GPII 1979 Insegnamenti - Alla conferenza dell'ONU per il Commercio e lo Sviluppo - Città del Vaticano (Roma)





Alla Pontificia Commissione Biblica - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Scienze bibliche e Magistero della Chiesa

Testo: Signor Cardinale, Monsignore Segretario, miei cari Amici.

Cinque anni fa, il mio venerato predecessore Papa Paolo VI aveva voluto rivolgervi il suo incoraggiamento, fin dalla prima sessione plenaria che avete tenuto dopo ch'egli vi ebbe dato nuove norme organizzative con il Motu proprio "Sedula Cura". Anche per me è una gioia particolare accogliervi oggi a mia volta in occasione della prima riunione di questo nuovo quinquennio, e salutare soprattutto i vostri nuovi membri.

Non è questo il momento di sviluppare la vostra responsabilità verso Dio e la Chiesa: voi ne siete ben coscienti. Effettivamente, malgrado gli studi biblici crescano in tecnicità e complessità, il loro scopo rimane sempre quello di aprire al popolo cristiano le fonti d'acqua viva contenute nella Scrittura, e il tema che voi studiate quest'anno, che riguarda l'inserimento culturale della rivelazione, ne è una nuova testimonianza.

Il tema che trattate ha una grande importanza; riguarda infatti la stessa metodologia della rivelazione biblica nella sua realizzazione. Il termine "acculturazione" o "inculturazione" potrà essere un neologismo, ma esso esprime molto bene una delle componenti del grande mistero dell'Incarnazione. Noi sappiamo che, "il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi" (Jn 1,14); così guardando Gesù Cristo, "il figlio del carpentiere" (Mt 13,55), possiamo contemplare la stessa gloria di Dio (cfr. Jn 1,14). Ebbene, la stessa Parola divina dapprincipio si è fatta linguaggio umano, assumendo i modi di esprimersi delle diverse culture che, da a Abramo al Veggente dell'Apocalisse, hanno offerto al mistero adorabile dell'amore salvifico di Dio la possibilità di rendersi accessibile e comprensibile alle generazioni successive, malgrado la molteplice diversità delle loro situazioni storiche. così, "molte volte e in diversi modi" (He 1,1), Dio si è messo in contatto con gli uomini e, nella sua benevolenza e insondabile condiscendenza, ha con essi dialogato attraverso degli intermediari: i profeti, gli apostoli, gli scrittori sacri, e soprattutto attraverso il Figlio dell'Uomo. E sempre Dio ha comunicato le sue meravaglie servendosi del linguaggio e dell'esperienza degli uomini. Le culture mesopotamiche, quelle dell'Egitto, di Canaan, della Persia, la cultura ellenica e, per il Nuovo Testamento, la cultura greco-romana e tardo giudaica, sono servite, giorno dopo giorno, alla rivelazione del suo ineffabile mistero di salvezza, come ben evidenzia la vostra attuale Sessione plenaria.

Voi sapete che, nondimeno, queste considerazioni fanno sorgere il problema della formazione storica del linguaggio biblico, che in qualche modo è legato ai cambiamenti sopravvenuti durante la lunga successione dei secoli nel corso dei quali la parola scritta ha dato vita ai Libri santi. Ma è proprio qui che si evidenzia il paradosso dell'annuncio rivelato e dell'annuncio più specificamente cristiano secondo cui persone e avvenimenti storicamente contingenti diventano portatori di un messaggio trascendente e assoluto. I vasi d'argilla possono rompersi, ma il tesoro che contengono rimane integro e incorruttibile (cfr. 2Co 4,7). E come nella debolezza di Gesù di Nazaret e della sua Croce si è manifestata la potenza redentrice di Dio (cfr. 2Co 13,4), così nella fragilità della parola umana si rivela un'efficacia insospettabile che la rende "più tagliente di ogni spada a doppio taglio" (He 4,12).

Ecco perché noi riceviamo dalle prime generazioni cristiane l'insieme del Canone delle Sacre Scritture, divenute il punto di riferimento e la norma della fede e della vita della Chiesa in tutti i tempi.

E' evidentemente compito della scienza biblica e dei suoi metodi ermeneutici stabilire la distinzione tra ciò che è caduco e ciò che deve conservare il suo valore nel tempo. Ma questa operazione richiede una sensibilità estremamente acuta, non solo a livello scientifico e teorico, ma anche e soprattutto a livello ecclesiale ed esistenziale. Da tutto ciò derivano due conseguenze, che sono allo stesso tempo differenti e complementari.

La prima riguarda il grande valore delle culture: se queste, nella storia biblica, sono già state giudicate capaci di essere veicoli della Parola di Dio, è perché in esse si trova inserito qualcosa di molto positivo, che è già una presenza in germe del Logos divino.

