GPII 1979 Insegnamenti - A vescovi dello Sri Lanka in visita "ad limina" - Città del Vaticano (Roma)

Riflettendo sull'evangelizzazione è bene soffermarsi sull'unità che Gesù è venuto a porre in essere. Trasmettendo ai suoi discepoli le parole consegnategli dal Padre, Gesù prego perché essi fossero veramente uniti (cfr. Jn 17,8 Jn 17,11). Con il suo Vangelo, Cristo supero la divisione del peccato e dell'umana debolezza, riconciliandoci con il Padre, e lasciandoci in consegna il suo nuovo comandamento dell'amore. Egli doveva morire per "riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi" (Jn 11,52).

Questa unità tra noi e tra i nostri popoli è la prova della nostra discepolanza, è l'indicatore della nostra fedeltà a Gesù. L'unità alla quale siamo invitati è una unità di fede e di amore, che supera le divisioni interne e quelle umane. L'unità garantita da Gesù assicura anche l'efficacia della nostra testimonianza verso il mondo: "Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri" (Jn 13,35).

Lo stesso Cristo evangelizzatore ci rivela che egli deve proclamare la Buona Novella e anche che "il Figlio dell'Uomo non è venuto per essere servito, ma per servire" (Mt 20,28). Cristo invita noi, sue membra, a condividere il suo servizio regale; Cristo chiama la sua Chiesa a servizio dell'uomo. Ho anche cercato di sottolineare questo elemento nella "Redemptor Hominis" (RH 15): "La Chiesa, che è animata dalla fede escatologica, considera questa sollecitudine per l'uomo, per la sua umanità, per il futuro degli uomini sulla terra e, quindi, anche per l'orientamento di tutto lo sviluppo e del progresso, come un elemento essenziale della sua missione, indissolubilmente congiunto con essa. Ed al principio di questa sollecitudine essa lo trova in Gesù Cristo stesso, come testimoniano i Vangeli".

Volendo esprimere la sua comprensione del Vangelo, la Chiesa si mobilita con rinnovata carità a servizio del mondo. Si impegna liberamente con tutti i suoi membri ad esercitare la carità di Cristo. Uno dei maggiori servizi che i cristiani possono compiere è amare i loro fratelli con lo stesso amore con cui essi per primi furono amati: un amore personale che si manifesta nella comprensione, nella compassione, nella sensibilità ai bisogni e nel desiderio di comunicare l'amore del cuore di Cristo. Parlando della dimensione umana della Redenzione, ho scritto: "L'uomo non può vivere senza amore. Egli rimane per se stesso un essere incomprensibile, la sua vita è priva di senso se non gli viene rivelato l'amore, se non lo sperimenta e non lo fa proprio, se non vi partecipa vivamente" (RH 10).

Comprendere questo significa subito constatare che c'è uno spazio immenso nel mondo per la carità di Cristo. Il servizio del nostro amore non ha limiti. Siamo costantemente chiamati a fare di più, a servire di più, ad amare di più! Cari fratelli, oltre a questa breve riflessione sulla evangelizzazione, molte altre cose vorrei esaminare con voi per potervi incoraggiare nella vostra missione pastorale, perché voi possiate incoraggiare i vostri sacerdoti, religiosi, seminaristi e laici. Ma sono certo che nella nostra stessa comunione ecclesiale voi troverete la forza e l'ispirazione per proseguire il vostro ministero, per edificare, con la potenza dello Spirito Santo, le comunità dei fedeli affidati alla vostra cura pastorale.

Vi raccomando all'intercessione di Maria, la Vergine Immacolata, Madre di Dio; a lei chiedo di sostenervi nella fedeltà e nella letizia. Con voi imparto la mia benedizione apostolica alle vostre popolazioni, nelle chiese e nelle famiglie dello Sri Lanka - "la perla dell'Oceano Indiano" - ai vecchi e ai giovani, a chi soffre e a chi è bisognoso. Il mio amore è con tutti voi, in Gesù Cristo e nel suo Vangelo.

Data: 1979-04-28

Data estesa: Sabato 28 Aprile 1979.





Al Vescovo di Leiria - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Grazia e pace per tutti i pellegrini a Fatima

Testo: Al Venerabile Fratello Alberto Cosme Do Amaral, Vescovo di Leiria.

Si sta avvicinando il giorno, il prossimo 13 maggio, in cui si realizzerà un altro grande pellegrinaggio al Santuario di Fatima, di cui ho gradito conoscere il programma. Seguo in questo semplice modo, il desiderio che ho voluto esprimere: che il nuovo successore di san Pietro, nel primo anno del suo pontificato, affermi la sua presenza spirituale ai numerosi pellegrini provenienti dal Portogallo e dal mondo intero, che si raduneranno in questo luogo benedetto.

