo.

Attraverso l'attività missionaria la Chiesa locale è fondata e costruita dalla parola e dai sacramenti. Nel mondo cambiato di oggi, l'attività missionaria spesso comporta il servizio - umile, generoso e fraterno - alla Chiesa locale, affinché la Chiesa locale possa a sua volta divenire missionaria ed assolvere così alla sua stessa vocazione. Nelle mutate condizioni del mondo e della Chiesa il servizio missionario assume aspetti nuovi e richiede nuove flessibilità; richiede una nuova sensibilità per le esigenze delle comunità cristiane. Ma il messaggio rimane lo stesso: "Gesù Cristo, e questi crocifisso" (1Co 2,2).

Il successo di ogni iniziativa missionaria dipende dalla effettiva integrità ed insegnamento della fede cattolica nella forma trasmessa dagli Apostoli: fede in Gesù Cristo, Figlio di Dio e Redentore dell'uomo.

Durante l'Anno Santo Paolo VI, che tanto amava l'Irlanda, presuppone la diffusione di questa fede intatta, ricordava ai fedeli irlandesi il vanto e la sottomissione fatta da san Colombano a san Gregorio Magno a Roma. Oggi io ripeto queste parole come una consegna al vostro Congresso: "Tutti noi Irlandesi... siamo discepoli dei santi Pietro e Paolo...; la fede cattolica si è mantenuta intatta" (Paolo VI, "Discorso" del 27 agosto 1975).

Come successore di Pietro e Vicario di Cristo, faccio appello per una nuova generosità missionaria, per dare testimonianza in parole ed opere - fino agli estremi confini della terra - a questa intatta fede cattolica. Faccio appello ad una nuova generazione di sacerdoti e religiosi che assumano il loro incarico al fianco dei loro fratelli e sorelle nelle Chiese locali nello spirito dei santi missionari del passato. Cari giovani: accetterete questo invito? Risponderete "si" a questa chiamata? Consegnerete le vostre vite per l'amore di Cristo e dei suoi fratelli? Chiedo pure al laicato irlandese in patria e all'estero di trasmettere, particolarmente alle famiglie, il tesoro della propria fede con la parola e con le opere, con orgoglio positivo e anche a costo di sacrifici. Milioni di famiglie irlandesi in tutto il mondo hanno reso una gloriosa e bella testimonianza a Cristo e alla sua Chiesa; questa tradizione non deve interrompersi. Io prego perché ognuno di voi - in ogni ambito del popolo di Dio - venga sorretto dall'assoluta necessità di rendere partecipi gli altri della fede. Lo richiede la più intima natura della Chiesa. Si tratta della stessa volontà di Dio e della gloria della Santissima Trinità. La Chiesa è missionaria e tale deve restare fino a che Cristo ritorni nella sua gloria.

Sono convinto che questo sia un momento di speranza per l'Irlanda e per il mondo intero. E' tempo per una fedeltà rinnovata, per una generosità nuova e per un amore ardente. E' ancora una volta il momento della missione, l'ora della evangelizzazione, l'ora di uscire a proclamare "le imperscrutabili ricchezze di Cristo" (Ep 3,8). Siamo certi che il Signore esaudirà la nostra preghiera: che questa generazione di discepoli e missionari porterà molti frutti, frutti duraturi (cfr. Jn 15,16).

Queste sono le mie speranze e i miei desideri che oggi sottopongo a Maria, Madre di Dio e Madre della Chiesa. Nel suo materno ruolo di Regina delle Missioni, è stata vicina, nel corso degli anni, a numerosissimi missionari irlandesi, sorreggendoli nella letizia con le sue preghiere e dando loro, in mezzo ai loro sacrifici, la pienezza del suo amore materno. Ella soccorrerà anche questa generazione e la proteggerà, quando questa raggiungerà i campi dell'apostolato "che già biondeggiano per la mietitura" (Jn 4,35).

A tutti voi, figli e figlie d'Irlanda, fratelli e sorelle nella fede, imparto la mia speciale benedizione apostolica: nel nome del Padre, e del Figlio, e dello Spirito Santo. Amen.

Data: 1979-04-24

Data estesa: Martedì 24 Aprile 1979.









Lettera al Vescovo di Dromore - Città del Vaticano (Roma)

Testo: Al Venerabile Fratello Francis Gerard Brooks Vescovo di Dromore.

In occasione della celebrazione del 150° anniversario della fondazione della Cattedrale diocesana a Newry, desidero assicurare lei e tutti i fedeli che sono spiritualmente unito a voi in quest'ora di rendimento di grazie.

