GPII 1979 Insegnamenti - Alla mostra di autografi offerti a Paolo VI - Città del Vaticano (Roma)

Alla mostra di autografi offerti a Paolo VI - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Il pontificato di Paolo VI fu un vero dono di Dio

Testo: Carissimi.

Con comprensibile commozione, unita tuttavia ad una viva soddisfazione, sono qui venuto per inaugurare la Mostra degli Autografi, offerti al Papa Paolo VI in occasione del suo ottantesimo anno di età, che si compi il 26 settembre 1977.

Avrebbe dovuto essere presente lui alla odierna cerimonia, ma il Signore lo ha chiamato alla gloria eterna nella festa della Trasfigurazione dello scorso anno.

1. Il mio primo pensiero si rivolge, pertanto, alla figura del mio predecessore: un grande Papa, in continuo e attento ascolto delle voci molteplici e differenziate degli uomini contemporanei: voci di fede, di speranza, di amore, di dedizione, di solidarietà; ma anche voci di dolore, di angoscia, di incertezza, di dubbio, di negazione, di odio. Egli, radicato nella continua meditazione della Verità, seppe far sentire per tanti anni la sua voce appassionata, illuminante, orientatrice e insieme esortatrice, a indicare alla Chiesa e al mondo il cammino, talvolta duro e difficile in mezzo agli odierni mutamenti culturali, politici e sociali. Il suo pontificato è stato un vero dono di Dio e noi oggi, riverenti, ci inchiniamo al suo ricordo, vigili e pensosi a non far perdere nulla del suo illuminato Magistero e del suo alto esempio.


2. A tale mesto ricordo si unisce la soddisfazione per questa Mostra, che rappresenta un omaggio particolarmente significativo a Paolo VI. Come per il suo ottantesimo gli furono offerte varie opere d'arte, che illustravano la ricca personalità dell'apostolo Paolo, così numerosi e preziosi autografi gli sono stati donati, che sono esposti oggi in questa sala, per essere poi definitivamente conservati nella Biblioteca Apostolica Vaticana.

Con felice espressione, nella presentazione dell'elegante e nutrito catalogo della Mostra si parla di "Testimoni dello Spirito": troviamo, invero, nella presente raccolta Autografi di Sante e di Santi, di artisti, di poeti, di letterati, di musicisti, di filosofi, di studiosi, di scienziati, di uomini della politica e dell'economia. Vi sono rappresentati seguaci di tendenze diverse, di ideologie opposte. Ma al di sopra di tutto, in questi fogli manoscritti, vergati ora con nervosa rapidità ora con pacata serenità, è presente l'uomo: l'uomo che, nel momento in cui traccia un segno, intende dialogare o con se stesso, per analizzarsi e conoscersi meglio; o con gli altri, per comunicare e manifestare ad essi le proprie concezioni, i propri sentimenti; o con Dio, per pregarLo con angoscia fremente o con dimessa umiltà. E' presente, in questi manoscritti, l'uomo nella completa e complessa varietà della sua vita, delle sue aspirazioni alla verità, al bene, al bello, alla giustizia, all'amore. A quest'uomo, anzi a questi uomini, le cui testimonianze vengono gelosamente conservate perché siano integralmente tramandate ai posteri, va il rispetto della Chiesa, la quale è consapevole che il suo compito fondamentale è di "dirigere lo sguardo dell'uomo, di indirizzare la coscienza e l'esperienza di tutta l'umanità verso il mistero di Cristo, di aiutare tutti gli uomini ad avere familiarità con la profondità della Redenzione che avviene in Cristo Gesù" (cfr. Giovanni Paolo II, RH 10).

Ai donatori, agli organizzatori e a tutti i presenti la mia affettuosa benedizione apostolica.

Data: 1979-05-08

Data estesa: Martedì 8 Maggio 1979.









Alle Pontificie Opere Missionarie - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: La carità espressione di comunione ecclesiale

Testo: Cari fratelli e Figli.

Sono ben lieto di incontrare i Direttori nazionali delle Pontificie Opere Missionarie. So che ogni anno vi riunite intorno a Monsignor Simon Lourdusamy, Presidente del Consiglio Superiore di queste Opere, per decidere la ripartizione delle somme che avete contribuito a raccogliere e che vengono integralmente distribuite alle comunità cristiane in necessità. Quanto a me, è la prima volta che mi è dato di ricevervi e incoraggiarvi.

L'opera di solidarietà che compite è magnifica e necessaria: è tipica della carità fattiva che deve regnare tra tutti i membri del Corpo mistico di Cristo; è un'espressione concreta della comunione ecclesiale, di cui oggi tanto si parla. Se ne trova un esempio fin dalla prima generazione cristiana, quando l'apostolo Paolo invita le Chiese a partecipare alla colletta in favore dei "santi" di Gerusalemme, i quali vivevano allora una critica situazione materiale.

Essa è soprattutto una necessità: perché l'evangelizzazione continui con mezzi adeguati nelle Chiese giovani e in quelle che sperimentano la prova.

Certo, il dinamismo missionario risiede nelle persone, animate dallo Spirito di Pentecoste, spinte a portare la buona novella a tutti i loro fratelli e sorelle del mondo semplicemente perché è in gioco la loro salvezza e la volontà di Cristo. Può anche esservi una fortissima vitalità religiosa, quando i mezzi sono poveri, perché essa poggia sulla santità degli evangelizzatori e sulla partecipazione attiva dei cristiani. Ma, appunto, il vero zelo non può esimersi di cercare, non il lusso e la facilità, ma almeno una sussistenza decente e una giusta remunerazione degli operai del Vangelo; dei mezzi di catechesi degni d'una educazione alla fede armonizzata e profonda; delle possibilità di formare come conviene i sacerdoti, le religiose, i catechisti, le famiglie, gli apostoli laici; delle strutture di coordinamento pastorale tali da permettere scambio, riflessione, azione concordata, cura particolare dei giovani, sostegno degli indigenti, organizzazione di luoghi per il ristoro dello spirito, ecc.

