GPII 1979 Insegnamenti - Al Concistoro pubblico - Città del Vaticano (Roma)

Al Concistoro pubblico - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Fiducia in Cristo, coraggio, fortezza, prudenza e umiltà

Testo:

1. Ecco, ha parlato a noi la parola di Dio con la forza, che è adeguata al momento che viviamo. Poiché, mentre questi nostri venerati e cari fratelli nell'Episcopato i cui nomi sono già noti alla Chiesa e al mondo, stanno per ricevere il segno della dignità cardinalizia, bisogna che il significato di questa dignità diventi, per loro e per noi, chiaro e limpido alla luce delle parole stesse di Dio. E perciò, ascoltando con gratitudine queste parole, tratte dalla Prima Lettera di san Pietro e dal Vangelo di san Matteo, meditiamo un istante che cosa il Signore voglia esprimere per mezzo di esse in questo importante e insolito momento.


2. Anzitutto, mediante le parole dell'Apostolo, manifesta la sollecitudine pastorale per la Chiesa, cioè per il gregge. Veramente meravigliose sono queste parole! In esse si apre tutta l'anima di colui a cui fu dato, "come testimone della passione di Cristo", di diventare il primo pastore del gregge.

Nella sua sollecitudine pastorale per la Chiesa, egli ha continuamente davanti agli occhi Cristo, che si è rivelato come Buon Pastore, dando la propria vita per le pecore e che, come Supremo Pastore, si rivelerà in quella "gloria del Padre" (Jn 17,24), alla quale conduce tutti noi. Fissando lo sguardo su di lui, Cristo, l'Apostolo, "Anziano", Vescovo di Roma, Pietro, condivide a sua volta la sua sollecitudine pastorale con gli altri, insegnando loro e, nello stesso tempo, chiedendo come devono insieme con lui comportarsi come "anziani e superiori". Un accento particolare sul loro esempio personale, sulla dedizione disinteressata, sullo zelo creativo. Essere pastore dell'ovile vuol dire vigilare perché la belva rapace non entri nel gregge. Essere pastore delle anime vuol dire vigilare perché queste non siano ingannate e irretite, e non siano traviate, perdendo il contatto vitale con la fonte dell'amore stesso e della verità. Essere pastore delle anime vuol dire, infine, fidarsi: fidarsi soprattutto di Colui, che su queste anime immortali acquisto un diritto divino col proprio sangue.

Accettate oggi questo messaggio del Primo Vescovo di Roma, voi venerabili e cari fratelli, che in modo particolare dovete diventare partecipi della sollecitudine pastorale del suo indegno successore. Quanto più profondamente attingiamo alle stesse fonti evangeliche di questa sollecitudine, tanto più essa si dimostrerà efficace e beata. Il "tempo" attuale ("kairos") della Chiesa e del mondo richiede che attingiamo con particolare diligenza proprio da queste fonti.


3. La parola di Dio, che abbiamo ascoltato poco fa, contiene in sé un appello ai coraggio e alla fortezza. In modo significativo a questo ci invita Cristo. Ecco, abbiamo sentito che egli ripete più volte: "non abbiate paura"; "non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l'anima" (Mt 10,28); "non abbiate timore degli uomini" (cfr. Mt 10,26). E contemporaneamente, accanto a questi decisi appelli al coraggio, alla fortezza, suona l'esortazione: "temete"; "temete piuttosto colui che ha il potere di far perire l'anima e il corpo nelle Geenna" (Mt 10,28). Tutti e due questi appelli, apparentemente opposti, sono reciprocamente così strettamente collegati tra loro, che l'uno risulta dall'altro e l'uno condiziona l'altro. Siamo chiamati alla fortezza e, nello stesso tempo, al timore.

Siamo chiamati alla fortezza dinanzi agli uomini e, nello stesso tempo, al timore dinanzi a Dio stesso, e questo deve essere il timore dell'amore, il timore filiale. E solo quando tale timore penetra nei nostri cuori, possiamo essere veramente forti con la fortezza degli apostoli, dei martiri, dei confessori. Forti con la fortezza dei pastori. L'invito alla fortezza si collega, in modo particolarmente profondo, con la tradizione del cardinalato, che, anche col colore della veste, ricorda il sangue dei martiri.


4. Cristo chiede da noi soprattutto la fortezza di confessare. dinanzi agli uomini, la sua verità, la sua causa, senza tener conto se questi uomini siano benevoli o meno nei riguardi di questa causa, se a questa verità apriranno le orecchie e i cuori o se "li chiuderanno" così da non poter sentire. Non possiamo scoraggiarci dinanzi ad alcun programma di chiusura delle orecchie e dell'intelletto. Dobbiamo confessare ed annunziare nella più profonda obbedienza allo Spirito di Verità. Egli stesso troverà le vie per giungere al profondo delle coscienze e dei cuori.