In sintonia con questa assemblea in preghiera voglio, quindi, porgere l'augurio cordiale ai Pastori, sacerdoti, religiosi e religiose e agli amati fedeli pellegrini a Fatima, che la grazia e la pace scendano abbondantemente su tutti voi, attraverso una intima conoscenza di Dio e di Gesù Cristo, Signore nostro (cfr. 2P 1,2). Venerando la Madre della Chiesa, alla luce del suo luminoso esempio e attraverso i suoi meriti e la sua intercessione, in questo luogo adorerete Dio, offrendogli l'espiazione, propiziando la sua misericordia e implorando la sua assistenza e la sua grazia per la Chiesa e per l'umanità. Vorrei condividere in qualche modo ed anche stimolare questo desiderio che vi porta ad unirvi a Maria santissima, Madre del vero Dio e Madre nostra, e a riporre la vostra fiducia nel materno amore che ella ha inserito nel mistero della Redenzione e nella vita della Chiesa: mi spinge a questo una profonda necessità di fede, di speranza e di carità nell'ora che stiamo vivendo.

E' questa, di fatto, una luminosa ora di speranza, in cui la Chiesa riconosce di essere molto vicina all'uomo, realmente e intimamente legata al genere umano e alla sua storia (cfr. GS 1); ma questa è anche un'ora piena di responsabilità in cui la stessa Chiesa riconosce come le sia indispensabile vivere un profondo legame con Cristo, redentore dell'uomo.

E allora, "che cosa dobbiamo fare, fratelli?". A questa domanda, che ad un certo momento e stata rivolta a san Pietro, risponde il suo umile successore ripetendo le sue stesse parole: "convertitevi..." (cfr. Ac 2,38). E convertirsi, lo sappiamo bene, - ed è questo il centro del messaggio di Fatima - è l'impegno continuo di ricercare e dare testimonianza della "intima conoscenza di Dio e di Gesù Cristo, nostro Signore", questa è la via della vita eterna (cfr. Jn 17,3), che passa necessariamente attraverso la penitenza (cfr. Lc 13,3) e la preghiera (cfr. Jn 15,5), di cui oggi la Chiesa sente più che una necessità, ma è per essa un vero e proprio imperativo categorico.

Per questo io, "pellegrino" con i pellegrini di Fatima, vi esorto a chiedere a Maria, per Maria e con Maria, alla Santa Madre di Dio, Madre della Chiesa e aiuto dei cristiani, fiduciosi nella sua pienezza di grazia, dichiarandole amore filiale e devozione sincera, a partire dal proposito di fedeltà a Cristo, di fedeltà alla Chiesa e di fedeltà agli uomini-fratelli. E che sia la Madonna, avvocata nostra, a presentare a Dio le suppliche che invito a fare, in unione con Cristo "il Mediatore tra Dio e gli uomini" (1Tm 2,5): - perché ci sia armonia nella nostra santa Chiesa cattolica nel vivere e testimoniare il mistero della redenzione a tutti quelli che Cristo ha abbracciato e abbraccia continuamente, con inesauribile amore; - per la santificazione di tutto il Popolo di Dio: i sacri ministri, le persone consacrate, le famiglie, la gioventù e l'infanzia; - perché ci siano vocazioni alla vita consacrata al servizio del Regno e alla testimonianza evangelica della carità; - per la pace, per la giustizia, per la fraternità fra gli uomini e tra i popoli, per coloro che non hanno una casa, non hanno pane, non hanno libertà religiosa, non hanno amore e speranza, soprattutto per i più piccoli, in questo Anno Internazionale dell'Infanzia; - e per tutti, uno per uno, i pellegrini riuniti in questo Santuario, per i loro cari, per le loro terre e per le loro patrie: perché il Signore conforti, protegga e benedica tutti.

E' con questo augurio e col cuore in preghiera che, come pegno di pace e di grazia abbondante, vi benedico tutti nel nome del Padre, e del Figlio, e dello Spirito Santo.

Data: 1979-04-28

Data estesa: Sabato 28 Aprile 1979.





Omelia per la beatificazione di P. Laval e di P. Coll - Città del Vaticano (Roma)

Testo: Cari fratelli e sorelle

1. Alleluia! Alleluia! In questa terza domenica di Pasqua la nostra gioia pasquale si esprime come eco della traboccante letizia degli Apostoli, i quali, fin dal primo giorno, hanno riconosciuto il Cristo risuscitato. La sera di Pasqua "il Cristo apparve in mezzo a loro". "Egli mostro loro le mani e i piedi". Li invito a toccarlo con le loro mani. Mangio dinanzi a loro (cfr. Lc 24,36 Lc 24,39 Lc 24,40). Pur presi dallo stupore e lenti a credere, infine gli Apostoli lo riconobbero: "Furono pieni di gioia alla vista del Signore" (Jn 20,20 Lc 24,41); e poi nessuno poté sottrarre loro quella gioia (cfr. Jn 16,22) né far tacere la loro testimonianza (cfr. Ac 4,20). Qualche istante prima anche il cuore dei discepoli di Emmaus ardeva nel loro petto mentre Gesù, camminando con loro, parlava e spiegava le Sacre Scritture; ed anch'essi l'avevano riconosciuto allo spezzar del pane (cfr. Lc 24,32 Lc 24,35).

La letizia di questi testimoni, cari fratelli e sorelle, è anche nostra: noi condividiamo la loro fede nel Cristo risuscitato. Glorificato presso il Padre, egli non cessa di attirare a sé gli uomini, di comunicare loro la sua vita, lo Spirito di santità, preparando loro, insieme, un posto nella casa del Padre.