Allo stesso modo, oggi, l'annuncio della Chiesa non teme di servirsi di espressioni culturali contemporanee: così, per una certa analogia con l'umanità di Cristo, esse sono chiamate a partecipare, per così dire, alla dignità dello stesso Verbo divino.

Bisogna tuttavia aggiungere, in secondo luogo, che si manifesta così il carattere puramente strumentale delle culture che, sotto l'influenza di una evoluzione storica molto forte, sono sottomesse a grandi mutamenti: "Secca l'erba, appassisce il fiore, ma la parola del nostro Dio dura sempre" (Is 40,8). Precisare i rapporti esistenti tra i mutamenti della cultura e la costante della rivelazione è proprio il compito, arduo ma esaltante, degli studi biblici e di tutta la vita della Chiesa.

In questo compito, voi avete indubbiamente, carissimi fratelli e figli della Pontificia Commissione Biblica, una parte preponderante, e voi in ciò siete strettamente associati al Magistero della Chiesa.

Questo mi porta a richiamare la vostra attenzione su un punto in particolare. Il Motu proprio "Sedula Cura" precisa, trattando della finalità della vostra Commissione, che essa deve recare il contributo del suo lavoro al Magistero della Chiesa. Mi auguro in modo particolare che i vostri lavori siano l'occasione di dimostrare come la ricerca più precisa, più tecnica, non rimanga chiusa in se stessa, ma possa essere utile agli organismi della Santa Sede che devono affrontare i difficili problemi dell'evangelizzazione, cioè delle condizioni concrete dell'inserimento del fermento evangelico in mentalità e culture nuove.

In questa prospettiva, l'obbligo fondamentale della fedeltà al Magistero si rivela in tutta la sua ampiezza, "Dio ha affidato la Sacra Scrittura alla sua Chiesa e non al giudizio privato degli specialisti" (cfr. Paolo VI, "Sedula Cura", 3). Infatti si tratta della fedeltà alla funzione spirituale conferita da Cristo alla sua Chiesa; si tratta della fedeltà alla sua missione. Gli esegeti sono tra i primi servitori della Parola di Dio. Sono certo, miei cari amici, che il vostro esempio mostrerà in modo eminente l'unione della competenza scientifica, che i vostri pari vi riconoscono, con questo affinato senso spirituale che vede nella Scrittura la Parola di Dio affidata alla sua Chiesa.

Il Signore stesso guidi i vostri sforzi; lo Spirito Santo vi illumini! Da parte mia, dichiarandovi la mia fiducia, e quanto la Chiesa conti su di voi, vi imparto di tutto cuore la benedizione apostolica.

Data: 1979-04-26

Data estesa: Giovedì 26 Aprile 1979.





A Vescovi indiani in visita "ad limina" - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Il servizio episcopale nella prospettiva eucaristica

Testo: Cari fratelli in nostro Signore Gesù Cristo.

Questa è per tutti noi un'ora di fede. Ci siamo riuniti come Vescovi della Chiesa di Dio, uniti in Cristo, uniti in una splendida comunione di fede e d'amore, uniti in una missione di evangelizzazione e di servizio all'umanità: una missione che è originata dal mandato consegnato dal Salvatore del mondo.

Questa nostra fede, in primo luogo, si esprime nel ringraziamento a Dio per le opere meravigliose che continuamente suscita nelle vite dei fedeli affidati alle nostre cure pastorali. Siete convenuti per riflettere con me cosa lo Spirito Santo sta compiendo oggi nelle Chiese locali del Bengala e del Nord Est Indiano e per rendere lode alla gloria della grazia divina.

Questa fede si esprime anche nella fraternità, nella fraternità con la quale noi ci troviamo per valutare le esigenze del nostro ministero apostolico. In questa fratellanza di fede, noi tutti facciamo l'esperienza della grande gioia di essere apostoli, successori dei primi Dodici. Gesù Cristo, oggi e sempre, è al centro dei nostri interessi; egli è il senso delle nostre vite. Abbiamo inoltre la consapevolezza di appartenere al Collegio dei Vescovi, di vivere la solidarietà con gli altri membri, di godere del sostegno di tutti gli altri Confratelli nell'Episcopato nella Chiesa universale. Soprattutto abbiamo la grande consolazione di sapere che il Signore Gesù è in mezzo a noi: "Ecce ego vobiscum sum" (Mt 28,20).

Questa è dunque un'ora di fede, un'occasione per rinnovare la nostra fede sulla tomba dell'apostolo Pietro che confesso che Gesù è "il Cristo, il Figlio del Dio vivente" (Mt 16,16), e che egli solo ha "parole di vita eterna" (Jn 6,68). Siamo qui, inoltre, per ridedicare noi stessi alla nostra missione di fede, che è di proclamare la parola di Dio, di proclamare il dono di Dio della salvezza in Gesù Cristo.