Noi invece dobbiamo confessare e rendere testimonianza con tale forza e capacità, che non cada su di noi la responsabilità per il fatto che la nostra generazione abbia rinnegato Cristo davanti agli uomini. Dobbiamo anche essere prudenti "come serpenti e semplici come colombe" (Mt 10,16).

Dobbiamo infine essere umili, con quell'umiltà della verità interiore, che permette all'uomo di vivere ed operare con magnanimità. Poiché "Dio resiste ai superbi, agli umili invece dà la sua grazia" (Jc 4,6). Quella magnanimità, fondata sull'umiltà, frutto della cooperazione con la grazia di Dio, è un segno particolare del nostro servizio nella Chiesa.


5. Venerabili e cari fratelli, ecco un programma! Un programma ricco ed esigente che la Chiesa lega alla vostra grande dignità.

Accettate questo programma con la stessa grande fiducia, con la quale l'hanno accettato i vostri predecessori nelle stesse sedi vescovili, negli stessi posti della Curia Romana! Accettatelo! Ammirate i grandi, i magnifici esempi, che ci hanno lasciato.

Su questa nuova strada siano con voi l'amatissima Madre della Chiesa e anche i santi apostoli Pietro e Paolo, della cui solennità ci siamo rallegrati ieri. In tutto sia particolarmente adorato Dio: il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo.

Desidero rinnovarvi pubblicamente, venerati e cari fratelli nell'Episcopato, elevati alla dignità cardinalizia, la mia affettuosa stima e il mio sincero apprezzamento per la testimonianza, che avete dato alla Chiesa e al mondo con la vostra vita sacerdotale ed episcopale, completamente donata a Dio e spesa per le anime, in tutte le mansioni che vi sono state affidate, lungo il corso della vostra vita, dalla Provvidenza divina.

Esprimo, inoltre, il mio cordiale e deferente saluto alle Delegazioni dei vari Paesi, alle Rappresentanze delle numerose diocesi, alla Delegazione inviata a Roma dal diletto fratello, il Patriarca Dimitrios I, e a tutti coloro che sono qui venuti per fare lieta corona ai nuovi membri del Sacro Collegio.

Accanto ai miei fratelli nell'Episcopato che oggi divengono membri del Sacro Collegio, ai quali ho rinnovato poco fa i sensi della mia stima, del mio affetto, della mia fiducia, esortandoli ad essere coraggiosi, forti, umili e magnanimi allo stesso tempo, saluto cordialmente le delegazioni dei loro paesi e delle loro diocesi, vi saluto tutti, cari fratelli e sorelle che siete felici di circondare con la vostra simpatia e con la vostra preghiera i nuovi Cardinali della santa Chiesa romana. Questo avvenimento sia di incoraggiamento per voi tutti.

Con amore profondo in nostro Signore Gesù Cristo, rivolgo una parola di benvenuto alle persone e alle delegazioni di lingua inglese che sono venute a Roma per questo Concistoro. Oggi abbiamo sperimentato tutti insieme, in modo particolare, l'universalità della Chiesa. Abbiamo sperimentato la forza e la gioia di essere uniti in Cristo, e nell'unica, santa, cattolica e apostolica Chiesa.

Il mio saluto cordiale e affettuoso giunga ai Vescovi, sacerdoti religiosi religiose e fedeli di lingua spagnola, che hanno voluto venire a Roma per accompagnare i nuovi cardinali in queste cerimonie, ed associarsi così alla gioia di tutta la Chiesa. A tutti, i miei migliori auguri di pace e prosperità e la mia benedizione.

Lo stesso saluto rivolgo ai miei connazionali che sono venuti qui per partecipare all'innalzamento alla dignità cardinalizia del Vescovo Metropolita di Cracovia e del Segretario del Sinodo dei Vescovi. Che la gioia di questo giorno si unisca all'amore per la Chiesa nostra madre.

Data: 1979-06-30

Data estesa: Sabato 30 Giugno 1979.





Alla Concelebrazione con i nuovi Cardinali - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: La Chiesa come segno della volontà salvifica di Dio

Testo: Carissimi fratelli e sorelle!