Sono lieto di riflettere con voi sulle innumerevoli grazie che Dio ha concesso al suo popolo in questa casa di preghiera e di adorazione. Mi procura una gioia particolare ricordare che, per comando e in nome di Gesù Cristo, le sue parole di salvezza sono state incessantemente predicate in questa vostra Cattedrale. Questa proclamazione ha raggiunto al suo apice nella celebrazione del santo sacrificio della Messa, offerto innumerevoli volte in favore dei vivi e dei morti. Con la parola e col sacramento, il popolo di Dio è stato edificato in un edificio spirituale a gloria della Santissima Trinità.

Qui generazioni di cristiani sono state iniziate alla fede in Cristo ed incaricate di rendere testimonianza con la parola e con l'esempio al suo Vangelo.

Qui la conversione dei cuori è avvenuta attraverso l'azione salvifica del Redentore, l'amore umano è stato santificato, il ministero sacerdotale è stato trasmesso. In una parola, Cristo ha continuato a dimorare nella comunità del suo popolo diventando saggezza, coerenza, santificazione e redenzione (cfr. 1Co 1,30) per ogni successiva generazione.

E' mia viva speranza che la gioiosa celebrazione di questo anniversario possa ispirare in tutta a credenti una nuova coscienza della loro dignità e missione cristiane, e stimolare nuove adesioni nei loro cuori. Chiedo allo Spirito Santo di renderli sempre più coscienti della loro divina adozione a figli di Dio in Cristo Gesù, e della loro chiamata alla novità e alla santità della vita. Allo stesso tempo prego affinché tutti i sacerdoti, i religiosi e i laici, nei loro distinti ruoli, realizzino gli scopi della loro vocazione: essere intimamente associati a Cristo nella sua azione redentrice. Con somma chiarezza il mio predecessore Pio XIl spiegava l'importante missione del popolo cristiano di collaborare con Cristo Redentore, e oggi io rinnovo il suo insegnamento: "Nel portare a compimento l'opera della redenzione, Cristo vuole essere aiutato dalle membra del suo Corpo. Questo non perché egli sia indigente o debole, ma piuttosto perché egli lo volle per la maggior gloria della sua Sposa immacolata.

Morendo sulla croce egli lascio alla sua Chiesa l'immenso tesoro della redenzione; essa non contribui in nulla a questo. Ma al momento di distribuire queste grazie, egli non solo rende partecipe la Chiesa in questo compito di santificazione, ma la vuole tale da essere degna della sua azione" (Pio XII, "Mystici Corporis": AAS 35 (1943) 213). Con tale consapevolezza della loro missione, sono convinto che i cattolici torneranno a dedicarsi con fervore e santità alla causa del Vangelo della salvezza e a servizio dell'umanità. L'opera salvifica di evangelizzazione di Cristo deve essere proseguita attraverso il suo Corpo, la Chiesa, finché egli tornerà nella gloria.

Raccomando l'intera comunità ecclesiale di Dromore all'intercessione di Maria Madre di Dio, e invocando su di voi la protezione dei vostri santi patroni, san Patrizio e san Colombano, vi imparto la mia particolare benedizione apostolica abbracciandovi tutti nell'amore del Redentore.

Data: 1979-04-25

Data estesa: Mercoledì 25 Aprile 1979.





Alla conferenza dell'ONU per il Commercio e lo Sviluppo - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Chiarire e risolvere i problemi che pesano sui paesi poveri

Testo: Al Signor Gamani Corea, Segretario Generale della Conferenza delle Nazioni Unite sul Commercio e lo Sviluppo.

Migliorare le condizioni umane, venire incontro alle attese dei popoli che combattono in condizioni precarie e spesso oppressive, aiutare l'umanità a riprendere il controllo del proprio universo materiale: questi sono i temi fondamentali del dibattito della quinta Conferenza delle Nazioni Unite sul Commercio e lo Sviluppo, che ha luogo a Manila. Queste preoccupazioni sono condivise anche dalla Santa Sede e dalla Chiesa intera. Scrivo a Lei, Signor Segretario Generale, per dare a questo impegno comune, col mio fraterno incoraggiamento, un contributo morale e spirituale che proviene dall'eredità del Vangelo.

E' nostra condivisa opinione che il coraggio delle decisioni concrete che dovranno essere prese e l'ispirazione delle nuove idee che condizioneranno il futuro procederanno da un'umanità più conscia della propria insuperabile dignità, delle possibilità creative della propria intelligenza, più consapevole del potenziale delle proprie particolari culture, più consapevole del potente dinamismo morale che la spinge a cercare la giustizia, la pace e la cooperazione fraterna. Queste sono realtà che, agli occhi del credente, hanno una profondità e una garanzia che viene da Dio. Dio ha creato tutti noi a sua immagine e somiglianza, e suo Figlio, Gesù Cristo, diventando uomo, ha ad un certo qual modo unito se stesso ad ogni essere umano.