Proprio questa gioia trova oggi una fulgida conferma, giacché noi festeggiamo due meravigliosi Servi di Dio che nel secolo scorso hanno brillato, qui sulla terra, della santità di Cristo; la Chiesa è ormai in grado di dichiararli beati e proporli al culto particolare e alla imitazione dei fedeli: essi sono il padre Laval e il padre Coll. Ora faremo la loro conoscenza.


2. Evidentemente, è impossibile far risaltare qui tutti i fatti importanti della vita del padre Giacomo Desiderato Laval, né tutte le virtù cristiane che egli ha praticato in grado eroico. Sottolineiamo, almeno, quel che ha caratterizzato questo missionario e che sia in rapporto con l'attuale missione della Chiesa.

Anzitutto la sua ansia di evangelizzare i poveri, i più poveri, e, nel suo caso, i suoi "cari Negri" dell'Isola Maurizio: così soleva chiamarli.

Francese, aveva cominciato ad esercitare la medicina in una cittadina della sua diocesi natale di Evreux; ma a poco a poco la chiamata - rifiutata per un certo tempo - ad un indiviso amore del Signore gli fece abbandonare la sua professione e la vita mondana: "Da prete potro fare di più per il bene del prossimo", spiegava egli a suo fratello (cfr. "Biografia"). Vocazione tardiva al seminario San Sulpizio di Parigi, subito vi fu preposto al servizio dei poveri; poi, come curato nella piccola parrocchia di Pinterville in Normandia, condivideva con gli indigenti tutto il suo avere. Ma, conosciuta la miseria dei Negri d'Africa e l'urgenza di accostarli a Cristo, ottenne di partire per l'Isola Maurizio con il Vicario Apostolico Monsignor Collier. Per ventitré anni, fino alla morte, consacro tutto il suo tempo, spese tutte le sue forze, diede tutto il suo cuore alla evangelizzazione degli indigeni: senza mai stancarsi seppe ascoltarli, catechizzarli e far loro scoprire la vocazione cristiana. Spesso anche intervenne per migliorare la loro condizione sanitaria e sociale.

Il suo impegno e dedizione non cessa di stupirci, tenuto conto soprattutto delle scoraggianti condizioni della sua missione. Ma, nel suo apostolato, ando sempre all'essenziale.

E' un fatto che il nostro missionario ha lasciato innumerevoli convertiti di solida fede e pietà. Non era portato né per svolazzi oratori né verso cerimonie vistose, seducenti per quelle anime semplici ma prive di un domani. Il suo intento educativo era ben inserito nella vita: non esitava a tornare continuamente sui punti essenziali della dottrina e della pratica cristiana, né ammetteva al Battesimo o alla Prima Comunione che persone preparate a piccoli gruppi e ben saggiate. Ebbe gran cura di mettere a disposizione dei fedeli delle piccole cappelle disseminate per l'isola. Ecco, ora, un'altra sua notevole iniziativa, che somiglia alla mira di tanti pastori di oggi: egli si scelse dei collaboratori, uomini e donne, come guide per la preghiera, catechisti, visitatraci e consigliere dei malati, responsabili di piccole comunità cristiane: cioè poveri che evangelizzassero altri poveri.

Qual è dunque il segreto del suo zelo missionario? La sua santità: dono di tutta la sua persona a Gesù Cristo, inseparabile dalla sua tenerezza per gli uomini, soprattutto per i più umili, che egli vuole accostare alla salvezza del Cristo. Tutto il tempo non dedicato all'apostolato diretto lo trascorreva pregando, specialmente dinanzi al Santo Sacramento; e alla sua preghiera univa continuamente penitenze e mortificazioni che, nonostante la sua discrezione e umiltà, hanno vivamente colpito i suoi confratelli. Lui stesso manifesta spesso il rammarico per la sua tiepidezza spirituale o piuttosto per la sofferta consapevolezza della sua aridità: non dà egli, infatti, il primo posto al fervente amore di Dio e di Maria, a cui vuol pure iniziare i suoi fedeli? Questo è il segreto della sua pazienza nell'apostolato: "Contiamo solo sul buon Dio e sulla protezione della Santa Vergine" (Lettera del 6 luglio 1853, cfr. "Biografia"). Che magnifica confessione! Del resto la sua spiritualità missionaria fin dall'inizio si era inscritta nel quadro di un giovane istituto religioso mariano ed ebbe sempre cura di viverne lo spirito, malgrado la solitudine e la lontananza geografica: la Società del Sacro Cuore di Maria, di cui egli fu uno dei primi membri accanto al celebre padre Libermann, Società che ben presto si fonderà con la Congregazione dello Spirito Santo. L'apostolo, oggi come ieri, deve anzitutto conservare in sé il vigore spirituale: è infatti testimone di quanto attinge continuamente alla Sorgente.