Ebbene, tutto questo aiuto deve venire dagli stessi cristiani: anzitutto da quelli della comunità interessata, i quali devono tendere a provvedere il più possibile alle loro necessità; ma anche dalle comunità che stanno meglio dal punto di vista materiale. Queste, aprendosi coraggiosamente alla solidarietà missionaria - si tratti di individui, di famiglie, di parrocchie, di diocesi - sono esse stesse arricchite di dinamismo apostolico; esse divengono testimoni della vitalità religiosa dei più giovani, il che può costituire per esse un risveglio. Bisogna, ancora, che l'opinione pubblica comprenda bene questa necessità di aiutare le Chiese di missione. Questo è il vostro compito principale. Nel secolo scorso un magnifico movimento si è disegnato quando sono nate le grandi opere missionarie.

Oggi la generosità si manifesta spesso in modo mirabile, ma dovete vigilare a mantenerla, ad allargarla associandovi particolarmente, e forse con metodi nuovi, le giovani generazioni. Infatti voi forse constatate che certe comunità, pur abbastanza ricche, restano troppo incentrate sulle difficoltà economiche dell'ora e sui problemi loro propri; oppure sono meno consapevoli del dovere missionario benché siano, da un altro punto di vista, commosse dalla miseria materiale dei Paesi della fame. Le Opere Pontificie che voi dirigete a livello nazionale devono, dunque, fare anzitutto questo lavoro di educazione alla carità, e alla carità missionaria. Tengo a dirvi quanto la Chiesa universale apprezzi il vostro compito; e io, presiedendo alla carità di tutte le Chiese, vi esprimo a loro nome un vivissimo ringraziamento. Non lasciatevi scoraggiare. Perfezionate la vostra azione. Consolidate senza sosta la cooperazione missionaria.

Così voi non solo preparate il clima per una più grande generosità, per una distribuzione e per scambi a livello di mezzi, ma suscitate anche vocazioni missionarie. La quarta domenica di Pasqua abbiamo pregato per le vocazioni: se sono necessarie ovunque, quanto più nei territori di missione, dove per mancanza d'una evangelizzazione coraggiosa e sistematica il terreno resta incolto; o piuttosto, purtroppo, diventa campo d'ideologie estranee alla fede cristiana. Si, la vostra ansia educativa deve mirare anche a suscitare vocazioni missionarie, di sacerdoti, di religiosi e religiose, di laici nelle vecchie comunità cristiane e nelle giovani; queste, del resto, i cui Direttori delle Opere missionarie ho il piacere di salutare, conoscono qua e là un esemplare risveglio delle vocazioni.

Che lo Spirito Santo illumini e fortifichi il vostro zelo! Che la Vergine Maria vi ottenga le sue grazie le quali vi permetteranno di aprire le anime alla carità! Ricevete la mia affettuosa benedizione apostolica.

Data: 1979-05-11

Data estesa: Venerdì 11 Maggio 1979.





A dirigenti e giocatori del Milan - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Lo sport come ginnastica del corpo e dello spirito

Testo: Carissimi Calciatori del Milan! La vostra visita mi procura una grande gioia: quella di incontrarmi con giovani atleti, i quali, alla vigilia dell'ultimo incontro calcistico dell'anno, nello Stadio Olimpico di Roma e con lo Scudetto del Campionato d'Italia 1979 ormai in pugno, hanno voluto fare atto di omaggio al Papa per dare anche un significato morale e spirituale al trionfo che si apprestano a celebrare.

Vi saluto cordialmente, cari giovani, e vi ringrazio per la vostra presenza, insieme col vostro Presidente, col vostro Direttore sportivo e col vostro Allenatore.

Nel vedervi non posso non manifestare ancora una volta la mia simpatia per tutti gli sportivi e per lo sport nelle sue varie forme, e insieme la stima che la Chiesa ha per questa nobile attività umana. La Chiesa, come del resto voi sapete, ammira, approva ed incoraggia lo sport, scorgendo in esso una ginnastica del corpo e dello spirito, un allenamento ai rapporti sociali fondati sul rispetto dell'altrui e della propria persona ed un elemento di coesione sociale, che favorisce pure amichevoli relazioni sul campo internazionale. A tanto si eleva la dignità dello sport, quando esso è ispirato da sani principi ed esclude ogni eccesso di rischio nell'atleta e di passione disordinata nel pubblico, che si esalta nelle vicende agonistiche! Credo di non sbagliarmi nel riconoscere in voi questo potenziale di virtù civili e cristiane. In un mondo in cui talvolta è dato costatare la presenza dolorosa di giovani stanchi, segnati dalla tristezza e da esperienze negative, siate per essi amici saggi, guide esperte ed allenatori non solo sui campi sportivi, ma anche sulle vie che conducono ai traguardi dei veri valori della vita. Aggiungerete così alle soddisfazioni agonistiche benemerenze di ordine spirituale, offrendo alla società un prezioso contributo di sanità morale. Darete così alla Chiesa la gioia di vedere in voi dei figli forti, leali e generosi (cfr. 1Jn 2,14).

Ecco, fratelli carissimi, quali sentimenti e quali voti la vostra esuberante giovinezza ha suscitato nel mio animo. Vi conceda il Signore Gesù quel "goal", cioè quel traguardo finale, che è il vero ed ultimo destino della vita. A tale fine vi sostenga la mia benedizione che estendo di gran cuore a tutti i vostri familiari, amici e ammiratori.