La nostra consapevolezza nella fede della presenza del Signore ci ispira a proseguire la nostra missione con fiducia ed umile sicurezza. Noi sappiamo che con l'aiuto di Dio non esiste sfida invalicabile; nessun ostacolo resiste alla realizzazione del Regno di Dio. Con san Giovanni noi esclamiamo: "Questa è la vittoria che ha sconfitto il mondo, la nostra fede" (1Jn 5,4). Il messaggio di fede che noi offriamo liberamente e senza costrizioni si fonda non sulla saggezza degli uomini quanto piuttosto sulla potenza di Dio (cfr. 1Co 2,5).

La potenza di Dio si è apertamente manifestata nel Mistero Pasquale di Gesù di Nazaret; esso pervase la predicazione degli Apostoli e resta attivo in questi nostri giorni. Soprattutto la potenza di Dio è attiva nel Sacrificio Eucaristico. E' qui che noi stessi, insieme ai nostri sacerdoti, dobbiamo cercare la fonte principale dell'amore pastorale (cfr. PO 14) che ci mette in grado di vivere una vita di fede, una vita di amore disinteressato modellata su quella del Buon Pastore.

Nella piena e attiva condivisione del Sacrificio Eucaristico e nell'intera vita liturgica della Chiesa tutto il nostro popolo trova la fonte primaria e indispensabile del vero spirito cristiano (cfr. SC 14). Qui i fedeli attingono la forza per rendere al mondo la testimonianza della fede, la testimonianza dell'amore. La lieta dedizione del servizio all'umanità sofferente può essere sostenuta soltanto dalla forza che deriva da Cristo Eucaristico. Ed è questo che ispira nei cuori dei fedeli una sempre maggiore comprensione dei bisogni dei loro fratelli.

L'efficacia dei laici, e in particolare delle famiglie cristiane, nel dare al mondo la testimonianza di fede e di amore, è condizionata dal loro dinamismo spirituale, che è maggiormente attingibile proprio nell'Eucaristia. La gioventù delle vostre Chiese locali può raggiungere la piena maturità in Cristo, attraverso la potenza dell'Eucaristia. Il dono delle vocazioni sacerdotali e religiose è connesso misteriosamente alla reverente partecipazione del popolo di Dio all'Eucaristia.

Fratelli, in quest'ora di fede che stiamo celebrando insieme, vogliamo rivolgere la nostra meditazione all'Eucaristia che è il vero mistero della fede.

L'Eucaristia è la nostra fonte di speranza per il futuro. Il successo del nostro ministero è collegato con essa; il benessere del popolo di Dio dipende da essa.

Con il Concilio Vaticano II bisogna incessantemente sottolineare che l'Eucaristia è "la fonte e il vertice di tutta la vita cristiana" (LG 11). Essa è il cuore delle nostre comunità ecclesiali.

Per ridedicare noi stessi come Vescovi al nostro ministero di fede occorre una chiara visione del nostro servizio nella prospettiva dell'Eucaristia.

L'amore e la preoccupazione dell'uomo troveranno piena espressione solo attraverso l'Eucaristia. Tutti i maggiori risultati del vostro ministero pastorale sono in relazione a Cristo Eucaristico. Egli, e lui solamente, dirige, attraverso la potenza della sua presenza e il dinamismo della sua azione salvifica, la vita interiore delle comunità ecclesiali affidate alla vostra cura pastorale. Questa profonda verità ha motivato l'appello rivolto alla Chiesa universale contenuto nella mia recente enciclica e che oggi desidero ripetere: "Tutti nella Chiesa, ma soprattutto i Vescovi e i Sacerdoti, debbono vigilare perché questo Sacramento di amore sia al centro della vita del popolo di Dio..." (RH 20).

Nella stessa enciclica parlavo anche dello stretto legame che intercorre tra Eucaristia e Penitenza e sottolineavo come la conversione personale deve essere costantemente perseguita con sforzo incessante, di modo che la partecipazione all'Eucaristia non manchi della sua piena efficacia redentrice. In particolare sottolineavo la necessità di difendere il sacramento della Penitenza, puntualizzando che la fedele osservanza della pratica tramandata nei secoli della "confessione individuale con un atto personale di contrizione e con l'intenzione di emendare e di rendere soddisfazione" è una manifestazione della difesa da parte della Chiesa del "diritto dell'uomo a un incontro più personale con Cristo crocifisso che perdona", e del diritto di Cristo "ad incontrare ciascuno di noi in quel momento cruciale... di conversione e di misericordia" (RH 20).