1. Desidero oggi, insieme con voi, contemplare la Chiesa pienamente "sottomessa a Cristo" (cfr. Ep 5,24) come Sposa fedele. Gli ultimi giorni, che abbiamo vissuto meditando insieme il sacrificio dei santi apostoli Pietro e Paolo, ci impegnano a cercare la manifestazione del mistero realizzatosi nella loro vocazione, attraverso la testimonianza di fede e di amore, resa fino alla morte. Una manifestazione che troviamo lungo tutta la storia della Chiesa, lungo i secoli e le generazioni dei suoi figli e figlie fedeli, dei servi e pastori, risalendo così a quell'amore sublime, con cui il nostro Redentore e Signore "ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, per renderla santa, purificandola per mezzo del lavacro dell'acqua... al fine di farsi comparire davanti la sua Chiesa tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata" (Ep 5,25-27).

A quell'amore sublime, a quel Cuore trafitto sulla Croce e aperto alla Chiesa, sua Sposa, desidero oggi, insieme con voi, andare in pellegrinaggio spirituale, dal quale noi stessi dobbiamo tornare "purificati, rinvigoriti e santificati" a misura di questi giorni.

Ecco la Chiesa! Frutto dell'imperscrutabile amore di Dio nel Cuore di suo Figlio! Ecco la Chiesa! Che porta i frutti dell'amore dei santi Apostoli, dei Martiri, dei Confessori e delle Vergini! Dell'amore di generazioni intere! Ecco la Chiesa: nostra Madre e Sposa insieme! Meta del nostro amore, della nostra testimonianza e del nostro sacrificio. Meta del nostro servizio e dell'instancabile lavoro. Chiesa, per la quale viviamo per unirci a Cristo in un unico amore. Chiesa, per la quale voi, venerabili e cari fratelli, creati Cardinali nel Concistoro di ieri, dovete vivere d'ora in poi ancor più intensamente, unendovi a Cristo in un unico amore verso di essa.


2. La Chiesa è nel mondo. Voi tutti ne costituite la viva testimonianza nel mondo, giungendo qui da tanti luoghi distanti nello spazio, ma, nello stesso tempo, spiritualmente vicini.

La Chiesa è nel mondo come segno della volontà salvifica di Dio stesso.

Non è forse essa il Corpo di Colui che il Padre ha consacrato con l'unzione e ha mandato nel mondo? "Mi ha mandato a portare il lieto annunzio ai poveri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare la libertà degli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri... per consolare tutti gli afflitti... per dare loro una corona invece della cenere... canto di lode invece di un cuore mesto" (Lc 61,1-3).

Non dovrà forse la Chiesa esser tutto questo? Non dovrà forse vivere di tutto questo, se deve rispondere alla missione salvifica di Colui, che è suo Sposo e Capo? Voi sapete benissimo, venerabili e cari fratelli, - e anche tutte le Chiese dalle quali provenite lo sanno - in quale linguaggio di fatti, esperienze, aspirazioni, tristezze, sofferenze, persecuzioni e speranze, occorra tradurre quell'antichissimo testo profetico di Isaia, affinché esprima, nel linguaggio del nostro tempo, come la Chiesa sia radicata nel mondo; quanto desideri essere, nel mondo, un vivo segno della volontà salvifica del Padre Eterno nei riguardi di ogni uomo e di tutta l'umanità! La Chiesa della nostra difficile epoca - del secondo millennio che va verso la sua fine - epoca di estreme tensioni e minacce o di grandi paure e di grandi attese!

3. In ogni tempo questa Chiesa è semplice della medesima semplicità che le ispiro il nostro Signore e Maestro con la parola del Vangelo. Quanto poco occorre perché la Chiesa "cominci ad esistere" tra gli uomini! "Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro" (Mt 18,20); e "se due di voi sopra la terra si accorderanno per domandare qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli ve la concederà" (Mt 18,19).

Quanto poco è necessario perché questa Chiesa esista, si moltiplichi e si diffonda! Di ciò decidono quei due o tre radunati nel nome di Cristo e per mezzo di lui uniti, nella preghiera, col Padre. Quanto poco è necessario perché questa Chiesa esista dappertutto, perfino là dove, secondo le "leggi" umane, non vi è né può essere e dove viene condannata a morte! Quanto poco è necessario perché esista, e realizzi la sua più profonda sostanza! E perché viva la sua perenne giovinezza! La stessa, che hanno vissuto i primi cristiani, i quali "erano assidui nell'ascoltare l'insegnamento degli apostoli e nell'unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere...

