GPII 1979 Insegnamenti - Alla Messa per gli operai - Czestochowa (Polonia)


2. Soprattutto l'esperienza dell'enorme lavoro. Le ricchezze della terra, sia quelle che appaiono alla sua superficie come quelle che dobbiamo ricercare nel profondo della terra, diventano ricchezze dell'uomo solo a prezzo del lavoro umano. E' necessario questo lavoro - lavoro multiforme, dell'intelletto e delle mani - perché l'uomo possa compiere la magnifica missione che il Creatore gli ha affidato, missione che il libro della Genesi esprime con le parole: "Soggiogate e dominate (la terra)" (Gn 1,28). La terra è affidata all'uomo, e, attraverso il lavoro, l'uomo la domina. Il lavoro è anche la dimensione fondamentale dell'esistenza dell'uomo sulla terra. Per l'uomo il lavoro non ha soltanto un significato tecnico, ma anche etico. Si può dire che l'uomo "assoggetta" a sé la terra quando egli stesso, col suo comportamento, ne diventi signore, non schiavo, ed anche signore e non schiavo del lavoro.

Il lavoro deve aiutare l'uomo a diventare migliore, spiritualmente più maturo, più responsabile, perché egli possa realizzare la sua vocazione sulla terra, sia come persona irripetibile, sia nella comunità con gli altri, e soprattutto in quella fondamentale comunità umana che è la famiglia. Unendosi insieme, l'uomo e la donna, proprio in questa comunità, il cui carattere è stato stabilito dallo stesso Creatore sin dagli inizi, danno vita a nuovi uomini. Il lavoro deve rendere possibile a questa comunità umana di trovare i mezzi necessari per formarsi e per mantenersi.

La ragione d'essere della famiglia è uno dei fondamentali fattori che determinano l'economia e la politica del lavoro. Questi ultimi conservano il loro carattere etico, quando prendono in considerazione i bisogni della famiglia e i suoi diritti. Mediante il lavoro l'uomo adulto deve guadagnare i mezzi necessari per il mantenimento della propria famiglia. La maternità deve essere trattata nella politica e nell'economia del lavoro come un grande fine e un grande compito di per se stesso. Con essa è legato infatti il lavoro della madre, che partorisce, che allatta, che educa, che nessuno può sostituire. Nulla può sostituire il cuore di una madre, che in una casa sempre è presente e sempre aspetta. Il vero rispetto del lavoro porta con sé una dovuta stima per la maternità, e non può essere altrimenti. Da ciò dipende anche la salute morale di tutta la società.

I miei pensieri e il mio cuore si aprono ancora una volta a voi, uomini del duro lavoro, ai quali la mia vita personale e il mio ministero pastorale mi hanno legato in vari modi. Vi auguro che il lavoro che eseguite non cessi d'essere la sorgente della vostra forza sociale. Grazie al vostro lavoro, siano forti i vostri focolari! Grazie al vostro lavoro, sia forte tutta la nostra Patria!

3. E perciò rivolgo ancora una volta il mio sguardo verso la laboriosa Slesia e Zaglebie: verso gli altiforni, verso i camini delle fabbriche; ed è una terra di grande lavoro e di grande preghiera. L'una e l'altra strettamente congiunte nella tradizione di questo Popolo, il cui saluto più comune è espresso dalle parole "Szczesc Boze" (Dio vi aiuti), parole che collegano e riferiscono il pensiero di Dio al lavoro umano.

Mi conviene oggi benedire la Divina Provvidenza, ringraziandola perché in questa terra l'enorme sviluppo dell'industria - sviluppo del lavoro umano - è andato di pari passo con la costruzione delle chiese, con l'erezione delle parrocchie, con l'approfondimento e il rafforzamento della fede. Perché lo sviluppo non ha implicato la scristianizzazione, la rottura di quella alleanza, che nell'anima umana devono concludere lavoro e preghiera, secondo il motto dei benedettini: "Ora et labora". La preghiera, che in ogni lavoro umano apporta il riferimento a Dio Creatore e Redentore, contribuisce nello stesso tempo alla totale "umanizzazione" del lavoro. "Il lavoro esiste... affinché si risorga" (C.K.

Norwid). L'uomo appunto, che per volere del Creatore è stato chiamato, sin dall'inizio, perché soggiogasse la terra mediante il lavoro, è stato creato altresi ad immagine e somiglianza di Dio stesso. Egli non può in altro modo ritrovare se stesso, confermare chi egli sia, se non cercando Dio nella preghiera.

Cercando Dio, incontrandosi con lui mediante la preghiera, l'uomo deve necessariamente ritrovare se stesso, essendo simile a Dio. Non può ritrovare se stesso altrimenti se non nel suo Prototipo. Non può, attraverso il lavoro, confermare il suo "dominio" sulla terra, se non pregando contemporaneamente.