Ecco un modello per gli evangelizzatori di oggi: che ispiri i missionari, anzi, oso dire, tutti i preti, che hanno in primo luogo la sublime missione di annunciare Gesù Cristo e di formare alla vita cristiana! Che sia, a titolo particolare, gioia e stimolo per tutti i religiosi della Congregazione dello Spirito Santo, i quali non hanno cessato di piantar la Chiesa, specialmente in Africa, dove lavorano con tanta generosità! Che l'esempio del padre Laval incoraggi quanti, sul continente africano e altrove, si sforzano di costruire un mondo fraterno, esente da pregiudizi razziali! Che il beato Laval sia anche vanto, ideale e protettore della così dinamica comunità cristiana dell'Isola Maurizio e di tutti i Mauriziani! A questi auguri son lieto di unire un saluto cordialissimo alla Delegazione del Governo dell'Isola Maurizio e a quella del Governo francese, che son venute per partecipare a questa cerimonia.


3. Un secondo motivo di gioia ecclesiale è la beatificazione di un'altra figura che la Chiesa desidera oggi esaltare e proporre alla imitazione del Popolo di Dio: il padre Francesco Coll. Una nuova gloria della famiglia domenicana nonché della famiglia diocesana di Vich. Un religioso e insieme un modello di apostolo, durante gran parte della sua vita, tra le file del clero di quella diocesi.

Una di quelle personalità ecclesiastiche che nella seconda metà del secolo XIX arricchiscono la Chiesa di nuove fondazioni religiose. Un figlio della terra spagnola, della Catalogna, nella quale son germogliate tante generose anime che han lasciato alla Chiesa una feconda eredità! Nel nostro caso tale eredità si concretizza in una magnifica e instancabile opera di predicazione evangelica che culmina nella fondazione dell'Istituto chiamato oggi delle Religiose Domenicane dell'Annunziata: esse, insieme a tanti membri delle varie opere cui la Congregazione ha dato vita, son presenti qui in gran numero per festeggiare il loro Padre Fondatore.

Non possiamo tracciare ora un ritratto completo del nuovo Beato: come avete potuto ricavare dall'ascolto della sua biografia egli è specchio mirabile di eroiche virtù umane, cristiane, religiose, che lo fan degno di lode e di imitazione nel nostro pellegrinaggio terreno. Limitiamoci ad intrattenerci brevemente su un aspetto emergente in questa figura di ecclesiastico.

Quel che più fa impressione accostandoci alla vita del nuovo Beato, è la sua attività di evangelizzatore. In un momento storico assai difficile, in cui convulsioni sociali e leggi persecutorie contro la Chiesa lo costringono ad abbandonare il convento e a viverne costantemente fuori, il padre Coll si consacra interamente ad una meravigliosa opera di predicazione ponendosi al di sopra di ogni visuale umana, sociologica o politica. Sia durante il ministero parrocchiale, particolarmente ad Artés e a Moya, sia nel periodo successivo di missionario apostolico, il padre Coll si rivela un vero catechista ed evangelizzatore, nella migliore tradizione dell'Ordine dei Predicatori.

Durante i suoi innumerevoli viaggi apostolici per tutta la Catalogna, con memorabili missioni popolari e altre forme di predicazione, il padre Coll - Mosén Coll, per molti - è seminatore di fede e di speranza, predicatore di carità, di pace, di riconciliazione tra quanti le passioni, la guerra e l'odio tenevano divisi. Vero uomo di Dio, vive in pienezza la sua identità sacerdotale e religiosa, divenuta fonte di ispirazione durante tutto il suo ministero. A quanti non sempre comprendono i motivi di certi suoi atteggiamenti, risponde con un convinto "perché sono religioso". Tale profonda consapevolezza di se stesso è il segreto che orienta la sua incessante attività.

Un ministero assorbente; ma non privo di solida base: la ininterrotta orazione, che è la spinta della sua attività apostolica. Su questo tema il nuovo Beato parla assai eloquentemente: è egli stesso uomo di orazione e per questa via vuol avviare i fedeli (basta seguire quanto afferma nelle due pubblicazioni "La bella rosa" e "La scala del cielo"); questo è il sentiero che indica alle sue figlie nella Regola, con parole vibranti, che per la loro attualità faccio mie: "La vita delle sorelle deve esser vita di orazione... Perciò vi raccomando, e torno a raccomandarvi, care sorelle: non cessate di pregare".

Il neo-Beato raccomanda varie forme di preghiera a sostegno dell'attività apostolica: ma ve n'è una che è la sua preferita e che con particolare piacere raccolgo e sottolineo: l'orazione fatta contemplando i misteri del rosario; questa "scala per salir al cielo", risultante di orazione mentale e vocale che "sono le due ali offerte dal Rosario alle anime cristiane". Una forma di preghiera che anche il Papa pratica con assiduità e alla quale vi invita ad unirvi tutti, specialmente nel prossimo mese di maggio, consacrato alla Vergine.

Concludo queste riflessioni in lingua spagnola salutando le Autorità che son venute alle presenti celebrazioni in onore di padre Coll. Tutti invito ad imitarlo: ma in particolare i figli di san Domenico, il clero e soprattutto voi, sorelle Domenicane dell'Annunziata, giunte dalla Spagna, dall'Europa, dall'America, dall'Africa dove si spiega generosamente la vostra attività religiosa.