Fratelli, non stanchiamoci mai di esaltare il valore della confessione individuale. I documenti citati nella "Redemptor Hominis" fanno riferimento a un punto di importanza capitale: "Il solenne insegnamento del Concilio di Trento riguardo il precetto divino della confessione individuale" (cfr. "Redemptor Hominis", nota 179; Paolo VI, "Discorso ai Vescovi statunitensi in visita "ad limina"", 20 aprile 1978: AAS 70 (1978) 330).

Vista da questa prospettiva, la fedele osservanza da parte di tutti i sacerdoti della Chiesa delle Norme Pastorali del "Sacramentum Paenitentiae" in merito all'assoluzione generale, si configura come una questione di fedeltà amorosa a Gesù Cristo e al suo piano di redenzione, ma anche come l'espressione della comunione ecclesiale verso ciò che Paolo VI chiamo "un punto di particolare importanza per la Chiesa universale e sottoposto alle direttive della suprema sua autorità" ("Discorso ai Vescovi statunitensi in visita "ad limina"", 20 aprile 1978: AAS 70 (1978) 330). Di particolare importanza per tutti i Vescovi del mondo è il grande richiamo di Paolo VI: "Inoltre chiediamo a voi Vescovi di aiutare i vostri sacerdoti alla sempre maggiore considerazione di questo loro splendido ministero di confessore" (cfr. LG 30). L'esperienza dei secoli conferma l'importanza di questo ministero. Se i sacerdoti comprenderanno profondamente quanto essi strettamente collaborino con il Salvatore nell'opera della conversione, attraverso il sacramento della Penitenza, essi si daranno con maggiore zelo a questo ministero. Altre opere potranno essere rimandate o persino tralasciate per mancanza di tempo, ma non le confessioni" (LG 30).

Il nostro ministero è veramente un ministero di fede, e i mezzi sovrannaturali per riuscire nel nostro intento sono commisurati alla saggezza e alla potenza di Dio. L'Eucaristia e la Penitenza sono i grandi tesori della Chiesa di Cristo.

A fronte di tutte le difficoltà e le gioie del nostro ministero, le speranze e le delusioni, i problemi derivanti dalla proclamazione di Cristo e del suo messaggio liberatore per la causa dell'uomo e della dignità umana, consideriamo, in verità, che la forza di Cristo, e non la nostra, guida i nostri passi e sostiene i nostri sforzi. Oggi nella fraternità della collegialità noi possiamo ascoltare Cristo che ci parla: "Ecce ego vobiscum sum". Ritornando alle vostre genti, sforzatevi di comunicare lo stesso messaggio di fede, fiducia e forza verso tutta la comunità: ai sacerdoti, alle religiose e ai laici che insieme a voi sono il popolo di Dio: "Ecce ego vobiscum sum". Soprattutto nell'Eucaristia.

Prima di salutarci, prima che voi torniate al campo del vostro lavoro apostolico, ripensiamo al dono che Dio ci ha fatto come Vescovi. Come dice san Paolo: "Dio non ci ha dato uno spirito di timidezza, ma di forza, di amore e di saggezza" (2Tm 1,7). Secondo questo insegnamento proseguite dunque nell'esercizio del vostro ministero di fede.

Vi prego di portare il mio saluto alla Chiesa locale: comunicate il mio amore a tutto il popolo, la mia speciale gratitudine per i vostri collaboratori nel sacerdozio, per le religiose e per tutti coloro che vi sono affiancati nel Vangelo. Il mio particolare incoraggiamento va inoltre agli insegnanti e ai catechisti. Nell'unità della fede, nell'amore del Redentore, abbraccio voi tutti, ripetendo con l'apostolo Pietro: "Pace a tutti coloro che sono in Cristo" (1P 5,14).

Data: 1979-04-26

Data estesa: Giovedì 26 Aprile 1979.





Alla Pontificia Commissione per la Neo-Volgata - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Nel segno della continuità

Testo: Eccellenza, carissimi professori.

Lasciatemi innanzitutto esprimere la grande gioia che provo oggi nel ricevervi qui per la consegna ufficiale all'Edizione Tipica della versione Neo-Volgata della Sacra Bibbia. La mia è la stessa gioia che prova colui il quale può finalmente raccogliere una copiosa messe, che fu oggetto di diuturne e amorose cure.

In questo momento, il mio pensiero non può non andare alla figura dell'indimenticabile Papa Paolo VI, al quale spetta tutto il merito e l'onore di aver intrapreso questa iniziativa, oggi felicemente giunta a compimento, con la definitiva pubblicazione, e di averla seguita e incoraggiata, conducendola fino alle soglie del suo espletamento. La morte improvvisa di lui e quella ancor più repentina del compianto Papa Giovanni Paolo I hanno fatto si che spettasse a me di promulgare per tutta la Chiesa il risultato di una fatica, che ha interamente preceduto il mio pontificato.