Carissimi fratelli e sorelle! Uomini del duro lavoro di Slesia, di Zaglebie e di tutta la Polonia! Non lasciatevi sedurre dalla tentazione che l'uomo possa pienamente ritrovare se stesso rinnegando Dio, cancellando la preghiera dalla sua vita, rimanendo soltanto lavoratore, illudendosi che i soli suoi prodotti possano riempire i bisogni del cuore umano. "Non di solo pane vive l'uomo" (Mt 4,4). Lo dice colui che conosce il cuore umano, e ha fatto sufficienti prove di avere cura dei bisogni materiali. "La preghiera del Signore", contiene anche l'invocazione per il pane. Ciononostante, non di solo pane vive l'uomo.

Rimanete fedeli alle esperienze delle generazioni, che hanno coltivato questa terra, che hanno riportato alla superficie i suoi nascosti tesori, con Dio nel cuore, con la preghiera sulle labbra. Conservate quella che è stata la sorgente della forza dei vostri padri e dei vostri avi, delle vostre famiglie, delle vostre comunità! "La preghiera e il lavoro" diventino nuova fonte di forza in questa generazione e anche nei cuori dei vostri figli, nipoti e pronipoti.


4. Vi dico: "Szczesc Boze": Dio vi aiuti! E lo dico per mezzo del Cuore della Madre, di Colei il cui regno in Jasna Gora consiste nell'essere Madre amorosa per noi tutti.

Lo dico per mezzo del Cuore di quella Madre, che si è scelto un posto più vicino alle vostre case, alle vostre miniere e fabbriche, ai vostri villaggi e città, il posto di Piekary. Aggiungerete ciò che vi dico oggi da questa sommità di Jasna Gora a quello che tante volte vi ho detto, come metropolita di Cracovia, dalla sommità di Piekary. E ricordatelo! Amen.

"Szczec Boze": Dio Vi aiuti. Amen.

Data: 1979-06-06

Data estesa: Mercoledì 6 Giugno 1979.





Il congedo da Jasna Gora - Czestochowa (Polonia)

Titolo: A Maria: "Ti consacro tutta la Chiesa..."

Testo: Nostra Signora di Jasna Gora!

1. Vi è una usanza - una bella usanza - quella che i pellegrini, ai quali hai dato ospitalità presso di te a Jasna Gora, prima di andarsene di qui ti facciano una visita di congedo. Ricordo tante di queste visite di congedo di queste particolari udienze che tu, o Madre di Jasna Gora, mi hai concesso quando ero ancora studente di liceo, e arrivavo qui con mio padre o col pellegrinaggio di tutta la natia parrocchia di Wadowice. Ricordo l'udienza che hai concesso a me e ai miei compagni, quando arrivammo qui clandestinamente, come rappresentanti della gioventù universitaria di Cracovia, durante la terribile occupazione, per non interrompere la continuità dei pellegrinaggi universitari a Jasna Gora, iniziati nel memorabile 1936. Ricordo tanti altri congedi da te, tanti altri momenti di distacco, quando venivo qui come assistente spirituale dei giovani, più tardi come Vescovo alla guida dei pellegrinaggi di sacerdoti dell'arcidiocesi di Cracovia.


2. Oggi sono venuto da te, nostra Signora di Jasna Gora, col venerabile Primate di Polonia, con l'Arcivescovo di Cracovia, col Vescovo di Czestochowa e con tutto l'Episcopato della mia Patria per congedarmi ancora una volta e per chiederti la benedizione per il mio viaggio. Vengo qui, dopo questi giorni che ho passato con loro - e insieme a tanti altri pellegrini - come primo servo del tuo Figlio e successore di san Pietro sulla cattedra romana. E' veramente ineffabile il significato di questo pellegrinaggio. Non tentero nemmeno di cercare le parole per esprimere che cosa esso è stato per me e per noi tutti e che cosa non cesserà di essere. Perdona quindi, Madre della Chiesa e Regina della Polonia, che noi tutti ti ringraziamo solo col silenzio dei nostri cuori, che con questo silenzio ti cantiamo il nostro "prefazio" di congedo!

3. Desidero soltanto ancora in tua presenza ringraziare i miei dilettissimi fratelli nell'Episcopato: il Cardinale Primate, gli Arcivescovi e Vescovi della Chiesa in Polonia, dalla cerchia dei quali sono stato chiamato, con i quali sono stato profondamente legato sin dall'inizio e continuo ad esserlo. Ecco coloro che, diventando, secondo le parole di san Pietro, modelli del gregge ("forma gregis") (cfr. 1P 5,3) servono con tutta l'anima la Chiesa e la Patria, senza risparmiare le loro forze. Desidero ringraziare, venerabili fratelli, tutti voi e in modo particolare te, eminentissimo e dilettissimo Primate di Polonia, ripetendo ancora una volta (magari anche senza parole) ciò che già ho detto a Roma il 22 e il 23 ottobre dell'anno scorso. Oggi ripeto le stesse cose col pensiero e col cuore qui, alla presenza di nostra Signora di Jasna Gora.