Data: 1979-05-12

Data estesa: Sabato 12 Maggio 1979.





Recita del Regina Coeli - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Pace e fratellanza per tutta l'Africa

Testo:

1. Nel nostro incontro di oggi per recitare insieme il "Regina Coeli", desidero indirizzare i pensieri e i cuori di tutti i presenti, e di coloro che ci seguono alla radio o alla televisione, verso i bambini e le bambine che in questo anno, per la prima volta, si accostano alla Santa Comunione. Mi accade spesso d'incontrarmi con loro, sia durante le udienze del Mercoledì, sia in occasione delle visite pastorali alle parrocchie, o in altre circostanze. Si avvicinano con la semplicità dei fanciulli, parlano del loro prossimo incontro con Gesù, e a ciò si preparano. Tante volte aggiungono che vorrebbero ricevere la prima Comunione dalle mie mani. Mi sono tanto cari questi ragazzi e ragazze; penso che sono cari nello stesso modo a tutti noi. Soprattutto sono cari al Signore Gesù che sembra rivolgere loro le parole, che oggi ascoltiamo nel Vangelo: "Io sono la vite, voi i tralci" (Jn 15,5). "Rimanete in me e io in voi" (Jn 15,4).

Quanto è importante nella vita di un giovane cristiano il momento in cui gli viene concesso per la prima volta di diventare partecipe di questo sacramento, nel quale Gesù ci ha lasciato il segno visibile del suo amore divino; di quell'amore con cui ci ha amati fino alla morte; dell'amore che è la più grande aspettativa del cuore umano. Quando il vero amore si radica nel cuore dell'uomo, diventa la sua più grande forza e potenza. E' tale amore che Cristo innesta nei cuori dei bambini mediante il Sacramento del suo Corpo e del suo Sangue.


2. Quanto è importante per noi tutti che si compiano in questo anno le attese di tanti cuori di bambini e che la prima comunione costituisca per loro l'inizio di quella forza dello spirito alla quale potranno far riferimento durante tutta la vita. Proprio per questo, è così opportuna e necessaria la preparazione alla prima Comunione che consiste anzitutto in una solida catechesi. Riandando alle mie personali esperienze pastorali di giovane sacerdote, ricordo quanta gioia trovavamo in questa preparazione, compiuta insieme ai bambini e ai loro genitori; ricordo il mio primo parroco, un sacerdote anziano, che parlava sempre di essa, come di un compito pastorale di particolare importanza. Del resto, non può essere diversamente: preparando i bambini alla prima Comunione li introduciamo nel principale mistero della vita cristiana; mostriamo quanto grande è la dignità dell'uomo, della sua anima immortale, se essa può diventare l'abitazione di Dio; formiamo, infine, in loro la sensibilità della coscienza, quando la preparazione alla prima Comunione è accompagnata dall'esame di coscienza, dal pentimento dei peccati, e dal sacramento della Penitenza.


3. E' necessario che a questo importante avvenimento della vita del giovane cristiano partecipi responsabilmente la sua famiglia. Tutti, poi, ma soprattutto i genitori, diano la massima importanza a ciò che è essenziale, cioè al contenuto strettamente religioso e sacramentale, così che l'aspetto esteriore della prima Comunione non offuschi tale contenuto. L'aspetto esteriore, pur necessario, sia mantenuto nei limiti adeguati.

La prima Comunione deve aver luogo nelle parrocchie dei bambini che la ricevono. Poiché, se essa è un avvenimento di grande rilievo per la vita di una famiglia cristiana, lo è ugualmente per la vita della parrocchia. Dal momento che queste parrocchie fanno parte della diocesi di Roma, è stato previsto, d'intesa col Cardinale Vicario, che tutti i bambini che hanno fatto la prima Comunione nelle rispettive parrocchie si radunino in piazza San Pietro, il 14 giugno prossimo, festa del Corpo e del Sangue del Signore.

Desidero celebrare la Santa Messa e distribuire ad una rappresentanza di essi la Comunione nel giorno che in modo particolare è consacrato all'Eucaristia.

Così, mentre viene appagata in qualche modo l'aspirazione di quei bambini che avrebbero voluto ricevere la prima Comunione da me, si potrà realizzare, al tempo stesso, una solenne manifestazione del culto eucaristico, in ossequio alla dignità liturgica di quel giorno stupendo.

Raccomando alle preghiere di tutti i presenti e di tutta Roma i bambini che in questo anno si accostano per la prima volta alla Mensa del Signore; e raccomando ancora di più tutti i bambini del mondo che, per qualsiasi motivo, non possono godere la felicità di ricevere sacramentalmente Gesù.


4. Il mio pensiero poi ritorna ancora alla cara terra d'Uganda dalla quale purtroppo continuano a giungere dolorose notizie di perdite di tante vite umane, tra cui quelle di alcuni missionari stroncati dalla violenza e dall'odio mentre adempivano la loro missione di operai del Vangelo e di servitori dei fratelli.

Vogliate, pertanto, unirvi alla mia preghiera di suffragio per le vittime, ed implorare dal Signore coraggio per quanti ancora si trovano nel pericolo e nelle difficoltà. Sono vicino anche a tutte le famiglie dei missionari, religiosi e laici, che vivono nella preoccupazione e nell'angoscia. Voglia Iddio donare all'Uganda e a tutta l'Africa giorni migliori, affinché nella pace e nella fratellanza si realizzi l'auspicato sviluppo integrale di quei popoli.