In ogni caso, sia ringraziato il Signore, che non lascia mai incompiute le sue opere.

Ma un ringraziamento tutto particolare va a voi, responsabili e membri della Pontificia Commissione per la Neo-Volgata, e a tutti coloro i quali hanno posto la loro competenza, il loro tempo, il loro amore, a servizio di questa impresa, che è scientifica e pastorale insieme. Voi avete prodigato a lungo la vostra scienza qualificata e le vostre indefesse energie in favore di un lavoro, che rimarrà certamente per molto tempo quale segno eloquente di una premurosa sollecitudine della Chiesa per quel Verbo Divino scritto, "dalla cui pienezza noi tutti abbiamo ricevuto" (Jn 1,16), poiché è "parola di salvezza" (Ac 13,26).

Con la Neo-Volgata, i figli della Chiesa hanno ora tra le mani uno strumento in più che, specialmente nelle celebrazioni della Sacra Liturgia, favorirà un accostamento più sicuro e più preciso alle fonti della Rivelazione, proponendosi anche agli studi scientifici come un nuovo, prestigioso punto di riferimento.

Se me lo permettete, voglio pensare che anche san Girolamo sia contento di questa fatica! La Neo-Volgata, infatti, non solo si pone nel segno della continuità più che del superamento del lavoro da lui compiuto, ma è il prodotto di un'uguale acribia e di un'uguale passione. Inoltre, le nuove conoscenze linguistiche ed esegetiche conferiscono alla nuova versione un timbro di affidabilità certo non minore di quella geronimiana, che pur resse alla prova di un millennio e mezzo di storia. Certamente Girolamo resta un maestro di dottrina e anche di lingua latina, oltre che di vita spirituale. Egli che, per incarico del Papa Damaso, dedico la vita intera allo studio e alla meditazione del testo sacro, certamente sa quanto costi, ma anche quanto sia esaltante l'amoroso chinarsi sulle Scritture. E certo c'è da augurarsi che per molti cristiani si avveri ciò che capito a lui e sicuramente anche a voi, secondo le sue parole alla vergine Eustochio: "Tenenti codicem somnus obrepat, et cadentem faciem pagina sancta suscipiat!" (S. Girolamo, "Epist. 22. ad Eust.", 17).

Il mio auspicio è che quest'opera da voi portata a termine sia veramente feconda per la vita della Chiesa e favorisca sempre più il salutare incontro dei fedeli col Signore, contribuendo a soddisfare quella "fame della parola" di cui parla il profeta Amos (Am 8,11) e che sembra particolarmente acuta ai nostri giorni.

La mia cordiale benedizione apostolica accompagni voi come segno di rinnovata gratitudine e di benevolenza, e come pegno degli abbondanti favori del Signore, che sa adeguatamente ricompensare i suoi servitori.

Data: 1979-04-27

Data estesa: Venerdì 27 Aprile 1979.





Al Segretariato per i non Cristiani - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Parole e amore per un fruttuoso dialogo

Testo: Carissimi amati in Cristo.

E' un grande piacere per me incontrarmi con voi, Cardinali e Vescovi di varie nazioni che siete membri del Segretariato per i non Cristiani, e voi, consulenti esperti nelle maggiori religioni del mondo, che tenete la vostra prima assemblea plenaria a Roma.

So che intendevate organizzare questo incontro lo scorso autunno, ma ciò è stato impedito dai drammatici avvenimenti di quei mesi. Lo scomparso Paolo VI, fondatore di questo Segretariato, che tanto amore, interesse e ispirazione ha prodigato per i non Cristiani, non è ora più visibile in mezzo a noi, ed io sono convinto che alcuni di voi si chiederanno se il nuovo Papa dedicherà una simile cura e attenzione al mondo delle religioni non Cristiane.

Nella mia enciclica "Redemptor Hominis" ho cercato di rispondere a questo quesito. Facendo riferimento alla prima enciclica di Paolo VI, "Ecclesiam Suam" e al Concilio Vaticano II, scrissi: "Il Concilio Ecumenico ha dato un impulso fondamentale per formare l'autocoscienza della Chiesa offrendoci, in modo tanto adeguato e competente, la visione dell'orbe terrestre come di una mappa di varie religioni. Il documento del Concilio dedicato alle religioni non Cristiane è, in particolare, pieno di profonda stima per i grandi valori spirituali, anzi per il primato di ciò che è spirituale e trova nella vita dell'umanità la sua espressione nella religione e, inoltre, nella moralità, con diretti riflessi su tutta la cultura" (RH 11). Il mondo cristiano è infatti costantemente sotto lo sguardo della Chiesa e del Papa. Siamo tutti intenzionati a collaborare generosamente con esso.