Ringrazio cordialmente tutti coloro che sono stati in questi giorni pellegrini qui con me, in particolare i custodi del Santuario, i Padri Paolini, con a capo il loro Superiore Generale e Guardiano di Jasna Gora.


4. Chiaromontana Madre della Chiesa! Ancora una volta mi consacro a t "in tua materna schiavitù d'amore": "Totus tuus"! Sono tutto tuo! Ti consacro tutta la Chiesa: ovunque fino agli estremi confini della terra! Ti consacro l'Umanità; ti consacro tutti gli uomini miei fratelli. Tutti i Popoli e le Nazioni. Ti consacro l'Europa e tutti i continenti. Ti consacro Roma e la Polonia unite, attraverso il tuo servo, da un nuovo vincolo d'amore.

Madre, accetta! Madre, non abbandonarci! Madre, guidaci tu! Data: 1979-06-06

Data estesa: Mercoledì 6 Giugno 1979.





All'arrivo a Cracovia (Polonia)

Titolo: Il mio cuore è unito con voi

Testo: Dilettissimi fratelli e sorelle! Per imperscrutabile disegno della Provvidenza, ho dovuto lasciare la sede vescovile di san Stanislao a Cracovia e dal 16 ottobre 1978 assumere quella di san Pietro a Roma. La scelta fatta dal Sacro Collegio è stata per me espressione della volontà di Cristo stesso. A questa volontà desidero rimanere sempre sottomesso e fedele. Desidero inoltre servire, con tutte le mie forze, la grande causa alla quale sono stato chiamato, e cioè l'annunzio del Vangelo e l'opera della salvezza. Vi ringrazio perché mi avete aiutato spiritualmente, soprattutto con le vostre preghiere.

Se questo dico nelle mie prime parole con cui vi saluto, lo faccio perché Cristo scrive le sue chiamate sul cuore vivo dell'uomo. E il mio cuore era, e non ha cessato di essere, unito con voi, con questa Città, con questo patrimonio, con questa "Roma polacca".

Qui, in questa terra, sono nato.

Qui, a Cracovia, ho passato la maggior parte della mia vita, iniziando con l'iscrizione all'Università Jagellonica nel 1938.

Qui ho ottenuto la grazia della vocazione sacerdotale.

Nella cattedrale di Wawel sono stato consacrato vescovo, e dal gennaio 1964 ho ereditato il grande matrimonio dei Vescovi di Cracovia.

Cracovia, fin dai più teneri anni della mia vita, è stata per me una particolare sintesi di tutto ciò che è Polacco e cristiano. Essa mi ha sempre parlato del grande passato storico della mia Patria. Ha sempre rappresentato per me in modo sublime lo spirito della sua storia.

Ricordo la vecchia Cracovia dei miei anni giovanili e universitari, e la nuova Cracovia, quella che con la costruzione di Nowa Huta si è quasi triplicata.

Quella, ai problemi della quale ho partecipato come pastore, come vescovo, come cardinale.

Oggi saluto questa mia diletta Cracovia come Pellegrino. Saluto tutto ciò che la forma: la testimonianza della storia, la tradizione dei re, il patrimonio della cultura e della scienza e, nello stesso tempo, la moderna metropoli.

Saluto soprattutto voi, abitanti di Cracovia, tutti e ciascuno. Ritorno a voi per questi pochi giorni del Giubileo di san Stanislao, come ad una grande famiglia. Mi siete tanto vicini! A causa di questo allontanamento a cui il Signore mi ha chiamato, vi sento ancor più vicini.

Desidero esprimervi i miei sentimenti ed auguri con le parole di sant'Ignazio di Antiochia: "Ogni cosa vi conceda ora in abbondanza la grazia del Signore... Come infatti voi mi avete in ogni modo confortato, così dia consolazione a voi il Signore Gesù. Mi avete dimostrato il vostro amore sia quando ero presente come quando ero assente; il Signore ve ne dia la ricompensa" (S.

Ignazio di Antiochia, "Epistula ad Smyrnaeos", IX, 2: "Sources Chrétiennes", X, 164).

Desidero, durante questi pochi giorni in cui saro con voi, fare le stesse cose che ho sempre fatto: annunziare "le grandi opere di Dio" (Ac 2,11) rendere testimonianza al Vangelo e servire la dignità dell'uomo. così come l'ha servita san Stanislao tanti secoli fa.

Data: 1979-06-06

Data estesa: Mercoledì 6 Giugno 1979.