Ai giovani del Movimento "Pro Sanctitate" Con vivo piacere saluto il gruppo di giovani del Movimento "Pro Sanctitate", convenuti a Roma per il Primo Raduno Nazionale. Su di voi, carissimi, invoco copiosi favori dello Spirito Santo, perché la vostra fede sia luminosa, la vostra speranza salda, la vostra carità ardente, in maniera da poter offrire a tutti una testimonianza autentica e lieta di come il Cristianesimo va compreso e vissuto.

Ai tifosi della squadra del Milan Ai numerosi "tifosi" della squadra calcistica del Milan, presenti in questa Piazza, porgo il mio vivo grazie congiunto a un cordiale saluto e ad una paterna esortazione.

E' cosa che vi fa onore il sostenere sempre, nella buona e nella cattiva sorte, la squadra del cuore! Questo atteggiamento sportivo richiami ed ispiri in voi un altro genere di passione, molto interessante e nobile: il tifo per le cause della bontà, della giustizia e della verità. Sarete così uomini completi, degni della compiacenza del Signore e della stima degli uomini.

Data: 1979-05-13

Data estesa: Domenica 13 Maggio 1979.





Omelia a San Stanislao - Roma

Titolo: Le forze della vita, le luci della fede

Testo:

1. "Rimanete...".

La parola che più spesso ritorna nelle letture della quinta domenica di Pasqua è proprio la parola "Rimanete". Con questa parola Cristo Risorto, primo crocifisso, ci invita all'unione con lui. Questa unione egli ci presenta riferendosi ad una similitudine tratta dall'ordine della natura. I tralci rimangono nella vite e per questo fanno frutto. Non possono farlo da se stessi se viene a mancare questo organico legame con la vita. In tal caso, infatti, rimangono solo sarmenti e frasche secche, che vengono raccolte e gettate nel fuoco. Perché possono servire come legna da ardere. Invece, finché i tralci rimangono nella vite e attingono da essa il succo vitale continuano ad essere dei veri tralci. Costituiscono un'unica cosa con la vite, e perfino vengono definiti insieme con essa con lo stesso nome: la vite. Meritano anche cure premurose da parte del padrone, del vignaiolo. egli guarda attentamente ogni vite e ogni tralcio. Se fa frutto "lo pota" perché porti ancor più frutto. Ma se non fa frutto lo toglie perché non impacci, e con il suo frondeggiare infecondo, non appesantisca la vite.

Ecco la similitudine. Ecco l'immagine in cui è espresso tutto ciò che doveva essere detto, affinché gli ascoltatori capissero, prima, il mistero della spirituale permanenza in Cristo; e poi, il dovere di far frutti spirituali per il fatto che rimangono in lui. Per questo il Maestro usa nello stesso tempo il linguaggio descrittivo, mostrando il tralcio che rimane nella vite e quello normativo, dando un ordine; dice: "Rimanete in me".


2. In che cosa consiste questo nostro "rimanere" in Gesù Cristo? Lo stesso san Giovanni, che ha inserito l'allegoria della vite nel suo vangelo, come autore della I lettera offre una risposta a questa domanda. "Colui che osserva i suoi comandamenti dimora in Dio e Dio in lui" (1Jn 3,24). Questa è la prova più evidente. L'Apostolo sembra quasi esitare nel rispondere all'interrogativo se sia possibile stabilire e constatare, con l'aiuto di un qualche criterio verificabile, una realtà così misteriosa, come è il rimanere di Dio nell'uomo, e grazie a ciò dell'uomo in Dio. Questa realtà è di natura strettamente spirituale. E' possibile constatare, accertare questa realtà? Può l'uomo avere certezza che le sue opere sono buone, gradite a Dio e che servono alla sua dimora nell'anima? Può l'uomo avere certezza che si trova nello stato di Grazia? L'Apostolo risponde a questa domanda come se rispondesse a se stesso e a noi contemporaneamente: "Se il nostro cuore non ci rimprovera nulla, abbiamo fiducia in Dio" (1Jn 3,21), la fiducia che dimoriamo in lui ed egli in noi. E se, invece, abbiamo motivi di apprensione, è dall'amore fattivo verso Dio e verso i fratelli che potremo derivare sicurezza interiore e pace, potremo "rassicurare davanti a lui il nostro cuore qualunque cosa esso ci rimproveri. Dio è più grande del nostro cuore e conosce ogni cosa" (cfr. 1Jn 3,20). Anche allora non cessiamo di essere nel raggio del suo amore, che può trasformare lo stato di peccato nello stato di Grazia e fare di nuovo del nostro cuore la dimora del Dio Vivente. E' necessaria soltanto la nostra risposta al suo amore. L'amore è principio della vita divina delle nostre anime. L'amore è la legge del nostro rimanere in Cristo: del tralcio nella vite.

Amiamo dunque - scrive san Giovanni - amiamo "con i fatti e nella verità" (1Jn 3,18). Dimostri il nostro amore la sua verità interiore mediante i fatti. Difendiamoci dalle apparenze dell'amore "...non amiamo a parole né con la lingua, ma con i fatti e nella verità. Da questo conosceremo che siamo nati dalla verità e davanti a lui rassicureremo il nostro cuore" (1Jn 3,18-19). "E da questo conosciamo che dimora in noi: nello Spirito che ci ha dato" (1Jn 3,24).


3. Ci riuniamo oggi, cari fratelli e sorelle, nella chiesa di San Stanislao a Roma, per iniziare qui il Giubileo del nono centenario del martirio del patrono della Polonia. Contemporaneamente esso è stato iniziato a Cracovia conformemente all'antichissima tradizione polacca: l'8 maggio e la domenica che segue immediatamente questo giorno.

Ogni anno questa solennità è la festa patronale della Chiesa in Polonia, e si ricollega strettamente con la solennità della Chiaromontana Regina della Polonia, il 3 maggio, e la festa di san Wojciech (Adalberto) a Gniezno, il 23 aprile.