Spezzavano il pane a casa prendendo i pasti con letizia e semplicità di cuore, lodando Dio e godendo la stima di tutto il popolo" (Ac 2,42), come leggiamo oggi nella seconda lettura degli Atti degli Apostoli, lettura da cui si destano non soltanto i ricordi, ma i desideri di semplicità della Sposa, che ha appena sperimentato il sacrificio d'amore del suo Sposo crocifisso e gioisce della sua fecondità generatrice nello Spirito Santo, quando - come leggiamo - "il Signore ogni giorno aggiungeva alla comunità quelli che erano salvati" (Ac 2,48).

Questa Chiesa è semplice della semplicità che le è propria.

Ed è forte di quell'unica forza, che ha ricevuto dal Signore: di quell'unica! Di nessun'altra! "Tutto quello che legherete sopra la terra sarà legato anche in cielo e tutto quello che scioglierete sopra la terra sarà sciolto anche in cielo" (Mt 18,18).

Ecco la qualità propria di questa forza della Chiesa. Una simile forza non la conosce né l'uomo né l'umanità, in nessuna altra dimensione della sua esistenza individuale o sociale. Essa non attinge questa forza da nessun campo della propria temporaneità e da nessuna riserva della natura... Tale forza viene solo da Dio. Direttamente da Dio. Tale forza è riscattata dal Sangue del suo Redentore e Sposo. E' forza dello Spirito Santo.

Ed essa entra in alleanza con quello che nell'uomo vi è di più profondo: mediante la fede, la speranza e la carità cerca - immutabilmente cerca - le soluzioni nel cielo di ciò che non può essere pienamente risolto sulla terra.


4. Venerabili e cari fratelli! Quanto ci rallegriamo per il fatto che voi, neo-creati Cardinali, sposate oggi questa Chiesa ad esempio di Cristo! Segno di tali sponsali è l'anello, che fra poco vi mettero al dito.

Come ci rallegriamo di questi vostri sponsali, che immettono nella vita del Popolo di Dio, su tutta la terra, un nuovo afflusso di amore e una nuova sicurezza di amore! Nuova - speriamo - efficacia di amore. Di quell'amore col quale siamo stati amati e col quale dobbiamo amarci a vicenda. Amore che proviene dallo Sposo ed è per lo Sposo.

Amore, mediante il quale la Chiesa deve essere amata con rinnovato fervore da ognuno di voi.

Amore, mediante il quale essa deve di nuovo esprimersi in tutta la semplicità e la forza, che ha ricevuto dal Signore.

Amore, mediante il quale la Chiesa deve nuovamente diventare Sposa "sine ruga et macula" per lo Sposo.

Questo amore vi auguro insieme a tutto il Popolo di Dio, che è in Roma e nel mondo. Pongo il mio augurio nelle mani della Madre della Chiesa, Sposa dello Spirito Santo.

Amen! Data: 1979-07-01

Data estesa: Domenica 1 Luglio 1979.





Recita dell'Angelus - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Gioia ecclesiale per la creazione dei nuovi Cardinali

Testo: Desidero oggi, in occasione del nostro incontro domenicale, rendere testimonianza della gioia di tutta la Chiesa per la creazione dei nuovi Cardinali.

Nelle loro persone la Chiesa Romana si lega, direi, con nuovi vincoli (= "cardo") alla sua struttura interna. Come insegna san Paolo, siamo "edificati sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti e avendo come pietra angolare lo stesso Cristo Gesù" (Ep 2,20). Su questa Pietra angolare e su questo fondamento sia costruito il servizio dei nostri fratelli, collegato con la dignità cardinalizia, che hanno ricevuto.

Nel congratularci con loro, rivolgiamo ad essi questi auguri con tutto il cuore. Siamo lieti che da ieri portino questa dignità tanto meritevoli prelati della Curia Romana, a cominciare dall'illustre Segretario di Stato. Insieme con lui sono entrati a far parte del Collegio Cardinalizio il Presidente dell'Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica; il Segretario della Sacra Congregazione per i Vescovi, che è stato anche Segretario di due conclavi; il Segretario generale del Sinodo dei Vescovi, il quale, dalla istituzione del Sinodo, per primo ha svolto laboriosamente questo incarico per ben dodici anni. A questo gruppo bisogna aggiungere anche il Nunzio Apostolico che, dopo aver servito la Santa Sede, passa al Collegio Cardinalizio dalla sua ultima rappresentanza a Parigi.

Nello stesso tempo salutiamo con gioia e speranza, in questo gruppo, i rappresentanti degli Episcopati dei vari Paesi e Continenti. Si consolidi ancor più, per la loro nomina, quel legame (= "cardo") che unisce la sede di san Pietro con la Chiesa estesa fra tante nazioni della terra.