Nella cattedrale di Cracovia (Polonia)

Titolo: Saluto ai sacerdoti e ai fedeli

Testo: Dopo l'arrivo a Cracovia, ho diretto i miei primi passi verso la cattedrale per incontrarmi con voi, che qui attendevate, presso la tomba di san Stanislao, della beata Regina Edvige e presso le tombe dei nostri re, dei nostri condottieri, dei nostri ispirati poeti nazionali. Tutti voi sapete molto bene che cosa è stata per me questa cattedrale di Wawel.

Saluto tutto il "presbyterium", tanto da me amato, della Chiesa di Cracovia, radunato accanto alle reliquie del suo patrono, vescovo nove secoli or sono, e nello stesso tempo, accanto al suo attuale successore, il Metropolita di Cracovia, e ai suoi fratelli nell'Episcopato.

Saluto tutti.

Dal 1972 ho preparato, insieme a voi, carissimi fratelli, questo Giubileo che ora celebro con voi, benché in modo diverso da quello che prevedevo.

Imperscrutabili i disegni di Dio! Imperscrutabili le sue vie! Abbiamo progettato insieme che quest'anno si sarebbero fatte le visite in tutte le parrocchie dell'arcidiocesi di Cracovia con le reliquie di san Stanislao, e so che questo si sta realizzando. Permettete che a questo succedersi di visite aggiunga anche la mia visita attuale nella basilica di Wawel che, come cattedrale, è madre di tutte le chiese e parrocchie dell'arcidiocesi. Mediante la visita alle sante reliquie, qui in cattedrale, visito indirettamente ogni parrocchia. E in questo modo, visito anche ciascuno di voi, carissimi fratelli e figli, ciascuno nel proprio posto di lavoro. Visito tutte le comunità del Popolo di Dio, delle quali siete pastori. Vi prego, salutate le vostre parrocchie, le vostre chiese, le vostre cappelle. Salutate tutti i santuari sempre così cari al mio cuore.

Salutate le famiglie, i genitori, la gioventù! così come allora, anche adesso prego ogni giorno per la mia diletta arcidiocesi: per le famiglie; per le parrocchie e le vicarie foranee; per le Congregazioni religiose maschili e femminili; per il Seminario di Cracovia e tutti i Seminari che hanno sede nella Città; per l'Ateneo teologico, che è erede della più antica Facoltà in Polonia, dell'Università Jagellonica, che dobbiamo alla Beata Regina Edvige; per il Consiglio presbiteriale; per la Curia metropolitana; per il Capitolo preposto alla custodia di Wawel; per il Sinodo dell'arcidiocesi e della metropolia.

Sia benedetto Dio e Padre del Signore nostro Gesù Cristo che ci ha benedetti col dono di una particolare unità nel suo servizio. Amen.

Data: 1979-06-06

Data estesa: Mercoledì 6 Giugno 1979.





Al santuario di Kalwaria Zebrzydowska (Polonia)

Titolo: Il mistero dell'unione della Madre col Figlio

Testo:

1. Non so addirittura come ringraziare la Divina Provvidenza, che mi è dato ancora una volta di visitare questo luogo. Kalwaria Zebrzydowska, il Santuario della Madre di Dio, i luoghi sacri di Gerusalemme legati alla vita di Gesù e della sua Madre, riprodotti qui, le cosiddette "Stradette". Le ho visitate molte volte, fin da ragazzo e da giovane. Le ho visitate da sacerdote. Particolarmente, ho visitato spesso il Santuario di Kalwaria da Arcivescovo di Cracovia e da Cardinale.

Venivamo qui molte volte, io e i sacerdoti, per concelebrare dinanzi alla Madre di Dio. Venivamo nell'annuale pellegrinaggio d'agosto e anche nei pellegrinaggi di determinati gruppi nella primavera e nell'autunno.

Più spesso, pero, venivo qui da solo e, camminando lungo le stradette di Gesù Cristo e di sua Madre, potevo meditare i loro santissimi Misteri, e raccomandare a Cristo, mediante Maria, i problemi particolarmente difficili e di singolare responsabilità nella complessità del mio ministero. Posso dire che quasi nessuno di questi problemi è maturato se non qui, mediante l'ardente preghiera dinanzi a questo grande Mistero della fede, che Kalwaria nasconde dentro di sé.


2. E' un mistero che voi tutti conoscete bene: voi, padri e fratelli Bernardini (Francescani), custodi di questo Santuario, e voi abitanti del luogo, parrocchiani, voi, numerosi numerosi pellegrini che venite qui nei diversi tempi e in vari gruppi da tutta la Polonia, specie dalla regione vicina ai Carpazi, dall'una e dall'altra parte di Tatra, alcuni parecchie volte. Kalwaria ha in sé qualcosa che attrae l'uomo. Che cosa provoca tale effetto? Forse anche questa naturale bellezza del paesaggio, che si estende alla soglia dei Beschidi polacchi.