Affinché lo sviluppo sia efficace e adeguato, i popoli devono contare prima di tutto sul proprio lavoro e sui loro scambi. E ciò pone alla base, praticamente di tutte le voci all'ordine del giorno di questa Conferenza, il problema fondamentale del giusto prezzo e del giusto contratto. Sono questioni eminentemente umane e morali, e devono essere esaminate in tutti i loro aspetti essenziali.

Uno di questi aspetti è, naturalmente, la remunerazione del lavoro realmente effettuato da ogni individuo. Ma non è l'unico aspetto. E' anche importante tener conto del diritto di ogni popolo a far uso dei beni che sono più direttamente affidati alla sua gestione, la cui utilizzazione ragionevole e lungimirante ne condiziona al libero sviluppo.

Inoltre, poiché il lavoro è prerogativa degli esseri umani, la sua remunerazione deve metterli in condizione di vivere come si addice agli esseri umani, facendo fronte a tutti i loro impegni, a tutte le necessità dell'esistenza, a cominciare dalla necessità di creare, attraverso l'impiego, l'effettiva possibilità di lavorare. Non solo: i singoli individui e i popoli vivono in solidarietà. Le retribuzioni devono rendere manifesta questa solidarietà all'interno di ogni paese e nei rapporti fra un paese e l'altro; solidarietà che deve concretarsi in una giusta divisione dei beni materiali e culturali che vengono prodotti nelle varie tappe della storia umana e che hanno sempre una destinazione universale.

E' necessario che tutte queste esigenze, senza eccezione, vengano concretamente valutate nei processi contrattuali, volti a stabilire i giusti prezzi.

Queste decisioni non possono essere lasciate semplicemente al gioco dei meccanismi di mercato che in effetti non sono mai naturali, ma sono sempre costruiti dall'uomo, e neppure all'influenza dominante di piccoli gruppi o delle maggioranze.

Ogni contratto è un affare umano, condotto dall'uomo e orientato a servire l'uomo. Solo così i meccanismi di mercato, stabiliti e periodicamente riesaminati e diversificati, saranno in grado di sostenere il loro ruolo benefico: perché saranno guidati dalla responsabilità di individui e popoli che sono liberi, uguali, legati da solidarietà, secondo regole di norme morali vincolanti per tutti.

Una sana competitività di questo tipo è a sua volta condizionata da "una più ampia e più immediata ridistribuzione delle ricchezze" (RH 16). E' quindi alla luce di questa prospettiva che bisogna chiarire e risolvere il penoso problema dei gravami che pesano sui paesi più poveri, il problema dei fondi comuni, il problema di una struttura istituzionale più adeguata ed efficace di solidarietà internazionale.

Sebbene la destinazione universale dei beni venga effettuata in parte per mezzo di responsabili transazioni e di scambi, essa tuttavia richiede la presenza di istituzioni che più direttamente esprimano solidarietà e partecipazione. Ciò che già esiste, spesso in modo veramente esemplare, nella pratica della disponibilità e del mutuo soccorso fra i popoli ad economie meno avanzate, ciò che altrove è previsto da bilanci nazionali e sistemi di sicurezza sociale - vale a dire, il desiderio di mettere da parte una quota cospicua di ricchezze per renderle direttamente disponibili all'uso e alle necessità comuni, tenendole completamente separate da ogni logica di competizione e di scambio - tutto ciò deve parimenti trovare una sua collocazione nello sviluppo della comunità umana di tutto il mondo. E' compito della Conferenza di Manila esaminare e incoraggiare, con realismo e generosità, tutte le opportunità attualmente disponibili per avanzare lungo questo cammino, sia per quanto riguarda il problema della produzione, sia per quanto concerne quello della distribuzione.

Signor Segretario Generale, io esprimo la speranza più fervida che questa V Conferenza delle Nazioni Unite sul Commercio e lo Sviluppo, che avete preparato con tanto impegno e larghezza di vedute, voglia portare a quelle decisioni risolutive che tutti i popoli meno privilegiati e tutta l'umanità aspettano. Possa questa assemblea straordinaria diventare il luogo dove nuove idee vengano seminate, maturino e si diffondano e, allo stesso tempo, siano in grado di produrre una nuova strategia a lungo termine capace di arrestare lo sviluppo abnorme di quella situazione alla quale si riferisce la parabola biblica del ricco epulone e del povero Lazzaro (cfr. RH 16). Possa questa assemblea straordinaria essere in grado di eliminare situazioni che ora umiliano l'umanità intera, foriere di minacce per il futuro, e quindi infondere nuova speranza in tanta parte dell'umanità.

Io prego che Dio, nostro Padre comune, voglia benedire la conferenza di Manila.

Data: 1979-04-26

Data estesa: Giovedì 26 Aprile 1979.


GPII 1979 Insegnamenti - A giovani diaconi tedeschi - Città del Vaticano (Roma)