4. L'auspicio che io esprimo stamani è in conclusione che l'odierna duplice Beatificazione valga a rafforzare ed a promuovere l'impegno nell'azione catechetica di tutta la Chiesa. E' noto che il tema della Quarta assemblea Generale del Sinodo dei Vescovi, tenutosi qui a Roma nell'autunno del 1977, fu appunto quello della catechesi. I Padri sinodali - dei quali io pure facevo parte - affrontarono e studiarono questo argomento di primaria importanza per la vita e per l'azione della Chiesa di ogni tempo. Essi sottolinearono l'urgenza di dare decisa priorità alla catechesi rispetto ad altre iniziative, meno essenziali anche se magari più appariscenti, perché in essa si attua l'aspetto assolutamente originale della missione della Chiesa. Una missione - essi ribadirono - che investe tutti i membri del Popolo di Dio, pur nelle loro funzioni differenziate, e li impegna ad una continua ricerca di metodi e di mezzi adeguati per una sempre più efficace trasmissione del Messaggio.

Il pensiero dei Padri del Sinodo era rivolto soprattutto ai giovani, della cui importanza crescente nel mondo d'oggi essi erano ben consapevoli: pur tra incertezze e sbandamenti, eccessi e frustrazioni, i giovani rappresentano la grande forza, da cui dipendono le sorti dell'umanità futura. La domanda che ha assillato i Padri sinodali è stata proprio questa: come portare questa moltitudine di giovani a fare un'esperienza viva di Gesù Cristo, e ciò non soltanto nell'incontro abbagliante di un momento fuggevole, ma mediante una conoscenza ogni giorno più completa e più luminosa della sua persona e del suo messaggio? Come far nascere in loro la passione per il Regno, che egli è venuto ad inaugurare, e nel quale soltanto l'essere umano può trovare la piena e appagante realizzazione di se stesso? Rispondere a questa domanda è il compito più urgente della Chiesa, oggi.

Dipenderà dall'impegno generoso di tutti, se alle nuove generazioni potrà essere offerta una testimonianza della "parola di salvezza" (Ac 13,26), capace di conquistare le menti ed i cuori dei giovani e di coinvolgere le loro volontà in quelle scelte concrete, spesso costose, che la logica dell'amore di Dio e del prossimo richiede. Dipenderà soprattutto dalla sincerità e dall'intensità, con cui le famiglie e le comunità sapranno vivere la loro adesione a Cristo, se i giovani saranno efficacemente raggiunti dagli insegnamenti loro impartiti in casa, a scuola, in chiesa.

Preghiamo, dunque, i nuovi Beati perché ci siano vicini con la loro intercessione e ci guidino ad un'esperienza personale e profonda del Cristo risorto, che porti anche i nostri cuori ad "ardere nel petto", come ardevano i cuori dei due discepoli sulla strada di Emmaus, mentre Gesù "conversava con loro e spiegava loro le Scritture" (cfr. Lc 24,32). Infatti, solo colui che può dire: "Lo conosco" - e san Giovanni ci ha avvertiti che questo non lo può dire chi non vive secondo i comandamenti di Cristo (cfr. ) - solo chi ha raggiunto una conoscenza "esistenziale" di lui e del suo Vangelo, può offrire agli altri una catechesi credibile, incisiva, trascinatrice.

La vita dei due nuovi Beati è, di questo, una riprova eloquente. Che il loro esempio non ci sia proposto invano! Data: 1979-04-29

Data estesa: Domenica 29 Aprile 1979.





Recita dell'Angelus - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Preghiamo insieme per il popolo Ugandese

Testo: Sorelle e fratelli carissimi!

1. Oggi è un giorno di grande gioia per noi tutti: la Chiesa venera due nuovi Beati, Francesco Coll e Giacomo Laval. Abbiamo concluso poco fa la solenne celebrazione liturgica, ma desidero ritornare brevemente su queste due eccezionali figure di testimoni del Vangelo e di autentici catechisti del secolo scorso.

Francesco Coll, figlio della Spagna, nato a Gombreny, villaggio dei Pirenei Catalani, segui la vocazione domenicana. Quando nel 1835 in quella Nazione furono per legge chiusi i conventi, Francesco, rimasto sempre fedele alla sua consacrazione religiosa, si voto alla predicazione della Parola di Dio, mediante le "missioni popolari", e nell'agosto del 1856, a Vich, fondo le Domenicane dell'Annunziata, dedite in modo speciale all'educazione delle giovani. La sua morte avvenne nell'aprile del 18

75.

Giacomo Laval è figlio della Francia. Nato a Croth, nella diocesi di Evreux nel 1803, fu prima medico; e, dopo lotte interiori, si arrese finalmente alla chiamata di Gesù. Ordinato sacerdote nel 1838, nel 1841 parti per l'Isola di Maurizio per dedicarsi all'evangelizzazione dei Negri, diventando mauriziano con i mauriziani. Trascorse in quell'Isola - fino alla morte, avvenuta nel 1864 - 23 anni, consacrati interamente all'annuncio del Vangelo in mezzo a difficoltà umanamente insormontabili.

La Chiesa tutta è esultante per il dono che Dio le ha fatto di altri due intercessori in cielo e di due esempi da imitare sulla terra. E' letizia intensa anche per me, perché Francesco Coll e Giacomo Laval sono i primi Beati del mio pontificato e spero che saranno i miei protettori.