Nell'anno corrente, che in relazione al nono centenario della morte di san Stanislao è stato proclamato anno giubilare, questa annuale festa di Cracovia costituisce l'inizio delle celebrazioni religiose, il cui coronamento avverrà la domenica di Pentecoste e della Santissima Trinità.

Il consueto raduno dei Polacchi nella chiesa romana di San Stanislao

ricorda l'importante iniziativa del Servo di Dio, il Cardinale Stanislaw Hozjusz, Vescovo di Warmia e uno dei legati del Papa al Concilio di Trento, che proprio presso questa Chiesa fondo l'ospizio di San Stanislao. Il Cardinale, nato a Cracovia, e perciò spiritualmente sensibile al culto del Santo Vescovo e Martire, volle designare col nome di lui questo luogo in Roma, quasi a ricordare ai Connazionali della Polonia, che da molti secoli essi rimangono nell'unione con la sede di san Pietro e che in questa unione essi devono continuare a rimanere.

Nell'anno 1579 fini la sua vita quel grande uomo di Chiesa, intimo amico di san Carlo Borromeo, e fu poi sepolto nella Chiesa di Santa Maria in Trastevere, in quella cioè che è attualmente la chiesa titolare del Cardinale Primate della Polonia. Il 400° della morte del Cardinale Bozjusz coincide con il giubileo di san Stanislao di quest'anno.


4. Cari Connazionali! L'eloquenza dei fatti è tale che ci permette di comprendere in modo più adeguato e più profondo il Vangelo della vite e dei tralci dell'odierna domenica. Noi rimaniamo nell'unione con Cristo dal tempo del Battesimo della Polonia e questa spirituale unione trova la sua espressione visibile nell'unione con la Chiesa. Nell'anno dell'anniversario della morte di san Stanislao dobbiamo una gratitudine particolare a Dio che accetto il sacrificio del martirio e fortifico per questo martirio il nostro legame con Cristo vivente nella Chiesa. E così come durante il Millennio abbiamo cantato il "Te Deum" di ringraziamento per il dono della fede e del Battesimo, ci conviene cantare in quest'anno il "Te Deum" per ringraziare del rafforzamento di ciò che dal Battesimo ha preso i suoi inizi.

E nello stesso tempo, meditando sull'allegoria della vite e dei tralci, guardiamo la figura di quel "Padrone" che coltiva la vigna, che cura con sollecitudine ogni tralcio e nel caso di bisogno lo "pota" perché porti più frutti. Comprendendo più profondamente il significato di quest'allegoria, preghiamo con ardore e umilmente ciascuno per se stesso e tutti per tutti affinché i tralci non si secchino e non si stacchino da Cristo, che è la vite. Preghiamo perché le forze dell'irreligiosità, le forze della morte non siano più potenti delle forze della vita, delle luci della fede. Abbiamo acceso sulla Polonia e sui Polacchi in tutto il mondo le luci del millennio.

Adoperiamoci tutti affinché non si spengano. Che brillino così come brilla dopo dieci secoli la croce di Stanislao da Szczepanow nel cuore e nella coscienza dei Polacchi, indicando a loro Cristo che non cessa mai di essere "la via, la verità e la vita" (Jn 14,6) degli uomini e delle nazioni.

Data: 1979-05-13

Data estesa: Domenica 13 Maggio 1979.





Al "Piccolo Coro dell'Antoniano" - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Cantate sempre la gioia

Testo: Carissimi! Il mio cordiale e affettuoso benvenuto a voi ragazzi del "Piccolo Coro dell'Antoniano", ai vostri diletti genitori e ai buoni Padri Francescani. So che avete molto desiderato questo incontro, per manifestarmi tutto il vostro affetto e il vostro entusiasmo. Sono felice anch'io di potervi accontentare in questa pur breve udienza.

Voglio anzitutto dirvi il mio apprezzamento per la meritata "fama", che vi siete acquistata in questi anni con le vostre simpatiche esecuzioni musicali, che hanno trovato il gradimento non soltanto dei vostri piccoli coetanei, ma anche degli adulti. E questo perché nelle vostre canzoni voi, con molta semplicità, date spesso voce armoniosa e concorde ai sentimenti, di cui l'uomo vive e che appartengono al suo essere più profondo: l'amore e la solidarietà verso gli altri, specialmente più bisognosi, l'affetto e la gratitudine verso coloro che ci fanno del bene, il valore dell'amicizia, il bisogno di giustizia, di verità, il desiderio della bellezza, il rispetto alla natura...

Il vostro canto, limpido e cristallino, si innalzi sempre per esaltare questi grandi valori; ma il vostro canto e il vostro cuore si innalzino specialmente per esaltare, adorare, ringraziare Dio Padre, per tutto quello che egli ha fatto e continua a fare per noi. "Voglio cantare al Signore finché ho vita, cantare al mio Dio finché esisto. A lui sia gradito il mio canto; la mia gioia è nel Signore", così esclama il Salmista ().

La gioia! Di essa siate portatori e trasmettitori. E' vero: il canto è il linguaggio più elevato col quale l'uomo esprime i suoi sentimenti, con la speranza, l'attesa, l'amore, l'angoscia, il dolore, ma specialmente la gioia.

Cantate sempre la gioia! La gioia di vivere, di essere in pace con voi stessi, con gli altri, con Dio. Siate sempre buoni; siate sempre amici, fratelli sinceri di Gesù; realizzate, secondo le vostre possibilità, gli insegnamenti del Vangelo; comunicate questa gioia cristiana ai vostri piccoli compagni e condiscepoli; donatela ai grandi, che talvolta sembrano avere smarrito il senso della vera letizia.