E' buona cosa rammentare che si terrà tra breve la commemorazione del 15° anniversario dell'annuncio solenne di Paolo VI in San Pietro, nella Pentecoste del 1964, della costituzione di questo Segretariato. Con la benedizione di Dio, il seme sparso quel giorno è ora maturato in un segno limpido e riconoscibile, attraverso una rete di organizzazioni locali, è operativo praticamente in tutto il mondo dove vi sia la Chiesa. Il Segretariato è il simbolo e l'espressione della volontà della Chiesa di entrare in comunicazione con ogni persona e in particolare con le moltitudini di coloro che cercano nelle tradizioni religiose non Cristiane senso e guida per la loro vita. Per un cristiano è estremamente interessante poter osservare dei popoli veramente religiosi, leggere e ascoltare i testimoni della loro saggezza, sperimentare direttamente la loro fede fino a rinnovare talvolta le parole di Gesù: "Neppure in Israele ho trovato una fede così grande" (Mt 8,10).

Allo stesso tempo il cristiano ha la grave responsabilità, unita all'immensa gioia, di parlare a queste genti con semplicità ed apertura (la parola degli Apostoli!) delle "grandi opere di Dio" (Ac 2,11), di ciò che Dio stesso ha compiuto per la felicità e la salvezza di tutti in un tempo particolare e in una persona particolare, che è stata elevata ad essere nostro fratello e Signore, Gesù Cristo, "nato dalla stirpe di Davide secondo la carne... Figlio di Dio con potenza secondo lo Spirito di santificazione" (Rm 1,4).

Mi congratulo per il fatto che il Segretariato ha fatto sua la volontà di avviare il dialogo, caratteristica di tutta la Chiesa, e che questa comunicazione abbia messo in pratica ciò che Paolo VI chiamava "il dialogo della salvezza". Allo stesso tempo il Segretariato ha ricercato dei metodi e delle forme di dialogo adatte alla "cerchia" di persone con le quali si vuole dialogare. Corre l'obbligo, a questo punto, di menzionare l'opera oculata svolta dal Cardinale Paolo Marella, Presidente del Segretariato durante i primi nove anni, che ha guidato nei suoi primi passi, quando il Papa lo invito ad agire "in nomine Domini". Sono altresi felice di rendere un pubblico ringraziamento al Cardinale Sergio Pignedoli, il quale, insieme a Monsignor Rossano e ai suoi devoti collaboratori, dà testimonianza, con un lavoro ingente e con contatti cordiali e rispettosi, del profondo interesse della Chiesa per i nostri fratelli non Cristiani.

Quasi quindici anni di esperienza hanno insegnato molte cose e la vostra assemblea penaria sarà in grado di presentare lo stato attuale del dialogo con i non Cristiani nelle varie aree culturali, di individuare le difficoltà, i problemi e i risultati ottenuti in ogni zona, e di decidere programmi a lungo e a breve termine per gli anni a venire.

Spero e desidero che l'impegno al dialogo della salvezza venga rafforzato in tutta la Chiesa, compresi i paesi dove esiste una maggioranza cristiana. L'educazione al dialogo con seguaci di altre dottrine dovrebbe far parte dell'istruzione dei Cristiani, specialmente dei giovani Cristiani.

Nella sua esortazione apostolica "Evangelii Nuntiandi" (EN 53), Paolo VI scrisse che l'incontro con le religioni non Cristiane "solleva certamente questioni complesse e delicate che devono essere studiate alla luce della tradizione cristiana e del Magistero della Chiesa, per poter offrire ai missionari di oggi e di domani" - e vorrei aggiungere: a tutti i Cristiani - "nuovi orizzonti per i loro contatti con le religioni non Cristiane". Voi siete consapevoli che il vostro è un compito delicato. Deve essere svolto con generosità e gioia, senza timori ma nella luminosa convinzione che il dialogo è, secondo le parole di Paolo VI, "un mezzo del compimento della missione apostolica; è un esempio dell'arte della comunicazione spirituale" ("Ecclesiam Suam": AAS 56 (1964) 644).

Rispetto e stima "per gli altri" e per ciò che hanno nel profondo del loro cuore, è essenziale al dialogo. Inoltre bisogna aggiungere il discernimento ed una conoscenza sincera e profonda. Questa non la si ottiene soltanto dai libri.