Certamente esso ci ricorda Maria, che per visitare Elisabetta "si mise in viaggio verso la montagna" (Lc 1,39). Ma quel che soprattutto attira qui l'uomo continuamente è quel mistero di unione della Madre con il Figlio e del Figlio con la Madre. Questo mistero è raccontato in modo plastico e generoso mediante tutte le cappelle e chiesette, che si sono estese attorno alla Basilica centrale, dove regna l'immagine della Madonna di Kalwaria incoronata col diadema del Papa Leone XIII, il 15 agosto 1857, dal Cardinale Albino Dunajewski. Per il centenario di questo atto, che avrà luogo nel 1987, vi preparerete durante i prossimi nove anni.

Siano questi nove anni di preparazione profondamente vissuti da voi e vi avvicinino ancor più ai misteri della Madre e del Figlio, così intensamente vissuti e meditati in questo santo luogo.

Il mistero dell'unione della Madre col Figlio e del Figlio con la Madre sulla "via crucis", e poi sulle orme dei suoi funerali dalla Cappella della dormizione al "Sepolcro della Madonna". Infine, il mistero dell'unione nella Gloria, che ricordano le stradette dell'Assunzione e dell'Incoronazione. Il tutto, ben collocato nel tempo e nello spazio, ricoperto dalle preghiere di tanti cuori, di tante generazioni, costituisce un singolare, vivo tesoro della fede, della speranza e della carità del Popolo di Dio di questa terra. Sempre, quando venivo qui, avevo coscienza di attingere da questo tesoro. E sempre avevo coscienza che quei misteri di Gesù e di Maria, che meditiamo pregando per i vivi e per i morti, sono veramente inscrutabili. Sempre ritorniamo ad essi, ed ogni volta ci sproniamo a ritornare qui di nuovo e di nuovo sprofondarci in essi. In questi misteri si esprime in sintesi tutto ciò che fa parte del nostro pellegrinaggio terrestre, che fa parte delle nostre "stradette" della vita quotidiana. Tutto ciò è stato assunto dal Figlio di Dio, e, mediante la sua Madre, viene restituito di nuovo all'uomo: è penetrato di una nuova luce, senza la quale la vita umana non ha senso, e rimane nel buio. "...Chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita" (Jn 8,12). Ecco, il frutto del mio pluriennale pellegrinaggio per le stradette di Kalwaria. Il frutto, che oggi divido con voi.


3. E se desidero incoraggiare ed entusiasmare voi a qualcosa è proprio a questo: che non cessiate di visitare questo Santuario. Ancora più: voglio dire a voi tutti, ma soprattutto ai giovani (perché i giovani in modo particolare sono affezionati a questo luogo): non cessate di pregare: bisogna "pregare sempre, senza stancarsi" (Lc 18,1) disse Gesù. Pregate e formate, mediante la preghiera, la vostra vita: "Non di solo pane vivrà l'uomo..." (Mt 4,4), e non con la sola temporaneità e non soltanto con l'appagamento dei bisogni materiali, con le ambizioni o coi desideri l'uomo è uomo. "Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio". Se dobbiamo vivere questa Parola, Parola divina, bisogna pregare "senza stancarsi"! Giunga, da questo luogo, a tutti coloro che mi ascoltano qui e in qualsiasi luogo, questo semplice e fondamentale invito del Papa alla preghiera.

E' l'invito più importante.

E' il messaggio più essenziale.

Il Santuario di Kalwaria continui a radunare i pellegrini, serva l'arcidiocesi di Cracovia e tutta la Chiesa di Polonia. Si compia qui una grande opera di rinnovamento spirituale degli uomini, delle donne, della gioventù maschile e femminile, del servizio liturgico dell'altare, e di tutti.

E a tutti coloro che qui continueranno a venire, chiedo di pregare per uno dei pellegrini di Kalvzaria, che Cristo ha chiamato con le stesse parole dette a Simon Pietro: "Pasci i miei agnelli... Pasci le mie pecorelle" (Jn 21,15-19).

Vi chiedo: pregate per me qui durante la mia vita e dopo la mia morte.

Data: 1979-06-07

Data estesa: Giovedì 7 Giugno 1979.





Nella Chiesa parrocchiale di Wadowice (Polonia)

Titolo: "Ringrazio con voi Dio per ogni bene qui ricevuto"

Testo: Carissimi abitanti di Wadowice! E' con grande commozione che arrivo oggi nella città in cui sono nato, nella parrocchia in cui sono stato battezzato e accolto a far parte della comunità ecclesiale, nell'ambiente al quale sono stato legato per diciotto anni della mia vita: dalla nascita fino all'esame di maturità.