In questo momento così esaltante desidero esprimere vivo compiacimento alle due Famiglie Religiose, l'Ordine Domenicano - oggi in festa anche per la ricorrenza liturgica di Santa Caterina da Siena, Patrona d'Italia - e la Congregazione dello Spirito Santo; esse hanno arricchito la Chiesa e l'umanità ed hanno l'immensa soddisfazione ed il privilegio di averci dato questi loro figli.

Né possiamo dimenticare di rivolgere il nostro pensiero di sincero plauso alle loro rispettive Patrie, la Spagna e la Francia, e per il Beato Laval anche alla sua patria di adozione, l'Isola di Maurizio. La Chiesa è ad esse particolarmente grata per questo ulteriore, magnifico dono di santità.

Le personalità dei due Beati, così ricche, così aperte ai problemi spirituali e sociali del mondo moderno, ci spingono a rinnovare l'auspicio che tutti i popoli, tutte le Nazioni, tutti i continenti possano essere rappresentati nella Chiesa terrena, incamminata verso il suo compimento nella gloria eterna.


2. I due nuovi Beati ci ripropongono oggi in maniera concreta la sempre attuale urgenza del mandato di Gesù agli apostoli ed alla Chiesa: "Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura" (Mc 16,15). Nell'ottobre del 1977 la quarta assemblea Generale del Sinodo dei Vescovi affronto il tema della "catechesi nel nostro tempo con particolare riferimento ai fanciulli e ai giovani". A conclusione dei lavori, i Padri Sinodali chiesero al Papa Paolo VI di venerata memoria che indirizzasse alla Chiesa universale un documento sulla catechesi. Tale documento dovrebbe essere pubblicato nei prossimi mesi. Inoltre i Padri Sinodali inviarono a tutto il Popolo di Dio un pressante "Messaggio", nel quale - tra l'altro - rivolgevano il loro grato apprezzamento ai catechisti, in questi termini: "Sono moltissimi, uomini, donne, giovani e anche fanciulli, che dedicano il loro tempo - in genere senza alcuna ricompensa materiale - in un'opera così grave come quella di costruire il Regno di Dio, pieni di vera carità nel formare nel cuore degli uomini il Cristo fino alla pienezza" (cfr. "L'Osservatore Romano", 30 ottobre 1977, p. 4).


3. Memore di quelle parole, rivolgo oggi un affettuoso saluto, un doveroso ringraziamento e un vivo incoraggiamento a tutti i catechisti e catechiste del mondo: sacerdoti, religiosi, suore, laici, - uomini e donne -; soprattutto mi indirizzo ai genitori, che sono e debbono essere i primi, insostituibili ed esemplari catechisti dei loro figli, educandoli fin dall'infanzia alla conoscenza e all'amore di Gesù e del suo messaggio di fede operosa, di carità fattiva, di solidarietà universale. Uno speciale ricordo rivolgo anche a tutti coloro che insegnano Religione nelle Scuole, nei diversi Paesi, e, in particolare, in Italia.

A tutti i presenti il mio augurio e la mia benedizione apostolica! Vorrei ora volgere il mio sguardo all'Africa, terra di tante consolazioni e speranze per la Chiesa e la diffusione del Vangelo. Penso in particolare all'Uganda, in questi giorni di dolorosa prova per quella nazione.

Preghiamo insieme per il popolo ugandese, perché ritrovi la tranquillità, perché non si sparga più sangue, e prevalga lo spirito della riconciliazione, della quale la Chiesa vorrebbe certo essere segno e, se possibile, anche strumento. Vi è in Uganda una Chiesa viva e fervente di fede, cresciuta rigogliosa per l'impegno dei suoi Vescovi, sacerdoti e fedeli, e per il contributo di tanti missionari, essi pure sacerdoti, religiosi e religiose, laici venuti a portare il messaggio di Cristo. Proprio ieri si è appreso che un missionario comboniano, Padre Lorenzo Bono, è rimasto ucciso. Preghiamo per lui. A tutti gli operai del Vangelo vada un pensiero particolare, unendoci al sentimento delle famiglie lontane ed in questi giorni nella pena e nell'angoscia, spesso, per l'incertezza della sorte dei loro cari, e invocando dal Signore che di tutti possano aversi notizie rassicuranti, anche da quei territori che temporaneamente sono preclusi a possibili comunicazioni.

Data: 1979-04-29

Data estesa: Domenica 29 Aprile 1979.





All'associazione API-COLF - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: La dignità della donna e della sua missione

Testo: Carissime sorelle nel Signore! Grande è la mia gioia nel trovarmi questa sera con voi! In verità, non poteva mancare questo incontro così specializzato e così importante col Vicario di Cristo! In occasione del X Congresso Nazionale indetto dall'Associazione Professionale Italiana Collaboratrici Familiari, che si terrà in questi giorni a Frascati, avete desiderato questa udienza per dare inizio alle vostre discussioni sul tema: "Il lavoro domestico nella economia italiana e nella famiglia".