Ci rallegriamo dunque che nel Collegio Cardinalizio siano ora stati inseriti rappresentanti delle seguenti nazioni: Italia, Francia, Irlanda, Polonia, Messico, Canada, Vietnam e Giappone. La Sede Romana condivide la gioia delle sedi vescovili, dalle quali provengono questi venerabili Pastori a noi tanto cari: Torino, Venezia, Marsiglia, Armagh, Cracovia, Mexico, Toronto, Hanoi e Nagasaki.

Li accompagnino sempre la forza dello Spirito Santo e l'amore della Madre della Chiesa, di Maria Genitrice di Dio.

Il Popolo di Dio e tutta la famiglia umana godano la pace e il rispetto della dignità di ogni uomo e di ogni nazione.

Soprattutto sia adorato Dio stesso.

Data: 1979-07-01

Data estesa: Domenica 1 Luglio 1979.





Al cardinale Agostino Casaroli - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Chirografo per la nomina del nuovo Segretario di Stato

Testo: Venerabile nostro fratello.

La stima che nutriamo per la tua persona, che da molti anni conosciamo dai tuoi meriti sacerdotali e dallo zelo apostolico, dalla tua vita e dalle prove di maturo equilibrio, e insieme il ricordo del riconoscimento che ti sei acquistato in quasi quarant'anni di diligente e sapiente attività negli affari pubblici della Chiesa nei ministeri della Sede Apostolica, e presso i capi di Stato e i governi dei singoli paesi, ci suggeriscono non solo di chiederti una collaborazione per il futuro ma di usufruirne già da ora, dal momento che nel marzo di quest'anno ci è stato strappato dal mondo dei vivi il Cardinale Giovanni Villot, che abbiamo avuto come fido ed esperto collaboratore nel compito di Segretario di Stato.

Proprio per questi motivi, oltre che per il resto, noi nel mese di aprile, Venerabile Nostro fratello, ti abbiamo accordato la nostra fiducia e ti abbiamo conferito l'incarico di curare tutto ciò che concerne la Segreteria di Stato e il Consiglio per gli Affari Pubblici della Chiesa. Ma a tanta e tanto opportuna unità di animi e di propositi mancava per così dire un coronamento che finalmente in questi giorni è felicemente arrivato con il conferimento della dignità cardinalizia.

Facendo tutte queste considerazioni nel nostro animo, ti consegniamo questa Lettera con cui, pieni di gioia in base al legittimo diritto e al nostro potere apostolico, ti nominiamo Segretario di Stato e Prefetto del Consiglio per gli Affari Pubblici della Chiesa e insieme Presidente della Commissione Pontificia per lo Stato della Città del Vaticano.

Confidiamo pienamente che tu, per le doti altissime che poco fa abbiamo ricordato, presterai opera egregia, assidua, efficace a noi e a questa Sede Apostolica per gli affari di importanza universale.

E ciò avviene proprio in questi tempi nei quali la Chiesa e il mondo sono travagliati da tanti problemi e da tante difficoltà, ma nei quali non mancano motivi di fiducia e di speranza.

Poiché non ti venga a mancare alcun aiuto umano - nell'assumerti un incarico così gravoso e nell'adempiere a una funzione tanto importante - ti promettiamo di cuore la nostra benevolenza per quanto sta in noi, o venerabile nostro fratello.

Invochiamo con insistente preghiera dal cielo una solida prosperità per il tuo lavoro unita alla alacrità e alla ricompensa.

Data: 1979-07-01

Data estesa: Domenica 1 Luglio 1979.





Ai pellegrini di Piacenza - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: La comunità cristiana si costruisce sul fondamento degli Apostoli

Testo: Carissimi.

1. Il nostro incontro mattutino in questo luogo così suggestivo che ci porta con la mente e col cuore nella Grotta di Lourdes, luogo prediletto e benedetto, dove Maria santissima apparve alla piccola Bernardetta, ha un significato ben preciso: è un incontro familiare presso l'altare del Signore e sotto lo sguardo della Vergine Maria, con il Segretario di Stato, il neo Cardinale Agostino Casaroli, mio primo collaboratore, col Vescovo e una rappresentanza dei Sacerdoti della sua diocesi natale, Piacenza, e con i suoi parenti e amici.

E' per me questo un momento di particolare letizia, che mi offre l'occasione di manifestare i miei sentimenti di affetto e di vivo apprezzamento verso colui, che dopo lunghi anni di generosa dedizione passati al servizio totale e diretto della Santa Sede e del Papa, è ora rivestito della importante e grave responsabilità di Segretario di Stato.