A voi tutti, ai vostri genitori, ai Padri Francescani i miei auguri e la mia particolare benedizione apostolica.

Data: 1979-05-14

Data estesa: Lunedì 14 Maggio 1979.





Alla Conferenza Episcopale Italiana - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Pastorale e preghiera per il risveglio delle vocazioni

Testo: Venerati ed amatissimi Confratelli dell'Episcopato Italiano!

1. "Non sia turbato il vostro cuore" (Jn 14,1).

Cristo pronuncia queste parole, quando deve lasciare questo mondo, poiché dice: "Io vado... e ritornero" (cfr. Jn 14,2 Jn 14,3). Le pronuncia avendo la coscienza che "viene il principe del mondo" (Jn 14,30), mentre egli stesso dovrà affrontare la prova della Croce. Ben più dei suoi discepoli egli è consapevole di ciò che gli accadrà, di come si svolgeranno gli avvenimenti nei prossimi giorni, e di come si svolgerà la storia della Chiesa e del mondo. Eppure, pronuncia queste parole che in sé racchiudono l'appello al coraggio: "Non sia turbato il vostro cuore". E quasi in contrasto con tutto ciò di cui era profondamente consapevole, egli fa precedere questo appello da un saluto di pace, dall'assicurazione della pace: "Vi lascio la pace, vi do la mia pace" (Jn 14,27).

Come si vede, siamo in questa magnifica cornice pasquale, quasi sempre nel Cenacolo: là dove la Chiesa, nel giorno del Giovedì Santo, ricevette l'Eucaristia, e là dove, nel giorno della Pentecoste, doveva ricevere lo Spirito di verità. Siamo agli inizi della Chiesa.


2. Nello stesso tempo, entriamo già nella sua storia. Come in un caleidoscopio passano davanti a noi gli avvenimenti che testimoniano in che modo le parole, pronunciate nel Cenacolo da Gesù Cristo, si attuino nella vita della prima generazione dei cristiani, che è la generazione apostolica. Nella liturgia odierna, infatti, ci troviamo sulla traccia del primo viaggio missionario di san Paolo, il quale, perseguitato dai giudei e minacciato di morte, annuncia il Vangelo. A Listra, dopo averlo preso a sassate, lo trascinarono fuori della città e lo lasciarono solo quando lo credettero morto. Paolo invece si alza e torna nella città, per recarsi in seguito a Iconio e Antiochia. Dappertutto egli organizza la Chiesa, "costituisce per loro in ogni comunità alcuni anziani" (Ac

14,23). Considera le prove che deve affrontare come una cosa normale, poiché non in altro modo, ma solo per le molte prove dobbiamo entrare nel regno di Dio (cfr. Ac 14,22). In queste parole sentiamo come un'eco delle parole stesse che il Signore rivolse ai discepoli sulla strada di Emmaus: "Non bisognava forse che il Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?" (Lc 24,26).

Così da tutte queste esperienze cresce la Chiesa primitiva: cresce mediante la fede che scaturisce dall'annuncio del Vangelo fatto dagli Apostoli, sostenuto dalla preghiera e dal digiuno; cresce per la potenza della grazia stessa di Dio. E coloro che la costruiscono ne danno la testimonianza.


3. Il dovere di tutti noi, che oggi qui, nella Cappella Sistina, celebriamo insieme l'Eucaristia, è di servire perché la Chiesa cresca nella nostra epoca, cresca in questi nostri tempi difficili; perché cresca anche in mezzo alle contrarietà e alle minacce; perché sappia assumere il frutto delle nuove esperienze di questa Terra Italiana, di questo Popolo che da duemila anni è così profondamente legato alla storia del Vangelo, alla Sede di san Pietro, di questo Popolo, la cui storia è tutta impregnata in modo eccezionale dall'influenza spirituale del cristianesimo. Non è necessario, infatti, spiegare quale sia la posizione di Roma e, quindi, dell'Italia nel contesto di tutta la Chiesa Cattolica. Si tratta d'un privilegio, non già dovuto ad attribuzioni d'origine umana né, tantomeno, ad usurpazioni di potere, ma rispondente ad un arcano disegno del Signore, perché fu lui a sospingere verso i lidi d'Italia e sulla via di Roma i suoi apostoli Pietro e Paolo per recarvi l'annuncio evangelico e confermarlo col sacrificio della loro vita.

Per questo, nel momento importante del nostro comune servizio mi incontro oggi con voi, venerabili e cari fratelli delle singole Chiese d'Italia, in una forma ufficiale, dopo gli incontri, numerosi e sparsi, che ho avuto con molti di voi nei mesi scorsi. Io vi debbo per prima cosa un saluto, che si ispira congiuntamente ai sentimenti della deferenza e dell'amicizia per ciascuno di voi, e alle ragioni, altresi, ben più alte della fede e della carità. E vogliate - ve ne prego, carissimi fratelli - portare questo mio saluto ai fedeli di ciascuna delle Chiese, a voi affidate.

Siete i Vescovi della Chiesa di Dio ch'è in Italia; o meglio - per le ben note ragioni geografiche, storiche e teologiche che, provvidenzialmente intrecciandosi, pongono Roma al centro dell'Italia ed insieme del mondo cattolico - bisogna dire: Siamo i Vescovi di questa Chiesa; tutti insieme lo siamo, voi e io. E ciò in me, chiamato a Roma "nullis meis meritis, sed sola dignatione misericordiae Domini", esige una particolare consapevolezza di essere Vicario di Cristo e Pastore della Chiesa universale proprio perché successore di Pietro in questa benedetta Sede Romana; e dico, ancora, la conseguente responsabilità di dover pensare e operare in linea, certo, con la "sollicitudo ominum ecclesiarum", di cui parlava san Paulo (2Co 11,28) con un riguardo e una cura singolarissima per l'incremento della vita spirituale e religiosa di questa sacra Città.