Desidero ringraziarvi per i vostri saluti, e insieme salutare cordialmente e dare il benvenuto a tutti. Dai tempi in cui abitavo a Wadowice sono trascorsi ormai molti anni e l'attuale ambiente ha subito vari cambiamenti. Saluto quindi i nuovi abitanti di Wadowice, ma lo faccio pensando a quelli di prima: a quella generazione che ha vissuto il periodo tra la prima e la seconda guerra mondiale, che qui ha vissuto allora la sua giovinezza. Col pensiero e col cuore torno alla scuola elementare, qui al Rynek (Piazza del Mercato) e al ginnasio di Wadowice, intitolato a Marcin Wadowita, che frequentavo. Col pensiero e col cuore ritorno ai miei coetanei, compagni e compagne di scuola, ai nostri genitori, ai maestri e professori. Alcuni dei miei coetanei sono ancora qui, e li saluto con particolare cordialità. Altri sono sparsi per tutta la Polonia e per il mondo, ma verranno pur a sapere di questo nostro incontro.

Sappiamo quanto siano importanti i primi anni di vita, della fanciullezza, dell'adolescenza, per lo sviluppo della personalità umana, del carattere. Proprio questi anni mi uniscono indissolubilmente a Wadowice, alla città e ai suoi dintorni. Al fiume Skawa, alle catene dei Beskidy. Perciò ho tanto desiderato di venire qui, per ringraziare con voi Dio per ogni bene che ho qui ricevuto. La mia preghiera si rivolge verso tanti defunti, cominciando dai miei genitori, da mio fratello e da mia sorella, la cui memoria è per me legata a questa città.

Umanamente desidero esprimere i sentimenti della mia profonda gratitudine al reverendissimo Monsignore Edward Zacher, che fu il mio professore di religione nel ginnasio di Wadowice, e che poi tenne il discorso per la mia prima messa, durante le prime celebrazioni come vescovo, come arcivescovo e come cardinale, qui, nella chiesa di Wadowice, e infine ha parlato anche oggi in occasione di questa nuova tappa della mia vita, che non si può spiegare se non con la incommensurabile misericordia divina e con la straordinaria protezione della Madre di Dio.

Quando col pensiero mi rivolgo indietro a guardare il lungo cammino della mia vita, considero come l'ambiente, la parrocchia, la mia famiglia, mi hanno condotto al fonte battesimale della chiesa di Wadowice, dove il 20 giugno 1920 mi fu concessa la grazia di divenire figlio di Dio, insieme alla fede nel mio Redentore. Questo fonte battesimale l'ho già baciato una volta solennemente nell'anno del Millennio del Battesimo della Polonia, quando ero arcivescovo di Cracovia. Oggi desidero baciarlo ancora una volta come Papa, successore di san Pietro.

Desidero inoltre fissare il mio sguardo sul volto della Madre del Perpetuo Soccorso nella sua immagine di Wadowice. E chiedo a voi tutti che dinanzi all'immagine di questa Madre mi circondiate con l'incessante preghiera.

Data: 1979-06-07

Data estesa: Giovedì 7 Giugno 1979.





Al campo di concentramento di Brzezinka (Polonia)

Testo:

1. "...Questa è la vittoria che ha sconfitto il mondo: la nostra fede" (1Jn 5,4).

Queste parole della Lettera di san Giovanni mi vengono alla mente e mi penetrano nel cuore, quando mi trovo in questo posto in cui si è compiuta una particolare vittoria per la fede. Per la fede che fa nascere l'amore di Dio e del prossimo, l'unico amore, l'amore supremo che è pronto a "dare la vita per i propri amici" (Jn 15,13 cfr. Jn 10,11). Una vittoria, dunque, per l'amore, che la fede ha vivificato fino agli estremi dell'ultima e definitiva testimonianza.

Questa vittoria per la fede e per l'amore l'ha riportata in questo luogo un uomo, il cui nome è Massimiliano Maria, il cognome: Kolbe; di professione (come si scriveva di lui nei registri del campo di concentramento): sacerdote cattolico; di vocazione: figlio di san Francesco; di nascita: figlio di semplici, laboriosi e devoti genitori, tessitori nei pressi di Lodz; per grazia di Dio e per giudizio della Chiesa: beato.

La vittoria mediante la fede e l'amore l'ha riportata quell'uomo in questo luogo, che fu costruito per la negazione della fede - della fede in Dio e della fede nell'uomo - e per calpestare radicalmente non soltanto l'amore, ma tutti i segni della dignità umana, dell'umanità. Un luogo, che fu costruito sull'odio e sul disprezzo dell'uomo nel nome di una ideologia folle. Un luogo, che fu costruito sulla crudeltà. Ad esso conduce una porta, ancor oggi esistente, sulla quale è posta una iscrizione: "Arbeit Macht frei", che ha un suono sardonico, perché il suo contenuto era radicalmente contraddetto da quanto avveniva qua dentro.

In questo luogo del terribile eccidio, che reco la morte a quattro milioni di uomini di diverse nazioni, Padre Massimiliano, offrendo volontariamente se stesso alla morte nel bunker della fame per un fratello, riporto una vittoria spirituale simile a quella di Cristo stesso. Questo fratello vive ancor oggi sulla terra polacca.