Grato per questo vostro devoto pensiero, vi porgo il mio più cordiale benvenuto e il mio saluto più affettuoso, e intendo in voi salutare tutte le vostre colleghe e amiche, collaboratrici familiari d'Italia e del mondo intero! Ringrazio sentitamente la Presidenza Nazionale dell'Associazione insieme con la Presidenza Romana per l'occasione che mi si offre di intrattenermi con voi, per sentire i vostri problemi di categoria, le vostre difficoltà personali, i vostri ideali, le mete che volete raggiungere.

Le vostre persone rappresentano il lavoro nascosto, e pur necessario e indispensabile; il lavoro sacrificato e non appariscente, che non gode applausi e talvolta non ha neppure riconoscimento e riconoscenza; il lavoro umile, ripetuto, monotono e perciò eroico di una schiera innumerevole di madri e di giovani donne, che con la loro fatica quotidiana contribuiscono al bilancio economico di tante famiglie e risolvono tante situazioni difficili e precarie, aiutando i genitori lontani o i fratelli bisognosi.

E il Papa, che ha conosciuto i disagi della vita, è con voi, vi comprende, vi stima, vi accompagna nelle vostre aspirazioni e nei vostri desideri, ed auspica di cuore che il Congresso in cui verranno trattati i vostri problemi, sempre più faccia emergere le vostre giuste esigenze e le vostre inderogabili responsabilità. Ma voi siete venute qui, nella casa del Padre, anche per avere dal Vicario di Cristo una particolare esortazione ed io con semplice familiarità, ma con sentito affetto, vi diro alcune parole che possano esservi di "viatico" durante il Congresso e poi anche per tutta la vita.

1. Prima di tutto vi dico con l'ansia del mio ministero apostolico: vi sia di conforto la fede in Gesù Cristo! Ci sono tante e belle consolazioni umane nella vita, e il progresso le ha aumentate e perfezionate, e dobbiamo saperle valutare e godere giustamente e santamente. Ma la consolazione suprema è e deve essere ancora e sempre la presenza di Gesù nella nostra vita. Gesù, il Divin Redentore, è penetrato nella vicenda umana, si è messo al nostro fianco, per camminare con noi in ogni sentiero dell'esistenza, per raccogliere le nostre confidenze, per illuminare i nostri pensieri, per purificare i nostri desideri, per consolare le nostre tristezze.

E' particolarmente commovente meditare sull'atteggiamento di Gesù verso la donna: egli si dimostro audace e sorprendente per quei tempi, in cui nel paganesimo la donna era considerata oggetto di piacere, di merce e di fatica, e nel giudaismo era emarginata e avvilita.

Gesù mostro sempre la massima stima e il massimo rispetto per la donna, per ogni donna, e in particolare fu sensibile verso la sofferenza femminile.

Oltrepassando le barriere religiose e sociali del tempo, Gesù ristabili la donna nella sua piena dignità di persona umana davanti a Dio e davanti agli uomini. Come non ricordare i suoi incontri con Marta e Maria (Lc 10,38-42), con la Samaritana (Jn 4,1-42), con la vedova di Nain (Lc 7,11), con la donna adultera (Jn 8,3-9), con l'ammalata di emorragia (Mt 9,20-22), con la peccatrice in casa di Simone il Fariseo (Lc 7,36-50)? Il cuore vibra di commozione al solo enumerarli. E come non ricordare, soprattutto, che Gesù volle associare alcune donne ai Dodici (Lc 8,2-3), che lo accompagnavano e lo servivano, e gli furono di conforto durante la via dolorosa fin sotto la Croce? E dopo la risurrezione Gesù apparve alle pie donne e a Maria Maddalena, incaricandola di annunziare ai discepoli la sua Risurrezione (Mt 28,8).

Desiderando incarnarsi ed entrare nella nostra storia umana, Gesù volle avere una Madre, Maria santissima, ed elevo così la donna al più alto e mirabile fastigio della dignità, Madre di Dio Incarnato, Immacolata, Assunta, Regina del cielo e della terra. Perciò voi donne cristiane, come Maria Maddalena e le altre donne del Vangelo, dovete annunziare, testimoniare che Cristo è veramente risorto, che lui è la nostra vera ed unica consolazione! Abbiate quindi cura della vostra vita interiore, riservandovi ogni giorno una piccola oasi di tempo per meditare e per pregare.