E da qua, per naturale collegamento o espansione, questa speciale sollecitudine si estende alle altre Chiese, che son contigue alla Chiesa di Roma: alle vetuste sedi suburbicarie, poi alle Chiese della Regione Laziale, poi a quelle comprese nell'ambito dell'antico "Patrimonium S. Petri", e via via a quante ce ne sono in tutta l'Italia. E' appunto il dovere pastorale che mi impone di promuovere la causa dell'evangelizzazione e di stimolare la vita ecclesiale nell'intera Penisola, con l'apporto di una dedizione piena, di un impegno costante e umile.


4. Vescovo con voi e come voi della Chiesa in Italia, non posso io ignorare i particolari problemi che si pongono ai nostri giorni, nel quadro concreto delle circostanze sociali, culturali e civili in cui vive l'intero Paese. Vi diro, a questo proposito, che nel marzo scorso ho potuto leggere la meditata "introduzione", che il vostro Presidente, il Signor Cardinale Antonio Poma, tenne dinanzi al Consiglio Permanente della CEI, proprio in vista della presente XVI assemblea Generale. E' da tener presente - egli diceva - che "il ministero di evangelizzazione si compie e viene a maturazione in un determinato tempo e in un particolare terreno, che dobbiamo conoscere e valutare". Ho, poi, esaminato la bozza del documento pastorale su "Seminari e Vocazioni Sacerdotali", che voi discuterete in questi giorni. So bene come detto documento costituisca il programma per l'anno 1979-80 e, nel rilevare che esso reca la medesima data della recente mia Lettera ai Sacerdoti, sottolineo con piacere la sua consonanza con ciò che per me è motivo di cura più assidua.

Senza voler ora anticipare conclusioni che dovranno scaturire, invece, dalla riflessione della vostra assemblea, a me preme manifestare, quasi a modo di personale adesione il più sentito compiacimento per un tale lavoro. E' un sentimento che mi è suggerito da una serie di riscontri in esso contenuti: ad es.

la coerenza del tema delle sacre vocazioni e dei Seminari con gli argomenti trattati negli anni precedenti, i quali tutti avevano come asse portante l'evangelizzazione, e l'ultimo dei quali si intitolava appunto "Evangelizzazione e ministeri"; inoltre, l'attualità e la rispondenza del medesimo tema alle esigenze del tempo presente, in cui la flessione, che si è verificata da circa un quindicennio, sta rendendo più acuto il problema del servizio che è specificamente assegnato al sacerdozio ministeriale in seno al Popolo di Dio.

Ora, nel vivo della nostra assemblea Eucaristica, dobbiamo riguardare la questione vocazionale nella sua esatta dimensione ecclesiologica e cristologica, e dobbiamo, soprattutto, farla oggetto di più insistente invocazione al "padrone della messe". Ogni vocazione sacerdotale, come nasce dalla voce del Signore, così è deputata al servizio della Chiesa, ed è pertanto all'interno della Chiesa che bisogna inserire, studiare e risolvere il problema dell'auspicato risveglio delle sacre vocazioni. Pur tenendo presenti le indagini socio-statistiche, bisogna convincersi che un tale problema è collegato nel modo più stretto con tutta la pastorale ordinaria. La vocazione dice relazione, innanzitutto, con la vita della parrocchia, il cui influsso ha per essa un'importanza fondamentale, sotto i più diversi aspetti: quelli dell'animazione liturgica, dello spirito comunitario, della validità della testimonianza cristiana, dell'esempio personale del Parroco e dei Sacerdoti suoi collaboratori. Ma una relazione del tutto particolare si ha con la vita della famiglia: dove c'è un'efficace e illuminata pastorale familiare, come diventa normale che sia accolta la vita quale dono di Dio, così è più facile che risuoni la voce di Dio, e più generoso sia l'ascolto che essa vi trova.

Altra speciale relazione si ha con la pastorale della gioventù, perché è indubbio che, se i giovani sono seguiti, assistiti, educati nella fede da Sacerdoti che vivono degnamente il loro sacerdozio, sarà agevole individuare e scoprire quelli tra loro che sono chiamati ed aiutarli a camminare lungo la via dal Signore indicata. Voi capite, fratelli carissimi, come sia necessaria al riguardo una grande mobilitazione delle forze apostoliche, partendo dai fondamentali ambienti della vita cristiana: le parrocchie, le famiglie, le associazioni e i gruppi giovanili.

Quanto all'aspetto cristologico, resta parimenti irrinunciabile, per ben discernere idoneità e qualità dei chiamati, riguardare a Cristo l'eterno Sacerdote e prendere da lui, dal suo ministero, dal suo sacerdozio le misure esatte e ricavare le linee genuine del servizio presbiteriale. E soprattutto la preghiera rimane indispensabile: la dobbiamo fare senza mai stancarci, la dobbiamo fare anche oggi, anche adesso, in modo tale che, grazie a questa nostra concelebrazione, si accresca in noi non soltanto la coscienza del problema vocazionale, ma anche la certezza dell'immancabile aiuto divino. Ancora una volta vogliamo e dobbiamo pregare con fervore "il padrone della messe, perché mandi operai nella sua messe" (Mt 9,38 Lc 10,2). Sarà una preghiera elevata nel nome di Cristo; sarà, perciò, esaudita e vi aiuterà potentemente nel lavoro di approfondimento e di riflessione, che state per dedicare ad argomento tanto grave e delicato.