Ma Padre Massimiliano Kolbe fu l'unico? Egli, certo, riporto una vittoria che risentirono subito i compagni di prigionia e che risentono ancor oggi la Chiesa e il mondo. Sicuramente, pero, molte altre simili vittorie sono state riportate; penso, ad esempio, alla morte nel forno crematorio di un campo di concentramento della Carmelitana suor Benedetta della Croce, al mondo Edith Stein, illustre allieva di Husserl, che è diventata ornamento della filosofia tedesca contemporanea, e che discendeva da una famiglia ebrea abitante a Wroclaw.

Sul posto ove è stata calpestata in modo così orrendo la dignità dell'uomo, la vittoria riportata mediante la fede è l'amore! Può ancora meravigliarsi qualcuno che il Papa, nato ed educato in questa terra, il Papa che è venuto alla Sede di san Pietro dalla diocesi sul cui territorio si trova il campo di Oswiecim, abbia iniziato la sua prima enciclica con le parole "Redemptor Hominis" e che l'abbia dedicata nell'insieme alla causa dell'uomo, alla dignità dell'uomo, alle minacce contro di lui e infine ai suoi diritti inalienabili che così facilmente possono essere calpestati ed annientati dai suoi simili? Basta rivestire l'uomo di una divisa diversa, armarlo dell'apparato della violenza, basta imporgli l'ideologia nella quale i diritti dell'uomo sono sottomessi alle esigenze del sistema, completamente sottomessi, così da non esistere di fatto?...


2. Vengo qui oggi come pellegrino. Si sa che molte volte mi sono trovato qui... Quante volte! E molte volte sono sceso nella cella della morte di Massimiliano Kolbe e mi sono fermato davanti al muro dello sterminio e sono passato tra le macerie dei forni crematori di Brzezinka. Non potevo non venire qui come Papa.

Vengo dunque in questo particolare santuario, nel quale è nato - posso dire - il patrono del nostro difficile secolo, così come nove secoli fa nacque sotto la spada in Rupella san Stanislao, patrono dei Polacchi.

Vengo per pregare insieme con voi tutti che oggi siete venuti qui - e insieme con tutta la Polonia - e insieme con tutta l'Europa. Cristo vuole che io, divenuto il successore di Pietro, renda testimonianza davanti al mondo di ciò che costituisce la grandezza dell'uomo dei nostri tempi e la sua miseria. Di quel che è la sua sconfitta e la sua vittoria.

Vengo allora e mi inginocchio su questo Golgota del mondo contemporaneo, su queste tombe, in gran parte senza nome, come la grande tomba del Milite Ignoto.

Mi inginocchio davanti a tutte le lapidi che si susseguono e sulle quali è incisa la commemorazione delle vittime di Oswiecim nelle seguenti lingue: Polacco, Inglese, Bulgaro, Zingaro, Ceco, Danese, Francese, Greco, Ebraico, Yiddish, Spagnolo, Fiammingo, Serbo-Croato, Tedesco, Norvegese, Russo, Rumeno, Ungherese, Italiano.

In particolare mi soffermo insieme con voi, cari partecipanti a questo incontro, davanti alla lapide con l'iscrizione in lingua ebraica. Questa iscrizione suscita il ricordo del Popolo, i cui figli e figlie erano destinati allo sterminio totale. Questo Popolo ha la sua origine da Abramo, che è padre della nostra fede (cfr. Rm 4,12), come si è espresso Paolo di Tarso. Proprio questo popolo, che ha ricevuto da Dio il comandamento: "non uccidere", ha provato su se stesso in misura particolare che cosa significa uccidere. Davanti a questa lapide non è lecito a nessuno di passare oltre con indifferenza.

Ancora davanti ad un'altra lapide scelgo di soffermarmi: quella in lingua russa. Non aggiungo alcun commento. Sappiamo di quale nazione parla.

Conosciamo quale è stata la parte avuta da questa nazione nell'ultima terribile guerra per la libertà dei popoli. Davanti a questa lapide non si può passare indifferenti.

Infine l'ultima lapide: quella in lingua polacca. Sono sei milioni di Polacchi che hanno perso la vita durante la seconda guerra mondiale: la quinta parte della nazione. Ancora una tappa delle lotte secolari di questa nazione, della mia nazione, per i suoi diritti fondamentali fra i popoli dell'Europa.

Ancora un alto grido per il diritto ad un suo proprio posto sulla carta dell'Europa. Ancora un doloroso conto con la coscienza dell'umanità. Ho scelto soltanto tre lapidi. Bisognerebbe fermarsi ad ognuna di quelle esistenti, e così faremo.