Richiede solidarietà e identificazione. Molto prima che queste condizioni per il dialogo trovassero una moderna formulazione filosofica, san Paolo scriveva della capacità di farsi tutto a tutti "per amore del Vangelo, per diventarne partecipe con loro" (1Co 9,23). Nel dialogo, come ancora ci mostra san Paolo, i discorsi non diventano costruttivi e fecondi senza amore. Il dialogo e l'amore sono i veri veicoli della comunicazione. Il solo vero e perfetto dialogo è quello segnato dall'amore. Esattamente perché il discorso deve essere unito all'amore per avere efficacia, è certamente necessario e urgente, come scrivevo nella mia enciclica, che la missione e il dialogo con i non Cristiani venga condotto da Cristiani in comunione e in collaborazione tra di loro (RH 6 RH 11). Sono pertanto felice di vedere presenti, in questa assemblea plenaria del Segretariato, rappresentanti qualificati della Chiesa greca-ortodossa e del Consiglio Mondiale delle Chiese.

Siete veramente benvenuti, e Dio benedica questa collaborazione. A tutti voi, miei cari Fratelli nell'Episcopato e nel sacerdozio, a tutti gli esperti e i collaboratori del Segretariato per i non Cristiani, rivolgo il mio augurio orante invocando su di voi la benedizione di Gesù Cristo, risorto dai morti, "il Redentore dell'uomo... centro del cosmo e della storia".

Data: 1979-04-27

Data estesa: Venerdì 27 Aprile 1979.





Agli Agostiniani Recolletti - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Siete in questo mondo ambasciatori di Cristo

Testo: Amatissimi fratelli in Cristo.

Avete voluto concludere qui, insieme al Papa, questa seconda settimana di Pasqua, durante la quale vi siete riuniti a Roma per penetrare voi stessi e riflettere sulle realtà e le esigenze di vita religiosa nel momento attuale, in vista della preparazione del Capitolo generale.

Desidero perciò congratularmi con voi, tanto più che questa visita mi permette di esprimervi non solo la mia partecipazione alle vostre inquietudini ecclesiali, ma anche il mio affetto cordiale nei confronti dell'Ordine degli Agostiniani Recolletti e di tutti i suoi membri.

Senza alcun dubbio, queste giornate sono state di autentico raccoglimento, giorni vissuti in intimità familiare, lodando Dio e dialogando insieme, sentendoci gioiosamente affini nel pensiero e nel cuore, con la spiritualità e lo stile di vita ereditato dal vescovo di Ippona, sant'Agostino.

Attraverso la comunione di mente e animo con questo gran Padre e Dottore della Chiesa, la cui attraente personalità umana e religiosa ci si offre ancora imperitura dopo secoli, sapete bene con chi siete sintonizzati: con la Parola e l'Amore di Dio, con Cristo. E' lui e non un altro, colui che vi cerca, colui che vi invita insistentemente a decidere in ogni momento di abbandonarvi in una avventura esigente ed insieme avvincente, a questa realtà ultima che confesserà sant'Agostino ("Confessioni", 1,1): "Fecisti nos, Domine, ad te et inquietum est cor nostrum donec requiescat in te".

Non svanisca mai nella vostra fisionomia spirituale questa impronta eminentemente contemplativa della "sequela Christi". La contemplazione, "il dovere più nobile dell'anima", è inoltre una nota caratteristica della vostra famiglia religiosa. Sia questo modo peculiare di vivere secondo una frase dello stesso sant'Agostino un dirigersi verso l'eterno: non è oziosità, bensì il riposo dello spirito, poiché l'anima è invitata al riposo della contemplazione.

Questa unione con Dio, nata da una predisposizione alla donazione totale e incondizionata, deve essere il nucleo, a partire dal quale vi apprestate a dare pieno senso alla vostra vita religiosa, come ambasciatori di Cristo in questo mondo (cfr. 2Co 5,20), secondo lo Spirito che vi è stato dato.

Con l'apostolo san Paolo, desidero ripetervi oggi: "Non spegnete lo Spirito" (1Th 5,19), lasciatevi trasportare dal suo impulso, chiedete che vi faccia sperimentare giorno dopo giorno la sua grazia; solo così vi rinnoverete nel più profondo del vostro essere, fino ad assimilare l'azione di Dio, che non si dispensa meramente attraverso la sua scienza e potere, ma che è a sua volta dono di fedeltà, di servizio, di abnegazione, di pace, in una parola, di amore. E solo così riuscirete anche a rinnovarvi interiormente, in modo vero e fruttuoso, in linea con le direttive marcate dal Concilio.

Cari fratelli e figli: due giorni fa avete celebrato la festività della Vergine del Buon Consiglio, che occupa un posto di rilievo nella vostra Istituzione e nei vostri cuori. In questa ora di riflessione e di rinnovamento ecclesiale, lasciatevi illuminare e guidare dalla Madre di Cristo, Madre della Parola fatta carne. Chiedete il suo aiuto affinché, in unione di fede e di sentimenti, l'opera iniziata da sant'Agostino in un lontano giorno mantenga forza oggi nella Chiesa e possa mostrare a tutti gli uomini che Cristo, morto e resuscitato, è vera "via, verità e vita".