5. So anche di altri particolari argomenti ai quali, venerabili fratelli, rivolgerete in questi giorni la vostra attenzione. Anche per essi debbo esprimervi il mio plauso ed apprezzamento. Penso al bel testo del "Catechismo dei giovani", per il quale ripeto pubblicamente quanto ho già fatto scrivere all'Eminentissimo Presidente che me ne ha fatto anticipato omaggio: è un testo che si raccomanda per sapienza pastorale e per esperienza pedagogica. E so dell'altro volume che, con pari impegno, si sta preparando per gli adulti. Ma, in relazione al tema predominante, voglio rilevare quanto sia fondamentale il valore della catechesi per il risveglio delle vocazioni: se la pastorale ordinaria trova nella catechesi una delle sue forme più alte ed uno dei mezzi più adeguati, ne segue che la catechesi, oltre che rispondere al fine generale dell'evangelizzazione, potrà ben esser indirizzata anche al fine specifico delle vocazioni. Debbo, dunque, ripetere quanto ho detto già della pastorale: bisogna dare un grande sviluppo alla catechesi della gioventù, come pure alla catechesi della famiglia. Quest'ultimo argomento si collega direttamente col tema, già prescelto per il prossimo Sinodo dei Vescovi. Mi è noto come la CEI stia già guardando a questa assemblea, che si riunirà nel prossimo anno, ed abbia avviato le necessarie ricerche preliminari, per essere in grado di offrire ai lavori sinodali il sempre prezioso contributo della Chiesa in Italia. Anche di questo sinceramente mi compiaccio, nella convinzione che l'argomento della famiglia e dei suoi compiti nel mondo contemporaneo rivesta realmente un interesse primario.

C'è, ancora, la circostanza del XX Congresso Eucaristico Nazionale; nel darne notizia, diro che si è pensato di celebrarlo nel 1983, per distanziarlo opportunamente dall'omonimo Congresso Internazionale, il quale - come sapete - si terrà a Lourdes nel 1981. A queste e ad altre, sia pur minori, iniziative vanno fin d'ora il mio interesse, la mia approvazione e solidarietà.


6. Con questi pensieri e con questi problemi, entriamo, venerati e cari fratelli, nell'annuale assemblea dei Pastori della Chiesa, che è in Italia dalle Alpi fino alla Sicilia. Ed ascoltiamo cosa ci dice il Signore, così come ha detto agli Apostoli riuniti nel Cenacolo. Ricordiamo che le sue erano le parole di pace: "Non sia turbato il vostro cuore..." (Jn 14,1); Avete sentito che vi ho detto: ora vado e poi ritornero (cfr. Jn 14,2 Jn 14,3).

La stessa affermazione sarà da lui ripetuta prima dell'Ascensione: "Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo" (Mt 28,20). Con grande fede accettiamo queste parole. Cristo è realmente con noi e ci chiama alla pace e alla fortezza. Il cuore umano in diversi modi può essere turbato: può essere turbato dal timore, che paralizza le forze interiori; ma può esserlo anche da quel timore proveniente dalla sollecitudine per un grande bene, per una grande causa, dal timore creativo, direi, che si manifesta come profondo senso di responsabilità.

Il Concilio Vaticano II, che ci ha proposto un'immagine tanto vera del mondo contemporaneo, ha simultaneamente chiamato tutta la Chiesa ad un approfondito senso di responsabilità per il Vangelo, per la storia della salvezza umana. Su ognuno di noi grava questa responsabilità pastorale per i fratelli, per i connazionali. Sul successore di san Pietro, al quale Cristo ha detto "conferma i tuoi fratelli" (Lc 22,32), questa responsabilità grava in modo particolare, e io la assumo nei confronti della amatissima "Chiesa che è in Italia", nel vincolo dell'unione collegiale con voi, venerabili e cari fratelli! Ricordiamo che la Chiesa è una Comunità del Popolo di Dio. La nostra responsabilità pastorale per la Chiesa si compie nella misura essenziale per il fatto che rendiamo consapevoli della loro propria responsabilità tutti coloro che Dio ci ha affidati, e li educhiamo a questa responsabilità per la Chiesa, ed assumiamo questa responsabilità in comunione con loro. Questo compito sta davanti all'Episcopato italiano, come sta davanti, del resto, a tutti gli Episcopati del mondo. Bisogna suscitare la coscienza della responsabilità di tutto il Popolo di Dio e condividerla con tutti; bisogna rendere ognuno consapevole dei propri diritti e doveri in tutti i campi della vita cristiana individuale, familiare, sociale e civile; bisogna scavare, per così dire, tutte le grandi risorse di energia, che si trovano nelle anime dei cristiani contemporanei e, indirettamente, in tutti gli uomini di buona volontà.

"Conferma" (Lc 22,32) significa "rafforza", "rendi più forte"; ma significa pure questo: aiuta a ritrovare le sorgenti di questa energia, che si trovano nei duemila anni del cristianesimo in questa Terra: dico l'energia di cui ha parimenti bisogno tutto il mondo contemporaneo. E questo "conferma" si appoggia per tutti noi, venerabili cari fratelli, sul "confide" e sul "confidite" evangelici (cfr. Mt 9,2 Jn 16,33). Bisogna aver fiducia di Cristo, bisogna fidarsi di Cristo, che ha vinto per mezzo della Croce. Dobbiamo aver fiducia! E preghiamo la sua Madre santissima, affinché ci insegni ad aver sempre questa fiducia, senza alcun limite. Amen.

Data: 1979-05-15

Data estesa: Martedì 15 Maggio 1979.






GPII 1979 Insegnamenti - Alla mostra di autografi offerti a Paolo VI - Città del Vaticano (Roma)