3. Oswiecim è un tale conto. Non lo si può soltanto visitare. Bisogna in questa occasione pensare con paura dove si trovano le frontiere dell'odio, le frontiere della distruzione dell'uomo, le frontiere della crudeltà.

Oswiecim è una testimonianza della guerra. La guerra porta con sé una sproporzionata crescita dell'odio, della distruzione, della crudeltà. E se non si può negare che essa manifesta anche nuove possibilità del coraggio umano, dell'eroismo, del patriottismo, rimane tuttavia il fatto che in essa prevale il conto delle perdite. Prevale sempre di più, perché ogni giorno cresce la capacità distruttiva delle armi inventate dalla tecnica moderna. Delle guerre sono responsabili non solo quanti le procurano direttamente, ma anche coloro che non fanno tutto il possibile per impedirle. E perciò mi sia permesso di ripetere in questo luogo le parole che Paolo VI pronuncio davanti all'Organizzazione delle Nazioni Unite: "Basta ricordare che il sangue di milioni di uomini e innumerevoli ed inaudite sofferenze, inutili stragi e formidabili rovine sanciscono il patto che vi unisce, con un giuramento che deve cambiare la storia futura del mondo: non più la guerra, non più la guerra! La pace, la pace deve guidare le sorti dei Popoli e dell'intera umanità!" (Paolo VI, "Discorso al Consiglio delle Nazioni Unite": AAS 57 (1965) 881).

Se comunque questa grande chiamata di Oswiecim, il grido dell'uomo qui martoriato deve portare frutti per l'Europa (e anche per il mondo), bisogna trarre tutte le giuste conseguenze dalla "Dichiarazione dei Diritti dell'uomo", come esortava a fare Giovanni XXIII nell'enciclica "Pacem in Terris". In essa (IV: AAS 55(1963) 295-296) infatti viene "riconosciuta, nella forma più solenne, la dignità di persona a tutti gli esseri umani; e viene di conseguenza proclamato come loro fondamentale diritto quello di muoversi liberamente nella ricerca del vero, nell'attuazione del bene morale e della giustizia; e il diritto a una vita dignitosa; e vengono pure proclamati altri diritti connessi con quelli accennati".

Bisogna ritornare alla sapienza del vecchio maestro Pawel Wlodkowic, Rettore dell'Università Jagellonica a Cracovia, ed assicurare i diritti delle nazioni: all'esistenza, alla libertà, all'indipendenza, alla propria cultura, all'onesto sviluppo.

Scrive Wlodkowic: "Dove opera più il potere che l'amore, si cercano i propri interessi e non quelli di Gesù Cristo, quindi ci si allontana facilmente dalla norma della legge divina... Ogni diritto si oppone a chi minaccia quanti vogliono vivere in pace: vi si oppone il diritto civile... e canonico..., il diritto naturale, cioè il principio: "Quello che vuoi per te, fallo all'altro". Si oppone il diritto divino, in quanto... nell'enunciato "Non rubare" viene proibita ogni rapina e nell'enunciato "Non uccidere" ogni violenza" (Pawel Wlodkowic, "Saeventibus 1415", Tract. II, Salutio quaest. 4; cfr. L. Ehrlich, Pisma Wybrane Pawla Wlodkowica, Warsawa 1968, t. 1S 61 1S 58-59).

E non soltanto il diritto vi si oppone, ma anche e, soprattutto, l'amore. Quell'amore del prossimo nel quale si manifesta e si traduce l'amore di Dio che il Cristo ha proclamato come il suo comandamento. Ma è anche il comandamento che ogni uomo porta scritto nel suo cuore, scolpito dal suo stesso Creatore. Tale comandamento si concreta anche nel "rispetto dell'altro", della sua personalità, della sua coscienza; si concreta nel "dialogo con l'altro", nel saper ricercare e riconoscere quanto di buono e di positivo può esserci anche in chi ha idee diverse dalle nostre, anche in chi, in buona fede, sinceramente erra.

Mai l'uno a spese dell'altro, a prezzo dell'asservimento dell'altro, a prezzo della conquista, dell'oltraggio, dello sfruttamento e della morte! Pronuncia queste parole il successore di Giovanni XXIII e di Paolo VI.

Ma le pronuncia contemporaneamente il figlio della Nazione che nella sua storia remota e più recente ha subito dagli altri un molteplice travaglio. E non lo dice per accusare, ma per ricordare. Parla a nome di tutte le Nazioni, i cui diritti vengono violati e dimenticati. Lo dice perché a ciò lo sollecitano la verità e la sollecitudine per l'uomo.


4. Santo Dio, Santo Potente, Santo e immortale! Dalla pestilenza, dalla fame, dal fuoco e dalla guerra... e dalla guerra, liberaci, o Signore.

Amen.

Data: 1979-06-07

Data estesa: Giovedì 7 Giugno 1979.






GPII 1979 Insegnamenti - Alla Messa per gli operai - Czestochowa (Polonia)