Con sentimenti di affetto, ricevete la mia benedizione, che estendo cordialmente a tutti i vostri fratelli.

Data: 1979-04-28

Data estesa: Sabato 28 Aprile 1979.





A vescovi dello Sri Lanka in visita "ad limina" - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Fare, servire, amare di più

Testo: Cari fratelli in nostro Signore Gesù Cristo.

Ritrovandoci nell'unità dell'Episcopato, il nostro pensiero si rivolge spontaneamente a Cristo. Noi siamo sicuramente consapevoli dell'urgenza che riempie il nostro animo, espresso nelle parole: "Bisogna che io annunci la Buona Novella del Regno di Dio... poiché sono stato mandato per questo" (Lc 4,43).

Riflettendo su questa missione di Cristo, noi comprendiamo la natura evangelizzatrice della sua Chiesa; e allo stesso tempo otteniamo una nuova capacità di penetrare il senso della nostra missione di Vescovi che annunciano la parola di Dio. Al centro della Buona Novella che noi proclamiamo c'è il grande mistero della Redenzione e precisamente la persona del Redentore. Tutti i nostri sforzi come Pastori della Chiesa sono diretti a far meglio conoscere ed amare il Redentore. Noi troviamo la nostra identità di Vescovi nel predicare "le imperscrutabili ricchezze di Cristo" (Ep 3,8), e trasmettendo il suo salvifico messaggio-rivelazione.

L'assoluta fedeltà allo speciale compito di evangelizzazione connesso al nostro ufficio episcopale diviene lo scopo della nostra vita quotidiana. Le seguenti parole della mia recente enciclica si rivolgono soprattutto ai Vescovi: "Sentiamo profondamente il carattere impegnativo della verità che Dio ci ha rivelato. Avvertiamo in particolare il grande senso di responsabilità per questa verità. La Chiesa, per istituzione di Cristo, ne è custode e maestra, essendo appunto dotata di una singolare assistenza dello Spirito Santo, perché possa fedelmente custodirla ed insegnarla nella sua più esatta integrità" (RH 12).

Per questo motivo noi intendiamo conservare la purezza della fede cattolica; noi vigiliamo che il contenuto dell'evangelizzazione corrisponda al messaggio predicato da Cristo, trasmesso dagli Apostoli e sancito dal Magistero della Chiesa nei secoli. Giorno dopo giorno noi parliamo al nostro popolo del nome, della predicazione, della vita, delle promesse, del Regno e del mistero di Gesù di Nazaret, il Figlio di Dio. Noi proclamiamo chiaramente ed esplicitamente davanti al mondo intero che la salvezza è un dono di Dio, della sua grazia e misericordia, offerto a tutti in Gesù Cristo, il Figlio di Dio che mori e risuscito dai morti. Noi predichiamo una salvezza trascendente ed escatologica iniziata nel tempo, ma il cui compimento ha luogo nell'eternità.

Allo stesso tempo questa evangelizzazione comporta un messaggio esplicito sui diritti e i doveri di ogni essere umano. Il messaggio del Vangelo è necessariamente legato al progresso umano, sotto i due aspetti dello sviluppo e della liberazione, poiché non è possibile proclamare il nuovo comandamento dell'amore di Cristo, senza promuovere il benessere dell'uomo nella giustizia e nella pace.

I nostri sforzi, inoltre, volti a portare questo messaggio universale nella vita di tutte le comunità ecclesiali, e a tradurlo in una lingua facilmente comprensibile, devono essere fatti in piena sintonia con l'intera Chiesa, perché sappiamo che se si adultera il contenuto del Vangelo con il pretesto di adattarlo, viene dissipata la sua forza. La nostra è una enorme responsabilità, ma la affrontiamo con serenità e fiducia, convinti come siamo che lo Spirito di verità, secondo la promessa del Signore, ci guida se noi restiamo fedeli alla comunione della Chiesa di Cristo.

E' importante notare che nel grande trattato sulla evangelizzazione di Paolo VI si sottolinea che l'efficacia della evangelizzazione dipende dalla santità della vita (cfr. EN 21 EN 26 EN 41 EN 76). Il Vangelo deve essere proclamato con la testimonianza di una vita cristiana vissuta nella fedeltà al Signore Gesù. Proprio in quanto tutte le categorie di persone nella Chiesa sono invitate a prendere parte al compito dell'evangelizzazione, tutti si sentano seriamente esortati alla vera santità della vita.


GPII 1979 Insegnamenti - Alla conferenza dell'ONU per il Commercio e lo Sviluppo - Città del Vaticano (Roma)