Sento il dovere di ringraziare vivamente il Cardinale Casaroli per la sollecitudine e per la saggezza con cui si prodiga per il bene della Chiesa e per aver accettato questo Ufficio così alto e così importante; e invito tutti ad accompagnarlo con la costante e fervorosa preghiera, perché il Signore gli sia sempre di luce, di aiuto e di conforto.

Mi compiaccio anche con tutta la diocesi di Piacenza, che, con la seria e amorevole formazione data nei suoi Seminari, ha saputo donare tanti Sacerdoti ed eminenti Personalità al servizio della Chiesa. Non posso che auspicare di cuore sempre più numerose e sante vocazioni sacerdotali nella vostra diocesi, per le necessità locali e della Chiesa universale.

Un saluto particolarmente cordiale rivolgo ai familiari del Cardinale Casaroli, assicurandoli che partecipo vivamente alla loro sincera letizia di questi giorni, tanto significativi e importanti.


2. Prendendo ora lo spunto dalla Parola di Dio, che è stata letta nella liturgia di oggi, cerchiamo di ricavarne qualche buona direttiva per la nostra vita.

Sta, innanzitutto, davanti ai nostri occhi la scena, plasticamente descritta dall'evangelista Giovanni: siamo sul monte Calvario, c'è una croce, ad essa è inchiodato Gesù; e c'è, li accanto, la madre di Gesù, attorniata da alcune donne; c'è anche il discepolo prediletto, Giovanni appunto. Il Morente parla, col respiro affannoso dell'agonia: "Donna, ecco il tuo figlio!". E poi, rivolto al discepolo: "Ecco la tua madre!". L'intenzione è evidente: Gesù vuole affidare la madre alle cure del discepolo amato.

Soltanto questo? Gli antichi Padri della Chiesa hanno intravisto dietro all'episodio, apparentemente così semplice, un significato teologico più profondo.

Già Origene identifica l'apostolo Giovanni con ogni cristiano e, dopo di lui, si fa sempre più frequente il richiamo a questo testo, per giustificare la maternità universale di Maria.

E' una convinzione che ha un preciso fondamento nel dato rivelato: come non pensare, infatti, leggendo questo brano, alle parole misteriose di Gesù durante le nozze di Cana (cfr. Jn 2 Jn 4) quando, alla richiesta di Maria, egli risponde chiamandola "donna" - come adesso - e rimandando l'inizio della sua collaborazione con lei in favore degli uomini al momento della Passione, la sua "ora" appunto, come egli e solito indicarla? (cfr. Jn 7,30 Jn 8,20 Jn 12,27 Jn 13,1 Mc 14,35 Mc 14,41 Mt 26,45 Lc 22,53).

Maria è pienamente consapevole della missione, che le è stata affidata: noi la troviamo agli inizi della vita della Chiesa, insieme con i discepoli che si stanno preparando all'imminente evento della Pentecoste, come ci ricorda la prima lettura della Messa. In tale racconto di Luca il nome di lei si staglia fra quelli delle altre donne: la comunità primitiva, unita "al piano superiore", si stringe in preghiera intorno a lei, che è "la madre di Gesù", quasi a cercare protezione e conforto di fronte alle incognite di un futuro carico di ombre minacciose.


3. L'esempio della comunità cristiana degli inizi è paradigmatico: anche noi, nelle vicende pur così diverse del nostro tempo, non possiamo fare nulla di meglio che raccoglierci intorno a Maria, riconoscendo in lei la Madre di Cristo, del Cristo totale, cioè di Gesù e della Chiesa, la Madre nostra. E da lei imparare.

Che cosa? A credere, innanzitutto. Maria fu detta "beata", perché seppe credere (cfr. Lc 1,45). La sua fede fu la più grande che essere umano abbia mai avuto; più grande della stessa fede di Abramo. Il "Santo" infatti, che era nato da lei, "crescendo si allontanava da lei, saliva al di sopra di lei e, distolto da lei, viveva in una distanza infinita: averlo generato e nutrito e visto nel suo abbandono, e non lasciarsi vilmente smarrire di fronte alla sua maestà, ma anche non esitare nel suo amore quando la sua protezione materna si trovo superata, e di tutto questo credere che così era giusto e che vi si compiva il volere di Dio; non stancarsi mai, non attediarsi mai, anzi tener duro e fare insieme, passo passo, per forza di fede, il cammino che la persona del Figlio nel suo carattere arcano seguita: ecco la sua grandezza" (R. Guardini, "Il Signore", Milano 1964, pp. 28-29).