2. In secondo luogo vi dico: il vostro ideale sia la dignità della donna e della sua missione! E' triste vedere come la donna nel corso dei secoli sia stata tanto umiliata e maltrattata. Eppure dobbiamo essere convinti che la dignità dell'uomo come della donna si trova in modo totale ed esauriente solo in Cristo! Parlando alle donne italiane nell'immediato dopo guerra, il venerato mio predecessore Pio XII diceva: "Nella loro dignità personale di figli di Dio, l'uomo e la donna sono assolutamente uguali, come anche a riguardo del fine ultimo della vita umana, che è l'eterna unione con Dio nella felicità del cielo. E' gloria imperitura della Chiesa l'aver rimesso in luce e in onore questa verità e l'aver liberato la donna da una degradante servitù contraria alla natura". E, andando al particolare, soggiungeva: "La donna ha da concorrere con l'uomo al bene della "civitas", nella quale è in dignità uguale a lui. Ognuno dei due sessi deve prendere la parte che gli spetta secondo la sua natura, i suoi caratteri, le sue attitudini fisiche, intellettuali e morali. Ambedue hanno il diritto e il dovere di cooperare al bene totale della società, della patria; ma è chiaro che se l'uomo è per temperamento più portato a trattar gli affari esteriori, i negozi pubblici, la donna ha, generalmente parlando, maggior perspicacia e tatto più fine per conoscere e risolvere i problemi delicati della vita domestica e familiare, base di tutta la vita sociale; il che non toglie che alcune sappiano dar saggio di grande perizia anche in ogni campo di pubblica attività" (Pio XII, "Discorso" del 21 ottobre 1945). Tale è pure stato l'insegnamento del Concilio Vaticano II e il continuo assillante Magistero di Paolo VI (cfr. Paolo VI, "Interventi in occasione della celebrazione dell'Anno Internazionale della donna": AAS 67 (1975), AAS 68 (1976)). Questa dottrina, così chiara ed equilibrata, dà lo spunto per ribadire anche il valore e la dignità del lavoro domestico.

Certo, tale lavoro deve essere visto non come una imposizione implacabile ed inesorabile, come una schiavitù; ma come una libera scelta, cosciente e voluta, che realizza pienamente la donna nella sua personalità e nelle sue esigenze. Infatti, il lavoro domestico è parte essenziale nel buon ordinamento della società e ha un enorme influsso sulla collettività; esige una dedizione continua e totale, e quindi è un'ascetica quotidiana, che richiede pazienza, dominio di se stesse, lungimiranza, creatività, spirito di adattamento, coraggio negli imprevisti; e collabora anche a produrre reddito e ricchezza, benessere e valore economico.

Di qui ancora nasce anche la dignità del vostro lavoro di Collaboratrici familiari: non è un'umiliazione il vostro impegno, ma una consacrazione! Infatti voi collaborate direttamente per il buon andamento della famiglia; e questo è un grande compito, si direbbe quasi una missione, per la quale sono necessarie una preparazione e una maturazione adeguate, per essere competenti nelle varie attività casalinghe, per razionalizzare il lavoro e conoscere la psicologia familiare, per apprendere la cosiddetta "pedagogia della fatica" che fa meglio organizzare le proprie prestazioni, ed anche per esercitare la necessaria funzione educatrice. E' tutto un mondo importantissimo e prezioso che ogni giorno si apre ai vostri occhi e alle vostre responsabilità. Il mio plauso va perciò a tutte le donne impegnate nell'attività domestica e a voi, Collaboratrici familiari, che prestate il vostro ingegno e la vostra fatica per il bene della casa!

3. Infine, vi dico ancora: siate seminatrici di bontà.

In tanti anni di giuste rivendicazioni e di più accentuato rispetto della persona, avete visto riconosciuti i vostri diritti, sono state fissate le norme per la retribuzione, l'alloggio, la cura e l'assistenza nella malattia, la previdenza, il riposo settimanale e annuale, le giuste indennità, il certificato di lavoro, eccetera. Molte cose rimangono ancora da fare, molte realtà da affrontare; e voi le studierete nel vostro congresso, specialmente per la difesa dei diritti della personalità delle collaboratrici provenienti dall'estero. Ma io vorrei esortarvi a lavorare soprattutto con amore nelle famiglie dove venite assunte. Viviamo tempi difficili e complicati. Fenomeni grandiosi e ineliminabili, come l'industrializzazione, l'urbanesimo, la culturalizzazione, l'internazionalizzazione dei rapporti, l'instabilità affettiva, la precocità intellettuale, hanno gettato lo scompiglio nelle famiglie, per cui voi potete portare con la vostra presenza serenità, pace, speranza, gioia, conforto, incoraggiamento al bene, specialmente dove si trovano persone anziane, malate, sofferenti, bambini handicappati, giovani traviati o sbandati.

Nessun codice vi prescrive il sorriso! Ma voi lo potete dare; voi potete essere il lievito della bontà nella famiglia. Ricordate ciò che già san Paolo scriveva ai primi cristiani: "Tutto quello che fate in parole e opere, tutto si compia nel nome del Signore Gesù, rendendo per mezzo di lui grazie a Dio Padre" (Col 3,17). "Qualunque cosa facciate, fatela di cuore, come per il Signore non per gli uomini, sapendo che riceverete l'eredità dal Signore come ricompensa" (Col 3,23-24). Amate il vostro lavoro! Amate le persone con cui collaborate! Dall'amore e dalla bontà nascono anche la vostra gioia e la vostra soddisfazione! Vi assista santa Zita, la vostra celeste patrona, che si santifico, umilmente servendo con amore e totale dedizione.

Vi aiuti e vi conforti soprattutto Maria, che si consacro totalmente alla cura della famiglia, dando l'esempio e insegnando dove stanno i veri valori.

Vi accompagni la mia propiziatrice benedizione apostolica.

Data: 1979-04-29

Data estesa: Domenica 29 Aprile 1979.






GPII 1979 Insegnamenti - A vescovi dello Sri Lanka in visita "ad limina" - Città del Vaticano (Roma)