Ed ecco anche la prima lezione che ella ci offre.

C'è poi la lezione della preghiera: una preghiera "assidua e concorde" (cfr. Ac 1,14). Spesso nelle nostre comunità ci si raccoglie per discutere, per vagliare situazioni, per fare programmi. Può essere anche tempo ben speso. E' necessario pero ribadire che il tempo più utile, quello che dà senso ed efficacia alle discussioni e ai progetti, è il tempo dedicato alla preghiera. In essa, infatti, l'anima si dispone ad accogliere il "Consolatore", che Cristo ha promesso di mandare (cfr. Jn 15,26) e al quale ha affidato il compito di "guidarci alla verità tutta intera" (cfr. Jn 16,13).

Ancora una cosa c'insegna Maria col suo esempio: essa ci dice che è necessario restare in comunione con la comunità gerarchicamente strutturata. Tra le persone raccolte nel Cenacolo di Gerusalemme san Luca ricorda in primo luogo gli undici Apostoli, dei quali elenca i singoli nomi, quantunque ne avesse già riportato la lista nelle pagine del suo Vangelo (cfr. Lc 6,14ss). C'è in tutto ciò un'"intenzione" evidente. Se prima della Pasqua di risurrezione gli Apostoli costituivano lo speciale seguito di Gesù, ora essi compaiono ormai come uomini ai quali il Risorto ha affidato i pieni poteri ed una missione: sono essi, quindi, i responsabili dell'opera di salvezza che la Chiesa deve realizzare nel mondo.

Maria è con loro: sotto un certo aspetto ella è, anzi, ad essi subordinata. La comunità cristiana si costruisce "sul fondamento degli apostoli".

E' questa la volontà di Cristo. Maria, la Madre, l'ha gioiosamente accettata.

Anche sotto questo aspetto essa è diventata per noi modello esemplare.

Ora continuiamo la celebrazione della Messa. Rivive misticamente, in questa nostra assemblea liturgica, l'esperienza del Cenacolo. Maria è con noi. Noi la invochiamo, a lei ci affidiamo. Ci soccorra col suo aiuto nel proposito, che qui rinnoviamo, di volerla generosamente imitare.

Data: 1979-07-02

Data estesa: Lunedì 2 Luglio 1979.









A Vescovi della Colombia in visita "ad limina" - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: La presenza del sacerdote nell'opera evangelizzatrice

Testo: Amati fratelli nell'Episcopato.

Con profonda gioia vi ricevo oggi, Pastori delle quattro Province Ecclesiatiche di Nuova Pamplona, Baranquilla, Cartagena e Bucarmanga, venuti a Roma per la vostra visita "ad limina Apostolorum". Benvenuti, in nome di Cristo.

Formate il primo gruppo di Vescovi della Colombia che quest'anno giungeranno alla Città Eterna per fare visita a Pietro e renderlo partecipe delle realizzazioni, delle speranze e difficoltà di ciascuna delle sue rispettive Chiese particolari.

Permettetemi di esprimere il mio sincero apprezzamento e la mia gratitudine per le eloquenti parole pronunciate, a nome di tutti voi, dal Signor Arcivescovo di Nuova Pamplona, Monsignor Mario Revollo, Presidente della Conferenza Episcopale Colombiana. Queste manifestano, in modo inequivocabile, la finalità centrale della visita "ad limina": testimoniare e consolidare questa stretta unione di sentimenti e propositi dei Vescovi con il successore di Pietro e Pastore di tutta la Chiesa, garanzia della necessaria unione ecclesiale.

Pero in questa corrente di fede non ci siamo solo noi qui riuniti.

Attraverso questo ammirevole e misterioso vincolo nel Corpo mistico di Cristo, sentiamo la presenza dei vostri sacerdoti, religiosi, religiose e fedeli. Questi sono l'obiettivo delle nostre comuni attenzioni e questo è emerso tanto nei colloqui individuali con ciascuno di voi, come in questo incontro collettivo.

Portate ad ogni membro del vostro gregge il mio saluto più cordiale nell'amore di Cristo, il mio incoraggiamento a perseverare nella fermezza della fede, la mia esortazione a non perdere la speranza, la mia preghiera per rafforzare il vincolo di carità fraterna. Li animi nella loro opera e nel loro peregrinare quotidiano, la grazia dello Spirito e la preghiera costante del Papa, affinché siano vivi testimoni della risurrezione di Cristo e generosi artefici del Regno di Dio nei suoi rispettivi campi di attività.

Fra le molteplici preoccupazioni che occupano il vostro animo di Pastori, so che ce n'è una che occupa un posto preminente: il problema delle vocazioni sacerdotali e religiose. Si tratta, in effetti, di un tema importantissimo per tutta la Chiesa, per la Colombia e in particolare per le vostre quattro Province Ecclesiastiche. Desidero confidarvi che questo è uno dei punti a cui il Papa presta particolare attenzione, data l'enorme ripercussione che ha sullo sviluppo generale della Chiesa, per il presente e per il futuro.

Convinto di ciò, desidero affidarvi come incarico personale quello che indicai nel mio discorso di apertura dei lavori della Conferenza di Puebla: il porre come prioritaria, fra i vostri compiti pastorali, l'attenzione alle vocazioni. E' vitale, imprescindibile, perché non potrebbe essere efficacemente evangelizzatrice una Chiesa a cui mancassero gli agenti qualificati, stabili e totalmente dediti a questo ministero.

E' vero che tutti i membri della comunità ecclesiastica, inclusi i secolari - il cui aiuto è da apprezzare e potenziare per quanto possibile - devono partecipare, in virtù della propria vocazione cristiana, al compito evangelizzatore della Chiesa.

Ma costoro non possono supplire l'insostituibile presenza del ministro consacrato o dell'anima chiamata ad una specifica offerta ecclesiale. Più ancora: la vera maturità del laicato cattolico non potrà fare a meno di riflettersi anche in una apertura pratica alla vita consacrata in pienezza.

Nella vostra sollecitudine per le vocazioni è necessario seguire un triplice versante: la ricerca diligente di queste vocazioni, la loro adeguata preparazione e l'attenzione alla loro perseveranza. Sarà perciò opportuno avviare una pastorale vocazionale ben studiata, che presti una accurata attenzione alle famiglie, alla scuola, alla gioventù, ai movimenti di apostolato, centri vitali in cui, se ricolmi di fede e buoni costumi, nascono tante decisioni di offerta al servizio di Dio e del prossimo.

Non considerate perciò superfluo o apostolicamente meno utile dedicare a questa opera sacerdoti ben preparati o di grandi qualità che seguano preferibilmente questo settore, all'interno di validi piani diocesani e persino nazionali, a cui so che prestate particolare attenzione. Interessate a ciò tutti i sacerdoti, i religiosi, le religiose e i laici impegnati.

Non meno attenzione meriteranno i seminari e le case di formazione religiosa che - come ha indicato in varie occasioni, anche di recente, la Santa Sede - dovranno essere sempre centri di preparazione di equilibrate personalità umane, con tutta la sana apertura che richiede il momento attuale, con una solida base spirituale, morale ed intellettuale, con capacità di vita disciplinata e spirito di sacrificio. Senza tutto ciò non si può costruire una struttura interiore di una vocazione per la Chiesa e il mondo di oggi. Senza dimenticare mai un presupposto fondamentale: se presentiamo ideali svuotati di valori, saranno proprio i giovani i primi a rifiutarli, per non avervi scoperto una possibilità per incanalare tutta la loro generosità ed ansia di donarsi.

Non dovete neppure lasciare senza la debita attenzione la pastorale delle vocazione adulte, che in certi ambienti ed anche in Colombia, sono un fenomeno sempre più promettente e frequente.

Infine, seguite con grande diligenza la perseveranza di chi sta vivendo la sua consacrazione totale. Non temiamo di perdere in ciò tempo ed energie. Nella linea indicata nella mia recente Lettera ai Vescovi, in occasione del Giovedì Santo, siate prima di tutto veri amici e sostegno, con la vostra parola e con il vostro luminoso esempio, dei sacerdoti e delle anime consacrate. Sia la vostra vita e il vostro sforzo, un prezioso aiuto, con lo spirito di un fraterno servizio, per mantenere chiara in costoro la coscienza della propria identità di prescelti.

Amati fratelli: eccovi alcune linee maestre che completerete con il vostro zelo e la vostra creatività di Pastori.

Sia la mia ultima parola un fraterno augurio di speranza e una preghiera al Signore della messe, perché non ci abbandoni. Che egli faccia fruttificare i vostri sforzi. Maria, Madre nostra, vi accompagni sempre. Come vi accompagna la mia preghiera per voi e per ogni membro delle vostre comunità ecclesiali, mentre benedico tutti con speciale affetto.

Data: 1979-07-06

Data estesa: Venerdì 6 Luglio 1979.


GPII 1979 Insegnamenti - Al Concistoro pubblico - Città del Vaticano (Roma)